sabato 31 agosto 2019

In somniu veritas - Passi avanti del governo "concentrato" di Giuseppe Conte

Sussurri e grida: "Governo, Conte al Colle. Poi vede M5S e Pd. I dem: "Passi avanti, ma serve chiarimento".  In mattinata il premier incaricato ha visto Mattarella mentre filtrava la notizia che sarebbe stato pronto a rinunciare al mandato. Entro domani un altro incontro per sì o no definitivo... (notizie di cronaca spicciola del 31 agosto 2019)

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...ho fatto un sogno. Poi diventato un incubo. E dato che il vissuto capita che si riversi nel sognato, ecco che in braccio a un Morfeo malevolo s’è ripetuto l’incubo a occhi aperti della standing ovation tributato al premier bis, in parallelo ,dalle volpi PD e dai gattini tafazzisti 5 Stelle, fino a ieri decisi a escludersi vicendevolmente dal globo terracqueo. Da fuori penetrano i cimbali, le fanfare, i tamburi della festa di Borse, rendimenti Btp, spread, tassi d’interesse, mercati tutti, l’intero establishment mondiale, addirittura Satana nelle vesti di Bill Gates.

Il mondo (di sopra e anche di mezzo) sorride a Conte

Viva viva il presidente "concentrato" del Consiglio incaricato (https://www.facebook.com/GiuseppeConte64/videos/1454131071394735/! Un premier sfornato dai grandi studi legali al servizio delle élites finanziarie e, dunque, vindice e chierico di UE, Usa, Trump, Nato, von der Leyden, TAV, Guaidò (e perciò Cia), Bergoglio e Padre Pio. 


L’avevamo preso per sprovveduto, invece grande il colpaccio  fatto dall’astuto Di Maio.Tutti in grande euforia dietro al pifferaio di Volturara Appula, verso il costone sotto al quale si intravvede il vasto e variopinto paesaggio di una gran bella colonia tricolore, animata da mafie, guerre, migranti, cemento, alte e altissime velocità per affari, uomini e merci e uomini-merce. 

E’ la famosa democrazia diretta? Come no? Non c’è forse il mitico Rousseau e il relativo gioco dei ruoli “uno vale uno”, a sacralizzare le decisioni dell’uno vale tutti? 

Dal governo “dei sì” salviniano contro il governo “dei no”, eccoci riscattati dal Conte pinto (diffidare da quelli che si tingono i capelli) con il governo “del per”, contro i governi “del contro”. Rivoluzionario paradigma. Pare ispirato da Milton Friedman, quello dei Chicago Boys. Guai ai “contro”, sarebbero quelli  che spargono “odio, rancore, paura”. Insomma, i dominati...


venerdì 30 agosto 2019

Greta Thunberg fa parlare di sé, anche alla RAI - Lettera aperta a Marcello Foa e compagni


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Alla cortese attenzione del
  • presidente Marcello Foa
  • amministratore delegato Fabrizio Salini
  • direttrice Rai 1 Maria Teresa De Santis
  • direttore Rai 2 Carlo Freccero
  • direttore Rai 3 Stefano Coletta

e per conoscenza alla Commissione di Vigilanza Rai, nelle persone del
  • presidente Alberto Barachini
  • vicepresidente Primo Di Nicola
  • vicepresidente Antonello Giacomelli


Gentili signori,

nel riportare di seguito integralmente il testo della notizia trasmessa nel corso del TG3 delle 14,00 del 29 agosto 2019, relativa alla recente traversata atlantica della giovane adolescente svedese Greta Thunberg, unitamente, sempre a seguire, a quello di una importante intervista sul tema di “grave” attualità dei flussi migratori nel nostro paese, totalmente ignorata, da parte vostra, sconcertato dalla spregiudicatezza di tanto ipocrita rappresentazione nel primo caso, e non di meno dalla gravità della omissione di servizio pubblico, nel secondo, desidero rivolgervi due domande di elementare buon senso e ragionevolezza, auspicando opportuni chiarimenti, ammesso ve ne possano essere, da parte vostra:   
  • davvero ritenete che la narrazione, palesemente costruita a tavolino, della adolescente-prodigio che col suo ardire mette in imbarazzo i potenti della terra, possa stare in piedi senza ricoprire di ridicolo chi se ne fa portavoce?
  • davvero ritenete che la gravità di una troppo spesso reiterata omissione di sevizio pubblico, così impudicamente consumata a scapito del vero non rappresenti responsabilità e colpa grave per le ricadute possibili di impoverimento morale e intellettuale della società civile?

Grato dell’attenzione, in attesa dei ragionevoli, e possibilmente tempestivi, chiarimenti richiesti, porgo distinti saluti, con i migliori auguri di buon lavoro.

