sabato 30 novembre 2013

Bahar Kimyongur ... ingiustamente detenuto in Italia.. questo sì che è un vero "caso umano" da sottoporre alla ministra Cancellieri Anna Maria




Dal 21 novembre scorso Bahar Kimyongur è vergognosamente detenuto nel nostro paese presso le prigioni della città di Bergamo, Italia.

Invito a seguire le informazioni sottostanti, fra cui l' articolo sul manifesto "Perseguitato da Erdogan per le accuse sulla Siria", sul conto di un cittadino europeo nato il 28 aprile 1974 a Berchem-Sainte-Agathe in Belgio, membro di una famiglia proveniente dalla Turchia, Bahar Kimyongur, la cui unica colpa è quella di svelare la repressione antidemocratica da parte del disumano governo turco Erdogan, governo che da anni schiaccia con violenza INAUDITA  tutte le voci democratiche che chiedono giustizia nel paese e aiuto al mondo intero, isolandole e rinchiudendole nelle prigioni turche. 

Eccone un esempio fra mille di quel che succede nelle prigioni turche :
"... Non si può cancellare la responsabilità del massacro in Turchia del 19 dicembre 2000, usato come “rimedio” contro lo sciopero della fame dei prigionieri rivoluzionari in protesta contro i maltrattamenti e l’isolamento. In quell’occasione il governo turco assaltò le carceri con migliaia di soldati e con armi pesanti, massacrando 28 prigionieri politici, bruciati vivi, carbonizzati nelle loro celle, e lasciandone centinaia di altri gravemente feriti. Ma, le torture nelle carceri turche sono tuttora praticate!.."( tratto da No all’estradizione in Turchia per Avni Er! http://www.cpogramigna.org/?p=928 ).

 "...Bahar Kimyongür si è diplomato in archeologia e storia dell’arte presso l’Università libera di Bruxelles....", "...In buona sostanza, veniva accusato di terrorismo per avere tradotto dal turco in francese dei comunicati diffusi dal DHKP-C, un’organizzazione rivoluzionaria turca", "Portato in giudizio sulla base della legislazione anti-terrorismo del Belgio, è stato condannato in primo grado di giudizio nel febbraio 2006 e in appello nel novembre 2006, poi assolto nel 2007 e nel 2009 a seguito delle sentenze di Cassazione che hanno annullato le sentenze precedenti. È stato fatto oggetto di una richiesta di estradizione da parte della Turchia. All’affare DHKP-C e al caso Kimyongür è stato dedicato il film “Résister n'est pas un crime – Resistere non è un crimine”, un documentario di Marie-France Collard, F.Bellali e J.Laffont, che ha conseguito il Premio Speciale della Giuria al Festival Internazionale del Film sui Diritti dell’Uomo (FIFDH) 2009 di Parigi...." ( tratto da  "Bahar Kimyongür " http://www.tlaxcala-int.org/biographie.asp?ref_aut=2392&lg_pp=it ).

Con l'infondato mandato di estradizione conficcato sulla vita di questo cittadino belga , il governo turco di Erdogan lo perseguita in ogni paese in cui Bahar Kimyongur viene invitato a parlare sulla repressione turca dei difensori dei diritti umani non rispettati al fine di denunciare l'incredibile "vita" culturale-politica in Turchia oltre all'impressionante complicità del governo turco nel massacro per procura in Siria e oltre.


Ecco un esempio fra migliaia di quel che succede in Siria grazie agli addestramenti degli squadroni paramilitari in Turchia: 
Falsificacion de las pruebas sobre las armas quimicas en Siria Parte 2 (video) http://www.youtube.com/watch?v=uYcFlmr4xoc .
 
Dal 21 novembre scorso Bahar Kimyongur è vergognosamente detenuto nel nostro paese presso le prigioni della città di Bergamo. 

Bahar Kimyongur difende i diritti umani diffondendo la verità, denunciando le violenze e rischiando così la sua vita.
 
Ora che ha bisogno di aiuto difendiamolo noi  italiani e cittadini del mondo intero dagli abusi del potere esercitati dalla dittatura turca che perseguita anche quel cittadino belga desideroso solo che nel  paese d'origine dei suoi genitori che evidentemente ama, la Turchia, il popolo possa sperare di vivere al più presto possibile nella legalità, nella pace  e nel rispetto dei diritti umani.

Aiutiamo Bahar Kimyongur a far sapere alla cittadinanza italiana e a  ravvedere le  autorità italiane sul fatto che  il governo turco, oltre a far soccombere la democrazia turca dentro e fuori le sue prigioni, ospita e protegge nel suo territorio i criminosi campi di addestramento di gruppi estremisti armati  che invadono e occupano la Siria e non solo, bande feroci che sottomettono e massacrano civili inermi curdi, sciiti, alawiti, cristiani, armeni, sunniti, insomma vanno contro tutte le comunità civili siriane per conto di potenze  smaniose di potere globale per rapinare le altrui risorse ( con la complicità turca ad esempio ogni giorno da tre anni dalla Siria vengono derubate le industrie smontate pezzo a pezzo e trafugate in Turchia, viene derubato il patrimonio archeologico pezzo a pezzo e trafugato in Turchia, vengono derubate le  risorse alimentari ed energetiche siriane... ) . Le stesse potenze oltre tutto lanciano messaggi minacciosi più o meno diretti al mondo intero.
 
Ecco solo alcune delle ultime testimonianze di quanto accade in Siria per mano degli squadroni della morte con base e addestramento in Turchia, Giordania, ecc. ecc.:
 
Di ieri 27/11/2013, è la testimonianza di Maria Saadeh, deputata parlamentare siriana, di una lista indipendente,  ospite in questi giorni in Italia appositamente per denunciare quel che sta accadendo in Siria, testimonianza su cui vi prego di riflettere a fondo dopo tre anni di dissennato assalto a quel paese e al suo popolo stremato : «Se i ribelli avessero a cuore il popolo siriano, non permetterebbero ai terroristi di massacrarlo»

http://www.tempi.it/se-i-ribelli-avessero-a-cuore-il-popolo-siriano-non-permetterebbero-ai-terroristi-di-massacrarlo#.UpXKA0hd6hd

Maria Saadeh aveva  tentato anche l'anno scorso di venire a dialogare con i politici italiani per raccontare quel che davvero stava succedendo  in Siria, diversamente da quel che se ne scriveva e se ne scrive, ma l'allora ministro Terzi e Napolitano arbitrariamente le negarono il visto!!! Leggi  Diniego visto Delegazione Parlamentare Siriana http://assadakahsardegna.com/in-evidenza/diniego-visto-delegazione-parlamentare-siriana .

Dal  26/11/2013 invece è la testimonianza di Gregorio III Lahm, a Cagliari, che dall'inizio del massacro in Siria non ha smesso un giorno di scrivere per gridare al mondo l'immenso dolore del popolo siriano e di denunciare  la macabra complicità dei media di tutto il mondo nel massacro in atto : Cagliari. Il Patriarca cattolico siriano,Gregorio III Laham, incontra i giornalisti http://assadakahsardegna.com/in-evidenza/cagliari-il-patriarca-cattolico-sirianogregorio-iii-laham-incontra-i-giornalisti.


Invito a scrivere alla Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, Ministero di Grazia e Giustizia, come chiede di fare la moglie di Bahar Kimyongur , affinché  la Ministro abbia accesso a una corretta informazione sull'opera di demistificazione di Bahar Kimyongur e si adoperi a farlo liberare immediatamente, a lavorare per farne decadere lo strumentale mandato di estradizione che perseguita ingiustamente Bahar Kimyongur, ad accogliere Bahar Kimyongur nel nostro paese con tutta l'ospitalità che l'Europa, Italia compresa,  e il mondo intero gli deve per la sua rettitudine, impegno, coraggio, perseveranza nel cammino verso un mondo onesto e senza violenza.

