È possibile tagliar via il 100% del debito del PIL, spingere la crescita, stabilizzare i prezzi e detronizzare i banchieri. Tutto in un solo colpo. Potrebbe essere fatto in modo pulito ed indolore, per legge, ben più velocemente di quanto si possa immaginare.
Il gioco di prestigio consiste nel sostituire il nostro sistema di denaro creato dalle banche private – circa il 97% – con denaro creato dallo Stato. Non sarebbe che un ritorno all’assetto presente prima che Carlo II mettesse in mani private la fornitura del denaro attraverso l’English Free Coinage Act (Atto Inglese di Libero Conio), del 1666 [un triplo 6 c’è già, dunque, ndt].
Praticamente la cosa consiste nel prendere di mira la riserva frazionata. Infatti, se chi presta è obbligato ad avere in deposito il 100% di quello che da in prestito, non può più creare denaro dall’aria fritta e le nazioni recuperano il controllo sovrano sulla fornitura di denaro. Non ci saranno più corse agli sportelli, e molti meno cicli creditizi di espansione-collasso.
Alcuni lettori avranno forse già visto lo studio del FMI, di Jaromir Benes e Michael Kumhof, uscito in agosto ha subito acquistato interesse nel mondo ed ora è un cult.
Si intitola Una revisione del Piano Chicago, e recupera lo schema concepito per primo dai Proff. Henry Simons ed Irving Fisher nel 1936 durante il fermento creativo conseguente alla Grande Depressione. Irving Fisher ritenne che i cicli del credito portassero ad una malsana concentrazione della ricchezza. Lo vide con i propri occhi all’inizio degli anni ’30, con i creditori che facevano fallire le fattorie e si appropriavano delle terre o le pagavano una miseria. Ma alla fine, gli agricoltori trovarono il modo per difendersi: misero in comune quel poco che avevano e si organizzarono fra di loro comperandosi reciprocamente le proprietà alle «aste da un dollaro» pagando quasi nulla e pestando di brutto chiunque si azzardasse a fare un’offerta più alta.
Benes e Kumhof riflettono sul fatto che i traumi dovuti ai cicli del credito – dovuti alla creazione del denaro da parte dei privati – ci riportano indietro nella storia e sono alla base dei giubilei del debito presenti nelle antiche religioni della Mesopotamia e del Medio Oriente.
Migliaia di anni fa, le traversie con i raccolti portavano a periodici fallimenti, appropriazioni dei collaterali del debito – beni a garanzia – ed accumulo di ricchezze nelle mani di quelli che davano a prestito. Sciagure che non erano da ascriversi alle avversità climatiche – come sostenuto per anni – ma frutto dell’effetto di crescita del debito.
Solone, capo ateniese, mise a punto nel 559 A.C. il primo Piano Chicago del quale si abbia notizia, concepito per dare sollievo agli agricoltori strozzinati dagli oligarchi privati che si godevano le gioie del coniare denaro. Solone cancellò il debito, restituì le terre sottratte dai creditori, fissò dei prezzi bassi per i beni (analogo a quanto fece Roosevelt) e deliberatamente emise una massa di denaro di fresco conio, emessa dallo Stato e priva di debito.
150 anni più tardi, i Romani inviarono una loro delegazione per studiare le riforme di Solone. È solo un mito innocentemente diffuso da Adam Smith quello secondo cui il denaro si è sviluppato perché mezzo di scambio basato su merci o legato all’oro. L’oro ha sempre avuto un gran valore, e questa è un’altra storia. Gli amanti del metallo prezioso confondono spesso i due aspetti.
Studi antropologici dimostrano che le valute emesse dagli stati [fiat currency, ndt] risalgono all’alba dei tempi. Gli Spartani bandirono le monete d’oro e le rimpiazzarono con dischi di ferro dal minimo valore intrinseco. I Romani usavano all’inizio dei pezzi di bronzo il cui valore era stabilito per legge – un fatto reso esplicito da Aristotele nella sua Etica – come è oggi per il dollaro, l’euro o la sterlina.
Alcuni argomentano che Roma iniziò a perdere il proprio spirito di solidarietà quando, durante le Guerre Puniche, permise ad un gruppo di oligarchi di coniare una moneta d’argento. Il Senato perse così il controllo sul denaro. In quel di Roma si era creato un sistema bancario ombra e le prove dimostrano che divenne una macchina da soldi per l’élite.
Nel Medioevo, ci fu un incontrastato ed incontestato controllo papale sul denaro, fino a che l’Inghilterra ruppe gli stampi nel 1666. Benes e Kimhof affermano che fu in quel momento che iniziò l’epoca dei cicli economici di espansione e collasso.
Certo, si potrebbe ugualmente sostenere che la cosa ha aperto la strada alla rivoluzione agricola dell’Inghilterra dell’inizio 18° secolo e, subito dopo, alla rivoluzione industriale e al più grande salto in avanti economico e tecnologico mai visto prima …
In origine, gli autori del Piano di Chicago intendevano reagire alla Grande Depressione, ritenendo fosse possibile prevenire quei disastri sociali causati dalle oscillazioni selvagge dei cicli espansione/collasso. E pensavano di riuscirci senza fare a pezzi il dinamismo economico. L’effetto collaterale positivo della loro proposta sarebbe consistito in un passaggio da un debito nazionale ad un attivo nazionale, come per magia.