Adriano Colafrancesco - adrianocolafrancesco@gmail.com

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TG3 delle 14,00 del 29 agosto 2019

Greta Thunberg è arrivata a New York, ha subito attaccato Trump: “rifiuta di accettare la scienza” ha detto. La giovane attivista svedese parteciperà il prossimo 23 settembre al vertice sul clima delle Nazioni Unite. Malizia seconda, l’imbarcazione a zero emissioni con cui Greta ha solcato l’oceano atlantico, entra nel porto di New York alle quattro del pomeriggio. E’ scortata da 17 piccole barche delle Nazioni Unite, ognuna delle quali rappresenta un obiettivo del programma per uno sviluppo sostenibile
E’ stato un viaggio massacrante quello di Greta: 15 giorni in balìa di vento e onde, i segni della fatica si leggono sul suo volto schivo, ma a strapparle un sorriso c’è il calore dei suoi fans, che hanno atteso pazientemente per ore in una giornata plumbea.
Alessandro Dal Bono: “Greta per me è una grande ispirazione ed è grazie a Greta che noi partecipiamo. C’è una crisi che va risolta e se non ci muoviamo velocemente tra 10 anni potrebbe non esserci più il nostro pianeta”.   
E’ visibilmente stanca ma non si nega alle domande dei giornalisti: “il mio messaggio per il presidente Trump è di ascoltar la scienza, ma chiaramente non lo fa”
“Ognuno può fare la differenza, ma bisogna agire ora, subito a difesa dell’ambiente.”, questo è il messaggio di Greta, accolto dai suoi fans con scrosci di applausi


Migranti, “Vera tratta di essere umani gestita da organizzazioni criminali”

Intervista di Mirko Crocoli per http://www.affaritaliani.it all’avvocato Marco Valerio Verni, esperto in diritto penale e diritto penale militare, nonché Consigliere Qualificato in diritto internazionale Umanitario per le Forze Armate, già componente del Settore Rapporti internazione dell’Ordine degli Avvocati di Roma, nonché membro della International Society for Military Law and the Law of War.

Gentile Avv. Verni,
in virtù delle sue specializzazioni in campo militare e in diritto internazionale ci sa dare una versione in merito a quanto accaduto con la Sea Watch 3?
E’ accaduto quello che è sotto gli occhi di tutti. La Sea Watch 3, come sostenuto dai magistrati inquirenti, ha violato gli ordini di una nostra nave da guerra, attraccando forzosamente nel porto di Lampedusa. Ha deciso, in autonomia, cioè, che quello fosse il porto più sicuro e, sempre in autonomia, in spregio alla legge, di lì entrare, mettendo a repentaglio la vita dei militari della Guardia di Finanza intervenuti.

L’ordinanza del Gip di Agrigento, con la quale non è stato convalidato l’arresto della comandante Rackete, però, sembra affermare altro.
Il Gip di Agrigento ha ritenuto non sussistere il reato di cui all’art. 1100 del codice della navigazione dal momento che, secondo lui, una unità della Guardia di Finanza che operi in acque territoriali non possa considerarsi una nave da guerra, secondo una interpretazione della Corte Costituzionale del 2000.
Ed ha ritenuto scriminato quello, pur contestato, di cui all’art. 337 del codice penale, perché compiuto nell’adempimento di un dovere, ossia quello derivante dal rispetto dei trattati internazionali riguardanti il soccorso in mare dei naufraghi.
Quanto al primo punto, a parere del sottoscritto, mi lasci subito dire che il Gip di Agrigento ha, a sua volta, mal interpretato la sentenza in questione (la n. 35 del 2000), che peraltro interveniva sulla richiesta di referendum popolare inerente il riordino proprio della Guardia di Finanza.
Scrive infatti il magistrato agrigentino che “Invero, per condivisibile opzione ermeneutica del Giudice delle Leggi (v. Corte Cost., sent. N. 35/2000), le unità navali della Guardia di Finanza sono considerate navi da guerra solo “quando operano fuori dalle acque territoriali ovvero in porti esteri ove non vi sia una autorità consolare”.
Ebbene, andando a leggere bene, e per intero, il testo della citata sentenza, in essa, sembra affermarsi altro: ossia che “le unità navali in dotazione della Guardia di finanza sono qualificate navi militari, iscritte in ruoli speciali del naviglio militare dello Stato (…), battono “bandiera da guerra” e sono assimilate a quelle della Marina militare (artt. 63 e 156 del r.d. 6 novembre 1930, n. 1643 – Approvazione del nuovo regolamento di servizio per la Regia Guardia di finanza -); sono quindi considerate navi militari agli effetti della legge penale militare (art. 11 del codice penale militare di pace); quando operano fuori delle acque territoriali ovvero in porti esteri ove non vi sia un’autorità consolare esercitano le funzioni di polizia proprie delle “navi da guerra” (art. 200 del codice della navigazione) e nei loro confronti sono applicabili gli artt. 1099 e 1100 del codice della navigazione (rifiuto di obbedienza o resistenza e violenza a nave da guerra), richiamati dagli artt. 5 e 6 della legge 13 dicembre 1956, n. 1409 (Norme per la vigilanza marittima ai fini della repressione del contrabbando dei tabacchi)”.
In sintesi, le unità navali della Guardia di Finanza sono sempre considerate come navi militari, battono bandiera da guerra e sono assimiliate a quelle della Marina Militare. In più, quando operano fuori dalle acque territoriali ovvero in porti esteri dove non vi sia una autorità consolare, esercitano le funzioni di polizia proprie delle “navi da guerra”, con tutto quello che ne consegue.
Questo non vuol dire, quindi, come erroneamente supposto, che, al contrario, quando esse si trovino in acque territoriali, non siano, invece, da considerarsi “non da guerra”, soprattutto al ricorrere di certi presupposti.
Per non annoiare troppo, le cito, tra tante, una sola sentenza della Corte di Cassazione, la n. 31403, sez. III, del 14 giugno 2006, secondo cui, anche ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 1100 del Cod. nav. , era indubbia, nel caso lì trattato, “la qualifica di nave da guerra attribuita ad una motovedetta, non solo perché essa era nell’esercizio di funzioni di polizia marittima, e risultava comandata ed equipaggiata da personale militare, ma soprattutto perché è lo stesso legislatore che indirettamente iscrive il naviglio della Guardia di Finanza in questa categoria, quando nella L. 13 dicembre 1956, n. 1409, art. 6, (norme per la vigilanza marittima ai fini della repressione del contrabbando dei tabacchi) punisce gli atti di resistenza o di violenza contro tale naviglio con le stesse pene stabilite dall’art. 1100 c.n., per la resistenza e violenza contro una nave da guerra”.
Nella stessa sentenza citata, peraltro, gli stessi giudici hanno ricordato che “Anche ai fini dell’applicazione dell’art. 1099 c.n. (rifiuto di obbedienza a nave da guerra), questa Corte ha già avuto modo di affermare che “una motovedetta armata della Guardia di Finanza, in servizio di polizia marittima, deve essere considerata nave da guerra” (Cass. Sez. 3^, n. 9978 del 30.6.1987, Morleo, rv. 176694)”.