Invito a scrivere a Bahar Kimyongur,  come ci chiede di fare la sorella Gulay.

Invito ad ascoltare le parole di Bahar Kimyongur.

Invito i parlamentari a dire no alle missioni militari, come chiede la redazione di Sibialiria e il movimento No War.



Grazie a tutti/e.

Valeria Sonda 



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SEGUONO:

-DUE DISCORSI DI BAHAR KIMYONGUR A BRUXELLES NEL SETTEMBRE 2012 E A GINEVRA LO SCORSO SETTEMBRE.
-INTERVISTA ALL'AVVOCATO ROMOLI , LEGALE DI BAHAR KIMYONGUR CHE INVITA ALLA SOLIDARIETA'
-APPELLO DELLA SORELLA DI BAHAR KIMYONGUR CHE INVITA A SCRIVERGLI IN CARCERE
-LETTERA ALLA MINISTRO CANCELLIERI, LA MOGLIE DI BAHAR KIMYONGUR INVITA A SCRIVERE AL MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA
-NO WAR LANCIA UN APPELLO AI PARLAMENTARI PER DIRE DAVVERO NO ALLE MISSIONI MILITARI


LE PAROLE DI BAHAR KIMYONGUR



Syrie: discours de Bahar Kimyongur devant l'ONUhttp://www.youtube.com/watch?v=GzykaQ2vs_Q ( video )
Manifestation devant les Nations Unies contre les plans de guerre franco-américains visant la Syrie.
Discours de Bahar Kimyongur à Genève, dimanche 8 septembre 2013

Discorso di Bahar Kimyongur del "Comitato contro l' ingerenza in Siria", Bruxells, 25 settembre 2012
 http://perunconflittononviolento.blogspot.it/2012/09/discorso-di-bahar-kimyongur-del.html
Siria: il regalo degli Stati Uniti ad Al Qaida, e vice-versa
di Bahar Kimyongür *

Discorso di Bahar Kimyongür, portavoce del “Comitato contro l’ingerenza in Siria” (CIS), in occasione di una manifestazione organizzata davanti all’ambasciata degli Stati Uniti a Bruxelles, il 25 settembre 2012, per protestare contro la distruzione programmata della Siria da parte degli USA e dei loro alleati.

Un discorso che potremmo definire "pacifista radicale", con diverse ingenuità, ma potente nella denuncia dell'Occidente.
Numerosi sono gli amici che ci hanno chiesto perché abbiamo scelto di riunirci davanti all’ambasciata degli Stati Uniti per difendere la pace in Siria.

Per fornire loro una risposta, cominciamo con la constatazione schiacciante, anzi con un rimprovero all’indirizzo di tutti noi, per la nostra sorprendente amnesia e la nostra cecità complice di fronte all’onnipresenza multiforme e al bellicismo degli Stati Uniti in Siria.
Davvero, siamo così condizionati dalla propaganda delle nostre élites che ci dimentichiamo chi in realtà incarni il male principale del genere umano, e del popolo siriano in particolare.

Perciò, non mancheremo di sottolineare a questi nostri amici le precedenti guerre d’aggressione che l’Impero statunitense ha scatenato, come iperpotenza colpevole pluri-recidivante di genocidi.

Con le sue 761 installazioni militari distribuite sui cinque continenti (vedi Chris Hedges, L’empire de l’illusion, Ed. Lux, 2012), questo Impero esercita una dittatura globale, senza la quale il mondo starebbe tanto meglio!

Non mancheremo di passare in rassegna l’inventario dei crimini commessi dagli Stati Uniti, a Hiroshima, a Mai Lai durante la guerra del Vietnam, a Falloujah in Iraq, a Gaza in Palestina, nella Sirte in Libia.

Denunciamo il loro uso del napalm, dell’“Agente Orange”, dei loro droni Predator, i loro tappeti di bombe riversati dai loro B-52 su intere città, l’avere finanziato e armato i “contras” e “contractors” in Afghanistan, in Guatemala, in Nicaragua, i loro golpe militari, le loro minacce, le loro sanzioni, i loro ricatti, la loro politica di corruzione degli oppositori ai regimi giudicati ostili.

Attualmente, a forza di ingozzarci di immagini tutte orientate a dimostrare a tutti i costi la barbarie dell’esercito siriano, i nostri media sono abilmente pervenuti a renderci assuefatti ai crimini degli Stati Uniti, eternamente impuniti, la cui barbarie è proporzionale ai mezzi impiegati.

Ogni giorno siamo allo stesso tempo complici e vittime, fisiche e morali, di un Impero che nel 2010 ha impiegato da solo il 43% dei bilanci militari mondiali, vale a dire quattro volte più della Cina e della Russia messe insieme.
Noi siamo a tal punto condizionati dalle immagini che ci pervengono dalla Siria, che ci mostrano le atrocità in modo assolutamente unilaterale, e dai discorsi contro la Russia, contro la Cina e contro l’Iran, che non teniamo più presenti tutte la basi navali e aeree statunitensi, i sistemi radar degli Stati Uniti, gli agenti della CIA, che operano per la distruzione programmata della Siria.

Se siete ancora scettici sulla questione del ruolo centrale degli Stati Uniti nel caos siriano, vi invitiamo a gettare uno sguardo più attento sulle operazioni in corso sul fronte nord-occidentale della Siria.

Nella provincia turca di Hatay, cioè ai piedi della roccaforte siriana, gli jihadisti di Al Qaida o dell’Esercito siriano di Liberazione ASL, operano a stretto contatto con i soldati dell’esercito turco di Erdogan e con le truppe statunitensi. A qualche chilometro dalla frontiera siriana, esiste una base radar della NATO, quella di Kisecik, situata sulla sommità della catena montuosa dell’Amanus. Gli abitanti del paese di Antiochia denominano questo sito come “il radar”.

Al punto 0 della frontiera siriana, sulla cima del Djebel El Aqra’ (il monte Cassius), la NATO è impegnata a costruire una nuova base osservatorio (fonte: Antakya Gazetesi, 28 agosto 2012). Situato sopra il villaggio siriano di Kassab, sui 1700 m. di altitudine, questo sito, da cui ad occhio nudo si possono percepire le coste cipriote, è altamente strategico. Questa installazione militare dominerà la provincia siriana di Lattaia, il che consentirà il controllo di tutta la Siria, per cielo, terra e mare.

Situata a meno di 150 km dalla frontiera siriana in linea d’aria, la base militare d’Incirlik, da cui transitano gli armamenti provenienti dalla Libia con destinazione gli insorti siriani, è una delle più grandi basi aeree e di sorveglianza statunitensi di tutto il mondo.

Nel Golfo di Alessandretta, a meno di un miglio marino dalle coste siriane, naviglio da guerra della NATO fornisce agli insorgenti siriani informazioni e rilevamenti di natura militare.
Nella medesima provincia di Hatay e nella provincia vicina di Adana, la CIA dispone di centri di formazione militare riservate agli insorgenti siriani.

Se dubitate di tutto questo, vi invitiamo ad andare a leggere l’intervista concessa alla BBC da Thwaiba Kanafani, una spia che lavora per conto dell’Esercito siriano di Liberazione ASL (cf. reportage di Richard Galpin, BBC, 4 agosto 2012).
I veterani dell’Afghanistan, Bosnia, Cecenia, Iraq, Libia, gli jihadisti provenienti dal Tagikistan e dallo Yemen, dalla Francia o dal Maghreb arrivano con mezzi vari, con bus e con aerei stracolmi, secondo corridoi di trasporto stradale ed aereo internazionali.

