L'ARTICOLO CHE SEGUE VUOLE ESSERE UNA
SORTA DI GUIDA PER TUTTI COLORO (E SONO TANTI, DIREI LA MAGGIOR
PARTE) CHE PARLANO DEL CONFLITTO TRA PALESTINESI E ISRAELIANI SENZA
CONOSCERE MINIMAMENTE LA STORIA. OVVIAMENTE LA MIA RICOSTRUZIONE
CERCHERÀ DI ESSERE IL PIÙ POSSIBILE OBIETTIVA E NON PRETENDO CERTO
CHE VENGA PRESA COME “FONTE DI VERITÀ ASSOLUTA”, MI PIACEREBBE
PERÒ CHE CHI ABITUALMENTE MI LEGGE (ANCHE SU TUTT'ALTRI ARGOMENTI)
CONSIDERASSE QUESTO MIO LAVORO COME IL RISULTATO DI UN RAGIONAMENTO E
DI UNA RICERCA FATTA CON LA MASSIMA RIGOROSITÀ E BUONA FEDE. SE POI
QUALCUNO NON SARÀ D'ACCORDO CON QUANTO SCRITTO È LIBERO DI LASCIARE
I SUOI COMMENTI (OVVIAMENTE SE SUPPORTATI DA PROVE, DOCUMENTI E NON
SOLO DA SENTITO DIRE O DA LINK DI SITI DI DISINFORMAZIONE). AVVISO
TUTTI CHE QUESTO PIÙ CHE UN ARTICOLO SI RIVELERÀ UNA SORTA DI
PICCOLO LIBRO PER CUI CONSIGLIO DI AFFRONTARE LA LETTURA SOLO A CHI
HA MOLTA PAZIENZA E CHI REALMENTE VUOLE CONOSCERE ED ESSERE
INFORMATO. Stefano Davidson - (stefanodavidson@virgilio.it)
Bagnata a Ovest dalle acque del
Mediterraneo, chiusa a Sud dal deserto del Sinai e a Est da quello di
Siria, confinante a Nord con le propaggini meridionali del Libano, la
Palestina si estende longitudinalmente per non più di 140 km e
latitudinalmente per circa 240 km.
Anticamente interessata, per la sua
posizione lungo la rotta che conduce dall'Egitto alle vaste pianure
mesopotamiche, da ampi fenomeni migratori e percorsa da importanti
piste commerciali, sul finire del XIII secolo a.C. il primo nucleo di
coloro che avrebbero costituito il regno di Israele elesse la regione
a propria dimora, incidendo profondamente sul ruolo che avrebbe
ricoperto nel lungo cammino della storia.
In quell'epoca il Medio Oriente e il
bacino del Mediterraneo vivevano un periodo di instabilità politica
caratterizzato dal graduale, e talvolta perfino improvviso, declino
degli imperi che avevano assunto un ruolo egemonico durante l'intero
II millennio e dalla comparsa di nuove popolazioni. In Egitto, dopo
la crisi interna che aveva portato alla caduta della XVIII dinastia,
Ramesse, un generale originario di Avaris, aveva assunto il potere e,
nonostante un breve regno durato poco più di un anno, dal 1305 al
1036, riuscì a passare lo scettro al figlio Sethi. La XIX dinastia
riuscì a riportare sotto il proprio controllo la Palestina e altre
terre confinanti solo grazie a un dispendioso impegno militare nel
confronto con il rivale Ittita, il regno di Mitanni e l'astro
nascente della potenza Assira.
Durante il XIII secolo, l'interesse
dell'Egitto verso l'Asia fu tale che vennero adottate centinaia di
parole di origine semitica, gli dei di Canaan, il nome ufficiale di
una provincia che comprendeva però solo una parte della Palestina,
entrarono nel pantheon egizio e la capitale fu trasferita a Avaris,
non molto distante dallo stretto di Suez. Il nuovo centro
amministrativo diede l'impulso a un'imponente opera di costruzione
nella quale vennero impiegati degli schiavi di stato identificati con
il nome di 'Apiru. Un termine che indicava più una classe sociale
che un popolo, ma di cui fece probabilmente parte il ceppo originario
degli Israeliti.
Un'iscrizione che invoca il Dio degli
'Apiru con un tono simile a quello utilizzato nella Bibbia per il Dio
degli Ebrei, assieme a una certa affinità etimologica di entrambe i
nomi, può far ritenere che gli Ebrei fossero effettivamente
identificati con gli 'Apiru. Il primo riferimento a Israele compare
del resto solo verso la fine del secolo quando il faraone Marniptah,
nel quinto anno del suo regno, intorno al 1220, per commemorare le
proprie vittorie in palestina, fece erigere una stele sulla quale
vennero incisi i nomi dei popoli sconfitti. Gli studiosi avanzano
però numerosi dubbi sul fatto che il popolo di Israele battuto
dall'esercito egizio fosse lo stesso di cui si parla nel libro
dell'Esodo. É infatti possibile, se non altamente probabile, che un
gruppo tribale riconosciuto come Israele si fosse stanziato in
Palestina ben prima di Mosè. Questi avrebbe forse guidato fuori dai
confini dell'Egitto un gruppo che, dopo aver adottato le pratiche
monoteistiche che l'avrebbero contraddistinto nei secoli successivi,
sarebbe stato successivamente assorbito dall'Israele cui fa
riferimento la stele di Marniptah.
Intorno agli inizi del II millennio
avanti Cristo, i rilevamenti archeologici e le numerosi fonti scritte
finora ritrovate, attestano inoltre la migrazione di gruppi
seminomadi dedite alla pastorizia dalle pianure mesopotamiche alla
Palestina. Queste tribù, dello stesso ceppo Amorita, come venivano
identificate le popolazioni semitiche nord-occidentali, dal quale
trae origine, per larga parte, il popolo ebraico, furono
verosimilmente guidate da coloro che nei racconti biblici avrebbero
ricoperto la figura dei patriarchi.
Sul finire del III millennio avanti
Cristo la Palestina era stata oltretutto coinvolta da un lungo
periodo di crisi che aveva visto scomparire, in alcune aree anche per
diversi secoli, i primi esempi di insediamenti urbani, favorendo lo
stanziamento di nuovi popoli.
Una situazione analoga si verificò sul
finire del XIII secolo, quando ebbe luogo la conquista israelita
della regione. L'intera area era controllata da una serie di sovrani
locali di stirpe canaanita a loro volta vassalli dell'Egitto,
l'insoddisfazione che aleggiava nelle campagne, e perfino tra gli
abitanti delle città, rendeva però il loro dominio a dir poco
precario. I gruppi tribali guidati da Mosè, o da capi carismatici
dai tratti non troppo differenti da quelli riportati nella Bibbia,
avevano da poco adottato il culto di Yaweh e la prospettiva della
Terra Promessa animava i loro animi. Non è da trascurare che nessuno
fra loro provenisse dall'aristocrazia guerriera, per la maggior parte
erano semplici lavoratori e pochi erano persino quelli specializzati.
Lo scontento delle popolazioni locali spinse queste ultime a
accogliere con favore i nuovi venuti, adottando la nuova religione e
dando inizio alla classica struttura tribale del popolo di Israele.
Nel corso dell'aspro confronto che si
susseguì nei decenni successivi i re canaaniti vennero gradualmente
privati del proprio trono e le loro città vennero distrutte una ad
una. Non è però da escludere che la vittoria delle tribù israelite
fosse stata favorita da insurrezioni scoppiate all'interno degli
stessi centri canaaiti. Durante questa prima fase della
colonizzazione, gli uomini delle tribù posero la propria fiducia
nelle mani di uomini che, non potendosi ergere come capi supremi,
essendo la figura del monarca antitetica alla struttura originaria
della società israelitica, si affidarono al proprio carisma.
Gedeone, Sansone e Iefta sono solo alcuni fra i nomi riportati nel
libro dei Giudici.
Intorno alla metà dell'XI secolo, la
solidità dell'ordinamento tribale subì però un grave colpo quando
i Filistei, che potevano contare su un'aristocrazia guerriera
determinata e un'organizzazione militare più evoluta, iniziarono a
minacciare l'indipendenza degli israeliti. I Filistei si erano
trasferiti nella regione quasi contemporaneamente agli anni
dell'Esodo. Alcuni dotti amano associare al loro nome l'etimo della
parola Palestina, mentre altri fanno derivare quest'ultima da una
variazione greca, e poi latina, di Israele. Senza dubbio i Filistei
ricoprivano intorno all'XI secolo un ruolo non trascurabile
nell'intera provincia. Intorno al 1050 a.C., in seguito alla decisiva
sconfitta nei pressi di Afek, agli estremi del piano costiero, gli
Israeliti dovettero, almeno temporaneamente, accettare il ruolo del
nuovo dominatore. Furono loro imposte drastiche limitazioni, fra cui
l'impossibilità di portare armi.
La gravità della situazione, spinse la
confederazione delle tribù a infrangere il principio fino ad allora
rispettato di non accettare un'autorità regale. A Saul, un beniamita
della città di Gibeah, fu offerta la corona israelita. La scelta fu
senza dubbio felice perchè il primo monarca del popolo ebraico fu in
grado di affrontare e sconfiggere il nemico ora affiancato anche
dagli Ammoniti. A Saul successe David, che trasferì l'Arca
dell'Alleanza a Gerusalemme, probabilmente scelta per la posizione
neutrale di cui godeva, e unificò sotto il proprio controllo
l'intera Palestina.
Durante il regno di Davide Israele
raggiunse una relativa importanza politico-militare al punto che lo
stesso Egitto ne rispettava i confini trattando la giovane nazione
come proprio pari. Salomone, il cui governo si protrasse per quasi
quarant'anni, dal 961 al 922, fu l'ultimo dei grandi sovrani
israeliti. L'aspra politica fiscale adottata dal monarca passato ai
posteri per la propria saggezza, fu però la causa di un generale
malcontento, sentito soprattutto dalle tribù del Nord. L'assenza di
figure carismatiche sulla scena politica contemporanea fece sì che
il dissenso sfociasse nell'aperta ribellione e le regioni
settentrionali ottenessero l'indipendenza. Il popolo ebraico, e la
Palestina, si trovò così diviso in due entità ben distinte fra
loro, il modesto Regno di Giuda a Sud, sotto il cui controllo si
trovava Gerusalemme, e il più ricco Regno di Israele a Nord.
Rivalità intestine e i continui conflitti con la vicina Damasco
indebolirono però quest'ultimo che, coinvolto in uno scontro aperto
con la sorgente potenza Assira, venne definitivamente sottomesso
dalle truppe di Sargon II fra il 722 e il 721 a.C.
Il nuovo dominatore non tardò a far
sentire la propria influenza con un vasto piano di colonizzazione,
attuato attraverso la deportazione sia delle popolazioni israelitiche
sia di popolazioni mesopotamiche, delle regioni conquistate. La nuova
componente, pur portando con sé usi e costumi fino ad allora
estranei all'area palestinese, si amalgamò ben presto con le
popolazioni locali di origine ebraica. I loro discendenti furono
successivamente identificati con il nome di Samaritani di cui alcune
comunità sussistono tuttora nel moderno stato di Israele. Il Regno
di Giuda, adottando una politica isolazionista, mantenne invece la
propria indipendenza per quasi quattro secoli, pur caratterizzata,
negli ultimi due, da un rapporto di sudditanza con l'Assiria,
l'Egitto o Babilonia.
Nello stesso periodo, anche grazie
all'opera di profeti come Ezechia e Isaia, la religione ebraica
attraversò un'ulteriore fase di evoluzione, probabilmente grazie
alla quale, negli anni più difficili dell'occupazione babilonese, fu
in grado di resistere alle influenze esterne mantenendo così
compatta l'identità del popolo di Giuda. Il quale, nel 586 a.C.,
diede inizio a un aspro tentativo di rivolta contro l'autorità del
nuovo impero mesopotamico che, fallito drammaticamente dopo quasi
cinque anni di accanita resistenza, diede inizio alla deportazione e
al triste periodo, ricordato nella Bibbia, dell'Esilio Babilonese.
La deportazione di parte della classe
dirigente della Giudea era già stata condotta nel 597 a.C., ma le
misure adottate nel 586 a.C. e, in seguito a ulteriori disordini, nel
582 a.C., furono tali da provocare una profonda crisi socio economica
in tutta la Giudea. La quale, assimilata amministrativamente alla
Samaria, scomparve come entità a se stante all'interno
dell'ordinamento babilonese. In Palestina rimasero solo i contadini e
i manovali, mentre, fra il Tigri e l'Eufrate, gli ultimi profeti
tentavano di mantenere viva l'identità religiosa e culturale del
popolo ebraico.
Se le deportazioni non avevano
coinvolto che più di 15.000 persone nel loro complesso, numerosi
furono coloro che abbandonarono la Palestina per l'Egitto. La fedeltà
verso le proprie tradizioni fu però ben presto premiata quando
l'Impero Babilonese venne travolto dall'avanzata persiana. Ciro, il
fondatore della dinastia achemenide che avrebbe regnato sull'intero
Medio Oriente per i due secoli successivi, ansioso di poter contare
sulla fedeltà dei propri sudditi alle frontiere con l'Egitto, si
fece promotore della restaurazione della Giudea, che entrò a far
parte del grande Impero Persiano come uno stato vassallo.
Il Tempio di Gerusalemme fu
ricostruito, ma la città, oltre che alla regione circostante,
soffriva ancora della crisi demografica seguita al periodo delle
deportazioni e ancora nel V secolo a.C. non si contavano più di
50.000 abitanti. Per timore di contaminazioni i Samaritani, che
occupavano la parte settentrionale della Palestina, furono però
esclusi dalla ricolonizzazione. Per quasi duecento anni lo scenario
politico della regione rimase inalterato, ma allorché le falangi di
Alessandro Magno penetrarono nelle provincie dell'Impero Persiano
sostituendosi all'antico dominatore, l'area costiera e la valle del
Giordano divennero sede di colonie greche. La loro presenza non ebbe
però influssi radicali sulla sorte della comunità ebraica.
Alla morte del sovrano macedone la
Giudea venne annessa al regno dei Ptolomei per passare sotto il
controllo, fra il 200 e il 198 a.C. della dinastia Seleucide.
La situazione deteriorò quando Antioco
Epifane di Siria cercò di imporre il processo di ellenizzazione
anche a quella parte del popolo di Giuda che aveva preservato le
antiche tradizioni. Nel 169 a.C. il tempio di Gerusalmme fu
saccheggiato dalle truppe seleucidi di ritorno dall'Egitto, nel 168
a.C. un editto cercò di sostituire il culto di Yaweh con quello di
Zeus. Nel 165 a.C. esplose la rivolta, questa volta vittoriosa. Tre
anni dopo, Giuda Maccabeo, che aveva condotto le armate israeliti
contro l'occupazione straniera, ricevette le insegne regali e, per la
prima volta dal 586 la Giudea godeva ancora una volta della piena
indipendenza.
Le successive guerre di conquista, in
particolare durante il regno di Giovanni Ircani permisero di
estendere il controllo di Gerusalemme sull'intera area
originariamente occupata dal Regno di Israele. Con l'espansione di
Roma nell'area Medio Orientale anche la dinastia Asmonea entrò però
nell'orbita di influenza quirite e, a partire dal 63 a.C., godette di
un'autonomia limitata e spesso puramente nominale. La presenza
ebraica e il culto di Yaweh contraddistinguevano però in maniera
ancora marcata l'intera area palestinese. Sotto il principato di
Vespasiano il malcontento e la speranza di riconquistare l'antica
libertà sfociò ancora una volta nell'aperta rivolta che insanguinò
la regione dal 66 al 70 d.C.
Come avvenne più di seicento anni
prima, la sedizione fu soppressa con energia dalle implacabili
legioni di Roma. I vessilli imperiali entrarono vittoriosi in
Gerusalemme ma la comunità ebraica rifiorì velocemente nei decenni
successivi. Ancora più drammatici furono gli effetti
dell'insurrezione guidata da Bar Kochba, fra il 132 e il 135 d.C.,
che costò, a Ebrei e Romani, circa 580.000 morti. L'imperatore
Adriano celebrò la vittoria cambiando il nome di Gerusalemme in Elia
Capitolina e ordinando la costruzione di un tempio dedicato a Giove,
come del resto era già accaduto all'epoca di Antioco, dove sorgeva
il Tempio sede del culto di Yahweh. Questa volta il colpo inferto
alla comunità israelitica fu ben più profondo, in migliaia
cercarono rifugio lungo le coste dell'Arabia, ma, a differenza di
quanto comunemente si reputa, altrettanto numerosi furono coloro che
scelsero di rimanere.
L'ingresso di nuovi coloni dalle altre
province dell'Impero, pose però le basi perchè in alcuni distretti
della Palestina, soprattutto quelli meridionali, la presenza ebraica
diventasse minoritaria. Dediti a attività prevalentemente agricole,
i discendenti del popolo di Giuda si ricompattarono sotto l'autorità
dei Patriarchi, un gruppo di intellettuali il cui ruolo era
riconosciuto anche dal governo romano. Fu nella Palestina del II e
del III secolo che vennero elaborati la Mishnah e la Midrash, opere
fondamentali della tradizione talmudica. La diffusione del
cristianesimo costituì una nuova minaccia per le popolazioni di
religione ebraica in Palestina.
Furono emanati editti che limitavano la
libertà sia di culto che economica della comunità ebraica che, in
seguito all'abolizione del Patriarcato, nel 425 d.C., non costituiva
che una minoranza all'interno della regione che l'aveva ospitata per
oltre 1500 anni. Il processo di cristianizzazione dell'area fu
seguito con particolare tenacia dai sovrani Bizantini, al punto che,
durante le incursioni persiane dell'inizio del VII secolo, quella che
ormai era la minoranza israelita non esitò a sostenere il nuovo
dominatore. L'Impero Bizantino avrebbe comunque abbandonato ben
presto la regione, quando le orde islamiche occuparono la Palestina
nei cinque anni che vanno dal 635 al 640. L'area cadde sotto il
controllo della dinastia Ummaiade, che aveva la propria capitale a
Damasco.
