Le
forze del vero male assoluto, oggi del mondialismo neoliberista e
totalitario, da sempre sterminatrici, saccheggiatrici, belliciste,
colonialiste, sperimentarono il massimo del loro potenziale di morte
prima con le crociate (Goffredo da Buglione in “Terra Santa” ad
Acri passò a fil di spada tutti gli abitanti musulmani; Saladino non
ha torto un capello neanche a uno dei successivi cristiani; era già
“scontro di civiltà”) e, poi, olocausto di tutti gli olocausti,
con l’eliminazione delle popolazioni native delle Americhe.e
dell’Africa (20 milioni di morti ammazzati in Congo per grazia di
Leopoldo del Belgio, tra 50 e 100 nel genocidio degli amerindi). Lo
fecero nel nome e con la benedizione della Chiesa che, da tale taglio
di messi si aspettava un concomitante allargamento del proprio
dominio su beni e anime.
Nome e
benedizione della Chiesa che anche oggi, col Bergoglio indefesso
raccoglitore di “migranti” per conto terzi e suo, concorre a
validare le imprese ancora e sempre di quelle che da qualche secolo
si confermano le potenze del male assoluto. La clip allegata si
limita a riferire alcuni episodi che hanno segnato la marcia
devastatrice delle armate uccidentali e dei loro mercenari jihadisti
nella stagione delle guerre contro gli arabi. Arabi protagonisti di
una delle più grandi civiltà della Storia, oggi in macerie. Arabi
che potremmo chiamare gli zii della nostra civiltà, in quanto
fratelli dei nostri padri latini, figli dei greci, insieme ai quali
dell’Ellade ci hanno fatto arrivare le parole di Euripide,
Aristofane, Euclide, Pitagora, Aristotele e tanti altri. Senza i
quali non saremmo quelli che siamo. Quelli che eravamo prima del
“meticciato” prossimo venturo. Per quei poteri colpa grave loro,
difetto ormai quasi genetico nostro.
Occorre provvedere: si tratta di
elementi identitari incompatibili con l’architettura della
globalizzazione, dove ogni elemento strutturale deve rispondere al
requisito della decostruzione di identità specifiche,
dell’uniformità funzionale a produzione, consumi, assetti
politici, economici, sociali, culturali (per dire anticulturali).
Così, distruzioni (ma anche predazioni di quanto
può produrre profitto nei caveau bancari e museali) di ogni segno
del percorso storico di un gruppo umano, della comunità costituitasi
attorno a territorio, lingua, opere, civiltà. Subito, aprile 2003,
appena arrivati a Baghdad, distruzione e saccheggio del Museo
Nazionale iracheno, cui ho assistito, e della Biblioteca Nazionale:
polverizzati 4000 anni di quanto le genti di quei luoghi avevano
contribuito ai più alti valori del genere umano e dell’ambiente in
cui si sono perpetuati, fedeli e profondamente consapevoli di un
progetto collettivo proiettato ai limiti del tempo. A seguire i
cingoli e gli artigli dell’invasore e dei suoi briganti di passo
sui siti con le opere della passione, dello sforzo evolutivo di
generazioni in sfida con l’oblio. Cingoli e missili anche sulle
opere contribuite da ospiti e invasori, greci, persiani, romani,
bizantini, ottomani. Opere divenute tanto carne e ossa e spirito
della nazione, quanto i suoi neuroni, le sue vertebre, il suo cuore.
Stessa
procedura in Libia e in Siria, tra Leptis Magna e Palmira. Stessa
procedura in Africa dove, mancando le bombe, il deserto naturale e
civile viene esteso e incrementato dai cambi climatici, nostri, dai
terroristi di una artefatta Jihad, nostri, dalle multinazionali della
devastazione mineraria, agraria, urbana, morale, nostre.
E il
momento in cui vengono attivate luci verdi che lumeggino da lontano e
promettono a chi non se lo mangia il deserto, non se lo scarnifica il
trafficante, o non se lo beve il mare, la salvezza sotto padrone e
prete bianco. Promessa di mantenerlo in vita, magari a pace e acqua,
di integrarlo, assimilarlo, meticciarlo. Alienarlo per sempre,
elevandolo al proprio rango di occidentale. Ma privato
definitivamente di nome e cognome. Di un sostegno, un retroterra a
cui appoggiarsi, da cui prendere la rincorsa. Una volta che milioni
di costruttori del futuro della propria comunità, di quella comunità
abbiano perso la memoria, la speranza, il filo conduttore e il senso,
tra macerie da bombe e fiumi disseccati da dighe, la preda è
spoglia, inerme, inerte. Pronta a concorrere con chi lo dovrà
ospitare per chi si vende al prezzo più basso.
Una
comunità umana generizzata, uniformizzata, de-destinizzata, con un
futuro, un progetto, squallidamente individuali, senza il conforto,
il coraggio, il calore della collettività. Una comunità plebizzata,
inconsapevole di sé perché inconsapevole di origini e futuro.
Prostrata al verbo falso di un progresso senza la sua impronta.
Costretta a rinnegare, tradire la missione che i padri hanno
realizzato e trasmesso e i figli dei figli aspettavano che gli
venisse affidata.
Qualcuno
a Babilonia si chiederà da dove mai venissero quei frammenti di
smalto con una zampa, o una testa di antilope. Qualcuno di Timbuctu,
occupata dalla Legione Straniera e i cui mausolei millenari i
mercenari al soldo del colonialismo hanno raso al suolo, sotto una
coperta alla Stazione Centrale, o in corsa affannata in un magazzino
Amazon, si vedrà apparire in sogno la Grande Moschea di Djenne, alla
cui ombra sostava con i padri. Suo figlio, nella scuola multietnica e
multiculturale, sosterà tra le luci dell’Outlet finto moresco.
Forse qui avrà avuto lo jus soli. In cambio gli hanno preso lo Jus
Patriae.
Com’è
che della catena della “migrazione” nessuno veda mai il primo
anello? Forse
perchè il manifesto non gliene parla? Forse perchè le ONG care a
Soros glielo nascondono? Forse perchè colonialisti inveterati
e razzisti sono quelli che accolgono senza se e senza ma?
Appunto
senza se e senza ma.
Fulvio Grimaldi - www.fulviogrimaldicontroblog.i
P.S. - Una gentile mano ha girato questa clip - https://www.facebook.com/lacas
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