Se dubitate di questa nuova crociata jihadista scatenata da Al Qaida, vi invitiamo ad andare a leggere l’illuminante reportage di Ghaith Abdoul-Ahad per conto del Guardian, pubblicato questa domenica (The Guardian, Syria: the foreign fighters joining the war against Bashar al-Assad, 23 septembre 2012 – The Guardian, Siria: combattenti stranieri partecipano al conflitto contro Bashar al-Assad, 23 settembre 2012).

La popolazione cosmopolita di Hatay, che mai aveva visto una sola barba salafita nella regione, assiste tutti i giorni allo sbarco di uomini all’apparenza poco pacifisti e talvolta perfino armati.

È impossibile che dei battaglioni di Al Qaida possano arrivare in modo così massiccio senza attirare l’attenzione delle truppe statunitensi o turche, che controllano palmo a palmo tutta la regione.

In ogni caso, gli Stati Uniti, che sono tanto pronti a bombardare quando notano il minimo movimento sospetto nel deserto dello Yemen o nelle montagne del Pakistan, non hanno veramente l’aria di preoccuparsi per questo afflusso di jihadisti.

Quanto all’esercito turco, non arretra davanti ad alcuna difficoltà pur di aiutare i terroristi nel saccheggiare la Siria.
D’altronde, le catene televisive turche diffondono in diretta gli scontri militari frontalieri fra le truppe governative siriane e i ribelli, che vanno e vengono fra i campi profughi situati fra il territorio della Turchia e quello della Siria.

Al posto di raffreddare i conflitti, di impedire questo terrorismo che agisce a cavallo dei confini, l’esercito turco punta i cannoni dei suoi blindati e i suoi lancia-missili contro l’esercito della Siria.

Alcuni potrebbero obiettare che gli insorti ricevono ben scarsi armamenti dall’Occidente.

Tuttavia, su decine di fotogrammi che ci arrivano dal fronte siriano, è possibile riconoscere, branditi dai ribelli, fucili di precisione M24 statunitensi, lancia-razzi RPG russi in dotazione all’ex esercito libico introdotti via mare dalla NATO, fucili AUG Steyr austriaci, MANPADS statunitensi (MANPADS è l’acronimo di Man-portable air-defense systems ed indica un sistema missilistico antiaereo a corto raggio trasportabile a spalla) inviati dal Qatar e dall’Arabia Saudita e consegnati proditoriamente dall’esercito turco. (Fonte: Reuters, 31 luglio 2012).

La stampa svizzera informa che migliaia di granate svizzere vendute agli Emirati Arabi Uniti sono pervenute nelle mani dei ribelli siriani dopo essere state offerte ai militari della Giordania. (RTS Info, 21 settembre 2012).
Non occorre essere grandi esperti per capire come gli Stati Uniti siano presenti in tutto questo, ma in modo molto discreto, così come si sono comportati durante la guerra di Libia.


Un breve richiamo allo scenario libico dovrebbe consentire di comprendere meglio la strategia che gli Stati Uniti stanno osservando in Siria.
Atto 1: due giorni dopo l’adozione della Risoluzione che autorizzava la creazione di una zona di esclusione aerea (no-fly-zone), una pioggia di missili da crociera statunitensi Tomahawk distruggeva le linee di difesa dell’esercito libico.
Atto 2: aerei francesi, belgi, spagnoli e britannici entravano in azioneAtto 3: i mercenari e gli jihadisti terminavano il lavoro.
Possiamo constatare che, come in Libia, gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali preferiscono tenere un basso profilo anche in Siria.

Per il momento, costoro si accontentano di far pervenire il materiale bellico, e di regolamentarne i traffici, ai ribelli siriani, materiale militare dei loro vassalli arabi del Golfo, ben inteso di fabbricazione usamericana.

Per sbarazzarsi e vendere questi armamenti ai petro-monarchi del Golfo, il protettore e fornitore usamericano non manca di agitare il fantasma di un’aggressione da parte dell’Iran. Non ci vuole molto perché gli sceicchi del Qatar e dell’Arabia Saudita si piscino addosso dal terrore lordando le loro belle tuniche da maschi (dichdacha).
Altra constatazione: grazie ai loro sistemi spionistici, gli Stati Uniti hanno aperto brecce nella fortezza siriana attraverso cui i ribelli siriani possono stabilmente installarsi nel paese sotto assedio.

Attualmente, più che un sentiero di Ho Chi Minh, è un largo viale che i servizi segreti dell’esercito turco e statunitensi hanno offerto ai ribelli.

E se gli osservatori stranieri che percorrono la zona vedono nelle mani dei ribelli solamente armamenti rudimentali o in disuso, senza dubbio è perché in quel momento l’esercito siriano sta bombardando in modo efficace le vie di approvvigionamento della ribellione, che collegano la Turchia al fronte di Idlib e di Aleppo.

Il risultato di questo attivismo statunitense, occidentale e dei paesi del Golfo sta nel fatto che i bambini della Siria vengono esposti ad un conflitto mortale, da cui nessuno potrà uscirne vincitore.

Il gigante del Nord America, che sognava di vedere un mondo arabo soggetto e diviso, mai avrebbe sperato in uno scenario migliore ad un costo così basso.

Grazie all’Esercito siriano di Liberazione ASL e ad Al Qaida, gli Stati Uniti non devono proprio impegnare le loro truppe sul fronte siriano.

Quando l’ASL moltiplica le sue angherie e i suoi crimini di guerra, alcuni si interrogano in modo legittimo sul perché gli Stati Uniti evitino di inserire questa formazione all’interno della lista delle organizzazioni terroristiche, dato che in questo elenco figurano altre organizzazioni molto meno crudeli.

È necessario ricordare che il marchio di terrorista viene imposto dagli Stati Uniti a seconda che il ribelle sia utile o danneggi gli interessi usamericani.

Prova ne sia che, su richiesta espressa della lobby sionista statunitense, Hillary Clinton si appresta a radiare dalla lista statunitense delle organizzazioni terroristiche il Mujahedin-e Khalq (MEK).

La motivazione? L’organizzazione iraniana dissidente ha aiutato Israele nella raccolta di informazioni sulle installazioni nucleari del governo di Teheran (De Standaard, 24 settembre 2012).
[N.d.tr.: Mojahedin-e Khalq (combattenti del popolo iraniano) è la denominazione di un movimento politico iraniano tra i più attivi nell’opposizione al regime teocratico che ha preso il potere in Iran successivamente alla rivoluzione del 1979. In Iran è fuori legge.

È stato considerato per molti anni dall’Unione Europea un’organizzazione terroristica; infatti sebbene la Corte di Giustizia Europea abbia rigettato questa definizione esprimendosi per ben tre volte contro la permanenza dell’organizzazione nella lista nera delle formazioni terroristiche, solo nel gennaio 2009 i 27 Paesi, riuniti a Bruxelles, hanno deciso di cancellare i Mujaheddin del popolo, dalla lista.

Nonostante questo, ancora oggi il MEK è classificata come organizzazione terroristica da Stati Uniti e Canada, a causa della passata vicinanza puramente tattica di questi Mujahedin con Saddam Hussein, in quanto maggior avversario nella regione del regime iraniano.
Il MEK ha compiuto attentati in Iran, utilizzati dalla propaganda del governo iraniano per screditare il movimento agli occhi del popolo.

Secondo alcuni, i Mujaheddin sarebbero sostenuti ufficiosamente anche da Israele e dagli stessi Stati Uniti, che ufficialmente li considerano ancora terroristi.