Rispettare le leggi o essere accoglienti e umanitari. Dove finisce il confine di uno e inizia quello dell’altro?
Credo che una cosa sia imprescindibile dall’altra. Rispettare le leggi permette, sia da parte di chi riceve, sia da parte di chi viene ospitato, di poter accogliere e garantire un corretto processo di integrazione. Ma la bilancia di diritti e doveri va sempre tenuta in equilibrio, così come quella del contemperamento di interessi. Sono tanti gli aspetti in gioco, da quelli economici a quelli politici.
Nel caso di specie, si è avuta una sorta di giustizia (nella mente della comandante della nave) privata: a noi hanno insegnato che, se vantiamo un diritto, ed esso ci viene negato, è alle autorità giurisdizionali che dobbiamo rivolgerci, evitando di agire per conto nostro. Qui, una ONG ha deciso, invece, di sfidare uno Stato, nel nome- secondo i responsabili- del rispetto del diritto del mare e di quello internazionale. Bene, quand’anche fosse, se lo Stato che ti dovrebbe ospitare ti nega l’ingresso, non è che- liberamente – puoi entrare nei suoi porti. Cerchi rifugio altrove (ed in tutti quei giorni di navigazione, si sarebbero potute raggiungere molte altre destinazioni), e poi, magari, agisci nelle sedi opportune per far riconoscere i diritti che assumi violati.
Sul punto, vorrei appena ricordare che la nave in questione batte(va) bandiera olandese e che, dunque, era come se i migranti fossero stati accolti in quel paese, con tutte le conseguenze del caso. Anche questo è un concetto che- evidentemente scomodo per i fautori dell’immigrazione incontrollata a nostro carico- viene sovente dimenticato.

Avvocato, lei sta seguendo il caso processuale di sua nipote Pamela Mastropietro. Una vicenda mediatica che ha sconvolto l’intera Nazione. Dietro a questi sbarchi si nasconde una mente criminale (anche foraggiata da gruppi internazionali) oppure sono solamente normali flussi migratori come ce ne sono stati sempre nei secoli a partire da quella verso gli Stati Uniti dei primi del 900?
Certamente. E’ evidente che questi flussi migratori non siano affatto casuali e che dietro di essi operino anche delle vere e proprie organizzazioni criminali che lucrano su questa che non esito a definire una vera e propria tratta di esseri umani. Ed è evidente che, a maggior ragione, occorra governarli con decisione, come sempre avvenuto nel passato, compresa l’esperienza statunitense da lei richiamata.
Lei ha ricordato Pamela: ebbene, in quel tragico caso, ci sono evidenze che, alcuni dei soggetti coinvolti- a cominciare da quello principale, Innocent Oseghale, condannato in primo grado all’ergastolo con isolamento diurno-, possano appartenere alla mafia nigeriana. Ebbene, tutti questi soggetti sono giunti da noi sui famigerati barconi. In tal senso, vi sono ormai dei chiari report delle nostre agenzie di intelligence e forze di Polizia, oltre che, ad esempio, del Bundesnachrichtendienst (Bnd), il Servizio di sicurezza federale tedesco (a proposito: ma Karola Rachete non è di nazionalità tedesca?), che proprio a gennaio di quest’anno ha allertato le proprie autorità di riferimento circa la pericolosità del fenomeno mafioso nigeriano e del fatto che esso abbia proprio il nostro Paese come fonte di ingresso principale in Europa.

