Antichità - Foto di Gustavo Piccinini
Non è concepibile un commercio internazionale che non sia impostato sul pareggio tendenziale dei rispettivi export-import, e, di conseguenza, non è nemmeno possibile ricostituire la circolarità del sistema senza promuovere la domanda interna.
A questo punto, però, emerge pure la contraddizione-base dei sistemi mercantili, genere di cui anche il capitalismo è specie: la esistenza di un consistente “gap” tra i risparmi che, da un lato, residuano alla fine di ogni ciclo, a seguito della distribuzione ineguale del reddito monetario che è stato ricavato dalla vendita sul mercato di quanto è stato prodotto in quel ciclo, e, dall’altro lato, la somma dei consumi che si registrano sul mercato nel ciclo successivo, più gli investimenti produttivi che vengono quindi effettuati proprio per produrre i beni e servizi che soddisfano questa domanda di consumi, sempre calanti a causa del progresso tecnico-scientifico e organizzativo-aziendale.
Dati Istat alla mano, infatti, si verifica empiricamente che, nei paesi sviluppati del nord capitalistico come l’Italia, mentre i risparmi medi costituiscono circa il 20% del PIL, ammontano ad appena il 5% circa del PIL gli investimenti produttivi che vengono effettuati per produrre l’offerta che soddisfa la domanda di consumi restante, al saldo dell’export-import (cioè l’80% restante del reddito distribuito). Purtroppo la pubblicistica tecnica e atecnica non ha finora colto correttamente né il significato nè la dimensione quantitativa di questo “gap”, e meno che mai l’ha diffusa nel grande pubblico. Ne traspaiono solo parziali ammissioni, la principale delle quali concerne il bisogno “vitale” che avrebbe il capitalismo di reperire mercati sempre “nuovi” o perfino “vergini”, pena la impansione progressiva, da cui discende:
a)da una parte, l’idea che sia “vitale” inseguire la sempre maggiore competitività internazionale possibile attraverso la compressione indefinita dei costi interni di produzione (retribuzioni e imposte per il welfare, soprattutto) praticata con la importazione, meglio se clandestina, di manodopera a basso costo dal terzo mondo, e, insieme, la delocalizzazione produttiva nelle aree del terzo mondo in cui è possibile produrre a costi stracciati risparmiando al massimo su retribuzioni, welfare, imposte in genere e spese per la sicurezza e per la tutela ecologica, e
b)dall’altra parte, l’idea che così agendo è tuttavia inevitabile che si acceleri il processo impansivo nel nord sviluppato, poiché la domanda internazionale cala in valore assoluto in quanto i mercati di sbocco restano sostanzialmente gli stessi per via della debole crescita dei consumi nelle aree del sud che beneficiano delle delocalizzazioni, in rapporto al loro calo nelle aree del nord che soffrono sia le delocalizzazioni che i processi di efficientizzazione classista dei costi diretti e indiretti del lavoro (retribuzioni e imposte per il welfare).
Mentre a destra si pensa puramente e semplicemente di scaricare sulle classi subalterne questa crisi “epocale” o “sistemica” accentuando la sperequazione dei meccanismi ridistributivi, sostanzialmente ridistribuendo in modo sempre più sperequato un PIL in continua contrazione nonostante così si acceleri il processo recessivo internazionale, e pure attrezzandosi ad affrontare militarmente la plausibile ribellione prepolitica prossima ventura delle masse, a sinistra si fa strada la doppia idea suicida che, da un lato, è “marxisticamente naturale” che il capitalismo venga oggi travolto dalle sue contraddizioni interne di sempre, per cui basterebbe attendere fiduciosi il suo crollo endogeno, e, dall’altro lato, che questo è in qualche modo pure “giusto” per un sistema, il capitalismo, che è intrinsecamente predatorio e si vede oggi sbattere sul muso la concorrenza di quello stesso terzo mondo sfruttato in cui si delocalizza e che a sua volta, per espandersi, ha il bisogno “vitale” di invadere i mercati del nord!
Di qui una ulteriore divisione:
A)da una parte i “moderati”, che, di fronte alla ineluttablità di questi processi, credono che il loro compito “ingrato” consista nel fare “responsabilmente” digerire ai propri referenti elettorali l’inevitabile impoverimento progressivo che li attende, contrattando nel contempo con la elite la minore durezza possibile di questo stesso impoverimento e la sua massima diluizione nel tempo.
B)dall’altra parte gli “estremisti”, che ritengono necessario cambiare totalmente il sistema in modo più o meno rivoluzionario guidandolo verso una palingenesi di cui però intravedono soltanto le linee guida, stante il diffuso pregiudizio che il socialismo sia una esperienza storica da non ripetere nemmeno in forme rivedute e corrette. Di qui un caotico intrecciarsi di istanze ecologiste, pauperiste, neo-bucoliche, tardo-hippies, ecc., nelle quali peraltro viene sovente profuso uno sforzo intellettuale di grande pregio etico e perfino scientifico che non va affatto sottovalutato. Un intreccio che si dirige verso il non-voto o verso posizioni comunque prive di prospettive di governo, ma che comunque leva una forte voce verso una distribuzione più solidale nell’immediato che ricorda quella che levavano le plebi dei sistemi schiavili e cui la elite tarda a rispondere aggiungendo il “panem” ai “circenses” che invece ci dispensa da sempre.