Molti politici statunitensi di entrambi i partiti maggioritari, tra cui il presidente Barack Obama, si sono espressi a favore della cancellazione dei Mujaheddin dalla lista delle organizzazioni terroristiche, parlando favorevolmente del loro partito.]

A leggere i comunicati incendiari dell’Esercito siriano di Liberazione ASL a proposito di depositi di armi chimiche o della disposizione di missili balistici dell’Esercito siriano, si può pensare che gli Stati Uniti, l’Europa ed Israele abbiano incaricato l’ASL della stessa missione che hanno addossato ai Mujahedin-e Khalq iraniani.

In ogni caso, per quanto nobili siano le sue intenzioni, le sue collusioni con i “falsi amici della Siria”, le sue aspettative rispetto ad un improbabile intervento con pretesti di liberazione, il suo zelo nel volersi accattivare l’Occidente e il suo oscuro programma politico che converge con l’agenda degli Stati Uniti e dell’Europa nella regione, fanno dell’ASL una banda di mercenari allo stesso titolo dei Mujahidin e-Khalq iraniani.

Passiamo ora al nostro obiettivo determinante, vale a dire quello di contribuire alla lotta per la pace e la riconciliazione in Siria.

Noi crediamo che sia impossibile fermare lo spargimento di sangue e salvare la vita di Siriani innocenti che si trovano in entrambi i campi del conflitto fin tanto che l’Occidente non ostenterà una posizione neutra nei confronti del conflitto.
Se, come pretendono, gli Imperi occidentali sostenessero la pace in Siria, loro che non fanno altro che seminare zizzania in questa regione del mondo, sarebbero obbligati di rispettare i tentativi messi in atto dalla Russia, Cina, Iran, Venezuela, e perfino dall’Egitto.

Per il momento, è un dato di fatto che coloro che sostengono il governo siriano siano anche le forze principali che forniscono proposte concrete e realistiche.
Infatti, solo grazie alla Russia, alla Cina e agli altri paesi del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) che una missione di osservatori dell’ONU ha potuto insediarsi, che sono stati nominati mediatori internazionali, che in Siria ha potuto essere creato un ministero per la riconciliazione, ministero alla cui direzione si trova Ali Haydar, un oppositore storico del governo di Bachar El-Assad.

Per merito di questo ministero, che fa appello a tutte le buone volontà locali espresse dal clero, dalla popolazione civile, dalla ribellione o dall’esercito, numerosi ostaggi hanno potuto essere restituiti alle loro famiglie nel quadro dell’iniziativa denominata “Moussalaha”, la riconciliazione.
Ben inteso, i nostri mezzi di informazione non parlano mai di tutto questo, …per non dare la sensazione di aderire alla “propaganda di regime”.

In questo fine settimana, ha potuto tenersi a Damasco una conferenza impensabile fino a qualche settimana fa: degli oppositori del Comitato delle Forze per un Cambiamento Nazionale Democratico (CCCND) di Haytham Manna si sono riuniti in un hôtel della capitale siriana in presenza di diplomatici russi, iraniani, egiziani, algerini e cinesi.

Eppure, il CCCND di Haytham Manna è un’organizzazione accanitamente ostile a Bachar El-Assad ed esige da questo l’abbandono del potere.Questi cambiamenti possono sembrare spesso solo di facciata o simbolici, ma è chiaro che siamo in presenza di cedimenti nondimeno formali da parte del governo al potere.
Anche il presidente siriano ha lasciato la porta aperta al dialogo con la ribellione (cf. Al Ahram Al Arabi, 21 settembre 2012).

Non è possibile affermare altrettanto per l’opposizione radicale, la cui unica mira è il rovesciamento violento del potere.
Alcuni sostengono che gli alleati di Damasco difendono la pace per interesse.

Affermativo, questo è esatto! Ma che questo piaccia o no, gli interessi di questi paesi coincidono con quelli degli innocenti che stanno morendo tutti i giorni sotto i bombardamenti dell’aviazione e dell’artiglieria siriana o sotto i colpi di mortaio e per gli attentati dei ribelli.

Bisogna fermare le uccisioni e tutto ciò che risulta come il principale responsabile degli omicidi.

Bisogna lottare per la pace, e poco importa che sia stato l’esercito siriano o la ribellione a sparare per primo.
Ricordiamoci della guerra Iran/Iraq. È stata la CIA che ha eccitato Saddam Hussein ad aggredire l’Iran. Dunque, l’Iran si trovava in una situazione di legittima difesa. Questa guerra è durata 8 anni ed è costata la vita a quasi due milioni di Iraniani ed Iracheni.

Sono stati i mercanti d’armi degli Stati Uniti a vendere il materiale militare ai due belligeranti. Hanno fatto in modo di protratte più a lungo possibile il conflitto, in modo tale che né l’esercito arabo laico né l’esercito sciita persiano potessero prevalere. Le atrocità commesse da una parte e dall’altra del fronte superano ogni immaginazione.
Io vi domando: “A quel tempo, quale sarebbe stata la posizione più umanitaria: difendere il diritto di resistenza della Repubblica islamica d’Iran contro l’Iraq aggressore, o difendere la pacePer giustificare la distruzione della Siria, i nostri dirigenti arrivano a manipolare le disgrazie dei profughi siriani. Ci parlano sempre dei 250.000 profughi rifugiati nei paesi vicini. Ma le sorti dei profughi all’interno della Siria, che sono almeno dieci volte di più, non interessano assolutamente. La ragione principale di ciò consiste nel fatto che questi profughi dell’interno sono stati per la maggior parte evacuati dall’esercito e dai servizi di protezione civile mobilitati dal governo di Damasco. Fra il maggio e il settembre del 2007, l’esercito libanese aveva messo in atto la medesima strategia d’isolamento della guerriglia jihadista, all’epoca dell’occupazione e della ripresa del campo palestinese di Nahr al-Bared.
[N.d.tr.: Il campo profughi palestinese di Nahr al-Bared si trova a nord del Libano. È stato distrutto dall’esercito libanese nel 2007 dopo che al suo interno si erano insediate le milizie di Fath Al Islam, estranee al campo.

Fath Al Islam è un movimento armato fondamentalista islamico salafita, insediatosi in Libano, essenzialmente nel campo-profughi di Nahr al-Bared e in Siria, qui comparso nel novembre del 2006. Il movimento sarebbe finanziato con fondi sauditi e, in parte, da fondi statunitensi, al fine di contrastare il partito guerrigliero sciita libanese di Hezbollah.
Attualmente il campo è sotto controllo dell’esercito libanese. Solo una parte dei profughi sono potuti ritornare e vivono all’interno di container allestiti dall’UNRWA.]

A Homs, Damasco e nei quartieri sicuri di Aleppo, decine di migliaia di profughi, fuggiti dal terrore dei ribelli, sono stati alloggiati in scuole, centri sportivi, chiese e moschee. Tutte queste famiglie sinistrate beneficiano di sussidi alimentari. Quando un quartiere è messo in sicurezza dall’esercito, queste famiglie possono ritornare alle loro case.

Cosa sappiamo noi precisamente di questa realtà? Nulla, perché i nostri mezzi di informazione non ne parlano. Paura di mostrare che milioni di Siriani amano il loro esercito e confidano in esso! È pur vero che …qualche migliaio di Siriani ama e sostiene i ribelli.

Ma quando i nostri media non mostrano altro che il sostegno popolare di cui gode la ribellione, evitando di parlare dei milioni di Siriani che difendono corpo ed anima l’esercito governativo (costituito da militari di leva, coscritti, dunque figli del popolo) e che lo accolgono con abbracci, distribuzione di dolci e di mazzi di fiori dopo aver cacciato i ribelli dai loro quartieri, questi media cadono in una propaganda antigovernativa, che è ben lontana dal rendere un buon servizio al popolo siriano.