Verni, ci dica una cosa. Se fosse stato lei a decidere sulla questione Lampedusa avrebbe creduto alla versione della comandante Carola (atto estremo) oppure si sarebbe indirizzato più per un’azione dolosa? Ed inoltre. Chi c’è dietro (se mai ci fosse qualcuno) in realtà a queste imbarcazioni? Possiamo azzardare ipotesi?
Io intanto mi chiederei come siano finiti quei migranti su quella nave, se abbiano pagato un prezzo ed a chi. Dopodichè, applicherei la legge. Non vi era nessun motivo di urgenza o necessità, come pure ho sentito dire impropriamente, che potesse giustificare- anche sotto il profilo dell’adempimento del dovere- una simile azione che- lo ripeto-, oltre a violare delle precise disposizioni di uno Stato sovrano, sembra aver messo in pericolo la vita di alcuni finanzieri. Coloro che erano bisognosi di cure- e veniamo all’altro nodo cruciale della questione- erano già stati fatti sbarcare, e sul punto, si erano espressi già due tribunali, circostanza che viene spesso sottaciuta: quello amministrativo del Lazio e, se ciò non fosse bastato, la stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che, dopo aver rivolto- lo ricordo- delle precise domande a tutte le parti in causa, ha negato ai ricorrenti (ossia la stessa comandante dell’imbarcazione ed alcuni migranti) le interim measures, non ravvisando, evidentemente, l’esistenza di un imminente rischio di danno irreparabile, in presenza del quale, viceversa, sarebbero state certamente disposte.
Qui, peraltro, non siamo in presenza di un soccorso di migranti (sul concetto di naufraghi, rapportato al caso di specie, ci sarebbe pure molto da dire) sporadico, ma di azioni sistematiche e ripetute nel tempo che non hanno nulla a che vedere con lo spirito originario del diritto del mare né del Regolamento di Dublino che, chiaramente, non era certo stato creato per affrontare la trasmigrazione di interi popoli. E che, politicamente, doveva comunque essere sorretto da una condivisione di oneri e di responsabilità, a livello europeo, che, invece, non sembrano aver avuto seguito.
Domandiamoci perché chi arriva sui barconi sia privo di documenti. Interroghiamoci se lo sfrenato land grabbing, ad esempio, possa esserne una delle ragioni, e se non sia affatto casuale che proprio la regione sub-sahariana (da cui, generalmente, proviene la maggior parte dei migranti), sembri essere il principale bersaglio di questa nuova “corsa alla terra”.
Interroghiamoci sulle reali cause che spingono queste persone a venire da noi (non solo guerre, come dicono alcuni) e sui possibili interventi realizzabili “in loco”: cosa ci sarebbe, infatti, di più dignitoso e civile di creare delle condizioni di sviluppo lì, consentendo ad esse (persone) di poter vivere nelle loro terre di origine?
E le Nazioni Unite? Sono ancora attuali o andrebbero modernizzate, per rendere più incisivo il loro intervento anche in questi ambiti? E l’Unione Europea, come nuovo attore politico e di sicurezza regionale e globale, che ruolo ha?
Riflettiamo su tutto questo, prima di creare finti eroi dell’umanità. Per il bene di tutti.

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martedì 27 agosto 2019

Italia, fine agosto 2019 - Un film di sole comparse

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Omero lo ammette: a governare tutto sono gli dei, un po’ si accapigliano, un po’ si accordano. Si divertono un mondo a vedere darsele i burattini. Ed è Atena che, a dispetto di Afrodite, fa prevalere Achille su Ettore. La proprietà sulla donna, di Menelao su Elena, deve prevaricare i di lei amore e libertà. Collodi, che pratica i travisamenti del Giallo, ce lo fa intendere tra mille depistaggi. A fatica. Ma poi  ce lo spiega chiaro e tondo Carmelo Bene col suo “Pinocchio, ovvero lo spettacolo della Provvidenza”. Il taumaturgo, cinico, autoritario, ipocrita, ricattatore, è la fatina. Potente, ricca, in un palazzo con tanta servitù e, ai suoi ordini, medici (per il controllo del corpo) e direttori di circo (per la gestione dello spirito). Per inserire Pinocchio nella società (quella borghese proto-capitalista, detestata da Collodi)  gliene fa passare di tutti i colori: lasciato alla mercè degli assassini, attaccato alla macina come un somaro, minacciato di morte da conigli neri. Tutto per normalizzarlo.

Un film di sole comparse


Nonostante tutti questi disvelamenti (e ne dovremmo aggiungere tanti altri) noi bambini continuiamo a fare oooh. Gli dei non si vedono, il burattinaio è nascosto, la fatina si traveste. Zingaretti, Renzi, Del Rio,  Di Maio, Salvini, Giorgetti, Grillo, Conte, Fico, Orlando….  La nazione è un San Sebastiano dall’intelligenza trafitta da questa ininterrotta mitragliata di manichini, guitti, passanti, comparse, figuranti, cartonati, fatti passare per protagonisti, attor giovani, prime donne, comprimari. Se ce n’è uno che conta, per i suoi ascendenti, precedenti, presenti (guerra alla Serbia, UE, Nato, Usa, finanza), è quello assediato dalla captatio benevolentiae di tutti i figuranti, a dispetto del fatto che non gli tocca che trasmettere degli aut-aut.


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lunedì 26 agosto 2019

Svastica e Falce e Martello non sono la stessa cosa... Riesame storico del periodo antecedente la II Guerra Mondiale


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La cricca reazionaria che dirige l' Unione Europea sta portando avanti da tempo un mostruoso disegno: quello di mettere sullo stesso piano il simbolo degli assassini e dei torturatori fascisti (la svastica) e il simbolo delle lotte per l' emancipazione dei lavoratori, per la libertà, per la giustizia sociale (la falce e il martello).