L'intera regione conobbe un nuovo
periodo di prosperità, da cui non fu esclusa la comunità ebraica,
ma il sopravvento degli Abbasidi, che avevano il proprio centro
amministrativo a Baghdad, e i continui conflitti con le altre nazioni
islamiche, portarono ulteriori devastazioni. Il periodo più
difficile per le sorti della presenza israelita in Palestina si deve
però probabilmente collocare fra il XII e il XIII secolo. La prima
Crociata ebbe luogo nel 1099 e, per quasi due secoli, fino al 1291,
quando la caduta di Acri segnò la fine della presenza militare
cristiana in Medio Oriente, la Palestina fu il campo di battaglia
dello scontro cruento fra l'Islam e l'Europa. Le incursioni dei
Tartari, anch'esse collocabili nel XIII secolo contribuì alla crisi
demografica dell'intero territorio. Successivamente la piattaforma
palestinese passò sotto il controllo dell'Egitto diventandone una
provincia di minima importanza politica.
La comunità giudaica conobbe un nuovo
periodo di splendore quando, in seguito all'espulsione degli Ebrei da
Spagna e Portogallo del 1492, fu al centro di un importante flusso
migratorio. All'interno del quale emerge la figura di Joseph Nasi e
Solomon ibn Yaish che, con l'approvazione delle autorità ottomane,
le quali avevano sostituito l'Egitto nel controllo della regione a
partire dal 1517, cercarono di stabilire delle colonie nell'area di
Tiberiade. In particolare il centro di Safed emerse per l'importanza
agli studi cabbalistici della sua scuola rabbinica.
Le sorti della comunità israelitica in
Palestina conobbero alterne fortune durante i secoli successivi,
talvolta oggetto di rappresaglie indiscriminate, come accadde nel
1625 agli ebrei di Gerusalemme in seguito a alcune disposizioni
emanate da Muhammad Ibn Farukh, che all'epoca governava la città per
conto della Sacra Porta, altre volte in grado di avvantaggiarsi della
benevolenza degli amministratori locali . I contatti fra la Palestina
e le comunità della Diaspora vennero però mantenuti attraverso
apposite istituzioni localizzate nelle città di Gerusalemme, Safed,
Hebron e Tiberia, quest'ultima ricostruita nel 1740 con il non
indifferente contributo della popolazione ebraica. Il legame fra il
popolo di Giuda e la Palestina non si era infatti incrinato
nonostante fossero trascorsi oltre millecinquecento anni dalla
distruzione del Tempio di Gerusalemme. A rinsaldarlo accorsero, sul
finire del XVIII secolo, i primi rifugiati dalle comunità
ashkenazite dell'Est Europa.
Stanziatisi principalmente nella
Galilea, i Hassidim, il gruppo più zelante fra il variegato universo
della fede israelita, tornarono in Palestina a partire dal 1777. Di
lì a pochi anni la Rivoluzione Francese e le campagne napoleoniche
avrebbero sconvolto l'assetto politico mondiale aprendo la strada
all'influenza delle grandi potenze europee nel Medio Oriente e a una
nuova fase della storia del popolo ebraico. Napoleone abolì infatti
i ghetti, ed emancipò gli ebrei e dato loro la cittadinanza. Molti
ebrei accettano di essere “assimilati”, e cioè di diventare
francesi, italiani, inglesi ecc. Una minoranza, costituita dai più
legati alla fede e alle tradizioni, non vide di buon occhio questa
rottura della comunità. L’assimilazione non fu quindi un processo
che si verificò tranquillamente senza tensioni. Non era infatti
morto il vecchio odio antiebraico (cfr nota 1), e accanto ad esso
nasceva un antisemitismo più “moderno”, che pretendeva di
fondarsi su assurdi argomenti “scientifici” derivati dal
positivismo. In Francia nel 1894, un ufficiale ebreo, Alfred Dreyfus,
venne accusato ingiustamente di tradimento e tenuto in galera
sull’isola del Diavolo per cinque anni. Il caso fece discutere
tutta la Francia.
È proprio l’affare Dreyfus a far
pensare l’ebreo ungherese Theodor Herzl e ad indurlo a fondare il
sionismo. Il sionismo è un movimento per la riunificazione degli
ebrei della diaspora in uno stato ebraico in Palestina. Il nome del
movimento deriva da Sion, la collina su cui era edificato il tempio
di Gerusalemme. Nato alla fine dell’ottocento, il suo scopo era il
ritorno degli ebrei a Gerusalemme perché potessero avere una patria
e governarsi da sé. Fu tra la fine del XIX e l’inizio del XX
secolo iniziarono a migrare in Palestina alcune migliaia di ebrei,
grazie all’aiuto finanziario di facoltose personalità delle
precedenti diaspore, come il banchiere tedesco Rothschild. Sorto nel
XIX secolo il sionismo culminò nel 1948 con la nascita dello stato
di Israele (cfr. nota 2).
Bene, siamo qui arrivati al momento
“critico”, analizziamo quindi con cura, attraverso il testo dei
“comunicati stampa” ufficiali del periodo (e non attraverso il
“sentito dire”) come avvenne questa nascita. Vi prego di leggere
tutto con estrema attenzione:
18 FEBBRAIO 1947 - Londra - La
questione palestinese va all'ONU. - Il ministro degli esteri
britannico Bevin ha annunciato oggi ai Comuni la decisione del
governo britannico di deferire all'Onu la questione della Palestina.
E ha dichiarato che il fallimento della conferenza è dovuto
all'atteggiamento irresponsabile degli arabi e degli ebrei e che
nessuna soluzione appare per il momento possibile (Comun. Ansa del 18
febbraio 1947, ore 18,45)
2 APRILE 1947 - I cinque Grandi
chiedono una sessione speciale. Le grandi potenze hanno convenuto che
una speciale sessione dell'Assemblea Onu venga dedicata alla
discussione della questione palestinese.(Ib ore 20.40)
27 APRILE 1947 - Gli Ebrei in guerra
con i britannici. - Gerusalemme - Da fonte ben informata si è
appreso che le due principali organizzazioni terroristiche ebraiche,
la banda Stern e la Irgum Zwei Leumi - stanno progettando (con i
medesimi Arabi !) un'intima collaborazione nella loro "guerra"
con i britannici in Palestina. Nella città araba di Giaffa sono
stati distribuiti volantini che incitano gli arabi a collaborare con
questi ebrei contro l'imperialismo britannico in Palestina (Ib. ore
20.30).
10 OTTOBRE 1947 - Il segretario
generale della Lega Araba, Azzam pascià, ha dichiarato che le truppe
egiziane e siriane sono in marcia verso i confini della Palestina,
pronte a dare agli arabi palestinesi (e agli ebrei !) gli aiuti
militari, morali ed economici necessari nell'eventualità
dell'evacuazione degli inglesi" (Ib. ore 10,15)
30 NOVEMBRE 1947 - Flushing Meadows .
L'ONU APPROVA LA SPARTIZIONE DELLA PALESTINA. - L'ASSEMBLEA GENERALE
DELLA NAZIONI UNITE HA APPROVATO OGGI CON 33 VOTI FAVOREVOLI, 13
CONTRARI E 10 ASTENSIONI IL PIANO PER LA SPARTIZIONE DELLA PALESTINA
(IB. ORE 00,30). LA VOTAZIONE È AVVENUTA PER CHIAMATA. PRIMA
INTERPELLATA LA FRANCIA, CHE NEL SILENZIO PIÙ ASSOLUTO DELLA SALA HA
RISPOSTO "SÌ". QUESTA RISPOSTA INASPETTATA È STATA
ACCOLTA DA UNO SCROSCIO DI APPLAUSI. HANNO VOTATO CONTRO AFGHANISTAN,
CUBA, EGITTO, INDIA, IRAN, IRAQ, LIBANO, PAKISTAN, ARABIA SAUDITA,
FRA GLI ASTENUTI, INGHILTERRA, JUGOSLAVIA, MESSICO, HONDURAS,
ETIOPIA, SALVADOR, COLOMBIA, CINA, CILE, ARGENTINA. (IB. ORE 10.50)
(cfr. Nota 3)
A questo punto che accade?
IMMEDIATAMENTE LA LEGA ARABA DICHIARA
GUERRA AL NEONATO STATO.
Anche a questo proposito, quindi,
basiamo la nostra analisi sul testo dei comunicati stampa:
30 NOVEMBRE 1947 - Il Cairo - Il
segretario della Lega Araba, Azzam pascià, ha dichiarato che la
decisione della partizione "darà fuoco al Medio Oriente",
aggiungendo " Il destino della Palestina si deciderà in
Palestina. Gli arabi sono capaci di ogni sacrificio" (Comun.
Ansa del 30 nov ore 22.15).
8 DICEMBRE 1947 - Gerusalemme - Gli
inglesi cominciano ad andarsene. - Secondo notizie raccolte della New
York Herald Tribune, l'amministrazione britannica in Palestina
avrebbe deciso di iniziare il 15 corrente l'evacuazione delle forze
di polizia e delle truppe da Tel Aviv e da Giaffa. (Ib. ore 14.45).
12 DICEMBRE 1947 - Londra - Bevin
annuncia la fine del mandato inglese. Il ministro degli esteri
britannico ha dichiarato ai Comuni che la Gran Bretagna considera il
15 maggio 1948 come termine ultimo per la rinuncia del suo mandato
sulla Palestina (Ib. ore 16.50).
17 DICEMBRE 1947 - Il Cairo - I CAPI
ARABI SI ACCORDANO ALLA RIUNIONE TERMINATA OGGI. HANNO RAGGIUNTO "UN
ACCORDO COMPLETO PER IMPEDIRE CON TUTTI I MEZZI LA SPARTIZIONE DELLA
PALESTINA. ALCUNI SCONTRI SONO GIÀ COMINCIATI SIN DAL 30 NOVEMBRE
1947: SUBITO DOPO L'ADOZIONE DEL PIANO DI SPARTIZIONE DA PARTE
DELL'ONU. (Ib. ore 20.40).
2 APRILE 1948 - Lake Success - La
questione torna all'ONU. Il consiglio di sicurezza ha approvato
questa sera all'unanimità la proposta americana per una tregua in
Palestina. Il Consiglio ha deciso di convocare per il 16 aprile una
sessione speciale dell'assemblea generale sulla questione
palestinese. (Ib. ore 00.30).
SULLA QUESTIONE ISRAELE-ARABO LA
POSIZIONE DEL CREMLINO È BIZANTINA: LA PRAVDA HA SCRITTO CHE "L’URSS
SOSTIENE L’INDIPENDENZA DEI POPOLI ARABI, MA DEV'ESSERE PERÒ
CHIARO CHE GLI ARABI NON SI BATTONO OGGI PER I LORO INTERESSI
NAZIONALI E PER LA LORO INDIPENDENZA MA CONTRO IL DIRITTO DEGLI EBREI
A COSTITUIRE UN LORO STATO INDIPENDENTE. L’OPINIONE PUBBLICA
SOVIETICA NON PUÒ QUINDI CHE CONDANNARE L’AGGRESSIONE ARABA CONTRO
ISRAELE". La situazione è tesissima. La propaganda sugli arabi
rimasti in territorio israeliano è tambureggiante e ha un certo
gioco soprattutto a causa di un tragico incidente accaduto nella
notte del 10 aprile 1948.
10 APRILE 1948 - STRAGE A DEIR YASSIN -
"Tel Aviv -Forze miste dell'Irgun Zvei Leumi e della Banda Stern
hanno tentato nella notte di sgombrare il villaggio arabo di Deir
Yassin, lungo la strada per Gerusalemme, considerato una posizione
strategica vitale. Dopo un parziale sgombero e una finta resa, sono
state attaccate, perdendo il 40 per cento degli effettivi. Hanno
reagito sparando all'impazzata, uccidendo 250 arabi fra armati e
civili. Fra i cadaveri si scoprono anche corpi di donne e bambini
(Comun. Ansa, del 10 aprile, ore 12.30)
"L'HAGANÀ, PER ORDINE DI BEN
GURION CHE GIÀ MAL SOPPORTAVA LE DUE FORMAZIONI IRREGOLARI... ENTRÒ
NEL VILLAGGIO INGIUNGENDO ALL’IRGUN DI ABBANDONARLO. PIÙ TARDI BEN
GURION SCIOGLIERÀ LE DUE FORMAZIONI INCORPORANDOLE NELL’ESERCITO.
LA RADIO EBRAICA È LA PRIMA A DARE L'ANNUNCIO: "NON VOGLIAMO
PIÙ VITTORIE COME QUELLA DI DEIR YASSIN". BEN GURION TELEGRAFA
ALL’EMIRO ABDULLAH DI TRANSGIORDANIA ESPRIMENDO "LA SUA
PROFONDA RIPROVAZIONE" PER IL MASSACRO E IL GRAN RABBINO DI
GERUSALEMME NE MALEDICE GLI AUTORI. "NONOSTANTE LA DEPLORAZIONE
UFFICIALE DA PARTE EBRAICA E LA SINCERA UNANIME CONDANNA CHE SI LEVÒ
DAL PAESE, POCHI GIORNI DOPO, IL 13 APRILE, FORZE ARABE DAVANO UNA
RISPOSTA NON MENO CRUDELE... A UN CONVOGLIO DI MEDICI E INFERMIERI
CHE SI STAVANO RECANDO ALL’OSPEDALE DI MONTE SCOPUS, CHE DOMINA LA
CITTÀ DI GERUSALEMME, FU TESO UN AGGUATO. CIRCONDATI, FURONO TUTTI
MASSACRATI CON BOMBE A MANO E FUCILI MITRAGLIATORI. RESTARONO SUL
TERRENO 77 MORTI, TUTTI EBREI, TUTTI MEDICI E SANITARI CHE CORREVANO
IN SOCCORSO DI MALATI E FERITI. MOLTI DEGLI UCCISI ERANO
MIRACOLOSAMENTE SFUGGITI AI CAMPI DI STERMINIO NAZISTI (COME
L'ITALIANA ANNA DI GIOACCHINO CASSUTO) E ALCUNI DI ESSI ERANO GIUNTI
DA POCHI GIORNI IN TERRA D'ISRAELE. FRA LE VITTIME UN ILLUSTRE
PIONIERE DELLA PSICANALISI ITALIANA, IL FIORENTINO PROFESSOR ENZO
BONAVENTURA".
Gli arabi sfruttano così la strage di
Deir Yassin, per seminare anche il terrore nella loro stessa
popolazione musulmana e convincerla ad abbandonare (dicono
temporaneamente) i territori controllati dagli ebrei. È un grande
esodo. Lunghe colonne di arabi lasciano Haifa, Safed, Tiberiade,
Jaffa: dal 15 aprile al 15 maggio del 1948 fuggono 250.000 arabi. Che
non saranno certo sistemati dignitosamente, non avranno condizioni di
vita civili, ma verranno ammassati in campi profughi formati da
tende, dove vegeteranno in condizioni penose, privi di avvenire.
Naturalmente il malcontento, la tensione provocate da questa
situazione verranno indirizzate dalla propaganda degli alti comandi
arabi verso l’Yshuv.
13 APRILE 1948 - Gerusalemme - Nasce il
primo governo ebraico. L'Agenzia ebraica ha annunciato oggi
ufficialmente la formazione di un gabinetto formato da 13 membri; un
capo del governo e 12 ministri - che "costituirà l'organo
centrale del progettato stato ebraico in Palestina. (Ib. ore 16.50).
15 APRILE 1948 - Il Cairo - I
CRISTIANI CONTRO LA SPARTIZIONE - Il Patriarca, i vescovi e i capi
delle comunità religiose cristiane in Palestina hanno deciso di
rendere noto alla Lega Araba che nell'interesse dei Luoghi Santi e
dei Cristiani in Palestina, essi chiedono l'abbandono del progetto di
spartizione. (Ib. ore 10.20)
(PER LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA I
CRISTIANI SI SCHIERANO CON GLI ARABI - GLI EX INFEDELI).
QUINDI NON È VERO CHE TUTTI GLI STATI
DEL MONDO ERANO FAVOREVOLI AL NUOVO STATO D´ISRAELE. IL VATICANO (E
NON SOLO QUESTO) AD ESEMPIO HA MOSTRATO SEMPRE DUBBI SULLA COSA,
TANTO DA NON RICONOSCERE LO STATO D'ISRAELE FINO A NON MOLTO TEMPO FA
(30 DICEMBRE 1993).
17 APRILE 1948 - (ore 11.45) - Il
Consiglio di sicurezza ha votato una mozione per la tregua tra arabi
e ebrei.
24 APRILE 1948 - (ore 18.15) - L'Onu
costituisce una commissione di tregua tra arabi e ebrei.
26 APRILE 1948 - (ore 12.25) - Si
concentrano le forze arabe. Truppe dell' Iraq sono penetrate in
Palestina.
27 APRILE 1948 - (ore 10.50) -
Violenti combattimenti a Haifa, Giaffa, Acri, e altre località della
Palestina. I britannici - secondo un comunicato - avrebbero aperto un
violento fuoco di mitragliatrici contro le forze delle organizzazioni
ebraiche penetrate in Giaffa. Truppe irachene combatterebbero a
fianco di truppe della Legione araba. IL PIROSCAFO "CASTEL"
CON A BORDO 600 IMMIGRATI EBREI È STATO ABBORDATO AL LARGO DELLE
COSTE PALESTINESI DA UN CACCIATORPEDINIERE BRITANNICO. A NICOSIA
DAGLI INGLESI È STATA ANCHE INTERCETTATA LA NAVE "EXODUS"
CON A BORDO 793 IMMIGRATI (ORE 11.05).
DOPO VARI GIORNI IN BALIA DEL MARE, LA
NAVE EXODUS VIENE RIMANDATA SOTTO SCORTA AD AMBURGO.
UN FATTO CHE LASCIA ESTERREFATTI GLI
STESSI TEDESCHI. UN EPISODIO CHE PORTA L’YSHUV ALLA DECISIONE
INEVITABILE: ORGANIZZARE LA RESISTENZA PER LIBERARE IL TERRITORIO DAL
DOMINIO INGLESE. E' L'UNICO MODO PER CONQUISTARE L’INDIPENDENZA
DEFINITIVA E DAR MODO AGLI EBREI DELLA DIASPORA, AI VARI PROFUGHI, DI
TORNARE IN ISRAELE.