E allora, che dire delle vittime civili dei bombardamenti dell’aviazione governativa?

In realtà, come triste e vergognoso che sia, l’esercito siriano bombarda non proprio la popolazione, ma una parte della popolazione: sia quella che sta sostenendo i ribelli, sia quella che è presa in ostaggio dai ribelli, sia quella che non ha mezzi economici o fisici per fuggire dai combattimenti, sia quella che, per ragioni affettive, non ha l’intenzione di abbandonare la propria abitazione.

Quale che sia la ragione di questi bombardamenti, nessuno può rimanere insensibile di fronte alla sofferenza di queste vittime innocenti, rinchiuse nel terrore e nelle macerie.
Noi tutti, qui presenti, sosteniamo la fine delle violenze e il rispetto totale dell’integrità fisica e del diritto alla vita di tutti i Siriani (e dei non Siriani), civili o militari, terroristi o ribelli, bambini o adulti.

Ma siamo realisti, l’esercito non può fermarsi e cessare di battersi. Se l’esercito arrestasse i combattimenti, sarebbe condannato alla disfatta, al suo scioglimento e alle rappresaglie.

Nessun esercito accetterebbe queste condizioni. Noi abbiamo visto che quando cessa di attaccare, le sue postazioni vengono annientate da agguati e le popolazioni sotto la sua protezione massacrate dai ribelli. Per quanto paradossale e cinico possa apparire, l’esercito siriano colpisce una parte del popolo per proteggere un’altra parte.
Sarebbe riduttivo considerare che solo il clan di Assad, la comunità alawita e le sue relazioni clientelari sostengono Assad. Per quanto scioccante possa sembrare, molti Siriani che non hanno legami con il potere, pensano che Assad sia ancora troppo molle nei confronti dei terroristi.

Allora, che fare? Ammazzare i milioni di partigiani del regime per consentire che i suoi oppositori conquistino il potere, oppure raccomandare la riconciliazione?

Alimentare il conflitto in nome di una rivoluzione da tanto tempo confiscata dai suoi finanziatori corrotti, o patrocinare la pace dei coraggiosi?

Distruggere la Siria o aiutare questo paese a rimarginare le sue ferite e a dissipare l’incubo?

È bello e coraggioso difendere la democrazia in Siria.
Ancora, è necessario potersi assegnare mezzi e modi che siano moralmente e materialmente all’altezza di questo obiettivo lodevole. Se potessimo cominciare a fermare il massacro, sarebbe già un buon passo in avanti.

Nell’attesa di giorni migliori, in Siria e in altre parti del mondo, “all we are saying is give peace a chance”, tutto quello che vogliamo affermare è dare una possibilità alla pace.

Grazie ancora della vostra presenza e della vostra pazienza. ( e-mail protetta )
http://www.egaliteetreconciliation.fr/Rassemblement-devant-l-ambassade-des-USA-a-Bruxelles-13980.html

Bahar Kimyongür, nato il 28 aprile 1974 a Berchem-Sainte-Agathe, membro di una famiglia proveniente dalla Turchia, è un attivista politico belga, ed ha militato nel Partito del lavoro del Belgio, una formazione politica marxista-leninista.
Suo padre, un Turco della minoranza alawita araba, era arrivato in Belgio per lavorare come minatore nelle miniere di carbone di La Louvière, sua madre era una lavoratrice stagionale nelle piantagioni di cotone.

Bahar Kimyongür si è diplomato in archeologia e storia dell’arte presso l’Università libera di Bruxelles.

Bahar Kimyongür è stato oggetto dell’interesse dei mezzi di comunicazione a seguito di un procedimento giudiziario che lo ha visto protagonista, per essere uno dei primi imputati perseguiti secondo la legislazione anti-terrorismo. In buona sostanza, veniva accusato di terrorismo per avere tradotto dal turco in francese dei comunicati diffusi dal DHKP-C, un’organizzazione rivoluzionaria turca considerata come terrorista dallo Stato turco ed inserita nella lista delle organizzazioni terroristiche dall’Unione europea in seguito agli avvenimenti dell’11 settembre.

Portato in giudizio sulla base della legislazione anti-terrorismo del Belgio, è stato condannato in primo grado di giudizio nel febbraio 2006 e in appello nel novembre 2006, poi assolto nel 2007 e nel 2009 a seguito delle sentenze di Cassazione che hanno annullato le sentenze precedenti.

È stato fatto oggetto di una richiesta di estradizione da parte della Turchia.

All’affare DHKP-C e al caso Kimyongür è stato dedicato il film “Résister n'est pas un crime – Resistere non è un crimine”, un documentario di Marie-France Collard, F.Bellali e J.Laffont, che ha conseguito il Premio Speciale della Giuria al Festival Internazionale del Film sui Diritti dell’Uomo (FIFDH) 2009 di Parigi.

Bibliografia:
Bahar Kimyongür, “Turquie, terre de diaspora et d’exil. Histoire des migrations politiques de Turquie”, Éditions Couleur livres, 2008, ISBN 978-2-87003-509-2
(tradotto da Bahar Kimyongür), “Le Livre noir de la "démocratie" militariste en Turquie”, Info-Türk, 2010, ISBN 978-2-9601014-0-9
Bahar Kimyongür, “Syriana. La conquête continue”, Éditions Couleur livres (Coédition Investig'Action) 2011.
Il documento qui presentato è stato messo in diffusione da Giuseppe Zambon, il 26 settembre 2012
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

Fonte  www.contropiano.org


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INTERVISTA ALL'AVVOCATO ROMOLI , LEGALE DI BAHAR KIMYONGUR:
LUNEDI' IL GIUDICE DECIDERA' SE TENERLO IN ITALIA O ESTRADARLO, L'AVVOCATO INVITA ALLA SOLIDARIETA'


Il giudice prima di decidere vuole leggere tutti gli incartamenti relativi alla situazione. Lunedì prossimo alle ore 11 ci sarà al tribunale di Brescia l'udienza in cui il giudice deciderà se tenerlo in Italia in carcere fino al Processo vero o estradarlo in Turchia!
http://www.radiazione.info/2013/11/intervista-allavvocato-romoli-difensore-di-bahar/ Intervista all'avvocato Romoli 25 novembre 2013


Il 26 novembre 2013 c'è un'altra intervista all'avvvocato Romoli per aggiornamenti sull'udienza di ieri e su quella di lunedì :
http://www.radiazione.info/2013/11/aggiornamenti-su-bahar-intervista-allavvocato-romoli/ Intervista all'avvocato Romoli 26 novembre 2013  

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APPELLO DELLA SORELLA DI BAHAR KIMYONGUR: POTETE SCRIVERE A BAHAR IN PRIGIONE
 
« Bahar Kimyongür n’est pas un terroriste ! »
http://www.michelcollon.info/Bahar-Kimyongur-n-est-pas-un.html

La sœur de Bahar lance un appel :
Bonjour à toutes et à tous,

Vous pouvez écrire à Bahar en prison. Il n'a toujours eu aucun contact avec l'extérieur, mis à part son avocat !

Gülay 

Ecrivez-lui afin qu'il se sente moins seul derrière les barreaux.