Si parla di ''regimi totalitari'' per mettere sullo stesso piano le dittature fasciste e i regimi socialisti. Per realizzare questo disegno vengono utilizzati, distorcendoli, vari avvenimenti storici.

Uno dei cavalli di battaglia dei pennivendoli del sistema capitalista-imperialista è il patto Molotov-Ribbentrop firmato fra l' Unione Sovietica e la Germania nazista, presentato come ''l'alleanza fra due dittatori''.

Non mi soffermerò su questo tema, avendo già dedicato un articolo al patto Molotov-Ribbentrop. Voglio soltanto sottolineare come certi ''storici'' ''dimenticano'' di parlare di tutti i tentativi fatti dal governo sovietico, già a partire dal 1925, per promuovere una coalizione di stati che potesse opporsi alla politica guerrafondaia delle potenze fasciste.
Tutte le proposte sovietiche vennero respinte dai governi della Gran Bretagna e della Francia, che sognavano di scagliare la belva fascista contro il primo Stato proletario.

Malgrado ciò, dando prova di eccezionale pazienza, il governo sovietico convocava nell'agosto 1939 a Mosca una riunione con gli anglo-francesi con la proposta della stipulazione di un patto di alleanza militare fra le tre potenze.
Ma fu subito chiaro che la delegazione anglo-francese non intendeva stipulare alcun patto di alleanza.

L'ambasciatore sovietico Maiskij, che partecipò agli incontri, ricorda:
''Il pericolo della seconda guerra mondiale si avvicinava a grandi passi. Intorno alla metà di agosto nessuno dubitava più che di lì a qualche giorno i cannoni avrebbero tuonato e gli aerei avrebbero sganciato le prime bombe. Non si poteva più aspettare. Il governo sovietico fu costretto a prendere una decisione definitiva.
Al dilemma dinanzi a cui si trovava in precedenza era subentrata l'amara necessità di concludere un accordo con la Germania.
Cinque mesi di sabotaggio dei negoziati tripartiti da parte della Gran Bretagna e della Francia, sostenute dagli Stati Uniti, non lasciavano all' URSS altra soluzione.
L'accordo fu firmato il 23 agosto. Non si trattava un'alleanza ma di un semplice patto di neutralità."

Anna Louise Strong, nel suo libro L'ERA  DI STALIN, racconta come un diplomatico sovietico le avesse spiegato l'importanza del patto Molotov-Ribbentrop per la salvezza del paese sovietico.

''Con il patto di non aggressione noi abbiamo introdotto un cuneo fra Hitler, il Giappone e i sostenitori di Hitler a Londra... noi abbiamo diviso il campo del fascismo mondiale e non avremo da combattere tutto il mondo.''

Il patto Molotov-Ribbentrop non fu quindi ''l'alleanza fra due dittatori'', ma un esempio della saggia politica staliniana, capace di sfruttare le contraddizioni all'intero del campo nemico per guadagnare due anni di tempo e creare le condizioni per la Grande Vittoria dell'Armata Rossa e dei popoli sovietici sul nazifascismo.

           ''LA SPARTIZIONE DELLA POLONIA''
Un altro cavallo di battaglia della GRANDE FABBRICA DELLA MENZOGNA è la cosiddetta ''spartizione della Polonia''. Diversi storici affermano che c'era un accordo segreto fra Hitler e Stalin per la spartizione della Polonia, anche se non hanno prodotto alcun documento al riguardo.
Ma vediamo come si svolsero i fatti. Il governo sovietico aveva ripetutamente proposto al governo polacco la stipulazione di un patto di alleanza, impegnandosi a intervenire in caso di aggressione nazista alla Polonia.
Ma il governo reazionario dei baroni polacchi, nel suo cieco antisovietismo e seguendo i consigli dei suoi alleati occidentali, rifiutò qualsiasi aiuto da parte del governo sovietico.

Il 1° settembre la Germania nazista attacca la Polonia. Inghilterra e Francia furono costrette a dichiarare guerra alla Germania. Si trattò di una ''guerra'' molto particolare. Inghilterra e Francia non intrapresero alcuna azione militare e non prestarono nessun aiuto alla Polonia.

Dopo i primi scontri, il governo e il Comando supremo della Polonia, abbandonando a se stessi l'esercito e il popolo, fuggirono a Londra con la riserva aurea nazionale.

Il 17 settembre, dopo avere affermato che ''la Polonia è diventata un fertile campo per ogni eventualità capace di creare una minaccia per l' Unione Sovietica'', Molotov annunciò, prima con una nota all'ambasciatore polacco e poi via radio a tutto il mondo, che l' Esercito sovietico marciava sulla Polonia.

Anna Louise Strong, nel suo libro già citato, ricorda: ''Gli inglesi compresero il significato di questa marcia più degli americani. Gli americani ancora parlano di Stalin come del ''complice di Hitler'' nella cinica divisione della Polonia. Ma Winston Churchill disse in un discorso radio trasmesso il 1° ottobre: ''I sovietici hanno fermato i nazisti nella Polonia orientale. Vorrei soltanto che lo avessero fatto come nostri alleati''. 