E resistenza è, dura e decisa: la conducono
l’Haganà, l'Irgun Zvai Leumi (Organizzazione militare nazionale) e
il Lohamei Herut Ìsrael (Combattenti d'Israele per la libertà)
(entrambe considerate dagli inglesi delle bande terroristiche). Le
organizzazioni agiscono indipendentemente, ma ognuna di loro conduce
con maestria una guerriglia che, per la fulminea mobilità dei
commandos, per l’intelligenza tattico-strategica con la quale
questa task force si muove sui terreni più difficili, mette in
ginocchio le truppe inglesi. Da queste tre organizzazioni, quando
l'appena sorto stato ebraico si troverà davanti all'attacco arabo,
nasceranno le regolari Forze di difesa israeliane.
28 APRILE 1948 - (ore 10.20) - I primi
profughi palestinesi sono già arrivati in Egitto, completamente
sprovvisti di mezzi di sostentamento. Il governo egiziano ha
istituito un comitato di soccorso e ha stanziato 10 mila sterline per
i primi aiuti ai fuggiaschi.
14 MAGGIO 1948 - - TEL AVIV - GLI
EBREI PROCLAMANO LO STATO DI ISRAELE - "La Costituzione dello
Stato Ebraico è stata proclamata nel pomeriggio di oggi a Tel Aviv
nel corso di una solenne cerimonia,. Il proclama ufficiale dice: "Noi
membri del Consiglio nazionale che rappresenta il popolo ebraico in
Palestina e il movimento ebraico nel mondo, riuniti in solenne
assemblea nel giorno della scadenza del mandato britannico sulla
Palestina, per virtù dei diritti naturali e storici del popolo
ebraico, in forza della risoluzione dell'assemblea generale dell'Onu,
proclamiamo la costituzione di uno stato ebraico in Palestina, che
prenderà il nome di ISRAELE." (Comun. Ansa, 14 maggio 1948, ore
16.45).
NASCE IL GOVERNO d'ISRAELE - Gli Ebrei
agiscono subito, senza aspettare l'ONU. Il Consiglio nazionale
ebraico assume provvisoriamente funzioni di governo dello Stato di
Israele. BEN GURION sarà il primo ministro e ministro della difesa
(Ib. ore 22.00)".
BEN GURION riuscì a fare un distinguo
sul movimento. Tutti gli ebrei della diaspora sparsi per il mondo
erano sì "sionisti" cioè "Amici di Israele", ma
considerava sionisti in senso stretto soltanto gli ebrei che si erano
trasferiti o si volevano trasferire in Palestina.
Inutile dire che queste dispute di
carattere politico e religioso (appoggiando il nuovo governo una o
l'altra fazione) crearono divisioni dentro lo stesso stato di Israele
mentre era in fase di realizzazione la grande opera concepita da
Herzl.
Ben Gurion verrà poi eletto primo
ministro prima nel governo provvisorio poi riconfermato in quello
ufficiale. Ma le due fazioni continueranno reciprocamente nelle loro
ostilità. La più moderata esprime dei dubbi su questa decisione,
nel voler ignorare così ostentatamente una decisione dell'ONU. E che
il nuovo Stato parte debole, è accerchiato dagli Arabi, e inizia a
farsi nemici in tutto il mondo per lo schiaffo che si vuol dare alle
Nazioni Unite. Ben Gurion, sicuro di sè, tranquillizza (sa di avere
l'appoggio degli Stati Uniti, ma anche della Russia (sempre contro il
colonialismo inglese in Medio Oriente)
15 MAGGIO 1948 - Stati Uniti . IL
PRESIDENTE TRUMAN DETIENE IL RECORD NEL RICONOSCIMENTO DEL NUOVO
STATO; HA FIRMATO IL DECRETO CON CUI RICONOSCE UFFICIALMENTE IL NUOVO
STATO EBRAICO IN QUANTO AUTORITÀ "DE FACTO" IN TERRA
SANTA. - BEN GURION, HA INSOMMA AVUTO RAGIONE. HA DALLA SUA PARTE UNA
GRANDE POTENZA. (IB. ORE 02.40).
E SE TRUMAN NON DECIDEVA SUBITO, ERA
PRONTO STALIN, L'ALTRA GRANDE POTENZA CHE RICONOSCE LO STATO
D'ISRAELE DUE GIORNI DOPO, IL 17 MAGGIO, OVVIAMENTE IN FUNZIONE DEL
PREDOMINIO BRITANNICO NEL MEDIO ORIENTE. GLI ALTRI STATI SI ADEGUANO,
NON POSSONO COMPORTARSI DIVERSAMENTE. SALVO LA SANTA SEDE, CHE NON
VUOLE EBREI IN TERRASANTA.
15 MAGGIO 1948 - L'Egitto è in guerra.
L'ordine del primo ministro Nokrashi pascià, in un messaggio alla
radio ha ordinato alle forze armate egiziane di entrare in
Palestina per ristabilirvi la sicurezza. (Ib. ore 02.45).
15 MAGGIO 1948 (ore 06.00)- SUBITO DOPO
LA PROCLAMAZIONE DELLO STATO D'ISRAELE, SCOPPIA LA PRIMA GUERRA
ARABO-ISRAELIANA. GLI ESERCITI DELLA TRANSGIORDANIA, DELL'EGITTO E
DELLA SIRIA, CON L'APPOGGIO DI CONTINGENTI LIBANESI E IRACHENI, SONO
ENTRATE NEL TERRITORIO PALESTINESE "PER MANTENERE L'ORDINE E LA
PACE E PER SALVARE I LUOGHI SANTI DALLE VIOLENZE E UMILIAZIONI DEGLI
EBREI".
IN REALTÀ GLI SCONTRI ERANO GIÀ
COMINCIATI SIN DAL 30 NOVEMBRE 1947: SUBITO DOPO L'ADOZIONE DEL PIANO
DI SPARTIZIONE DA PARTE DELL'ONU. DA PARTE ARABA SI RIFIUTAVA LA
SPARTIZIONE E LA CONSEGUENTE CREAZIONE DI UNO STATO EBRAICO; DA PARTE
EBRAICA, ANCHE SE SI ACCETTÒ LA DECISIONE DELL'ONU, SI SPERAVA DI
MIGLIORARLA, AUMENTANDO, COSÌ, LA SUPERFICIE DI ISRAELE. ED INFATTI
-COME VEDREMO- CON QUESTA PRIMA INVASIONE GLI ISRAELIANI RESPINSERO
LE FORZE ARABE ED ESTESERO IL TERRITORIO A LORO DESTINATO DALL'ONU
NEL 1947.
15 MAGGIO 1948 - TEL AVIV È STATA
BOMBARDATA STAMATTINA ALL'ALBA DA TRE APPARECCHI ARABI.(IB. ORE
09.00). MASSACRO A KFAR ETZION ANCORA COME RAPPRESAGLIA ALLA STRAGE
DI DEIR YASSIN DEL 10 APRILE, GLI ARABI HANNO MASSACRATO L'INTERA
POPOLAZIONE DELLE COLONIE EBRAICHE DI KFAR ETZION, A SUD DI
GERUSALEMME" (Ib. ore 14.25)
Il precedente massacro di Deir Yassin
ha comunque provocato delle reazioni nella popolazione araba che,
come detto, ha dato il via a una fuga di massa degli Arabi dalla
parte della Palestina di cui l'Onu prevede l'attribuzione agli ebrei.
La Jewish Agency di Ben Gurion lancia
agli arabi un appello perchè rimangano, dicendo che la loro
esistenza è garantita dentro lo Stato ebraico.
17 MAGGIO 1948 - (ore 23.35) - Radio
Mosca annuncia che il governo sovietico ha riconosciuto ufficialmente
lo stato di Israele. La Russia si è convinta che il nuovo Stato
Ebraico che sorgerà riuscirà a far breccia nel tradizionale
predominio britannico nel Medio Oriente. - Ben Gurion ha avuto
un'altra volta ragione, ha pure Stalin dalla sua parte. E gli altri
Stati occidentali seguono le due grandi potenze.
28 MAGGIO 1948 - (ore 11.30) Termina la
battaglia per la vecchia Gerusalemme. Il quartiere ebraico della
città si è arreso oggi alla Legione Araba dopo 12 giorni di
accanita resistenza. Il numero degli ebrei che si sono arresi ammonta
a 1500.
Rabin è impegnato in questa battaglia
per Gerusalemme; proprio lui che è nato a Gerusalemme a 26 anni si
trova sulle spalle la responsabilità di salvare la vita di decine di
migliaia di persone e di difendere la città più cara alla storia
ebraica. La città che le Nazioni Unite avrebbero voluto porre sotto
amministrazione internazionale ma che poi, in pratica, hanno
abbandonato alle sorti della guerra.
1 GIUGNO 1948 - (ore 12.20)
Controffensiva ebraica. E' stata bombardata Amman, capitale della
Transgiordania, da forze ebraiche, colpiti obiettivi militari. (ore
24.00) Bernadotte (mediatore dell'Onu) ha proposto una tregua in
Palestina che cominci alle ore 8 di venerdi 11 giugno.
9 GIUGNO 1948 - (ore 16.30) La tregua è
accettata. Da buona fonte si apprende che sia arabi che ebrei hanno
dato riposta positiva alle proposte di tregua di Bernadotte.
11 GIUGNO 1948 - (ore18.10) Il fuoco è
cessato, ma in altri settori del Paese gli scontri continuano.
12 GIUGNO 1948 - - (ore 08.10) Da
Marsiglia sono partiti armi e volontari con la nave "Altalena"
battente bandiera panamense. I volontari sono polacchi, francesi,
americani, britannici, ungheresi, cechi, austriaci e tedeschi. Pare
che si tratti di ebrei ex internati nel campo di Belsen.
22 GIUGNO 1948 - (ore 18,20) Primi
conflitti interni in Israele. Una tensione dovuta al conflitto tra il
governo provvisorio d'Israele e le bande di Irgun Zvei Leumi e quelle
di Stern; entrambe antigovernative.
25 GIUGNO 1948 - (ore 20.30) - Compare
BEGIN, il comandante delle truppe israeliane irregolari dell'Irgun.
Non riconosce il governo provvisorio, ne chiede lo scioglimento, e
minaccia con le sue forze di intervenire.
29 GIUGNO 1948 - (ore 01.00) - Trapela
il "Piano di Bernadotte". In alcuni punti principali si
apprende 1) mantenimento di uno stato ebraico più ridotto; 2)
Mantenimento dell'unità palestinese tra la zona ebrea e quella
araba; 3) Libertà d'immigrazione senza limiti nella zona ebraica; 4)
Statuto internazionale e corridoi di accesso a Gerusalemme.
Alle ore 12.43, dello stesso giorno 29
GIUGNO si conclude l'evacuazione delle truppe inglesi dalla
Palestina, con l' ammaino della bandiera britannica. Termina
ufficialmente dopo 25 anni l'occupazione britannica.
3 LUGLIO 1948 - (ore 24.00) - La lega
araba ufficialmente rifiuta il piano del mediatore Onu Bernadotte.
6 LUGLIO 1948 - (ore 14.35) - Anche il
Consiglio di stato d'Israele ha deciso di respingere completamente le
proposte di pace fatte dal mediatore delle Nazioni Unite, conte
Bernadotte.
9 LUGLIO 1948 (ore 10.20) - La guerra
riprende. Arabi ed ebrei hanno stamani riaperto le ostilità e il
fuoco.
9 AGOSTO 1948 - (ore 14.00) - Israele
propone nuovamente un negoziato di pace, ancora una volta tramite il
mediatore ONU Bernadotte.
10 AGOSTO 1948 - (ore 23.00) - La Lega
Araba respinge le proposte di pace avanzate dal governo Israele,
perchè -affermano- non riconoscendo il governo non possono di
conseguenza entrare in simili trattative.
17 SETTEMBRE 1948 - (ore 21.00) - Il
mediatore di pace dell'Onu BERNADOTTE è stato assassinato oggi alle
ore 12.00 a Gerusalemme assieme al colonnello Serot osservatore delle
Nazioni Unite.
16 NOVEMBRE 1948 - (ore 15.00) - L'ONU
ordina un armistizio. 8 voti contro 1 (Siria) mentre Urss e Ucraina
si sono astenute.
7 GENNAIO 1949- (ore 14.00) - Alle ore
13.00 il governo di Israele ha dato ordine a tutte le sue forze di
terra, di mare e d'aria di cessare il fuoco.
13 GENNAIO 1949 - (ore 15.00) - Si
comincia oggi a Rodi a negoziare. BUNCHE ha sostituito Bernadotte.
17 FEBBRAIO 1949 - (ore 08.00) - Ieri
sera è stato eletto Presidente dello Stato di Israele CHAIM
WEIZMANN.
24 FEBBRAIO 1949 - (ore 01.00) - Rodi:
La Reuter informa che è stato firmato oggi un armistizio generale
fra l'Egitto e lo Stato d'Israele.
20 MARZO 1949 - (ore 20.00) - Accordo
armistiziale fra Israele e lo stato del Libano. Mercoledì la firma.
3 APRILE 1949 - (ore 22.00) - Firmato
l'armistizio anche fra Israele e i rappresentanti della
Trangiordania.
20 LUGLIO 1949 - (ore 11.00) -
Cerimonia ufficiale oggi per la firma fra Siria e Israele dopo mesi
di negoziati
E' da qui, nonostante gli armistizi
siglati e non rispettati, che guerra dopo guerra, battaglia dopo
battaglia, inizia la lunga serie di sconfitte militari subite dagli
arabi da parte degli Israeliani. Cominciano a nascere così i primi
campi profughi. Questi vengono allestiti in Libano, Siria e Giordania
con al loro interno quasi due milioni di persone povere, turbolente
ed invise anche agli arabi locali TANTO CHE NEL SETTEMBRE 1973 I
GIORDANI VI MASSACRANO MIGLIAIA DI PALESTINESI.
La vita dei Palestinesi in tali campi
si trasforma presto in un inferno e così, del resto, continua ad
esserlo ancora oggi.
Altra guerra nel 1956 con relativa
altra vittoria di Israele e così via fino alla guerra dei sei giorni
(1967) quando solo l'intervento internazionale ferma la incontenibile
avanzata di Israele verso i paesi arabi limitrofi (in particolare
l'Egitto). Suddetta guerra è da molti imputata ad un attacco
proditorio da parte di Israele nei confronti dell'Egitto, ma come al
solito la disinformazione la fa sempre da padrona per cui nessuno si
prende mai la briga di ricordare che nel maggio 1967 Nasser ricevette
falsi rapporti dall'Unione Sovietica secondo i quali Israele stava
ammassando truppe al confine siriano; Nasser iniziò allora ad
ammassare truppe nella Penisola del Sinai, lungo il confine
israeliano (16 maggio) ed espulse la forza UNEF da Gaza e dal Sinai
(19 maggio) occupando le posizioni dell'UNEF a Sharm el-Sheikh, sugli
Stretti di Tiran.
Israele allora ripeté le dichiarazioni
fatte nel 1957, secondo le quali una chiusura degli stretti sarebbe
stato considerato un atto di guerra o comunque una giustificazione
per la guerra.
Nasser di contro, dichiarò gli Stretti
chiusi alle navi israeliane il 22-23 maggio. Immediatamente dopo il
30 maggio, la Giordania e l'Egitto firmarono un patto di mutua
difesa. Il giorno successivo, dietro invito giordano, anche
l'esercito iracheno iniziò a schierare truppe e unità corazzate in
Giordania, con un successivo rinforzo di un contingente egiziano.
Soltanto allora, considerato il precipitare degli eventi, in data Iº
giugno, Israele formò un governo di unità nazionale allargando il
gabinetto e, solo il 4 giugno, dopo aver preso definitivamente
coscienza dei rischi che lo Stato d'Israele stava correndo visto
l'allargamento dell'alleanza araba, fu presa la decisione di aprire
le ostilità. Il mattino successivo quindi, Israele lanciò
l'Operazione Focus, e un attacco aereo a sorpresa a larga scala,
sancì l'inizio della Guerra dei sei giorni.
A questo punto l'ONU emise la famosa
risoluzione 242 ove si chiedeva il ritiro di Israele dai territori
occupati e che segnò la nascita dell'OLP (cfr. Nota 4).
Nel 1973 gli arabi ci riprovano di
nuovo e, questa volta, a tradimento (la famosa guerra del Kippur) con
il solito risultato disastroso di una sonora sconfitta e con il
solito intervento affannoso dell'ONU che ferma le truppe israeliane
ormai dirette a un tranquillo week end alle piramidi di El Giza
Nel 1993 gli accordi di Oslo, firmati a
Washington, sancirono nuovamente l'applicazione della risoluzione
242.
Ora è necessario però spiegare meglio
cosa sia questa “risoluzione” visto che pare essere uno dei
principali oggetti del contendere.
Dunque, il 22 novembre 1967,
all’indomani della Guerra dei Sei Giorni, il Consiglio di Sicurezza
della Nazioni Unite adottò la risoluzione 242. Essa fu
internazionalmente riconosciuta come la base giuridica dei negoziati
tra Israele e i vicini arabi. Fu il risultato di cinque mesi di
intense trattative. Ogni sua parola fu attentamente soppesata. Da
allora, per i successivi quarant’anni, la 242 ha rappresentato la
cornice legale per una soluzione di pace del conflitto
arabo-israeliano. La 242 è infatti la sola risoluzione del Consiglio
di Sicurezza che sia stata accettata da tutte le parti del
contenzioso come base per la ricerca della pace: sia i due accordi di
pace rispettivamente con Egitto e Giordania, sia gli accordi ad
interim di Oslo con l’Olp si fondano infatti sulla 242.
Purtroppo i siti di “disinformazione
scorretta” e di propaganda filo-araba forniscono quotidianamente
un' interpretazione completamente errata della succitata risoluzione
242, e sostengono che essa prescriverebbe il ritiro di Israele sulle
linee del 4 giugno 1967 (i ‘confini indifendibili’),
‘restituendo’ cioè Gaza (ad oggi già ceduta) e la West Bank.