A vos crayons les ami(e)s.
Merci pour votre soutien,
Sa sœur Gülay

Adresse de la prison :

Bahar Kimyongür
Casa Circondariale di Bergamo
Via Monte Gleno 161
24125 Bergamo
Italie










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RICHIESTA DI SOLIDARIETA' DA PARTE DELLA FAMIGLIA DI BAHAR KIMYONGOUR:
INVITO ALLA SOLIDARIETA' E ALLA GIUSTIZIA
LA MOGLIE CHIEDE CHE SI SCRIVA ALLA MINISTRO CANCELLIERI



Ciao,
 Bahar Kimyongur cittadino belga di origine turca e da 15 anni attivo contro gli abusi in carcere da parte delle autorità turche e negli ultimi due anni contro l'appoggio che la Turchia offre ai terroristi in Siria, E' IN PRIGIONIE A BERGAMO e la Turchia ne chiede l'estradizione. Per saperne di più su questa situazione vergognosa (in Italia un cittadino belga prigioniero per fatti di pura opinione!) leggete qui: 

Perseguitato da Erdogan per le accuse sulla Siria
http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20131123/manip2pg/08/manip2pz/349000/


Il 25 novembre 2013 alla  prima udienza, l'avvocato ne  ha chiesto la liberazione e il rimpatrio ma intanto l'ambasciatore turco fa pressione (immaginate che sarà presente all'udienza)


Sua moglie chiede di mandare questa lettera alla Cancellieri, grazie, Marinella



BAHAR KIMYONGOUR



L'INDIRIZZO A CUI MANDARE LA LETTERA:

Anna Maria Cancellieri:  centrocifra.gabinetto@giustizia.it




ECCO LA LETTERA DA MANDARE:


Al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, Ministero di Grazia e Giustizia, via Arenula, Roma
Oggetto: detenzione di un cittadino belga nelle carceri italiane per reato di opinione
Signor Ministro,Dallo scorso 21 novembre, il cittadino belga Bahar Kimyongür è detenuto a Bergamo su richiesta della Turchia, la quale ne richiede l’estradizione. Dal momento che oggi alle 11 si svolge un’udienza davanti alla Corte d’Appello di Brescia, ritengo sia mio dovere come cittadino sottoporLe alcuni elementi, importanti per la conoscenza del caso.In primo luogo, occorre sapere che da oltre dieci anni Bahar Kimyongür subisce una vera e propria persecuzione da parte dello Stato turco che lo accusa senza prove di essere un “terrorista”. Questa persecuzione è avvenuta soprattutto in Belgio. Tuttavia, dopo quattro processi e due giudizi in cassazione, Bahar Kimyongür è stato completamente assolto dalla Corte d’Appello di Bruxelles. La Turchia ha anche fatto pressione sui Paesi Bassi, ma nel 2006 la Camera di estradizione dell’Aja ha rifiutato l’estradizione. Sulla base dello stesso mandato d’arresto internazionale emesso dalla Turchia, il signor Kimyongür è stato poi arrestato in Spagna, lo scorso 17 giugno. In questo caso, la giustizia spagnola ha rimesso in libertà molto rapidamente il cittadino belga, anche se la procedura per l’estradizione è tuttora in corso. E adesso è la volta del Suo paese a essere il teatro della persecuzione che Bahar Kimyongür subisce da parte di Ankara. E’ indispensabile che questo accanimento cessi perché, come indicano le giustizie belga e olandese, Bahar Kimyongür non ha commesso alcun atto di violenza o delitto. Quel che risulta insopportabile per il governo turco, sono le prese di posizione critiche di questo cittadino belga, i suoi scritti nei quali egli si oppone alla politica di Ankara, le sue coraggiose denunce delle violazioni dei diritti umani e i casi di tortura nelle prigioni turche.

Signor Ministro, in questo momento Bahar Kimyongür, cittadino belga, è un prigioniero politico in Italia per le sue sole opinioni. E’ una situazione intollerabile. Ecco perché mi permetto, in nome della libertà di espressione, di scriverLe e appellarmi a Lei affinché possa ispirare tutti passi necessari a ottenere la liberazione di Bahar Kimyongür.
Voglia gradire, signor Ministro, i miei saluti e ringraziamenti
In fede, 

Nome e Cognome ed indirizzo preciso

venerdì 29 novembre 2013

Tra un rumore di fondo si ode… “L’Italia sono anch’io..”



Prima del tramonto

La panettiera è una bella signora sempre sorridente, raccoglie gli spicci dal vassoio e solleva lo sguardo, ma il sorriso non c’è più: “Lo sa? – dice – Non ho mai visto tanta gente triste e depressa come oggi”. Nel negozio non c’è nessun altro e forse per questo la signora libera una riflessione che le preme sul cuore ma non le sembra carino esibire fra i clienti. Un pudore garbato che consiglia di non gravare lo zaino dei disagi che sta sulle spalle della sua clientela ricca di anziani e persone in difficoltà. Forse il cliente rimasto solo di fronte a lei sembra avere la sensibilità giusta.
Non so se “depresso” è la parola giusta per descrivere uno stato d’animo collettivo ormai penetrato in tutta la società; forse è più calzante parlare di gente delusa e sfiduciata, senza dimenticare chi ha raggiunto (e spesso varcato) le porte dello sconforto. Poco importa: la società di questo Paese sta scendendo una pericolosissima china, un dirupo del quale non conosciamo il fondo, spinta, con crudele ed autolesionista ostinazione, da una larga parte di chi compone l’esercito di politici e amministratori.
Arroganza, malaffare, inettitudine, nel vortice incandescente dell’infinita, estenuante rissa politica, agiscono da potenti buttafuori che respingono i cittadini e le loro urgenze di Istituzione, di Stato (in maiuscolo) che li dovrebbero guidare e sorreggere mentre vivono enormi difficoltà economiche e la vita stessa sul suolo di un Paese incantevole e pericoloso è messa a rischio. La lontananza fra cittadino e Istituzioni, fra gente e politica è ormai siderale, in pericoloso aumento, e l’ipotesi di un riavvicinamento è un azzardo perché l’abbandono, l’inconsistenza ed il disprezzo mostrato da chi dovrebbe fare ed invece male o nulla fa, ha dotato la gente di una crosta di diffidenza sotto la quale covano un disagio profondo e una rabbia nera.
Dal Governo alle Regioni, dagli Enti pubblici alle Asl, politici, funzionari, burocrati (triade odiatissima) quasi mai all’altezza dei loro compiti, con prepotenza e cinismo, spregiano e zittiscono i cittadini che pagano loro gli stipendi più alti del mondo e fanno correre all’Italia un rischio tremendo.
E i segnali di pericolo dal fermento sociale in ebollizione arrivano e sono chiari, come i tentativi di infiltrazione e collegamento delle Nuove Br col movimento No Tav, sacrosanto ma fragile. La sola via d’uscita pacifica pretende che la politica delle Istituzioni torni ad ascoltare e credere ai cittadini, respirando la stessa aria e mangiando lo stesso pane. Prima del tramonto.
Mario Ferrari

La Sesia venerdì 29 novembre 2013

La "vulgata olocaustica" e la ricerca storica sugli olocausti




 ....la "vulgata olocaustica" si basa, innanzi tutto, sulla cifra mitico-cabalistica dei "sei milioni" - e sull'incredibile sottovalutazione (per usare un eufemismo) dei crimini mostruosi degli alleati... e in ogni caso il Male è sempre in progress... è effettivamente pVogVessista

La possibilità di criticare e demistificare la storia scritta dai vincitori, così come, più in generale, l'esercizio di un'autentica libertà di pensiero e di espressione, sono valori fondamentali – essenziali, d'altronde, all'accertamento stesso della verità – che è necessario affermare e difendere sempre e comunque. Il problema non è tanto – e ancor meno solo – l'origine o la collocazione politica di quelli che su più punti mettono in discussione la storia ufficiale delle persecuzioni naziste, bensì se quest'opera di revisione, anche radicale – anche inverosimile sino alla follia –, sia possibile oppure no nell'ambito delle società cosiddette democratiche. 