Bernard Shaw, sul Times di Londra, levò ''tre evviva a Stalin''. che  aveva inflitto a Hitler ''la sua prima sconfitta''.
La popolazione della zona non ostacolò le truppe sovietiche, le accolse invece con gioia. La maggior parte non erano polacchi, ma ucraini e bielorussi. L'ambasciatore americano Biddle riferì che la gente accettava i russi ''come se stessero svolgendo un compito di polizia''.

L'avanzata sulla Polonia orientale non sembra essere nata da una connivenza con Hitler, ma piuttosto appare come il primo grande freno che i sovietici posero a Hitler applicando il patto di non aggressione.

L'opinione americana che Stalin e Hitler si fossero spartita la Polonia in anticipo non è giustificata dal modo in cui la suddivisione ebbe luogo. La linea di demarcazione fra tedeschi e russi cambiò tre volte prima di venire fissata nel corso di una conferenza il 28 settembre. Non è credibile che le truppe tedesche abbiano fatto tutta la strada fino a Leopoli, assediandola per vari giorni, solo per consegnare la città all'URSS. Né è da credere che i russi avrebbero arrischiato tante vite umane per affrettarsi ad occupare Vilno, se la città fosse stata assegnata a loro già da prima''.


Di  Aldo Calcidese - aldocalcidese@libero.it 

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giovedì 22 agosto 2019

All'inciucio, all'inciucio... avanti con il Governissimo di centrodestrasinistra


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Dal Colle alla Suburra e dal Colle all’Olimpo, dai cripto destri imperiali della “sinistra”ai destri confessi global-papisti, la spinta è una sola: all’inciucio! all’inciucio!

Ridotta in briciole dalla Lega l’anomalia 5 Stelle, con le sue fisime sociali e ambientali, si tratta ora di ruminarne i resti nel più storicamente collaudato tritacarne PD.


E quali sono i nomi più significativi che galleggiano su questa morta gora? Nientemeno che quello del Grande Vecchio, l’uomo del “governo Ursula” con qualche detrito berlusconiano (in nome dell’accoppiata Von der Leyen-Lagarde, cui gli sciagurati di Di Maio hanno insufflato la vita), il traghettatore del nostro paese nella Vergine di Norimberga rinominata UE-Euro, colui cui era stato affidato il patrimonio produttivo italiano (IRI, cosa buona fatta dal fascismo: E che ora gli imbecilli finti-antifascisti mi sbranino) e che se l’è giocato alla roulette delle privatizzazioni. E poi addirittura il presidentello della Camera, a rinnovare i fasti acculturati e di spessore intellettuale del vicepremier grillino, “di sinistra” come lo è il giornale che predilige. Uno a cui i dati granitici su migrazioni e Giulio Regeni, che gli ho elencato in una lettera aperta, hanno fatto un baffo, polverizzando una mia fiducia nella sua buonafede che a tutti i 5 Stelle per definizione riservavo. Galleggia anche, più ai margini, l’ormai ex-presidente del Consiglio. Lo tengono in superficie i suoi Si Tav, Si Guaidò, Si Nato, Si Ursula, Si Padre Pio.

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Si apparecchino le tavolate!


Programma? “Io credo che dobbiamo entrare in una stagione nella quale dobbiamo avere il coraggio di riaprire stagioni di innovazioni  delle politiche senza nessuna paura di aprire una discussione su dove questo paese debba andare” (Nicola Zingaretti, fine luglio, mentre regalava coste ai balneari e centri storici ai palazzinari). Ma, secondo voi, uno che si esprime così ha un programma? C’è da rivalutare il livello intellettuale di Antonio Razzi. Sono tutti così da quelle parti. La linea politica gli arriva da gente come Jeffrey Sachs, economista  post-Friedman della Columbia University, dal partito di Repubblica, o, nel suo piccolo, da Stefano Feltri, vicedirettore del FQ e reduce dall’ultima cupolata di Bilderberg: governo PD-M5S e fate quel che volete, purché si prosegua a prosciugare il sotto e impinguare il sopra. Dunque migrazioni, Grandi Opere, innovazione, Green New Economy rigorosamente turbocapitalista.


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domenica 18 agosto 2019

Hong Kong. La perfida Albione e lo zio Sam sposi


I riottosi di Hong Kong dicono che non gradissero una legge che permetteva di estradare in Cina, ma anche a Taiwan e altrove perseguiti dalla giustizia per crimini commessi in Cina e fuggiti a Hong Kong. Un centro di malaffare finanziario  da sempre, come egregiamente ci illustra l’ex-vice segretario dell’ONU e straordinario analista, Pino Arlacchi, covo della peggiore criminalità mafiosa di mezzo mondo. Lascito della colonia britannica, sottratta all’impero cinese nel 1842 grazie alla guerra dell’oppio, e che il ritorno alla Cina nel 1997, sul principio di uno Stato due sistemi, non ha saputo eliminare. Poi, congelata la legge dalla leader di HK, Carrie Lam, le richieste si sono allargate, inchiesta e condanna delle violenze della polizia, democrazia (?) e partono le vere parole d’ordine: non più autonomia nello stesso Stato, ma indipendenza. Cioè rientro nel dolce lager coloniale anglosassone. E rottura di palle alla Cina.
 