Questo modo di informare scorrettamente
alimenta la leggenda che Israele non rispetti le risoluzioni dell’Onu
(cfr. nota 5), sostenendo che Israele le violerebbe dal momento
che,nonostante la 242, non si è ritirato da tutti i territori
conquistati nel 1967.
LA VERITÀ È INVECE BEN DIVERSA: LA
RISOLUZIONE 242 NON CHIEDE AFFATTO A ISRAELE DI RITIRARSI
UNILATERALMENTE E SENZA CONDIZIONI.
La 242 infatti è composta da due
parti:
A) I paesi coinvolti nel conflitto
devono negoziare la pace e riconoscersi a vicenda.
B) Israele deve operare un ritiro (ma
non è non definito).
Il primo punto espresso dalla
risoluzione riguarda la ‘inammissibilità dell’acquisizione di
territori mediante la guerra’. Alcuni interpretano questo come a
voler dire che Israele dovrebbe ritirarsi da tutti i territori
conquistati durante la sua difesa. Al contrario, il riferimento si
applica chiaramente solo ad una guerra offensiva. Se così non fosse,
la risoluzione sarebbe di fatto un incentivo alle aggressioni. Se un
paese ne attaccasse un altro, e il difensore respingesse l’attacco
acquisendo così nuovi territori, questa interpretazione
obbligherebbe il difensore a restituire all’aggressore tutti i
territori in questione. Ogni paese potrebbe attaccarne un altro e, in
caso di sconfitta, recuperare sempre e comunque tutto il suo
territorio, senza aver nulla da perdere.
NON DIMENTICHIAMOCI CHE LA GUERRA DEL
1968 FU SCATENATA UNILATERALMENTE DAGLI ARABI, CON L'INTENTO
DICHIARATO DI ANNIENTARE ISRAELE.
In secondo luogo, la 242 chiede il
“ritiro delle forze armate israeliane da territori (“FROM
TERRITORIES”) occupati nel recente conflitto”.
L’ARTICOLO DETERMINATIVO “I”
(“DAI TERRITORI”) O IL TERMINE “TUTTI” DAVANTI ALLA PAROLA
TERRITORI NON VENNERO INSERITI NELLA RISOLUZIONE. E NON SI TRATTÒ
CERTO DI UN ERRORE DI BATTITURA. LO SCOPO DEGLI ESTENSORI DEL TESTO
DELLA RISOLUZIONE, INFATTI, ERA CHIEDERE CHE ISRAELE SI RITIRASSE
SENZA INDICARE L’ESTENSIONE ESATTA DEL RITIRO: LA COSA VENIVA
LASCIATA AL NEGOZIATO FRA LE PARTI.
HUGH MACKINTOSH FOOT BARON CARADON CHE
INSIEME AD ALTRI DIPLOMATICI REDIGETTE LA BOZZA DELLA RISOLUZIONE
MISE BENE IN CHIARO, SUCCESSIVAMENTE, CHE QUESTA ERA ESATTAMENTE LA
LORO INTENZIONE.
ED ESSENDO LA RISOLUZIONE SCRITTA
OVVIAMENTE IN INGLESE L'ESPRESSIONE USATA PER IL RITIRO FU:
WITHDRAWAL [...] FROM TERRITORIES che alla lettera non è
assolutamente prescrittiva sui termini esatti del ritiro. I
DISINFORMATORI SI BASANO OVVIAMENTE SULLA TRADUZIONE DELLA
RISOLUZIONE IN FRANCESE DOVE L'ESPRESSIONE SI TRASFORMA IN: retrait
[...] des territoires che sembrerebbe implicare un ritiro integrale.
Tutto questo accade nonostante Lord
Caradon abbia dichiarato esplicitamente in un'intervista:
« La frase essenziale e mai abbastanza
ricordata e' che il ritiro deve avvenire su confini sicuri e
riconosciuti. Non stava a noi decidere quali fossero esattamente
questi confini. Conosco le linee del 1967 molto bene e so che non
sono un confine soddisfacente. »
Nonché anche l'allora Presidente degli
Stati Uniti, il democratico Lyndon Baines Johnson abbia sottolineato
come:
« Non siamo noi che dobbiamo dire dove
le nazioni debbano tracciare linee di confine tra di loro tali da
garantire a ciascuna la massima sicurezza possibile. È chiaro,
comunque, che il ritorno alla situazione del 4 giugno 1967 non
porterebbe alla pace. Devono esservi confini sicuri e riconosciuti. E
questi confini devono essere concordati tra i paesi confinanti
interessati. »
Tutto ciò avviene perché la parte
araba, di cui i siti di disinformazione sono portavoce, ha sempre
sostenuto che la risoluzione chiede a Israele di ritirarsi
completamente dai territori conquistati durante la guerra dei sei
giorni. A ‘riprova’, se ci fate caso, da costoro viene sempre
esibita SOLO ED UNICAMENTE la versione della risoluzione in lingua
francese.
I SOVIETICI, GLI ARABI E I LORO ALLEATI
FECERO DI TUTTO PER INSERIRE NELLA BOZZA DI TESTO DELLA RISOLUZIONE
LA PAROLA "TUTTI" DAVANTI AI "TERRITORI" DA CUI
ISRAELE DOVEVA RITIRARSI. MA LA LORO RICHIESTA FU RESPINTA. Alla
fine, lo stesso primo ministro sovietico Kossygin contattò
direttamente il presidente americano Lyndon Johnson per chiedere
l'inserimento della parola "tutti" davanti a "territori".
Anche questo tentativo fu respinto. Kossygin chiese allora, come
formula di compromesso, di inserire l'articolo determinativo ‘i’
davanti a "territori" ("dai territori" anziché
"da territori"). Johnson rifiutò rispondendo quanto già
citato sopra.
Subito dopo la Guerra dei Sei Giorni,
il primo ministro israeliano Eshkol chiarì la posizione di Israele,
ponendo le logiche condizioni per un negoziato:
"FINCHE' I NOSTRI VICINI
PERSISTERANNO NELLA LORO POLITICA DI BELLIGERANZA E CONTINUERANNO A
PROGETTARE LA NOSTRA DISTRUZIONE, NOI NON LASCEREMO I TERRITORI CHE
SONO ORA SOTTO IL NOSTRO CONTROLLO E CHE RITENIAMO NECESSARI PER LA
NOSTRA SICUREZZA E AUTODIFESA. SE INVECE I PAESI ARABI ACCETTERANNO
DI DISCUTERE DI PACE CON NOI DIRETTAMENTE, ALLORA NON VI SARÀ
PROBLEMA CHE NON POSSA ESSERE RISOLTO IN NEGOZIATI DIRETTI A
VANTAGGIO DI TUTTE LE PARTI".
(Sembra quasi di sentire dichiarazioni
attuali mi sembra, o no?
LA RISPOSTA ARABA NON SI FECE
ATTENDERE. IL 1 SETTEMBRE LA LEGA ARABA RIUNITA A KHARTOUM (SUDAN)
RIBADÌ ‘I TRE NO’: "NO AL RICONOSCIMENTO DI ISRAELE, NO AL
NEGOZIATO CON ISRAELE, NO ALLA PACE CON ISRAELE".
CUI PRODEST?
A chi giova tutto ciò?
Lo status quo, è scontato che faccia
comodo agli occidentali, e in particolare agli americani, perché una
forte potenza militare filo-occidentale e di frontiera è
assolutamente indispensabile nel tormentato Medio Oriente,
soprattutto se direttamente a ridosso degli stati arabi più fanatici
e più follemente integralisti. Ma nel contempo fa anche molto comodo
ai dirigenti delle organizzazioni palestinesi, Hamas compresa, perché
non ci avranno certo messo troppo tempo a capire quello che è ovvio:
la formazione dello Stato palestinese significherebbe inevitabilmente
la fine delle loro posizioni di privilegio, la fine di una situazione
che sotto certi aspetti è per loro una vera pacchia poiché oggi non
hanno certo la onerosa responsabilità di gestire una nazione che
sarà assolutamente ingestibile e possono invece pompare fiumi di
dollari dalle casse dei Paesi arabi vicini. Il giorno che si
realizzasse uno stato palestinese come farebbero i dirigenti
palestinesi e Hamas a mandare avanti una baracca che non potrà mai
funzionare e che ora, invece, così monca e incompiuta riesce a
convogliare aiuti da mezzo mondo e, in definitiva dollari?
Tra l'altro le terre reclamate dai
palestinesi, e delle quali comunque hanno già avuto dagli israeliani
la maggior parte di essi, consistono nella striscia di Gaza (sul
Mediterraneo), nella Cisgiordania (attorno al Mar Morto), di sei
città già tutte palestinesi (Qualqiliya, Jenin, Nablus, Tulkare,
Ramallah e Betlemme) sparse qua e là per Israele e di 400 villaggi
attorno alle città di cui sopra.
Il futuro stato palestinese, quindi,
consiste in due territori abbastanza estesi, di cui uno praticamente
desertico (Gaza) e l'altro in buona parte (la Cisgiordania) e di
qualche villaggio, cittadina o villaggio sparsi qua e là per lo
stato di Israele.
Il futuro stato palestinese, DICONO LE
FONTI PALESTINESI, potrebbe contare su un prodotto interno lordo di
240 milioni di dollari (numero molto importante che rappresenterebbe
poco più della decima parte del bilancio del Comune di Roma!).
Ammettiamo perciò che il funzionario palestinese abbia dimenticato
uno zero alla cifra che ha dichiarato, siamo sempre e comunque a
bilanci assolutamente ridicoli per uno Stato che voglia definirsi
tale o che, comunque voglia anche minimamente contrapporsi al suo
potente vicino che ha un PIL di 150 mila miliardi. Non credo si debba
essere degli esperti di politica per capire che uno Stato come
quello sognato dal popolo palestinese non potrà mai esistere se
nella sua forma e nei suoi confini non verrà ridiscusso soprattutto
con i Paesi Arabi confinanti.
Ma secondo voi è possibile che esista
uno Stato dove per andare da un posto all'altro ci vuole il
passaporto? Uno stato privo di un tessuto industriale, agricolo e
commerciale? Uno stato dove le merci per spostarsi dai luoghi di
produzione (ammesso che ne esista qualcuno) a quelli di
commercializzazione dovrebbero sottostare all'arbitrio del vicino?
Uno stato ove la erogazione dell'acqua è nel più completo arbitrio
di quello Stato che fino a poco tempo ha bombardato con razzi e
massacrato con attacchi terroristici, kamikaze e non, e che quindi
prima della fondazione del suo Staterello era il nemico? Uno stato
che non produce energia e dove, quindi, quando il povero palestinese
deciderà di accendere la lampadina dovrà pregare Allàh di far
alzare dal letto per il verso giusto il gestore israeliano della più
vicina centrale elettrica? E questo sarebbe uno Stato indipendente?
Ma non basta: l'impossibilità di
gestire le reti elettriche, idriche, stradali e ferroviarie del loro
futuro Stato li porterebbe ad un asservimento assoluto agli arbitrii
degli israeliani; molto peggio di come accade oggi.
SI, PERCHÉ OGGI GLI ISRAELIANI SONO I
SOLI CHE ASSICURANO UN MINIMO DI SOPRAVVIVENZA ALLA POPOLAZIONE
PALESTINESE E UN MINIMO DI ISTRUZIONE E DI ASSISTENZA.
Gli Stati arabi si limitano a
finanziare Hamas e chiunque sia disposto a portare avanti la guerra
ad Israele, punto e basta. Dei palestinesi non gliene può fregar di
meno.
SONO STATI INFATTI GLI STESSI LEADERS
ARABI A NEGARE L’ESISTENZA DI UN POPOLO ARABO PALESTINESE DISTINTO,
ANZI A RIGETTARE PERFINO L’INDENTIFICAZIONE DI QUELLA REGIONE CON
IL NOME DI PALESTINA! Gli arabi in ‘Palestina’ erano perlopiù
immigrati siriani, e giustamente non si consideravano (e rifiutavano
di essere considerati) come un’entità separata dagli arabi degli
stati limitrofi. A questo proposito cito un po' di dichiarazioni di
fonte araba:
Auni Bey Abdul-Hadi, un leader arabo
locale, dichiarò alla Commissione Peel nel 1937:
"Non esiste alcun paese noto come
[Palestina]! ‘Palestina’ è un termine che i sionisti hanno
inventato! Non c’è alcuna ‘Palestina’ nella Bibbia. Il nostro
paese è stato per secoli parte della Siria”.
Il rappresentante dell’Alto Comitato
Arabo alle Nazioni Unite rilasciò la seguente dichiarazione durante
l’Assemblea Generale svoltasi a maggio del 1947:
“La Palestina era parte della
provincia della Siria… politicamente, gli arabi di Palestina non
erano indipendenti, nel senso che non formavano un’entità politica
separata”.
Ahmed Shuqeiri, ex presidente dell’OLP,
dichiarò davanti al Concilio di Sicurezza dell’ONU: “E’
comunemente noto che la Palestina non è altro che la Siria
meridionale”.
Zahir Muhsein, in un’ intervista al
giornale olandese ‘Trouw’ avvenuta il 31 marzo 1977, dichiarò:
“Il popolo palestinese non esiste. La
creazione di uno stato palestinese è soltanto uno strumento per la
continuazione della nostra lotta contro lo stato di Israele per la
nostra unità araba. In realtà oggi non c’è differenza fra
giordani, palestinesi, siriani e libanesi. E’ soltanto per ragioni
politiche e tattiche che noi parliamo dell’esistenza del popolo
palestinese, dato che l’interesse nazionale arabo richiede che noi
presupponiamo l’esistenza di un ‘popolo palestinese’ distinto
che si opponga al Sionismo. Per ragioni tattiche la Giordania, che è
uno stato sovrano con confini delimitati, non può avanzare diritti
su Haifa e Jaffa, mentre come palestinese io posso senza dubbio
rivendicare Haifa, Jaffa, Beer-Sheva e Gerusalemme. Tuttavia, nel
momento in cui reclamiamo il nostro diritto su tutta la Palestina,
non aspetteremo neanche un minuto a riunire la Palestina e la
Giordania”.
Farouk Radoumi, nel 1998, capo
diplomatico dell’OLP, chiarì nuovamente il fine ultimo di
quell’arma tattica nota come ‘popolo palestinese’:
“Appena lo Stato Palestinese avrà
guadagnato un riconoscimento dalla maggior parte delle nazioni del
mondo, come ci aspettiamo, la presenza israeliana su terra
palestinese diventerà illegale e noi la combatteremo con le armi. La
battaglia contro le forze israeliane è un diritto a noi riservato”.
(Farouk Radoumi, al giornale dell’AP ‘AL HAYAT AL-JADEEDA’, 15
ottobre l998).
E’ importante notare che il movimento
nazionalista fra i residenti non ebrei di Palestina non si originò
mai sul suo territorio, ma fu importato dall’Egitto, dalla Turchia
e dalla Francia. Si è trattato di un movimento esclusivamente
politico nel senso più stretto del termine, e che ha sempre mostrato
poca consapevolezza dei problemi che giorno per giorno sarebbero
potuti sorgere se i suoi obbiettivi politici fossero stati
raggiunti”.
Scopriamo dunque che NELLA VERITÀ
STORICA NON C’È ASSOLUTAMENTE TRACCIA DI UN ‘POPOLO PALESTINESE
DISTINTO’, MA SOLO DI ‘ARABI’: scoperta confermata a più
riprese dai dati relativi alla popolazione originaria della
Palestina, da quelli dell’immigrazione araba legale ed illegale, e
da tutte le dichiarazioni arabe precedenti che confermano il fatto
che il termine ‘palestinese’ era associabile più al popolo
ebraico che non a quello arabo.
IL ‘POPOLO PALESTINESE’ COME VIENE
PROPAGANDATO OGGI, CIOÈ ESCLUSIVAMENTE ARABO, LEGATO ALLA PALESTINA
DA SECOLI (SE NON MILLENNI) DI STORIA, CON UNA SUA PROPRIA CULTURA E
IDENTITÀ NAZIONALE ‘PALESTINESI’, NON È CHE UN’INVENZIONE
POLITICA SUCCESSIVA AGLI ANNI ’60.
Le dichiarazioni sopracitate da parte
dei militanti ‘palestinesi’ sono tutte a conferma del fatto che
il ‘nazionalismo palestinese’ arabo (come lo conosciamo oggi) sia
una colossale invenzione araba e si può tranquillamente affermare
che è soltanto negli ultimi decenni che il termine ‘palestinese’
è stato adottato dagli arabi, come se questo nome appartenesse
esclusivamente a loro, fingendo di avere una lunga storia alle spalle
ed una identità nazionale indipendente.
Fino al 1967, come abbiamo visto, la
maggior parte di coloro che si chiamano ‘palestinesi’ erano
ragionevolmente soddisfatti della loro identità siriana o della
cittadinanza giordana (o egiziana).
L’USO DEL TERMINE ‘PALESTINESE’
SENZA IL SUFFISSO ‘ARABO’ E DI ESPRESSIONI QUALI: ‘PALESTINA
OCCUPATA DA ISRAELE’ È SERVITO ALLO SCOPO DI CONFONDERE L’OPINIONE
PUBBLICA, INDUCENDO A PENSARE CHE CI SIA SEMPRE STATO UN POPOLO
PALESTINESE INDIPENDENTE AL QUALE NON È STATA OFFERTA L’OPPORTUNITÀ
DELL’AUTO-DETERMINAZIONE. IN EFFETTI, SE ANCHE FOSSE VERO (CHE NON
È), UN TALE FALLIMENTO SAREBBE PIÙ IMPUTABILE ALLA GIORDANIA CHE
NON AD ISRAELE, DATO CHE LA GIORDANIA OCCUPA LA MAGGIOR PARTE DI CIÒ
CHE ERA NOTA IN ORIGINE COME PALESTINA ANCHE SENZA LA WEST BANK E
GAZA.