Le false testimonianze (o rese sotto tortura), le ricostruzioni posticce e tutti i lati oscuri, i documenti mancanti, le inadempienze, le esagerazioni, gli errori, le varie falle relative alla versione sancita dalla sentenza di Norimberga, esigevano che storici onesti e preparati rivedessero in seguito, criticamente, tale versione. Ciò non è stato consentito e continua a non esserlo, PER LEGGE. 

E tuttavia, qualche acquisizione nuova e diversa, soprattutto riguardo al numero delle vittime, è comunque alla fine passata tra gli addetti di parte "sterminazionista", proprio in conseguenza del lavoro, criticabile e non condivisibile quanto si vuole ma con cui pur sempre è stato necessario confrontarsi, dei loro demonizzati e perseguitatissimi avversari. 

Nel Museo di Auschwitz, all'indomani di Norimberga, fu affissa una targa che parlava di 4.000.000 di decessi per quel medesimo lager (il numero di 6.000.000, oltre a tutto di soli ebrei, deriva appunto da quella prima valutazione esorbitante: 4.000.000 – i due terzi – ad Auschwitz, 2.000.000 negli altri cinque campi in Polonia e sul fronte russo). 

Oggi, la cifra che da non molto lì si può leggere è di 1.500.000, senza che una simile notizia sia mai stata veramente resa pubblica. E quest'ultima è ancora, con ogni probabilità – per fortuna degli ebrei e dell'uomo in generale –, sbagliata in (grande) eccesso. 

Nessuno ha mai messo in dubbio l'esistenza dei forni crematori. Di essi, semmai, è stata contestata, in base a osservazioni di ordine fisico-chimico e macabri calcoli, la capacità di "smaltimento" della massa di cadaveri. Anche in questo caso bisogna notare che il più serio studioso, relativamente a queste tematiche, dello schieramento "ortodosso", Claude Pressac, ha in certo qual modo fatto suoi e approfondito alcuni dei rilievi critici dei revisionisti. Ne Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945 (p. 173) egli è giunto a ipotizzare, proprio in base a considerazioni analoghe alle loro, un numero complessivo di 711.000 - 631.000 vittime per il lager di Auschwitz, beninteso, però, riconfermando come reali la volontà e l'attuazione del massacro da parte del Terzo Reich. 

Recentemente su questa stessa strada si è spinto ancora più in là Fritjof Meyer, ex-caporedattore di "Der Spiegel" (Amburgo), anch'egli appartenente al campo degli "sterminazionisti", che è giunto a proporre la cifra di 510.000 morti, di cui "solo" 356.000 gassati (cfr. "Osteuropa. Zeitschrift für Gegenwartsfragen des Ostens", Nr. 5, Mai 2002, pp. 631-641). 

Nella condanna-persecuzione del revisionismo olocaustico sono presenti e operanti meccanismi irrazionali e religiosi (da Sacra Inquisizione), prima ancora (e invece) che ragioni e princìpi di ordine metodologico e scientifico.
Così si prescinde di solito dalla valutazione oggettiva delle ricerche e dei relativi risultati dell'avversario, destituendolo, per statuto, di ogni possibile serietà, buona fede e umanità. Chi osi toccare con mani sacrileghe il sancta sanctorum, chi pretenda entrare da solo e coi propri occhi nel tabernacolo dell'orrore è arruolato ipso facto nelle schiere dei nazisti eterni, maledetti e dei folli. E', insieme, un demente e un nemico da ardere. L'oscena patente di "democrazia", di "giustizia", di "progresso" che i vincitori da allora si arrogano ha la sua base, a contrario, nella mostrificazione e demonizzazione ontologica dei loro avversari sconfitti. 

Cioè le stesse potenze statali che avevano operato solo qualche anno prima la più gigantesca, mostruosamente pianificata e veloce eliminazione di massa della storia (gli stalinisti di Mosca: sette milioni circa di contadini dell’Ucraina e del Kuban per fame coatta nell'inverno-primavera-estate 1932-33 – cfr. http://www.infoukes.com/history/famine/), ovvero – solo a mo' di un altro dei tanti possibili esempi – la distruzione e l'impestamento radioattivo di città giapponesi attraverso l'uso della bomba atomica a guerra già vinta e contro inermi popolazioni civili (i capitalisti di Washington), evitarono il giudizio di qualunque tribunale riguardo ai LORO crimini pregressi, presenti e futuri PROPRIO in virtù dell'immagine infernale – termine di NON paragone – dei vinti. 

Quanto dunque questa stessa immagine, stampigliata fin dentro l'animo delle masse da una propaganda spettacolare ineguagliabile, corrisponda a completa verità o sia deformata e di comodo è di PRIMARIA importanza. 

E infatti i padroni multinazionali delle finanze e dei media – i padroni veri, il vero Big Brother – lo sanno bene; ed è per questo che non possono tollerare la minima incrinatura all'edificio-santuario dell'"Olocausto". La cifra di "sei milioni" di ebrei uccisi – magari perfino, a surplus orrorifico, la stragrande maggioranza attraverso le camere a gas – è una menzogna mitica che i sacerdoti e custodi dell'ortodossia sono i primi a (ri)conoscere, tra di loro, in quanto tale.  Naturalmente guardandosi bene dal comunicarlo al servitorame catodico, il cui compito, si sa, è quello di bere ogni giorno, senza tregua, la pozione e di ubbidire. 

Si è stabilita, sulle vicende della Seconda Guerra mondiale, una versione "canonica", che attribuiva allo sconfitto l'immagine stessa del male assoluto (ineguagliato e ineguagliabile – rivelandosi, in questo, essenziale il numero dei massacrati, perché è evidente che oltre una certa soglia la quantità si trasforma in "qualità"); e, insieme, sollevava i vincitori dalle loro proprie responsabilità. 

E' così che il sistema infernale e "apripista" dei gulag, o l’Holodomor, o le bombe terroristiche di Dresda, Hiroshima, Nagasaki, o tutti i Vietnam e le mostruosità successive dei "progressisti", o gli stessi continui crimini contro l'umanità, da cinquantaquattro anni, degli occupanti in Palestina, per giungere sino all'odierno impiego sistematico, genocidario ed ecocida dell'uranio impoverito e alle abiette torture di Abu Ghraib, in qualche modo sono risultati più "lievi" alla coscienza del mondo – non certo delle vittime. (…) "Sei milioni", l'orrore assoluto, che le centrali dello spettacolo insistono con incredibile malafede a insufflare nei crani delle masse, è una menzogna mitica, ma essenziale all'edificio di "autogiustificazione" – di alibi perpetuo – delle "democrazie" vincitrici, nonché dello Stato d'Israele, che anche sulla sua base ideologica si è fondato e si regge. 

Dal punto di vista quantitativo la strage (non solo) degli ebrei ad opera dei nazisti, poi religiosamente e artatamente nominata Olocausto (l'Unico, l'Incomparabile, l'Indicibile – una sorta di En Soft), per quanto spaventosa e ripugnante, quasi impallidisce se confrontata con altri orridi genocidi di più vaste proporzioni avvenuti nello stesso secolo, o, ancor più, con quelli precedenti a danno dei neri e dei nativi d'America. 