«Poiché nel dispositivo del Piano di Chicago le banche devono andare in prestito dal Tesoro per garantire le proprie posizioni a rischio, il governo acquisisce una posizione molto forte nei confronti delle banche stesse. La nostra analisi indica che il governo rimane quindi con un carico debitorio netto alleggerito, di fatto negativo».
Lo studio del FMI indica che le posizioni debitorie del sistema finanziario USA – sistema bancario ombra incluso – ammontano al 200% del PIL. La nuova regola sulle riserve bancarie sarebbe una manna che potrebbe essere usata per un riacquisto del debito privato che potrebbe salire fino al 100% del PIL.
Washington dovrebbe emettere molto più denaro di Stato, che sarebbe come un titolo azionario di Stato e non più un pezzo di debito.
Elemento chiave del Piano di Chicago è il distinguere fra funzioni monetarie e funzioni di credito del sistema bancario: «La quantità di denaro e la quantità di credito diventerebbero totalmente indipendenti» e chi presta non potrebbe più creare denaro dal nulla. Il nuovo credito bancario dovrebbe essere finanziato con gli utili.
Lo scritto del FMI prosegue così:
«Il controllo della crescita del credito diventa molto più semplice perché le banche per prestare non saranno più in grado di generare il proprio finanziamento ed i propri depositi, come invece fanno oggi. Un privilegio che non si ritrova in nessun altro tipo di attività. Al contrario le banche diventeranno quello che erroneamente si ritiene che siano già oggigiorno e cioè dei semplici intermediari che dipendono dall’ottenere finanziamenti esterni prima di poter erogare il credito».
La Federal Reserve USA avrà così per la prima volta un controllo reale sull’approvvigionamento di denaro e sarà più facile gestire l’inflazione. È esattamente per questo motivo che nel 1967 Milton Friedman sosteneva che le banche dovessero avere riserve a garanzia pari al 100%. Anche il grande liberista dei mercati era a favore di un giro di vite sulla disponibilità di denaro privato.
Una simile modifica darebbe una spinta pari al 10% e «nessuno dei benefici si realizzerebbe alle spese dell’utile funzione centrale di un sistema finanziario privato».
Se negli anni ’30, Simons e Fisher navigavano alla cieca, mancando allora moderni strumenti che macinano numeri, oggi il FMI ha ora rimediato usando il modello stocastico DSGE, un riferimento obbligato nel mondo dell’alta finanza e strumento amato ed odiato in ugual misura.
I risultati prodotti da questo modello sono sorprendenti: Simons e Fisher hanno sottovalutato la portata delle proprie affermazioni: è forse possibile andare contro la testa della plutocrazia bancaria senza mettere in pericolo l’economia.
Benes e Kumhof fanno delle affermazioni molto grosse, che, per essere onesto, mi lasciano perplesso. I lettori in cerca di dettagli tecnici possono farsi la propria idea studiandone il testo, che è disponibile qui.
La coppia del FMI ha i propri sostenitori. Il Professor Richard Werner della Southampton University – l’uomo che negli anni ’90 ha coniato il termine quantitative easing (QE) – ha testimoniato davanti alla Vickers Commission britannica che il passaggio alla valuta di stato produrrebbe guadagni decisivi. Può contare sull’appoggio del gruppo Positive Money e della New Economics Foundation.
Ma la teoria ha anche dei forti detrattori: Tim Congdom della International Monetary Research sostiene che, in un certo senso, le banche siano già forzate ad aumentare le proprie riserve a causa delle regole dell’Unione Europea e di Basilea III. L’effetto è stato un soffocamento dell’attività di credito al settore privato. Congdom argomenta che questo sia il motivo principale per il quale le economie risultano impantanate in un quasi-collasso e sempre a causa del quale le banche centrali devono fare da ammortizzatori con il QE e dichiara: «Se si autorizzasse il Piano di Chicago, sarebbe una strage per i profitti delle banche e ci sarebbe un disastro deflazionistico e sarebbe necessario un QE al quadrato».
Ciò porterebbe ad un massiccio spostamento nei bilanci delle banche: dal prestito nel settore privato ai titoli di Stato. La cosa è avvenuta durante la Seconda Guerra Mondiale, ma si trattava dell’anomalo prezzo da pagare. Farlo in modo permanente ed in tempo di pace equivarrebbe al cambiare la natura del capitalismo occidentale e, afferma Congdom, «la gente non avrebbe più prestiti dalle banche e ci sarebbe un grave danno per l’efficienza dell’economia». Secondo Congdom dunque, si soffocherà la libertà e si metterebbe al potere un sistema di governo mastodontico. Alla lunga la cosa sarebbe ben più problematica dell’odierno governo dei banchieri privati.
Personalmente, sono ben lontano dall’essere giunto ad una conclusione. Andiamo avanti, continuiamo a discutere animatamente, una cosa è certa: se una qualsiasi forma di Piano di Chicago ricevesse mai un ampio sostegno, la City, a Londra, avrebbe il suo bel da fare a tenersi i guadagni.
Ambrose Evans-Pritchard
Traduzione per EFFEDIEFFE.com a cura di Massimo Frulla
Fonte > Telegraph
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