Si ripetono pedissequamente gli stessi moduli del regime change. Si individua un motivo di scontento di parte della popolazione, prezzi, inflazione, lavoro, se ne incaricano le Ong occidentali con le relative filiali, si reclutano o mandano organizzatori, arrivano fondi, la protesta fa contagio, fino a diventare di massa. Di massa per dire, venti-trentamila-cinquantamila su 7 milioni e mezzo, di cui migliaia pure manifestano per la Cina, ma non se ne parla. Descritta come protesta pacifica, ma via via più violenta. E manca un Decreto Sicurezza Bis di Salvini per fronteggiarli. L’obiettivo è quello di provocare il governo a intervenire con sempre maggiore durezza, tanto da far esplodere una ben mediatizzata indignazione nelle opinioni pubbliche. Poi si vedrà che fare. Magari si manda un po’ di Al Qaida.

Ma non è questo il punto. Il punto sono le prove dei magheggi Usa-Uk. Media e organi governativi a Londra e Washington appoggiano la protesta senza riserve. I manifestanti dimostrano le loro posizioni sventolando bandiere britanniche e americane, arrivando a cantare l’inno statunitense, come da link nel titolo. Al  solito,  partono le fake news video: un’esercitazione di polizia sudcoreana antiprotesta viene fatta passare per intervento dell’esercito cinese.

 

E già una bella indicazione. Ma andiamo al sodo. La foto mostra l’incontro a HK tra la diplomatica Julie Eadeh, capo dell’unità politica del consolato Usa, e un gruppo di leader del movimento del partito Demosisto, legato al Partito Democratico Usa, capeggiati da Joshua Wong Chi-fung, segretario generale del partito. Uno che si è vantato con i giornali di essere stato più volte a Washington. Ricevono auguri per il capodanno cinese, o istruzioni? Indovinate. Immaginiamo cosa succederebbe se un console cinese incontrasse i capi, mettiamo, del movimento Usa Occupy Wall Street, o di manifestanti anti-Trump.