Con tutto ciò, rimane inoppugnabile che il regime nazista ha perpetrato a sua volta crimini tremendi e che, nello specifico, la responsabilità di tutta l'organizzazione mortifera (non solo) dei lager – nei quali i peggiori e più diretti aguzzini erano parte degli stessi internati, le varie gerarchie dei kapò –, appartiene comunque ai dirigenti nazisti stessi… Non però ai figli, e ai figli dei figli, e ai figli dei figli dei figli... come invece, sempre religiosamente, i sionisti pretenderebbero in eterno. (…) 

E comunque, SEMPRE, viva la liberà di pensiero, di ricerca e di espressione. Questa libertà deve valere PER TUTTI, nemici compresi, o NON VALE NULLA, e si riduce a pura ideologia, a proclama del Grande Fratello: la verità diventa un momento del falso, la menzogna un aspetto del vero. 

Joe Fallisi


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Non vivere su questa terra come un estraneo
o come un turista della natura.
Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre.
Credi al grano, alla terra, all'uomo.
Ama le nuvole, le macchine, i libri,
ma prima di tutto ama l'uomo.
Senti la tristezza del ramo che secca,
dell'astro che si spegne,
dell'animale ferito che rantola,
ma prima di tutto senti la tristezza e il dolore dell'uomo.

Nazim Hikmet

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giovedì 28 novembre 2013

Putin e Francesco - Mosse in casa cristiana per garantire la pace in Medio Oriente



Putin ha  incontrato il 26 novembre 2013 Papa Francesco e, che piaccia o meno, lo fa con i galloni del comandante in campo delle truppe cristiane, ruolo  in passato goffamente rivendicato da George Bush ai tempi della ingiustificata, fallimentare e controproducente “campagna irachena”.

Vladimir Putin invece viaggia nel solco della storia e della coerenza: nel 2012 durante un incontro al Patriarcato di Mosca promise che, se rieletto alla presidenza, una delle sue priorità sarebbe stata la difesa dei cristiani perseguitati in Medio Oriente. Le orribili vicende siriane hanno dimostrato che ha mantenuto la parola.

Se non fosse per la Russia che ha evitato l'intervento internazionale contro Assad, l'Europa si sarebbe assurdamente schierata dalla parte dei terroristi di Al Qaeda e le ultime importanti presenze cristiane in Siria, Libano, Giordania e aree limitrofe si sarebbero ridotte a zero.

Una vittoria diplomatica per Putin ma anche per Papa Francesco che alla vigilia del G20 di settembre ebbe il coraggio di scrivere una lettera al presidente russo che, di fatto, lo investiva del ruolo di grande mediatore di una crisi che non pareva risolvibile.

D'altra parte, checchè ne dicano ignoranti e mistificatori, la Russia, dopo lo scisma e dopo la caduta dei patriarcati orientali e di Costantinopoli (1453) sotto il dominio islamico, ha raccolto il testimone (non a caso si parla di Mosca come Terza Roma) e ha sempre esercitato il ruolo che identità, storia e geografia le hanno assegnato: protettrice dei popoli slavi e di tutta la cristianità orientale, specie quella soggiogata agli islamici. 

Questo è anche il senso dell'appellativo “Zar di TUTTE le Russie” e questo spinse dapprima Nicola I alla campagna di liberazione di Moldavia e Valacchia che portò alla guerra di Crimea (con francesi, inglesi e piemontesi alleati ai turchi) e poi convinse lo Zar Alessandro II a correre in aiuto di bulgari e serbi costretti sotto il tallone del sultano col risultato straordinario di riuscire a riconquistare Costantinopoli che però, tramite il Congresso di Berlino del 1877, gli anglo-francesi riuscirono a riconsegnare agli islamici.

Certo con l'avvento del comunismo cambiò tutto e Stalin, non cogliendo la forza della spiritualità, chiese con ironia quante divisioni corazzate avesse il Papa; ma si è trattato di una breve parentesi in una storia millenaria e oggi la Russia identitaria di Putin agevola le relazioni tra la Santa Sede e il Patriarcato moscovita che, in materia di difesa dei cristiani perseguitati nei paesi musulmani, si è fatto sentire molto più spesso e in maniera molto più determinata del Vaticano.

Sta di fatto che durante l'ultimo forum tenutosi a Valdai Putin ha detto di ammirare l'autorevolezza del Pontefice e ha dichiarato: “Al di là delle divisioni di cui si parla tanto, tra noi c'è tanto in comune. Condividiamo radici e valori cristiani".
Una dichiarazione che nella UE sinistrata e filoislamica nessun capo di stato si azzarderebbe più a fare, ma Vladimir Putin battezzato di nascosto nella cattedrale di San Pietroburgo negli anni dello stalinismo, non ha paura e nel discorso sull'identità russa ha detto cose di tale rilevanza da porlo alla testa di un potenziale movimento identitario europeo di ispirazione cristiana.
“Lo Stato- ha detto- deve disporre di forza militare, tecnologica ed economica; ma la cosa che ne determinerà il successo è la qualità dei suoi cittadini: la loro forza spirituale e morale. È impossibile andare avanti senza auto-determinazione spirituale, culturale e nazionale.
Putin è poi entrato nel vivo: ”Possiamo vedere come i Paesi euro-atlantici stanno ripudiando le loro radici, persino le radici cristiane che costituiscono la base della civiltà occidentale. Essi rinnegano i principi morali e tutte le identità tradizionali: nazionali, culturali, religiose e finanche sessuali. Stanno applicando direttive che parificano le famiglie con figli alle convivenze di partners dello stesso sesso, la fede in Dio con la credenza in Satana e il “politicamente corretto” ha raggiunto tali eccessi, che ci sono persone che discutono seriamente di registrare partiti politici che promuovono la pedofilia.

In molti Paesi europei- ha aggiunto- la gente ha ritegno o ha paura di manifestare la propria religione. Le festività sono abolite o chiamate con altri nomi; la loro essenza religiosa viene nascosta e qualcuno sta aggressivamente tentando di imporre tali modelli in tutto il mondo. Io sono convinto che questo apre una strada diretta verso il degrado e il regresso, che sbocca in una profondissima crisi demografica e morale.
Senza i valori incorporati nel Cristianesimo e nelle altre religioni storiche, senza gli standard di moralità che hanno preso forma dai millenni, le persone perderanno inevitabilmente la loro dignità umana. Ebbene:noi riteniamo naturale e giusto difendere questi valori. Si devono rispettare i diritti di ogni minoranza di essere differente, ma i diritti della maggioranza non vanno posti in questione”.
Quale leader occidentale oggi avrebbe il coraggio di dire cose simili? Nessuno!
Non a caso dunque, nel momento topico, Francesco ha scritto a Putin e non a Obama o Letta, usando parole pregne di significato: “Signor Presidente- scrive il Papa- prego per un esito fruttuoso dei lavori del G20. Invoco abbondanti benedizioni sul Vertice di San Pietroburgo e su tutte le attività e gli impegni della Presidenza Russa del G20 nell’anno 2013. Nel chiederle di pregare per me, profitto dell’opportunità per esprimere, Signor Presidente, i miei più alti sentimenti di stima”.
Stima ben riposta e reciproca che, dopo l'incontro in Vaticano, porterà sicuramente ad uno storico incontro tra il Vescovo di Roma e il Patriarca Kirill.
Il Pontefice ha già incontrato il Metropolita Hilarion, “ministro degli esteri” del Patriarca e uomo di grande determinazione, capace di prese di posizione durissime contro gli islamisti siriani e i loro simpatizzanti occidentali. Uscendo dall'incontro Hilarion ha detto: “Insieme dobbiamo fermare i massacri dei cristiani là dove i gruppi radicali islamici li stanno sterminando”. Pochi giorni dopo il Papa, incontrando i rappresentanti del cattolicesimo orientale ha rilanciato che “non ci si può rassegnare a pensare un Medio Oriente senza cristiani” confermando così che l'incontro tra Francesco e Kirill è vicino. L'Europa identitaria e cristiana non può che gioirne.