Non c’è dubbio che tutto ciò quindi
rappresenti una delle più grandi e gravi falsificazioni storiche
dell’era moderna.
E questo non lo dico io ma tutte le
dichiarazioni sopracitate cui aggiungo come se non bastassero anche
le parole di Joseph Farah, giornalista arabo-americano, editore e CEO
di WorldNetDaily:
“NON ESISTE LINGUA NOTA COME
‘PALESTINESE’. NON ESISTE UNA CULTURA PALESTINESE DISTINTA. NON
C’È MAI STATA UNA TERRA NOTA COME ‘PALESTINA GOVERNATA DAI
PALESTINESI’. I PALESTINESI SONO ARABI, INDISTINGUIBILI DAI
GIORDANI (UN’ALTRA INVENZIONE RECENTE), I SIRIANI, I LIBANESI, GLI
IRACHENI, ECCETERA. TENIAMO IN MENTE CHE GLI ARABI CONTROLLANO IL
99,9% DELLE TERRE IN MEDIO ORIENTE. ISRAELE RAPPRESENTA UN DECIMO
DELL’ 1% DELLA TERRA TOTALE. Ma questo è comunque troppo per gli
arabi. Lora la vogliono tutta quanta. Ed è per questo motivo che,
fondamentalmente, oggi si combatte in Israele. Avidità. Orgoglio.
Invidia. Bramosia. Non importa quante concessioni di terra Israele
faccia, non saranno mai abbastanza”.
Anche l’eminente studioso di storia
mediorientale Bernard Lewis affermò a più riprese che:
“...il fondamentale senso di identità
storica corporativa [degli arabi palestinesi] fu, a vari livelli,
musulmano o arabo, o ancora, per alcuni, siriano; è significativo il
fatto che perfino alla fine del Mandato nel 1948, dopo trent’anni
di una separata esistenza politica palestinese, non ci fossero
assolutamente libri in arabo sulla storia della Palestina…”.
(Bernard Lewis, ‘Semites and
Anti-Semites: An Inquiry into Conflict and Prejudice’, (New York:
Norton, 1999), p. 186).
Torniamo comunque alla farsa della
promessa ai “palestinesi” dello Stato Palestinese, mi domando: ma
chi avrà la capacità, la forza e i capitali per gestire il tessuto
statale quando tutte le principali leve dell'industria, dei servizi e
dell'agricoltura sono in mano a quello che oggi considerano e
trattano come nemico? Quale imprenditore straniero, anche se la
manodopera costasse zero, vorrebbe mai produrre qualsiasi cosa in
Palestina ben sapendo che potenzialmente, se la sua produzione si
sviluppasse troppo e potesse quindi dare fastidio agli israeliani, si
ritroverebbe subito con le frontiere chiuse, senza acqua e senza
elettricità ed assolutamente impossibilitato ad esportare il frutto
del suo lavoro. E quindi quello palestinese sarebbe uno Stato libero?
Uno Stato per il quale vale la pena di andare a morire, contro i
carri israeliani?
Se analizziamo con cura i pochi numeri
sopra riportati e gettiamo uno sguardo alla ridicola mappa
dell'eventuale Stato palestinese non possiamo fare altro che trarre
una conclusione: i palestinesi debbono ringraziare Allàh se il loro
stato non vedrà mai la luce (a queste condizioni e senza concessione
di territori da parte dei Paesi Arabi loro fratelli) altrimenti
passeranno dalla attuale situazione di disagio e di povertà a quella
di una assoluta indigenza.
Per chiarire meglio la cosa voglio fare
un ulteriore esempio, ma questa volta utilizzando il “surreale”
(tanto caro al prof. Sergio di Cori Modigliani a cui mando un
abbraccio):
SE QUALCUNO, ATTRATTO DALLE INDUBBIE CAPACITÀ E DALLA OPEROSITÀ DEI PALESTINESI, VOLESSE IMPIANTARE UNA PRODUZIONE DI SOFISTICATI MICROCIHPS A NABULUS COME FARÀ A RAGGIUNGERE PORTI O AEROPORTI PER ESPORTARLI SENZA LA COOPERAZIONE DI ISRAELE?
SE QUALCUNO, ATTRATTO DALLE INDUBBIE CAPACITÀ E DALLA OPEROSITÀ DEI PALESTINESI, VOLESSE IMPIANTARE UNA PRODUZIONE DI SOFISTICATI MICROCIHPS A NABULUS COME FARÀ A RAGGIUNGERE PORTI O AEROPORTI PER ESPORTARLI SENZA LA COOPERAZIONE DI ISRAELE?
Quindi tu, palestinese, tu Hamas, stai
attaccando e bombardando chi dovrebbe essere tuo “socio” in
affari in una una certa qual maniera?
È furbo un comportamento del genere?
Ovviamente no.
Ma allora perché lo fanno?
Vogliamo dare un occhiatina a un paio
di articoli dello Statuto di Hamas (http://www.cesnur.org/2004/statuto_hamas.htm)
, l'organizzazione (terroristica) finanziata dai maggiori Paesi Arabi
che dovrebbe solo “difendere” la causa palestinese?
Articolo 7
A causa della distribuzione dei
musulmani che hanno adottato la dottrina del Movimento di Resistenza
Islamico in tutto il mondo, e che lavorano per sostenerlo, mantenere
le sue posizioni e rafforzare il suo jihad, il movimento ha carattere
universale. La sua chiamata è ampia a causa della chiarezza del suo
pensiero, della nobiltà del suo scopo, dell’ampiezza dei suoi
obiettivi.
È su queste basi che il movimento deve
essere visto, valutato con equità e riconosciuto nel suo ruolo.
Chiunque nega i suoi diritti, o si rifiuta di sostenerlo, o è così
cieco da non vedere il suo ruolo, in verità sta sfidando il fato
stesso. E chi chiude gli occhi alla realtà, intenzionalmente o meno,
si sveglierà per ritrovarsi sopraffatto dagli eventi e non avrà
scuse per giustificare la sua posizione. Il premio si dà a coloro
che arrivano per primi.
L’oppressione da parte dei propri
parenti e concittadini è più dolorosa per l’anima del taglio di
una spada indiana.
“E su di te abbiamo fatto scendere il
Libro con la Verità, a conferma della Scrittura che era scesa in
precedenza e lo abbiamo preservato da ogni alterazione. Giudica tra
loro secondo quello che Allah ha fatto scendere, non conformarti alle
loro passioni allontanandoti dalla verità che ti è giunta. A ognuno
di voi abbiamo assegnato una via e un percorso. Se Allah avesse
voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità. Vi ha voluto però
provare con quel che vi ha dato. Gareggiate in opere buone: tutti
ritornerete ad Allah ed Egli vi informerà a proposito delle cose
sulle quali siete discordi” (Corano 5, 48).
Il Movimento di Resistenza Islamico è
uno degli anelli della catena del jihad nella sua lotta contro
l’invasione sionista. È legato all’anello rappresentata dal
martire ‘Izz-Id-Din al-Qassam [1882-1935, su cui cfr. supra in
questo volume] e dai suoi fratelli nel combattimento, i Fratelli
Musulmani del 1936 [che continuarono la lotta dopo che al-Qassam fu
ucciso nel 1935]. E la catena continua per collegarsi a un altro
anello, il jihad degli sforzi dei Fratelli Musulmani nella guerra del
1948, nonché le operazioni di jihad dei Fratelli Musulmani nel 1968
e oltre.
Benché gli anelli siano distanti l’uno
dall’altro, e molti ostacoli siano stati posti di fronte ai
combattenti da coloro che si muovono agli ordini del sionismo così
da rendere talora impossibile il perseguimento del jihad, il
Movimento di Resistenza Islamico ha sempre cercato di corrispondere
alle promesse di Allah, senza chiedersi quanto tempo ci sarebbe
voluto. Il Profeta – le preghiere e la pace di Allah siano con Lui
– dichiarò: “L’ULTIMO GIORNO NON VERRÀ FINCHÉ TUTTI I
MUSULMANI NON COMBATTERANNO CONTRO GLI EBREI, E I MUSULMANI NON LI
UCCIDERANNO, E FINO A QUANDO GLI EBREI SI NASCONDERANNO DIETRO UNA
PIETRA O UN ALBERO, E LA PIETRA O L’ALBERO DIRANNO: O MUSULMANO, O
SERVO DI ALLAH, C’È UN EBREO NASCOSTO DIETRO DI ME – VIENI E
UCCIDILO; MA L’ALBERO DI GHARQAD NON LO DIRÀ, PERCHÉ È L’ALBERO
DEGLI EBREI” (citato da al-Bukhari e da Muslim).
Articolo 13
LE INIZIATIVE DI PACE, LE COSIDDETTE
SOLUZIONI PACIFICHE, LE CONFERENZE INTERNAZIONALI PER RISOLVERE IL
PROBLEMA PALESTINESE CONTRADDICONO TUTTE LE CREDENZE DEL MOVIMENTO DI
RESISTENZA ISLAMICO. IN VERITÀ, CEDERE QUALUNQUE PARTE DELLA
PALESTINA EQUIVALE A CEDERE UNA PARTE DELLA RELIGIONE. IL
NAZIONALISMO DEL MOVIMENTO DI RESISTENZA ISLAMICO È PARTE DELLA SUA
RELIGIONE, E INSEGNA AI SUOI MEMBRI AD ADERIRE ALLA RELIGIONE E
INNALZARE LA BANDIERA DI ALLAH SULLA LORO PATRIA MENTRE COMBATTONO IL
JIHAD.
“Allah ha il predominio nei Suoi
disegni, ma la maggior parte degli uomini non lo sa” (Corano 12,
21).
Di tanto in tanto, si sente un appello
a organizzare una conferenza internazionale per cercare una soluzione
al problema palestinese. Alcuni accettano l’idea, altri la
rifiutano per una ragione o per un’altra, domandando il rispetto di
una o più condizioni come requisito per organizzare la conferenza o
per parteciparvi. MA IL MOVIMENTO DI RESISTENZA ISLAMICO – CHE
CONOSCE LE PARTI CHE SI PRESENTANO ALLE CONFERENZE E IL LORO
ATTEGGIAMENTO PASSATO E PRESENTE RISPETTO AI VERI PROBLEMI DEI
MUSULMANI – NON CREDE CHE QUESTE CONFERENZE SIANO CAPACI DI
RISPONDERE ALLE DOMANDE, O RESTAURARE I DIRITTI O RENDERE GIUSTIZIA
AGLI OPPRESSI. QUESTE CONFERENZE NON SONO NULLA DI PIÙ CHE UN MEZZO
PER IMPORRE IL POTERE DEI MISCREDENTI SUI TERRITORI DEI MUSULMANI. E
QUANDO MAI I MISCREDENTI HANNO RESO GIUSTIZIA AI CREDENTI?
“Né i giudei né i nazareni saranno
mai soddisfatti di te, finché non seguirai la loro religione. Dì:
‘È la Guida di Allah, la vera Guida’. E se acconsentirai ai loro
desideri dopo che hai avuto la conoscenza, non troverai né patrono
né soccorritore contro Allah” (Corano 2, 120).
NON C’È SOLUZIONE PER IL PROBLEMA
PALESTINESE SE NON IL JIHAD. Quanto alle iniziative e conferenze
internazionali, sono perdite di tempo e giochi da bambini. Il popolo
palestinese è troppo nobile per mettere il suo futuro, i suoi
diritti, e il suo destino nelle mani della vanità. Come afferma un
nobile hadith: “Il popolo della Siria è la frusta di Allah sulla
Terra. Con loro si prende la sua rivincita su chi vuole. Ai loro
ipocriti è vietato regnare sui loro credenti, e muoiono nell’ansia
e nel rimorso” (riferito da al-Tabarani, come rintracciabile
attraverso una catena di fonti fino al Profeta, e da Ahmad, la cui
catena di trasmissione è incompleta. Ma deve trattarsi di un vero
hadith, perché queste storie sono credibili, e Allah è veridico).”
AGGIUNGO PER DOVERE DI CRONACA CHE
SECONDO IL MEMRI, I MASSIMI LEADER DI HAMĀS SONO PROMOTORI DELLA
NEGAZIONE DELL'OLOCAUSTO. ABD AL-AZĪZ AL-RANTĪSĪ - CO-FONDATORE DI
HAMAS ASSIEME AD AHMAD YASIN - IN UN ARTICOLO SU AL-RISALA
(PUBBLICAZIONE SETTIMANALE DI HAMAS) HA DEFINITO LA SHOAH "IL
FALSO OLOCAUSTO" E "LA PIÙ GRANDE DELLE MENZOGNE", ED
AFFERMATO CHE L'OLOCAUSTO NON È MAI AVVENUTO, CHE I SIONISTI ERANO
DIETRO LE AZIONI DEI NAZISTI E CHE IL SIONISMO FINANZIÒ IL NAZISMO.
IN QUESTO ARTICOLO RANTISSI HA ALTRESÌ NEGATO L'ESISTENZA DELLE
CAMERE A GAS NONCHÉ ESPRESSO SOSTEGNO AI NEGAZIONISTI ROGER GARAUDY,
DAVID IRVING, GERD HONSIK E FREDRICK TÖBEN; HA INOLTRE AFFERMATO CHE
"I NAZISTI RICEVETTERO NOTEVOLI AIUTI FINANZIARI DALLE BANCHE E
DAI MONOPOLI SIONISTI, E CIÒ CONTRIBUÌ ALLA LORO ASCESA AL POTERE";
HA INFINE ACCUSATO LA INVESTMENT BANK BERLINESE MENDELSSOHN &
CO., DI PROPRIETÀ EBRAICA, DI AVER FINANZIATO I NAZISTI, DEFINENDOLA
"BANCA SIONISTA".
E ora arriviamo alla conferma che ciò
che hanno asserito poco sopra le autorità arabe “palestinesi” e
non (quindi dopo la negazione dell'Olocausto addirittura la
negazione di se stessi!!!) cioè a quella verità sconcertante che si
può riassumere così':
NON C'È MAI STATO UN POPOLO
PALESTINESE, O ARABO, O SE VOLETE ALIENO, CHE ABITASSE QUELLA TERRA
PRIMA DELL'ARRIVO DEGLI EBREI!!!
Sconcertante vero? Eppure non sono
impazzito e se continuerete a leggere capirete il perché di
quest'affermazione che ai più apparirà come minimo azzardata.
BADATE BENE CHE CAPIRE BENE QUESTO
PUNTO È FONDAMENTALE PER UNA CORRETTA COMPRENSIONE DEL CONFLITTO E
DEL PERCHÉ DELLA POSIZIONE ISRAELIANA.
Ebbene, prima dell'immigrazione
cosiddetta sionista la Palestina era essenzialmente vuota e arida.
NON ESISTE NESSUNA PROVA STORICA DI UN POPOLO PALESTINESE AUTOCTONO
CHE L'ABBIA ABITATA, CON UNA PROPRIA CULTURA, LINGUA, IDENTITÀ. IN
PALESTINA C'ERANO SOLO EBREI E QUALCHE ARABO CHE SI CONSIDERAVA
SIRIANO, PIÙ I DRUSI E I BEDUINI.
Nei 12 secoli e mezzo che intercorrono
fra la conquista araba (del 600 d.C.) e l’inizio del ritorno degli
ebrei nel 1880, la Palestina considerato che il suo antico sistema di
canali di irrigazione era stato distrutto è sempre rimasta solo ed
unicamente un desolato deserto.
Sotto il dominio dei turchi ottomani,
il governo aveva oltretutto imposto anche una tassa per ogni albero e
il risultato era stato il completo disboscamento del paese.
Questo, badate bene, non sono io a
dirlo, ma una serie di testimonianze scritte dei secoli XVI, XVII°,
XVIII° e XIX° da diversi viaggiatori cristiani e non, quali:
Siebald Rieter e Johann Tucker, Arnold
Van Harff e Padre Michael Nuad, Martin Kabatnik e Felix Fabri, il
Conte Constantine Francois Volney ed Alphonse de Lamartine, Mark
Twain e Sir George Gawler, HB Tristam, Samuel Manning, Sir George
Adam Smith ed Edward Robinson e con loro molti, molti altri, che non
sto ad elencare, I QUALI DESCRISSERO LA PALESTINA COME ESSENZIALMENTE
VUOTA, FATTA ECCEZIONE PER LE COMUNITÀ EBRAICHE PERMANENTI DI
GERUSALEMME, SAFED, SHECHEM, EBRON, GAZA, RAMLEH, ACCO, SIDONE, TIRO,
HAIFA, IRSUF, CESAREA ED EL ARISH, E IN TUTTE LE CITTÀ ESISTENTI
DELLA GALILEA: KFAR ALMA, EIN ZEITIM, BIRIA, PEKIIN, KFAR HANANIA,
KFAR KANA AND KFAR YASSIF.
Hanno preso tutti fischi per fiaschi?
Improbabile direi.
È POI ALTRETTANTO IMPORTANTE
SOTTOLINEARE IL FATTO CHE, MENTRE I RACCONTI DI UNA PALESTINA
DISABITATA ABBONDANO, NON ESISTONO RESOCONTI CHE AFFERMINO IL
CONTRARIO.
NON C’È UNA SOLA TESTIMONIANZA SCRITTA DELL’EPOCA CHE DIMOSTRI UNA PRESENZA ARABA SIGNIFICATIVA IN PALESTINA, O CHE MENZIONI UN ‘POPOLO PALESTINESE’ RESIDENTE.
NON C’È UNA SOLA TESTIMONIANZA SCRITTA DELL’EPOCA CHE DIMOSTRI UNA PRESENZA ARABA SIGNIFICATIVA IN PALESTINA, O CHE MENZIONI UN ‘POPOLO PALESTINESE’ RESIDENTE.
Come dimostrato dallo studio
demografico di Justin McCarthy, (‘La popolazione della Palestina’)
e dal libro-ricerca di Joan Peters (‘From Time Immemorial’) ed
altri, la popolazione araba dell’area registrò un enorme sviluppo
SOLO IN CONTEMPORANEA AL RITORNO DEGLI EBREI IN PALESTINA.