Il quadro viene oggi ulteriormente complicato dalla realtà dell’impoverimento progressivo, e per giunta rapido, dei ceti medi, tradizionali alleati della elite e che oggi si sentono (giustamente) da essa traditi e nutrono la stessa tradizionale miscela di odio verso gli operai e verso le banche, cui aggiungono oggi un nuovo odio, quello che rivolgono specificatamente agli immigrati e alle imprese delocalizzate. Si ricrea dunque più o meno la stessa miscela esplosiva degli anni ’20 e ’30, e si ripropongono dunque i medesimi possibili nefasti sviluppi.
La Lega esprime da tempo e in modo abbastanza compiuto la parte più populista di un pensiero funzionale a questa miscela di odio, ma anche parte del centro-destra si sta spostando su posizioni simili, pur se connotate da un certo anti-operaismo che simpatizza per le partite-IVA, parlando sempre più esplicitamente (v. gli scritti di Brunetta sul Giornale) di interessi nazionali gravemente minacciati dagli egoismi di una Europa “delle banche” avida e ostile e, insieme, dagli immigrati, dalle multinazionali delocalizzate e perfino dagli imprenditori nazionali che si delocalizzano.
L’entrata in campo di un tribuno (Berlusconi?) che si ergesse a simbolo di questo coagulo di odio imporrebbe alla sinistra una scelta difficile: stare con Monti e Casini contro il tribuno eversivo e xenofobo, o … ?
Eppure tutto questo non ha alcun senso sotto il profilo scientifico. E’ solo frutto di un tragico equivoco introno al vero funzionamento del capitalismo, e, precisamente, intorno al modo storicamente determinato in cui si risolve da tempo il problema del consistente “gap” che, come abbiamo visto, esiste tra i risparmi e gli investimenti produttivi, impedendo la ricostituzione del circolo Denaro-Merce-Denaro.
Tutti sanno del tanto vituperato deficit-spending. Quasi nessuno, invece, sa dell’uso spregiudicato della moneta creditizia cartolare, e perfino cartacea, per finanziare “allo scoperto” tanta domanda aggiuntiva, autonoma dalla distribuzione, quanta ne serve per colmare e più che colmare quel “gap”.
Sto parlando dei marchi elettronici e cartacei creati da Hitler, con cui ha finanziato “allo scoperto” sia la ripresa degli anni ’33-’36, sia ancora lo sforzo militare dal ’36 al ’45, lasciando alla fine la Germania semidistrutta militarmente, ma senza nemmeno un marco di debito pubblico! Sto parlando delle AM-lires con cui altrettanto “allo scoperto” si sono finanziati in Italia gli alleati dal ’43 al ’47. Sto parlando, soprattutto, di tutta la gigantesca moneta creditizia che viene creata elettronicamente dal nulla dalle banche grazie al sistema della così detta “riserva frazionaria” e che non si nullifica più per mancata restituzione, vuoi per insolvenza dei mutuatari, vuoi perché i prestiti vengono rinnovati all’infinito per compiacenza (politica e clientelare) o per interesse proprio (v. i giganteschi prestiti fatti alle multinazionali dalle grosse banche loro “sorelle” e poi continuamente loro rinnovati), vuoi, infine, perché si tratta di moneta creditizia scambiata contro bond pubblici, laddove pochi sanno che dal ’45 ad oggi non si conosce un solo caso di debito pubblico che sia mai stato rimborsato nemmeno in parte. E parliamo di decine e decine di mld di euro per quanto concerne i debiti sovrani, e di centinaia di migliaia per la moneta creditizia virtuale restante!
Una realtà che dovrebbe essere intuita anche dallo studio del deficit-spending finanziato con bond a rendimento netto negativo, come da anni avviene sistematicamente in Giappone e come avveniva da noi tra il ’72 e l’81, quando i rendimenti netti viaggiavano tra il -3% e il -8% e il nostro rapporto debito/PIL tra il 55% e il 60%, e come, ancora, sarebbe se collocassimo forzosamente e pro quota i nostri btp “alla giapponese” presso le banche che operano in territorio italiano, allo stesso tasso loro praticato dalla BCE (lo 0,75%) e a fronte di una inflazione certamente non inferiore al 2% rilevato, il che comporta un rendimento netto del -1,25% e, dunque, un rimborso progressivo e automatico del debito pregresso, in termini “reali”, di circa 25 mld l’anno (1,25% di 2.000 mld=25 mld).