Fulvio Grimaldi -  www.fulviogrimaldicontroblog.info

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giovedì 15 agosto 2019

Cronistoria del partito che non vorrei... di Lorenzo Merlo


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La parabola storica del maggior partito della sinistra italiana (e a suo tempo maggior partito comunista d’Europa) ha avuto culmine e contemporaneo avvio del declino negli anni del ’68/’77.
Da un lato le leggi per i lavoratori, i diritti politici divenuti consapevolezza proletaria, furono vette poi non più eguagliate.
Dall’altro i successi, o apparenti tali, tra cui, uno per tutti, il 6 politico. Comprensibile nelle intenzioni politiche originarie, si è poi dimostrato disastrosamente infettivo a lunga gittata. Segnò l’avvio del lassismo generalizzato.
Il Compromesso storico, passo del Pci Enrico Berlinguer verso la Democrazia Cristiana di Aldo Moro per quanto compiuto per gestire, con senso di responsabilità istituzionale e statale, l’emergenza sovversione armata, fece necessariamente la sua parte nella vicenda della parabola discendente verso l’evanescenza della maggioranza della sinistra italiana.
Da allora il Pci e i suoi succedanei – Pds, Ds e Pd – sono progressivamente venuti meno alla missione originaria di solidarietà e cura del mondo dei lavoratori, della società minore, dei diritti istituzionali, dell’anticapitalismo.
Dalla bandiera rossa con falce e martello a tutto campo del Partito Comunista Italiano, mutarono in Partito Democratico della Sinistra. Era il 1991. Come simbolo scelsero una quercia, pensando alla solidità duratura. Forse qualcuno di loro aveva avuto sentore che le fazioni avrebbero potuto demolire l’incorruttibile e monolitico grande partito moralmente ineccepibile. Falce e martello c’erano ancora ma defilati alla base del tronco. Una specie di garanzia di se stessi: «tranquilli, noi veniamo da lì».
Sette anni dopo, nel 1998, nuovo aggiornamento. Il nome diviene Democratici di Sinistra. Grossomodo funzionale per abbracciare più o meno chiunque a destra vedesse solo mostri e diavoli; per contenere lo scemare degli iscritti. La bandiera rimase piena di quercia ma si svuotò di falce e martello.
Infine, dal 2007, il Partito Democratico abbandonò anche la quercia per affidarsi a un logo tricolore e un ramoscello d’ulivo. «Siamo i giusti» voleva dire? Se sì, non nelle urne. Ma c’era anche una rosa, non a caso già nell’immagine dei radicali.
In un arco temporale di 15 anni la metamorfosi si era compiuta. Da paladini della bellezza povera a naufraghi abbracciati a ciambelle liberiste.
Del resto il proletariato era sparito, almeno come corpo sociale. Il capitalismo non era più neppure un problema di cui occuparsi se non facendo l’occhiolino. L’ambiente tornava invece utile ma senza affrontare il conflitto con un progresso concepito come crescita infinita e consumismo da pompare.
La via del progresso, dicevano, avrebbe avuto una nuova anima a partire dall’Europa Unita e dall'Euro.
Ne fu artefice Prodi. Era il 1998. Precisava che un euro valeva 1936,27 lire. Ma la suggestione è più potente della ratione e quello che compravamo con mille lire costò in breve un euro. Il doppio.
Da pochi anni il Muro di Berlino aveva mandato definitivamente all’aria il progetto egualitarista. (Lo aveva detto Stirner che gli uomini alla prima opportunità giusta preferiscono i propri interessi a quelli dell’ideologia che hanno sottoscritto. Nessuno ha mai troppo peso ai suoi avvisi). Progetto nel quale da sempre la sinistra di maggioranza aveva trovato ispirazione e supporto ideologico. Nel tempo però aveva lasciato gli ormeggi per solcare mari più occidentali. Nel tempo aveva trovato opportuno mostrarsi via via più lasciva nei confronti della presa del potere economico sui partiti e sulle istituzioni.
Infatti. Seguirono leggi sempre più liberiste come necessariamente implicava il progetto della moneta unica prima e dell’Unione Europea poi. Come sennò tentare di stare al passo, tenere alto il vessillo tanto vantato dell’ottava economia mondiale? Come fronteggiare l’economia della Germania, e non solo, in casa e americana fuori casa? Come avrebbero potuto non dico abdicare al concetto di crescita e benessere imperniato sul Pil come neppure uno psicotico fa con la sua ossessione, ma almeno tenere a freno?
Vabbé. Comunque si davano da fare pur senza più il faro ideologico. Poche idee ma ci provavano. Abbracciarono così il patrimonio e il vessillo che fu idea del Partito Radicale. Dai valori sociali passarono, senza che nessuno se ne accorgesse troppo (forse qualche sindacato, sì), a quelli individuali. Un investimento che non ha più cessato di assorbire la loro attenzione, forse distratta solo dalla guerra in Kosovo, per la quale calammo l’asso che avevano nelle braghe. E giù anche quelle: aerei e aeroporti donati a piene mani ai sempre più penetranti tentacoli Nato. Dei morti in Serbia non si preoccuparono troppo.
Gli scandali e le corruzioni rosse sorprese i meno avveduti. Furono picconate ai resti di una facciata che occultava mucchi di macerie che non riuscivano più a nascondere.
La riforma Fornero fu terremotante per molti italiani ma per il Pd rimase un passo avanti verso il progresso.
Di lì a breve arrivò il Nazareno che togliendo di mezzo l’articolo 18 imboniva i lavoratori sostenendo che la mobilità era la ricetta giusta soprattutto per loro, oltre che per l’occupazione, quindi per l’economia, quindi per tutti. Dovevano, i lavoratori, solo cancellare l’idea del mensile a fine mese, della tredicesima e assumere quella (a massimo rischio) imprenditoriale. Il mondo sarebbe risorto. E loro lo avrebbero visto come turisti del lavoro.
Nel frattempo non si erano accorti però di quanto le loro clarks e i loro tweed li avevano portati lontani dalla cosiddetta base. In vetta l’aria è migliore rispetto ai sottoscala della povertà.
Si trovarono improvvisamente a dover fronteggiare tutto quel bacino enorme che una volta era stato suo possesso e ricchezza elettorale, ora passato di mano ad uno stupido comico che di stupido aveva solo gli spettatori del Pd.
Al buffone ci volle poco per attestarsi su un punto di terra dal quale guardare i glu glu della nave del Pd in affondamento.
I ceffoni delle elezioni sorpresero tutti, loro in particolare. Dormivano da tempo e non avevano avuto modo di vedere che il tempo era cambiato. Anche le vedette non si sa dove fossero e certamente ne avevano. Bastava cercare in salotto.
Proprio queste si sono aizzate per prime nel tentativo disperato di guadagnare una scialuppa. Senza argomenti se non povere denigrazioni che più di ogni altra cosa dichiaravano il loro stato di pessima salute, hanno tentato in tutti i modi – soprattutto slogan – di suggestionare il pubblico, che però aveva cambiato canale da un pezzo. Come topi in cambusa, avevano capito che era ora di cambiare aria.
I populisti furono perfino e ripetutamente accusati di non aver fatto cose che loro stessi avevano avuto in mano per anni; di non aver curato aspetti tipici del loro Dna originario. Li hanno coperti di critiche dopo mezzo minuto di governo. A quel punto il comico non era a Genova ma a Roma, ma sarebbe stato meglio chiamarlo tragico. Nel tempo di vacche magre si scava in fondo al barile e quel poco che si raccoglie vale la sopravvivenza. Tirarono fuori a piene voci l’ideologia antifascista. La cavalcarono in lungo e in largo, fino a sembrare un vinile dimenticato sul piatto. Intanto La Repubblica dava di mantice ormai apertamente, più di quanto negli anni avesse fatto in modalità defilata.
Populisti li chiamavano. Vero. Ma non c’era altro spazio che essere populisti. Cosa peraltro non tutta malvagia come hanno tentato di far passare. Cosa per altro frutto, non seme, di politiche, tempi e consapevolezze nuove. Che il populismo fosse un fenomeno occidentale e non solo italiano, non gli fece sospettare che forse c’erano ragioni superiori ai loro poveri argomenti ideologici e denigratori tout court...
Lorenzo Merlo

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