Tra il 1514 e il 1850, la popolazione
araba di questa regione era rimasta più o meno stazionaria, circa
340.000 abitanti. Essa cominciò improvvisamente ad aumentare dopo il
1855.
Ad esempio, gli egiziani guidati da
Ibrahim Pasha giunsero in massa nell’800, cacciando letteralmente
gli unici (oltre agli ebrei) che davvero vivevano in Palestina ‘da
tempo immemorabile’, cioè i Drusi. Moltissimi arabi vennero in
Palestina dalla Siria, dalla regione di Hauran. SOLTANTO NEL 1831,
BEN 6.000 EGIZIANI SI STABILIRONO AD ACCO (CITTÀ CHE OGGI DICHIARANO
ESSERE ARABA DA MILLENNI!).
Secondo il rapporto ‘British
Palestine Exploration Fund’ del 1893, gli egiziani avevano da poco
ripopolato anche Jaffa, diventandone la maggioranza. L’immigrazione
araba continuò poi ad aumentare durante la prima Guerra Mondiale a
mano a mano che l'Impero Turco Ottomano in difficoltà allentava la
presa su quei territori.( Ricordiamo che gli Ottomani erano alleati
del Kaiser sin dal 1898, quando Guglielmo II fu addirittura invitato
a Gerusalemme, a cui
erano poi seguiti i viaggi degli uomini
d’affari tedeschi che, tra le altre cose , avevano promosso la
ferrovia Istanbul Baghdad.)
Dai dati del censimento del 1922, la
popolazione araba era quasi raddoppiata arrivando a 589.177, fra cui
62.500 beduini.
Il seguente censimento britannico del
1931 (spesso citato da fonti anti-sioniste) mostra la popolazione
araba a 759.700 unità residenti, compresi i beduini, accanto ad una
popolazione ebraica di circa la metà. IL PUNTO IMPORTANTISSIMO CHE
PERÒ VIENE OMESSO DAL CENSO È IL FATTO CHE LA MAGGIOR PARTE DI
QUESTI ARABI ERANO ARRIVATI IN PALESTINA DA NON PIÙ DI 60 ANNI.
Gli inglesi tentarono di spiegare
questo improvviso aumento di popolazione attribuendolo all’incremento
naturale del nucleo arabo pre-esistente. Il punto è che la crescita
demografica naturale non avrebbe mai potuto sostenere un simile
aumento, come vedremo fra poco. Quindi l’unica spiegazione
possibile è che molti arabi siano immigrati in Palestina
illegalmente.
Cito una testimonianza da parte araba a
conferma di questa immigrazione:
TEWFIK BEY EL HURANI, GOVERNATORE DEL
DISTRETTO SIRIANO DI HAURAN, AMMISE NEL 1934 CHE IN UN PERIODO DI
SOLI POCHI MESI (DALL’APRILE DEL 1934 AL NOVEMBRE 1935 ) OLTRE
30.000 SIRIANI SI ERANO SPOSTATI IN PALESTINA. IN TOTALE, SECONDO
AVNERI, TRA IL 1931 E IL 1947 ENTRARONO IN PALESTINA FRA I 35.000 E I
40.000 IMMIGRATI ILLEGALI ARABI, OLTRE AI 20.000 GIUNTI REGOLARMENTE.
Il censimento successivo, quello del
1948, venne fatto in seguito ad un periodo di crescita economica
senza precedenti e di continua immigrazione illegale araba. I siriani
e i libanesi potevano entrare liberamente con soltanto dei ‘pass’
di confine, ed entrarono insieme ad immigranti da Somalia,
Transgiordania, Persia, India, Etiopia e la regione di Hejaz.
LE LEGGI DELL’INGHILTERRA MANDATARIA
RACCOMANDAVANO UNA SUPERVISIONE ALL’IMMIGRAZIONE, MA RACCOMANDAVA
ESPLICITAMENTE DI CONCENTRARSI SOLO SU QUELLA EBRAICA. QUINDI, DI
FATTO, I CONFINI DELLA PALESTINA RIMASERO APERTI A TUTTI (TRANNE CHE
AGLI EBREI).
Questa crescita abnorme nella
popolazione araba divenne ben presto evidente. Il governo inglese era
molto più preoccupato a monitorare il numero di ebrei che quello di
arabi, ma dato che l’immigrazione era comunque sotto la
responsabilità del governo inglese, quest’ultimo tentò di
spiegare l’aumento di popolazione araba con qualunque motivazione
atta a scagionare la Corona dall’accusa di negligenza. Cioè, con
qualunque motivazione diversa dall’immigrazione illegale.
Ecco come il governo inglese definì le
cause dell’aumento di popolazione araba. Cito testualmente:
“UNA COMBINAZIONE DI CIRCOSTANZE
UNICHE NELLA STORIA."
Per gli ebrei, “un tasso
insolitamente alto (benché non senza precedenti) di immigrazione"
e per gli Arabi, vale a dire, i musulmani, “un tasso elevato a
livelli abnormi (ed, è possibile, senza precedenti) di crescita
naturale nella popolazione esistente indigena”.
Gli inglesi affermarono ancora:
“Non si possono fare stime accurate
circa il numero di Arabi che sono entrati in Palestina da terre arabe
limitrofe …, ma si può riconoscere che i nove decimi circa della
crescita è stata dovuta all’incremento naturale, ed è stata una
crescita di oltre il 50% in 17 anni. Si tratta di cifre notevoli,
specialmente in considerazione della credenza generale che la
popolazione in Palestina sotto il regime ottomano era rimasta più o
meno stazionaria”.
QUESTE DICHIARAZIONI SONO DIVENTATE UNO
DEI CAVALLINI DI BATTAGLIA DELLA CAUSA PALESTINESE. BASANDOSI SU
QUESTE DICHIARAZIONI, SI VUOLE DIMOSTRARE CHE LA MAGGIORANZA ARABA IN
PALESTINA AGLI INIZI DEL ‘900 INDICASSE L’ESISTENZA DI UN POPOLO
PALESTINESE AUTOCTONO, O COMUNQUE DESSE AGLI ARABI UN MAGGIORE
DIRITTO SU QUELLA TERRA. TUTTAVIA, UNA PRIMA SMENTITA VIENE PROPRIO
DALLE FONTI INGLESI, CHE SI AUTO-DEFINISCONO INACCURATE.
Ad esempio, il Dipartimento inglese per
l’Immigrazione riconobbe piuttosto candidamente che i ‘registri’
relativi all’immigrazione non ebraica da paesi limitrofi come Siria
e Libano erano ‘incompleti’; e che le incompletezze erano
comunque ‘di impatto non rilevante’ dato che, come specificato
nel rapporto, le registrazioni del Dipartimento avevano lo scopo di
controllare solo ‘l’immigrazione ebraica in Palestina, secondo la
capacità del Paese di assorbire immigrati’. Il rapporto assicurava
infatti: “da questo punto di vista, le statistiche possono
considerarsi ad un alto livello di accuratezza”.
Troviamo dunque che il sistema
britannico per il controllo dell’immigrazione non teneva nemmeno in
seria considerazione l’immigrazione araba in Palestina. Le
descrizioni della ‘politica mandataria’ presupponevano che
soltanto l’immigrazione ebraica andasse monitorata. Tuttavia, il
governo britannico si trovò ad un certo punto a dover ammettere
vagamente questa ‘immigrazione illegale araba’, proprio a causa
della sua portata massiccia:
“Oltre a questo aumento di
immigrazione registrata, sappiamo che un numero di persone entrano in
Palestina illegalmente sia da paesi europei che adiacenti, per
stabilirvisi in modo permanente” .[38]
Questo fenomeno però fu sempre
minimizzato e definito ‘casuale’, e mai introdotto come un
fattore determinante nel conteggio della popolazione nella porzione
di Palestina che il Mandato aveva destinato agli ebrei.
IL RAPPORTO HOPE-SIMPSON DEL 1930 AD
ESEMPIO ARRIVÒ A CONTRADDIRSI APERTAMENTE. Mentre da un lato
affermava che gli ebrei aumentavano grazie all’immigrazione (mentre
gli arabi aumentavano grazie alla crescita naturale) in altre parti
le pagine parlano di “una ‘considerevole’ immigrazione
(illegale) araba in atto senza restrizioni, e proveniente da paesi
quali la Siria, l’Egitto, la Transgiordania e il Libano, fra
altri”!!!
La maggior parte delle ammissioni del
governo inglese di un’immigrazione illegale araba furono in qualche
modo ‘camuffate’ dall’etichetta oscura e mai specificata di
‘immigrazione illegale non registrata’, o estesa
approssimativamente ad ‘ebrei, arabi ed altri’ in modo generico.
Ogni volta che l’immigrazione araba veniva alla luce (perché non
poteva essere altrimenti), il rapporto aggiungeva invariabilmente che
quel volume di immigrazione ‘must be insignificant’ (‘deve
essere insignificante’) .
Pur continuando a dichiarare i nuovi
immigrati illegali arabi come ‘popolazione indigena palestinese
radicata nel Paese’, gli inglesi spiegarono che erano gli ebrei ad
aver invaso il paese oltre la sua ‘capacità di assorbimento’
rubando spazio agli arabi. IL RAPPORTO GIUNSE ALLA CONCLUSIONE CHE
GLI ARABI VENIVANO ‘SRADICATI’ DAGLI EBREI, BENCHÉ NELLE SUE
STESSE PAGINE ESSO AMMETTESSE UN ‘INCONTROLLATO AFFLUSSO DI
EMIGRANTI ARABI ILLEGALI DALL’EGITTO, DALLA TRANSGIORDANIA E DALLA
SIRIA” .
Parlando inequivocabilmente di ‘forza
lavoro non-ebraica’, il Rapporto affermava che:
“L’ufficiale in capo per
l’immigrazione ha fatto notare che l’immigrazione illegale
attraverso la Siria e la frontiera settentrionale della Palestina è
reale”.
Inoltre, il Rapporto parla del “caso
dello ‘pseudo-viaggiatore’ il quale, entrato con un permesso a
tempo limitato, ‘continua’ la permanenza in Palestina dopo che il
periodo di permesso è scaduto” e la definisce una “pratica
comune” al punto da rappresentare una “ingiustizia verso gli
ebrei”.
Benché l’immigrazione ebraica fosse
meticolosamente registrata, analizzata nel dettaglio e perfino
stimata in anticipo deducendola dalle cifre imposte a priori dal
governo inglese, ogni riferimento all’immigrazione illegale araba
fu presentato in modo perlomeno ambiguo. Quasi senza eccezione,
questa questione fu trascurata, negata oppure oscurata
dall’attenzione preponderante sull’immigrazione ebraica,
considerata come la ‘questione primaria’.
Ad esempio, il rapporto di un ufficiale
arabo indica in modo inequivocabile che dalla primavera all’estate
del 1934, da una delle tante aree arabe (al di fuori della Palestina)
colpite dalla depressione e dalla povertà: “Entrarono e si
stabilirono in Palestina più arabi del numero totale di ebrei che,
nel doppio di quel periodo di tempo nel 1934, erano stati
‘autorizzati’ ad emigrare nel loro designato ‘focolare
ebraico’. "
QUESTO SIGNIFICA CHE IN TRE/QUATTRO
MESI, DA UNA SOLA LOCALITÀ ARABA, ENTRAVANO IN PALESTINA PIÙ ARABI
ILLEGALI DI TUTTI GLI EBREI AUTORIZZATI IN SEI MESI. E CHE,
ALL’IMMIGRAZIONE DA QUESTA LOCALITÀ, ANDAVA SOMMATA QUELLA DI
TUTTE LE ALTRE AREE ARABE NON PALESTINESI.
NONOSTANTE QUESTO, IL RAPPORTO
UFFICIALE BRITANNICO PER L’IMMIGRAZIONE IN PALESTINA RELATIVO A
TUTTO L’ANNO 1934 RIPORTA UNA ‘IMMIGRAZIONE REGISTRATA’ DI SOLI
1.784 ‘NON EBREI’, CON SOLTANTO 3.000 “VIAGGIATORI RIMASTI
ILLEGALMENTE”, E QUESTE CIFRE DOVREBBERO RAPPRESENTARE TUTTI GLI
IMMIGRATI ARABI PROVENIENTI DA TUTTI GLI STATI LIMITROFI ALLA
PALESTINA!
Ironicamente, sono proprio le stesse
cifre fornite dagli inglesi a contraddire in vari modi la loro teoria
della crescita naturale. Secondo i dati ufficiali del censo
dell’Impero Ottomano turco del 1882, in tutta la Palestina erano
presenti soltanto 141.000 musulmani, sia arabi che non-arabi. Questo
numero subì un’impennata vertiginosa arrivando a 650.000 arabi nel
1922, cioè un incremento del 450% in soli 40 anni. Nel 1938 quel
numero sarebbe diventato oltre 1 milione, per un incredibile
incremento dell’ 800% in soli 56 anni.
Secondo gli inglesi (e poi, gli arabi)
l’enorme crescita del loro numero fu dovuto alle nascite naturali.
Nel 1944 ad esempio, essi dichiararono che la crescita demografica
naturale (nascite meno decessi) degli arabi in Palestina sarebbe
stata rappresentata dallo sbalorditivo tasso del 33,4 %. Questo dato
rappresenta quasi quattro volte il tasso corrispondente per lo stesso
anno dell’Egitto, considerato fra i più alti al mondo.
Il tentativo inglese di spiegare questo
aumento di popolazione araba come: “un tasso elevato a livelli
abnormi (ed, è possibile, senza precedenti) di crescita naturale
nella popolazione esistente indigena” non ha dunque fondamento.
NEMMENO LA PROSPERITÀ ECONOMICA E I
MIGLIORAMENTI NELLA SANITÀ E NELL’IGIENE INTRODOTTI DAI COLONI
EBREI AVREBBERO MAI POTUTO GIUSTIFICARE UN AUMENTO SIMILE, CHE NON SI
RISCONTRA IN NESSUNA POPOLAZIONE AL MONDO DI NESSUNA EPOCA STORICA.
Il 18 marzo 2008 ANSA ha divulgato un
articolo nel quale il presidente egiziano Mubarak lanciò l’allarme
demografico nel suo paese. “La crescita demografica "inghiotte
tutti i profitti della crescita economica", disse Mubarak,
citato dal quotidiano governativo al Ahram”.
L’articolo ci informava che in Egitto
si registrava “un neonato ogni 23 secondi”. “Il Paese, con
circa 80 milioni di cittadini alla fine del 2007, era il più
popoloso del mondo arabo. Il 32 % della popolazione aveva meno di 15
anni ed era raddoppiata negli ultimi trent'anni”. Il tasso di
crescita responsabile di questo aumento vertiginoso “era stato del
7,5 % nei primi sei mesi dell'anno fiscale 2007-2008”.
Nell’articolo ‘Proiezioni di
Crescita Demografica’ (A cura de Il Pensiero Scientifico Editore -
25/10/2005) si afferma che: “Negli ultimi 45 anni, la popolazione
asiatica è cresciuta del 129 %, da 1,7 a 3,9 miliardi; le proiezioni
per i prossimi 45 anni indicano una crescita più modesta, con un
aumento previsto del 33%, per arrivare a 5,2 miliardi di persone nel
2050. Per l’America Latina le proiezioni prevedono una crescita
demografica del 39 %, da 0,56 a 0,78 miliardi. Ma in Africa la
situazione è in netta controtendenza: le proiezioni di crescita
della popolazione parlano di un + 100 % nei prossimi 45 anni (1,69
miliardi di persone nel 2050)”.
E’ CHIARO QUINDI CHE SE UN AUMENTO
DEL 7,5% È SUFFICIENTE A FAR SCATTARE L’ALLARME IN UN PAESE COME
L’EGITTO, O UNA CRESCITA DEL 129% IN 45 ANNI VIENE RIPORTATA COME
LA PIÙ ALTA AL MONDO, TASSI COME L’800% IN 56 ANNI O IL 33,4% SONO
QUANTOMENO INVEROSIMILI !!!
Ad ogni buon conto ricordiamo che fu lo
stesso Winston Churchill in persona il primo a dover ammettere la
verità sulla crescita demografica araba in Palestina.
Nel 1939, infatti, Churchill finalmente
affermò:
"TUTT’ALTRO CHE PERSEGUITATI,
GLI ARABI SI SONO AFFOLLATI NEL PAESE E MOLTIPLICATI FINO A CHE LA
LORO POPOLAZIONE È CRESCIUTA PIÙ DI QUANTO TUTTI GLI EBREI DEL
MONDO POTREBBERO RISOLLEVARE LA POPOLAZIONE EBRAICA”.
Il riconoscimento di Churchill della
massiccia immigrazione araba in Palestina fu confermato da molti, fra
cui il governatore britannico del Sinai per il periodo 1922-1936, il
quale ammise che:
“Questa immigrazione illegale non
stava avvenendo soltanto dal Sinai, ma anche dalla Transgiordania e
dalla Siria ed è molto difficile trovare una soluzione alla miseria
degli arabi se al tempo stesso non si è riusciti ad impedire che i
loro compatrioti provenienti dagli stati limitrofi entrassero a
condividere quella miseria”. (C.S. Jarvis, "Palestine,"
United Empire (Londra), 28 (1937): 633)
SECONDO IL RAPPORTO ALLA LEGA DELLE
NAZIONI PRESENTATO DAL GOVERNO BRITANNICO NEL 1937, IL NUMERO DI
ARABI IN PALESTINA ERA QUINDI SALITO ALLE STELLE TUTTAVIA, QUESTA
PROVA CRUCIALE ED EVIDENTE FU TRASCURATA, NON RICONOSCIUTA E
SOPRATTUTTO MAI INTRODOTTA NELL’EQUAZIONE POLITICA DELLA PALESTINA.
Al di là del numero in sé, dobbiamo
tenere a mente che questi arabi musulmani erano immigrati giunti da
Algeria, Damasco, Yemen, Afganistan, Persia, India, Tripoli, Marocco,
Turchia e Iraq. Nessuno di loro era nativo della Palestina. TUTTAVIA,
I LORO DISCENDENTI SONO QUELLI CHE OGGI SI DICHIARANO ‘PALESTINESI’.