Il fenomeno del finanziamento della domanda effettiva con moneta “allo scoperto”, del resto, avrebbe dovuto (o lo è perfettamente?) essere noto fin dal ‘500, quando l’oro delle Americhe importato in quantità industriali dagli spagnoli e quello importato dalle indie orientali dai portoghesi approfittando del differente cambio con l’argento ivi esistente (8:1 anziché 20:1) fece “saltare” completamente il rapporto oro/merci esistente fino ad allora e finanziò “allo scoperto” la prepotente espansione economica e demografica europea del ‘500. Una espansione che fu anche inflattiva e non solo inflattiva! Il che è naturale nelle fasi espansive ed è dovuto al ritardo con cui l’offerta si adegua alla domanda e allo “strozzo” scientifico operato sistematicamente dai mercanti all’ingrosso al fine di scatenare la incetta tra i compratori e quindi fare salire il prezzo di equilibrio fino a quel più alto valore (inflazione) che consente il massimo profitto percentuale (extraprofitto da oligo-monopolio). Lo facevano allora i mercanti internazionali di cereali e lo fanno oggi le multinazionali con i loro accordi di cartello, in ogni settore merceologico.
Meglio comunque una espansione inflattiva di una deflazione recessiva, tanto più che la si può benissimo contrastare con il calmiere all’ingrosso e l’anti-trust.
E allora? Una volta scoperto come una ristretta elite creditizio-finanziaria internazionale gestisce sia la produzione e commercializzazione da parte delle sue multinazionali, sia la immissione nel circuito D-M-D di parte della moneta “allo scoperto” che produce nel circolo D-D, per cui gestisce sia l’inflazione che la copertura parziale o totale del “gap”, determinando così sia la espansione che la recessione come il loro tasso percentuale e la loro stessa allocazione geografica, al di fuori di qualsiasi dibattito democratico e anzi diffondendo le credenze pseudo-scientifiche che nascondono questi meccanismi, il suo gigantesco potere e insieme il “segreto” del funzionamento effettivo del capitalismo.
E ora che l’abbiamo scoperto, cosa aspettiamo a iniziare la lotta per la conquista del controllo democratico della produzione e immissione della moneta nel circuito D-M-D a fine di ricostituzione/sviluppo del sistema? Solo così, del resto, è possibile governare il capitalismo e quindi riqualificare la domanda aggregata per compatibilizzarla con i fermi limiti imposti dalla natura, contraendo il monte-ore lavorate pro capite anzichè per multipli di 8 ore e trasformando la decrescita "disperata" che altrimenti ci attende inesorabile in una decrescita che se proprio non sarà "felice" sarà ameno "sostenibile".
Forse ci dispiace troppo smentire Marx circa la “contraddizione” principale del sistema capitalistico e il “come” la superi, se, dove, quando e quanto lo vuole, la elite creditizio-finanziaria che ne controlla le leve?
E’ davvero conveniente liquidare la questione dicendo che chi dice queste cose “non capisce niente di economia”. E per quanto tempo, allora, sarà possibile nascondere ancora la verità?
E pensare che cambiando il paradigma da liberista a anti-liberista la ricetta per uscire dalla crisi è semplicissima, in quanto basta contrarre la ridistribuzione ineguale della ricchezza entro i soli più ristretti confini in cui essa è funzionale, e non disfunzionale, al mantenimento del sistema, e, quindi, “pompare” la domanda interna ridistribuendo in modo quanto più progressivo è possibile il reddito, nonché intervenendo con un deficit-spending finanziato con bond collocati a tassi netti negativi o nulli. Al fine, è sufficiente:
-a)contenere con il calmiere all’ingrosso e l’anti-trust la inflazione “da oligopolio” che abitualmente accompagna le fasi espansive;
-b)bloccare con appositi limiti legali la speculazione di borsa;
-c)salvare da qualsiasi contraccolpo un minimo di sistema creditizio creando un polo di banche commerciali non quotate in borsa e cui è vietato operare in borsa, magari dotate di idonea garanzia fidejussoria statale;
-d)nazionalizzare la BdI, onde rompere il cartello bancario (Basilea2 e 3) e calmierare gli spread privati;
-e)riformare lo statuto della BCE onde farla diventare il nostro “prestatore di ultima istanza” o, almeno, collocare “alla giapponese” i bond che restano invenduti nelle aste;
-f)svalutare centralmente e periodicamente l’euro per mantenerlo sempre “vero”, ossia in linea con i nostri “fondamentali”, cioè in misura sempre pari al differenziale di inflazione che eventualmente residuasse nonostante il calmiere all’ingrosso e l’anti-trust, una volta avviato nella UE un processo inflattivo a seguito delle misure keynesiane ivi prese, mentre fuori della UE l’inflazione fosse più bassa per le misure deflattivo-recessive ivi prese.
E se poi non lo vogliamo, perché almeno non torniamo a proporre il sistema pianificato? Si può dire di tutto contro di esso, infatti, tranne che non sappia dare da mangiare a tutti, cosa che è proprio il capitalismo che non sa fare, almeno se si lascia libera di operare la sua … “mano invisibile”!
Altrimenti, è la “caduta dell’impero romano”.
Nando Ioppolo
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