Consideriamo comunque che se anche il
numero di arabi indigeni fosse stato effettivamente maggiore di
quello degli ebrei (e così non è, ma ammettiamo per assurdo che
questa sia la verità) non dimentichiamoci che nel 1920 il 77% DELLA
PALESTINA FU CONSEGNATO AGLI ARABI CON IL NOME DI TRANSGIORDANIA (O
GIORDANIA) !!
LA 'PALESTINA' DI CUI PARLIAMO OGGI
RAPPRESENTA IL 23% DELLA PALESTINA ORIGINARIA, DI CUI UN TERZO FINITA
SOTTO L'OCCUPAZIONE GIORDANA (E TRASFORMATA IN 'WEST BANK') O CEDUTA
DA ISRAELE ALLE ORGANIZZAZIONE TERRORISTICHE (STRISCIA DI GAZA) IN
CAMBIO DI UNA PACE MAI ARRIVATA.
MA SE IL POPOLO PALESTINESE ALLORA NON
ESISTE DA DOVE ARRIVANO ALLORA I MITI DEI 'PALESTINESI' ABITANTI
DELLA PALESTINA E DERUBATI DA ISRAELE DELLA LORO TERRA??
Ecco da dove.
Dopo due eclatanti sconfitte militari,
gli arabi sembrano decidere di cambiare strategia e spostare il
conflitto su un piano più ideologico che militare. La loro nuova
strategia si rivelerà efficacissima.
NEL 1968 (A MAGGIO) ARAFAT, LEADER DI
FATAH, DIVENTA CAPO DELL'OLP, E POCO DOPO DÀ UFFICIALMENTE ALLA LUCE
LA SUA IDEA PIÙ GENIALE E MICIDIALE CONTRO ISRAELE: IL ‘NAZIONALISMO
PALESTINESE’.
Pur ribadendo l'obbiettivo di
distruggere Israele con la violenza, la Carta dell'OLP viene
modificata. Il termine arabo per indicare il carattere "nazionale"
del movimento passa da "qawmi" (nazionalita' pan-araba) a
"wattani" (nazionalita' territoriale di un singolo paese
arabo): e' la nascita ufficiale di uno specifico "nazionalismo
arabo-palestinese", nonché dell’oggi noto ‘Popolo
Palestinese’ (derubato della propria terra) e della relativa
propaganda internazionale. I palestinesi arabi erano (e sono a
tutt’oggi) etnicamente arabi (giordani, egiziani, siriani) abitanti
della Palestina, cioè ‘arabi palestinesi’, così come gli ebrei
potevano definirsi ‘ebrei palestinesi’. Da un punto di visto
etnico-culturale, gli arabi di Palestina erano semplicemente arabi.
Con la nascita del ‘wattani’ palestinese, agli arabi di Palestina
viene associata un’identità etnica e culturale propria della
Palestina che li avrebbe distinti dagli arabi di tutte le regioni
limitrofe, dalle quali in realtà essi provenivano.
NASCE COSÌ IL ‘POPOLO PALESTINESE’,
ABITANTE DELLA PALESTINA ‘DA MIGLIAIA DI ANNI’, DISTINTO
ETNICAMENTE DAGLI ARABI GIORDANI, EGIZIANI E SIRIANI, E CHE PUÒ
DUNQUE RIVENDICARE UNA PROPRIA ‘TERRA DI PALESTINA’.
Consideriamo ora lo scontro perenne tra
i due contendenti sotto una luce il più possibile obiettiva:
il conflitto che oppone Arabi
“Palestinesi” ed Israeliani pare infatti avere caratteri del
tutto peculiari: le parti si affrontano in guerre e guerriglie che si
succedono incessantemente: il conflitto a tratti sembra sopito per
poi riaccendersi nuovamente. Soprattutto però pare quasi che non
importi chi vinca e chi perda: si aspetta semplicemente la prossima
battaglia. Il conflitto continua implacabile passa da una generazione
all’altra, siamo ormai alla terza generazione, i soldati di oggi
combattono la stessa guerra dei loro nonni.
Le catastrofi (nakba, come dicono gli
arabi) si succedono alle catastrofi: il popolo arabo “palestinese”
vive spesso ai limiti della sopravvivenza, nell’inferno di Gaza o
nei campi miserabili nel Libano, gli Israeliani d’altra parte non
riescono a trovare una situazioni di pace, di sicurezza, di
normalità.
Da qui una prima domanda (retorica) mi
sorge spontanea: i “fratelli musulmani”, o se vogliamo
identificarli meglio “gli Stati Arabi confinanti” (Egitto, Siria,
Libano, Giordania e poco più in là l'Arabia Saudita), hanno mai
concesso un metro di terra ai fratelli “palestinesi” dove poter
vivere un po' più degnamente? Hanno favorito l'istruzione della
popolazione palestinese? O forse hanno solo alimentato la
massificazione all'interno dei territori (tutti concessi da Israele)
per creare così un nucleo “esplosivo” da poter sfruttare come
arma contro gli ebrei a loro piacimento?
Qualcuno ovviamente scandalizzato
obietterà dicendo che i territori concessi da Israele erano di
proprietà araba “palestinese”.
A costoro rispondo con una semplice
domanda:
è normale che chi scatena guerre e
sistematicamente le perde vanti diritti sui territori del vincitore?
Già non lo sarebbe se la guerra la si
fosse subita ma così...
giusto per citare, credo che Abba Eban,
anche se certamente di parte, riassunse però bene quello che sarebbe
stato un ‘classico’ nella storia del conflitto fra Israele e gli
stati arabi:
“QUESTA È LA PRIMA GUERRA NELLA
STORIA CHE TERMINA CON I VINCITORI CHE RICERCANO LA PACE, E I VINTI
CHE PRETENDONO UNA RESA INCONDIZIONATA” (Abba Eban, Abba Eban, (NY:
Random House, 1977), p. 446.
La cosa che pare ancora incredibile è,
comunque, che la soluzione sia chiaramente sotto gli occhi di tutti:
OCCORREREBBE SEMPLICEMENTE STABILIRE DUE STATI AUTONOMI E SOVRANI.
PUNTO.
MA IN QUESTO CASO GLI STATI ARABI
DOVREBBERO CEDERE DEL PROPRIO PER GARANTIRE CHE LO STATO PALESTINESE
POTESSE SORGERE IN FORMA ORTODOSSA PER UN QUALUNQUE STATO CHE POSSA
DEFINIRSI TALE E NON ESSERE UN'ACCOZZAGLIA DI APPEZZAMENTI DI TERRA
COME SOPRA DESCRITTO CHE VANNO GAZA ALLA CISGIORDANIA, A SEI CITTÀ
GIÀ TUTTE PALESTINESI E IL TUTTO SPARSO QUA E LÀ PER ISRAELE
SOMMATO AI VILLAGGI ATTORNO ALLE CITTÀ DI CUI SOPRA.
IL PARADOSSO, QUINDI, È CHE ESISTE UNA
GUERRA CHE CONTINUA SEMPRE, COMUNQUE FINISCANO LE BATTAGLIE, PER UN
MOTIVO CHE IN REALTÀ NON ESISTE PERCHÉ LA SOLUZIONE COME APPENA
DESCRITTO È OBBLIGATA È INEVITABILE, MA VA CONTRO GLI INTERESSI DEI
PAESI ARABI.
Cerchiamo allora di capire le ragioni
di questa ottusità, di questo NON volere trovare una soluzione a
qualunque costo:
il conflitto è nato dal fatto che un
numero ingente di ebrei si trasferì in Palestina, prima a piccoli
gruppi e poi in modo più compatto dopo la Seconda Guerra Mondiale,
stabilendosi dapprima in una terra desolata, abbandonata da tutti ma
che poi, grazie ai miglioramenti delle condizioni di vita in queste
lande desertiche attuate dai coloni ebrei attraverso sistemi di
irrigazioni e quant'altro, hanno cominciato a diventare appetibili da
tutti quegli arabi che nei propri Paesi si trovavano in quasi
assoluta indigenza.
Indubbiamente l’arrivo ciclico degli
ebrei in Palestina nonostante questa fosse “terra di nessuno” ha
infastidito non poco i potentati locali che quindi adottano la
puerile scusa che non si può pretendere di occupare una terra perché
in quella vi abitavano quasi duemila anni prima i propri antenati,
senza però contare che gran parte di quella terra gli ebrei l'hanno
comprata, pagandola fior di quattrini, agli sceicchi locali stessi,
al Kaiser e agli Ottomani ed infine agli inglesi.
Gli Arabi però, per giustificare le
ragioni della loro guerra si fermano solo a questo punto:
GLI ISRAELIANI SONO INVASORI DA
RICACCIARE, GLI ARABI HANNO RICEVUTO UNA INGIUSTIZIA STORICA E LA
COMUNITÀ INTERNAZIONALE DOVREBBE RISTABILIRE IL DIRITTO LESO: LO
STATO DI ISRAELE NON DOVREBBE ESISTERE: PUNTO E BASTA: QUESTA SAREBBE
LA VERITÀ, ULTIMA E DEFINITIVA, DELLA QUESTIONE.
TUTTAVIA, PARADOSSALMENTE, LO STESSO
RAGIONAMENTO VIENE FATTO DAGLI ISRAELIANI: LO STATO DI ISRAELE ESISTE
(ED ESISTEVA), È UN FATTO ORMAI CONSOLIDATO. QUINDI ISRAELE HA
DIRITTO AD ESISTERE. LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE INFATTI RICONOSCE
QUESTO DIRITTO.
Lo stato di israele infatti NON è nato
da un atto di forza, ma trae la sua legittimità da un atto della
comunità internazionale, una risoluzione dell’ONU, CHE
PROBABILMENTE NACQUE DALLA CONSIDERAZIONE CHE NEL 1947 POTEVA
SEMBRARE UNA QUESTIONE IN FONDO MARGINALE ASSEGNARE A UN POPOLO SENZA
TERRA, CHE AVEVA SUBITO LA PIÙ TERRIBILE PERSECUZIONE MAI AVVENUTA
NELLA STORIA, UNA PICCOLA STRISCIA DI TERRITORIO PRATICAMENTE
DISABITATO. SEMBRÒ UN FATTO, DIREMMO, DI ORDINARIA AMMINISTRAZIONE,
RISPETTO AI GRANDI SCONVOLGIMENTI CHE LA II GUERRA MONDIALE AVEVA
PORTATO: SI PENSI CHE I PROFUGHI FURONO DECINE DI MILIONI , CHE
INTERI STATI VENNERO RIDEFINITI E CHE REGIONI DA SEMPRE PARTI DI UNO
STATO ENTRARONO NEI CONFINI DI ALTRI STATI.
Le rimostranze degli arabi (che tra
l'altro come alleati del Fuhrer la guerra in teoria l'avrebbero persa
cfr. Nota 6 ) diedero luogo a quella che fu valutata solamente come
una pseudo-crisi che sarebbe però presto rientrata, senza troppe
conseguenze.
E fu per questo che sia gli stati
occidentali che quelli del blocco sovietico decisero di riconoscere
all’ONU la formazione dello Stato di Israele.
A questo punto consideriamo in sé
l’oggetto della contesa: il territorio di Israele è di circa
20.000 Km2 e, considerando che per circa la metà si tratta del
deserto del Negev, praticamente si tratta di un territorio che più o
meno equivale a quello di una nostra regione di media grandezza, come
le Marche per fare un esempio.
Il fatto che poi gli Arabi
“Palestinesi” siano stati cacciati dalle terre di Israele non è
vero, è un ennesimo falso fornito dalla propaganda anti-israeliana,
antisionista e antisemita, ESSI SONO INFATTI ANDATI VIA
VOLONTARIAMENTE (cfr. nota 7) , portandosi via le proprie cose,
mentre quelli che restarono godettero di una libertà impensabile
negli altri Stati arabi. In contemporanea bisogna anche considerare
che un numero più o meno pari di ebrei sono stati cacciati dagli
Stati arabi ma PERDENDO TUTTE LE LORO SOSTANZE: si tratta quindi di
uno scambio di popolazioni più o meno alla pari, ma con modalità
assolutamente impari.
Il cosiddetto popolo palestinese
sarebbe quindi stato spogliato della sua terra: MA CONSIDERATO CHE
STORICAMENTE NON È MAI ESISTITO UN POPOLO PALESTINESE (NE TANTO MENO
UNO STATO PALESTINESE ) MA SOLO ARABI CHE HANNO UN TERRITORIO IMMENSO
(IL 99,9% MAGGIORE DI QUELLO DI ISRAELE) NON VEDO DOVE STIA IL
PROBLEMA.
Infatti, concentrandoci sulla questione
possiamo sicuramente affermare che, in questo caso, non ci si trova
di fronte a una disputa territoriale tra due Stati preesistenti che
vengono in contrasto per una certo parte del territorio come ad
esempio avvenne per l’Istria fra l’Italia e Jugoslavia.
(Tra l'altro vorrei capire e chiedo: ma
gli Italiani d' Istria, strappati alla loro Patria hanno mai lanciato
razzi e fatto attentati contro l'allora Jugoslavia? E noi italiani
abbiamo mai preteso la restituzione dell'Istria se no “guerra allo
slavo maledetto”?... Non mi sembra proprio.)
La guerra, e con lei l'Istria,
l'abbiamo persa, ma almeno noi abbiamo conservato la nostra dignità.
Giusto un Gheddafi poteva continuare a chiedere all'Italia i danni di
guerra (nonostante dalla nostra presenza la Libia ne avesse tratto
più benefici che altro, vedi strade ospedali, scuole..) ma lui
era... arabo. Sta tutto qui, nella differenza di etica, di morale, di
rispetto della parola data e soprattutto di dignità, che alcuni
popoli hanno altri no. Ma questa non sia presa come una critica, è
semplicemente un modus pensandi, una prerogativa culturale che, come
altri, caratterizza l'agire di un popolo.
Tornando alla questione, nel caso di
Israele, non si può nemmeno invocare il principio della nazionalità
degli abitanti come per il Kossovo abitato al 90 % da Albanesi,
poiché è proprio la immigrazione ebraica a essere contestata.
Non si può nemmeno palare di
colonialismo, come pure spesso si è fatto: non esiste una madre
patria che amministra un territorio lontano storicamente distinto
come nel caso dell’impero coloniale inglese.
E nemmeno si può parlare di stato
confessionale: una gran parte dei suoi cittadini non segue affatto la
religione tradizionale ebraica .
Formalmente lo Stato d’Israele può
considerarsi forse come una sorta di Stato "razzista" in
quanto accetta come cittadini quelli che appartengono a una certa
etnia (legge del ritorno): non ha però i caratteri propri di uno
stato razzista come ad esempio il vecchio Sud Africa, anche perché,
oggettivamente, gli ebrei sono un popolo e non una razza!
Direi, considerato tutto, che si tratta
di un caso unico e diremmo irripetibile: irrisolvibile pertanto con
le leggi internazionali generalmente riconosciute ma solo con il
buonsenso delle due parti in causa. Purtroppo pare che questo arrivi
solo da una parte.
Se ci si pensa bene, in realtà tutti,
o quasi tutti, gli sconvolgimenti territoriali della Storia sono
stati accettati, decine di milioni di profughi assorbiti, e anche gli
immensi imperi coloniali europei si sono dissolti senza troppo gravi
drammi, MA LA QUESTIONE PALESTINESE RIMANE LÌ, IRRISOLTA E SEMPRE
PIÙ IRRISOLVIBILE, È DIVENUTA NEL TEMPO UNA SPECIE DI FOCOLAIO DA
CUI SCATURISCONO CRISI SU CRISI CHE MINACCIANO LA STABILITÀ NON SOLO
DEL MEDIO ORIENTE MA ANCHE DI TUTTO IL MONDO.
Dal punto di vista israeliano è
evidente che essi non possono lasciare quel territorio e tornare
nelle patrie di origine: sono costretti dalle circostanze a lottare
strenuamente per difendersi: circondati dall’ostilità implacabile
di uno sconfinato mare di genti nemiche hanno come priorità
assoluta, più di ogni altro popolo, la difesa.
Da parte araba le motivazioni sono di
una implacabile ostinazione e nel contempo sono anche molto più
complesse. Soltanto per dovere do cronaca e senza nessun intenzione
polemica ricordo che innanzitutto bisogna considerare l’orgoglio o,
meglio, la frustrazione degli arabi.
Da secoli gli Arabi infatti vengono
regolarmente sconfitti in campo aperto dagli Occidentali con
irrisoria facilità. L’ultima volta che un esercito mussulmano è
riuscito a contrastare uno europeo è stato sotto le mura di Vienna
nel 1683: poi è stato tutto un susseguirsi di disfatte umilianti:
dalla spedizione di Napoleone in Egitto che con poche migliaia di
soldati debellò l’aristocrazia dei Mammellucchi che detenevano da
400 anni il potere in Egitto, alla battaglia Navarrino in cui la
flotta araba fu affondata tutta dalle navi europee, alla battaglia di
Khartum in cui i dervisci caddero in massa di fronte alle truppe
inglesi, fino alla Guerre del Golfo in cui la madre di tutte le
battaglie si è trasformata nella madre di tutte le sconfitte: per
due volte un esercito americano ha disfatto completamente uno
iracheno praticamente senza avere perdite.
Ecco quindi che la questione
palestinese diviene un fatto simbolico: se un piccolo stato come
Israele tiene in scacco l’intero mondo arabo vuol dire che in
effetti esso è solo la espressione di un complotto a livello
mondiale contro la rinascita del mondo arabo: la lotta contro Israele
non è quella per recuperare un piccola fetta di territorio ma quella
di liberarsi dal dominio delle potenze occidentali che vorrebbero
mantenere il loro dominio nella regione.
Continuando a ragionare sull'argomento
e spostandoci sempre più verso l'attualità non si può considerare
che negli ultimi decenni, dopo il fallimento delle politiche
modernizzatrici dei governi arabi, e nonostante pare anche la
“primavera araba” (che sembrava in un primo momento dover porre i
popoli arabi in un ottica più laica) il fondamentalismo islamico ha
ripreso forte vigore e per gli integralisti la Questione Palestinese
è SOLO una questione religiosa: bisogna liberare al Qoods ( la
“santa” come viene chiamata Gerusalemme). Il luogo sacro dal
quale Muhammed volò in cielo, come una prima necessaria tappa di un
risveglio generale della Umma (comunità dei fedeli in Allah) che
deve purificarsi dalle influenze occidentali (cioè degli infedeli)
per riprendere il suo glorioso cammino di conquista del mondo alla
vera fede in Dio.
Concorderete, quindi, che posta in
questi termini, come in realtà viene posta tra gli arabi
fodamentalisti, la questione palestinese diviene irrisolvibile: ogni
compromesso diventa un ignobile e sacrilego tradimento.
La Palestina infatti da quest'ottica
assume per il mondo islamico lo stesso valore che essa aveva per
l’Europa medioevale: tutta la cristianità concordava nella
necessita di liberare il Santo Sepolcro ed ogni imperatore, re e
principe dichiarava che il suo scopo supremo era di partire per la
crociata. Combatterla effettivamente poi era altra cosa.
Analogamente nell’ambito islamico
ogni Rais, ogni leader piccolo e grande, ogni capo di banda
terroristica mette avanti il problema palestinese per crearsi una
facile popolarità perché tutto il modo arabo, in un modo o
nell’altro, sente quella questione come una ferita aperta che non
si rimargina.
IN REALTÀ, CONCRETAMENTE, NESSUN PAESE
ARABO, DOPO LA PACE SEPARATA DELL’EGITTO, HA MAI AFFRONTATO ISRAELE
E NON PARE CHE NE ABBIA LA MINIMA INTENZIONE O POSSIBILITÀ: TUTTAVIA
SI PUÒ GIUSTIFICARE QUALUNQUE AZIONE DICHIARANDO CHE LA PROPRIA META
FINALE È SEMPRE LA DISTRUZIONE DI ISRAELE.
Il problema politico quindi se visto
da questo punto di vista diviene un problema metafisico. E prova tu a
teorizzare o convincere qualcuno su teorie metafisiche!
Quindi, rifacendo un attimo un passo
indietro, possiamo certamente notare come, a un osservatore esterno e
imparziale, le linee della pace possano apparire evidenti e
irrefutabili solo se non si considerano torti e ragioni: l’unica
soluzione sarebbe, come detto, la divisione della Palestina in due
stati, sovrani e indipendenti. La comunità internazionale,
l’opinione pubblica mondiale onesta quindi dovrebbe fare una sola
domanda veramente importante a Palestinesi e Israeliani.
Ai primi chiedere se vogliono
riconoscere realmente e definitivamente lo stato di Israele, e quindi
che la fine dell’occupazione israeliana NON sia solo il primo passo
per la distruzione di Israele stessa. Ai secondi, chiedere se essi vogliono
effettivamente la costituzione di uno Stato palestinese e quindi sono
disposti a smantellare le colonie che ancora, di fatto, lo
impediscono
Ma la risposta che otterrebbero sarebbe
senz'altro equivoca.
Questo perché innanzitutto i pareri si
dividono in ciascun campo:
infatti mentre HAMAS, da una parte,
continua a mantenere nel suo programma (e nel suo Statuto) la
cancellazione pura e semplice di Israele (nonostante sembri che Abu
Mazen e Al Fatah o una sua parte, almeno,riconoscano il diritto ad
esistere ad Israele), da quella israeliana una parte della
popolazione pare decisa a promuovere la nascita di una Palestina
indipendente ma un’altra parte sostiene strenuamente gli
insediamenti, il diritto ad abitare in quei territori.
IN MEZZO AI DUE CONTENDENTI TUTTI
COLORO, PAESI ARABI IN TESTA, CHE NON VOGLIONO CHE CIÒ SI REALIZZI E
COME DETTO NON SI SOGNANO NEMMENO DI AGEVOLARLO MAGARI CON
CONCESSIONI TERRITORIALI AI PROPRI “FRATELLI MUSSULMANI”.
I moderati di ciascuna delle parti,
poi, temono che nel campo opposto prevalgano gli estremisti, che non
ci si possa fidare dei moderati stessi.
Senza considerare che sia arabi che
israeliani hanno specifici problemi ad accettare la pace di
compromesso.
Gli israeliani pensano di non potersi
fidare dei Palestinesi poiché: quanto anche questi solennemente si
impegnassero a riconoscere Israele chi potrebbe poi garantire che in
uno stato indipendente di Palestina non prevalessero poi gli elementi
più estremisti che disconoscerebbero proprio quegli impegni? ( E chi
conosce il modo di ragionare, l'educazione, la cultura araba sa che
questa eventualità è assolutamente dietro l'angolo. Non rispettare
i patti fa parte dell'humus culturale dell'arabo dalla notte dei
tempi e ahimé come al solito questa non è una critica, ma una
constatazione storica).
I Palestinesi hanno anche essi problemi
specifici, e decisamente più preponderanti: infatti i loro
dirigenti, che fossero quelli dell'OLP o gli attuali di Hamas, tutti
hanno da sempre promesso che avrebbero spazzato via gli Israeliani,
che li avrebbero ricacciati in mare.
Il popolo palestinese, come detto da
sempre oppresso senza rendersi conto da chi, ci ha creduto, ci ha
fermamente creduto e si è sacrificato e continua a sacrificarsi
oltre ogni ragionevole limite, generazione dopo generazione, nella
speranza indistruttibile che alla fine essi prevarranno e che Israele
sparirà come un brutto sogno. Da tre generazione ogni palestinese
apprende questa verità suprema fin dalla tenera età e vive per quel
giorno, il giorno della vittoria che è certa e indubitabile, che
Allah stesso non negherà certo ai suoi fedeli. Quindi il problema da
questa parte pare ancor più insormontabile.
Dire ai “palestinesi”, o meglio al
popolo “palestinese, che invece bisogna fare la pace con Israele
significa in sostanza dire che tre generazioni si sono sacrificate
inutilmente, che tutto è stato vano perché in effetti debbono
accontentarsi di quello che hanno sempre rifiutato, anzi se non
intervengono i “fratelli Arabi” di molto di meno. (Se avessero
infatti accettato la spartizione decisa dall’ONU Israele sarebbe
una piccola enclave senza importanza, se avessero accettato il
risultato della guerra dei Sei Giorni e avessero riconosciuto Israele
avrebbero un loro stato da 40 anni senza gli insediamenti ebraici:
non è facile riconoscere che ci si è sbagliato, che una immensa
infinita mole di sacrifici e sofferenza è stata inutile!).
Avviene allora che chi mostra ai
Palestinesi l’unica strada per uscire dalla situazione da incubo in
cui si trovano, e cioè la possibilità di una pace vera, venga
considerato un traditore, un responsabile di quella situazione. Chi
invece, come Hamas, al contrario prolunga indefinitivamente quella
situazione senza mostrare alcuna via di uscita effettivamente
percorribile, diviene popolare, anche se non propone nessuna
soluzione che non sia la semplice continuazione di un calvario
infinito che dura da tre generazioni: che importa, Dio provvederà,
Allah Akbar (Dio è grande), inch’Allah (come vuole Dio )!
Il grande problema è che dopo una
accurata valutazione ci si rende subito conto che un insieme di
fattori rende comunque impossibile anche un'eventuale e deprecabile
soluzione militare del conflitto. Innanzitutto perché non si tratta
di due contendenti che lottano da soli ma il mondo intero, in qualche
modo, partecipa e rende impossibile a ciascuna della parti una
vittoria definitiva.
Nello sconfinato mondo arabo e
mussulmano, i “Palestinesi” trovano sempre dei sostenitori per
tanti motivi anche vari e contrastanti: un fiume di danaro si
rovescia sui Palestinesi (anche se, per la verità, tutto questo ben
di Dio o di Allah rimane nelle strette maglie delle reti tese prima
dall'OLP e ora da Hamas) e con esso un flusso ininterrotto di armi e
soprattutto un imponente flusso di benedizioni religiose, di conforti
fraterni e appoggi ideologici.
Oggi però non siamo più nel passato
quando il blocco sovietico faceva propria la causa dei palestinesi
nel tentativo di conquistare l’appoggio degli Arabi nel conflitto
planetario che li opponeva agli Americani e al mondo capitalistico.
Il crollo del comunismo e la “capitalizzazione” della Russia li
ha privati di quell’aiuto ma, nel contempo, anche di una certa
moderazione che comunque i Sovietici riuscivano a imporre in funzione
della loro politica generale.
PURTROPPO LE CORRENTI DI ESTREMA
SINISTRA, I GRUPPUSCOLI RESIDUALI MA SEMPRE VIVI E ATTIVI DEL VECCHIO
COMUNISMO, I SINISTROIDI, QUELLI CHE L'IDEOLOGIA LA PRENDONO COME SE
FOSSE UN'ASPIRINA SENZA RAGIONARE SUGLI EFFETTI COLLATERALI HANNO
EREDITATO DALLA “SCUOLA SOVIETICA” L’APPOGGIO INCONDIZIONATO AI
PALESTINESI. MA ESSI NON HANNO ALCUNA POSSIBILITÀ CONCRETA DI
INTERVENIRE E PUR TUTTAVIA LASCIANO SPERARE AI PALESTINESI CHE I
POPOLI DELL’OCCIDENTE SIANO CON LORO E QUINDI ANCHE I GOVERNI,
PRIMA O DOPO ABBANDONINO GLI ISRAELIANI. (A questi non
dimentichiamoci di aggiungere tutte le organizzazioni neo-naziste,
antisemite ed antisioniste che proliferano sul pianeta. Giusto per
citarne qualcuna ricordiamo: Aryan Nation, Nysvenska Rörelsen,
National Democratic Party, Bloed Bodem Eer en Throuw, Combat18, Blood
and Honour, Bloc Identitaire, Russian National Unity, Golden Hawn,
Swedish Resistance Movement, Alba Dorata e l'appena balzato agli
onori delle cronache in Italia, Stormfront)
Gli stati europei d'altronde, e quello
italiano in primis, hanno una politica molto debole se non proprio
viscida e ipocrita, infatti da una parte sostengono Israele nel suo
diritto all’esistenza anche perché conoscono la “potenza”
elettorale oltre che economica delle comunità ebraiche, dall’altra
tuttavia cercano di avere buoni rapporti con i Palestinesi perché
non intendono perdere l’amicizia e soprattutto i buoni rapporti
commerciali con gli Arabi in generale (vedi Monti culo e camicia con
l'Emiro del Quatar o a leccare qualche deretano in Kuwait e in altri
potentati arabi, dove tra parentesi sta cercando di vendere ciò che
rimane del nostro paese da lui ridotto a brandelli).
A tutto questo si aggiunge il grave
problema che non esiste una politica estera comune degli Stati
europei in Medio Oriente (come in ogni altro campo d'altronde) e
quindi ogni Stato ha una sua politica particolare, spesso in
concorrenza con quella del vicino.
I maggiori attori restano quindi gli
Americani, naturalmente, gli unici che hanno effettivamente i mezzi
economici e militari per intervenire e che inoltre possono pure
influenzare i governi occidentali. Gli Americani sono schierati
chiaramente a favore di Israele (sappiamo benissimo l'importanza
della Comunità ebraica negli USA), tuttavia hanno anche interessi in
tutto il Medio Oriente e molti alleati fra gli Stati arabi ma,
soprattutto, temono una incremento di quelle correnti integraliste
che tanto li preoccupano, che potrebbe favorire un'esplosione della
situazione dalle conseguenze imprevedibili.
Da un parte quindi gli Americani
aiutano effettivamente e sostanzialmente gli Israeliani ma, d’altra
parte, sono intervenuti nelle guerre arabo-israeliane del 56, del 68
e del 73 per fermare l’avanzata israeliana oltre certi limiti e
premono continuamente su Israele (anche in questi giorni) perché la
repressione contro i Palestinesi non superi certi limiti.
C'è da tener presente che dal punto di
vista puramente militare, attualmente, Israele potrebbe distruggere
la resistenza palestinese facilmente: potrebbe rispondere al lancio
dei razzi con attacchi aerei veramente devastanti e non come quelli
chirurgici che sta cercando di attuare in queste ore.
Certo, ma come la mettiamo con i civili
e i bambini che ci lasciano le penne? Dirà qualcuno.
Risposta: se Hamas monta postazioni
lanciamissili su palazzi abitati da civili, nasconde i propri capi in
campi profughi o tra la popolazione civile qualcosa succederà ai
poveri “palestinesi” innocenti o no?
Se Israele lo volesse potrebbe
rispondere a ogni attacco suicida o a ogni lancio di razzi con
deportazioni di massa e rappresaglie indiscriminate. Ma questo non fa
parte della cultura ebraica (e qui si tratterebbe di aver studiato
Talmud e Torah per capirlo, ma i disinformatori se ne fregano. La
maggior parte di loro non ha mai letto nemmeno una pagina del Corano,
cosa vogliamo sperare?)
Oltretutto questo scatenerebbe una
reazione araba incontrollabile e non sarebbe gradito agli Americani,
oltre che dalla comunità internazionale, ed Israele non ha certo
bisogno di avere nuovi nemici!
In pratica gli Americani mettono
Israele in grado di resistere agli avversari ma impediscono loro di
vincere e nello stesso tempo analogamente si dichiarano contro il
terrorismo palestinese ma impediscono che esso sia effettivamente
debellato.
Quindi alla fine chiunque vinca le
battaglie non è importante: perché nessuno può vincere la guerra.
Alla fine di ogni battaglia tutti gridano di aver vinto: in realtà è
esattamente l'opposto, hanno perso tutti, mondo compreso.
Tornando alla Questione, i
“palestinesi”, come da sempre cerco di spiegare, sono certamente
le vittime di questa situazione, ma ciò a causa dell'assenza di un
governo autorevole e responsabile, in grado di governare e imporre
effettivamente la propria volontà, e della presenza al potere di
un'organizzazione quale è Hamas. I “palestinesi” sono vittime
dei loro stessi fratelli, perché è questi che Israele combatte, non
il palestinese in senso lato. La popolazione, la gente comune non è
in grado di capirlo considerato il lavaggio del cervello imposto da
Hamas e le rappresaglie sulla popolazione civile da parte della
stessa organizzazione terroristica. Ma quest'ultima anche se lo
volesse, come farebbe disarmata e impaurita com'è a impedire gli
atti di terrorismo? Viene quindi punita per qualcosa che non è in
grado di impedire.
Infatti, grazie alla politica di Hamas
e di tutti i media arabi, il palestinese oppresso, in miseria, che
vede morire i suoi figli non addossa affatto la colpa ai “terroristi”
ma agli Israeliani: non considera affatto l’azione israeliana come
effetto di quella dei “terroristi” ma anzi fa il collegamento
inverso: l’azione terroristica è vista come vendetta di quanto ha
subito. Non è l’attentato suicida o il lancio di razzi che ha
causato l’attacco di Israele ma, al contrario, essi sono la
reazione all’attacco israeliano. Quindi in terra “palestinese”
la politica israeliana finisce con il raggiungere il risultato
opposto a quello sperato.
Un altro effetto insolito di questa
guerra è l’inversione del fenomeno della conta delle vittime:
nelle guerre, in generale, si gonfiano le cifre dei caduti del nemico
e si minimizzano le proprie. I Palestinesi invece, al contrario,
enfatizzano le proprie perdite: ogni caduto palestinese sembra essere
una vittoria perché esalta sempre più il furore e l’odio dei
palestinesi e la commozione presso l’opinione pubblica
internazionale. Il problema è che per raggiungere questo scopo i
leader di Hamas spesso mettono i bambini in condizioni di estremo
pericolo per poterli utilizzare mediaticamente in caso di ferimento
o, peggio, morte, poiché sanno perfettamente qual'è l'impatto di
tali fatti sull'opinione pubblica occidentale che, giustamente,
davanti all'ingiustizia perpetrata sui bambini non si tiene più.
Purtroppo la stessa opinione pubblica è quella che non si preoccupa
e non immagina cosa voglia dire essere bambino in un Paese arabo
(soprattutto se in condizioni disagiate) dove regnano ancora regimi
feudali, dove la donna e il bambino vengono sempre un passo dietro
all'uomo (si badi bene che sto parlando sì di arabi, ma non
generalizzando. È ovvio che nei centri più sviluppati e più laici
ci sia un modo di vedere le cose e di comportarsi diverso, ma qui
stiamo parlando di luoghi dove la legge feudale che vigeva da noi nel
medioevo è ancora viva e vegeta!) . Quell'opinione pubblica che
giustamente si sconvolge di fronte alle immagini delle vittime
innocenti a Gaza però è oggettivamente gente strana, poiché per
esempio non nota quasi mai la disparità nell'informazione e nella
divulgazione di servizi e immagini che riguardano il “conflitto”
israelo-palestinese. Infatti un minimo di sana obiettività dovrebbe
far balzare all'occhio che ogni immagine (parlo di quelle vere e non
quelle magari prese in Siria e poi spacciate come scattate nella
Striscia) presa a Gaza è sempre di sofferenza, di case distrutte e
di morte, mentre le immagini girate in Israele spesso fanno vedere un
Paese dove la vita scorre apparentemente normale, nonostante tutto.
Lo strazio delle famiglie massacrate nel Sud di Israele e quant'altro
non viene praticamente MAI preso in considerazione, ricordate
immagini di ebrei, di israeliani con in braccio il figlio o il
fratello straziato da un colpo di mortaio o da un missile? Forse
giusto qualche ripresa quando viene fatto saltare in aria un autobus
o un bar, ma il cronista alla ricerca della scena straziante
solitamente non è mai presente in quelle situazioni e tutto viene
mostrato quasi asetticamente.
Sempre questa stessa opinione pubblica,
che non nota per superficialità quello che anche un cieco capirebbe
che fa parte di un chiaro disegno di propaganda è comunque la
stessa che poi si affligge di fronte alla piaga del lavoro minorile
nel mondo ma, alla fine della fiera, fa finta di niente continuando a
comprare prodotti di griffes che pare che facciano proprio dello
sfruttamento dei bambino una delle loro risorse per il contenimento
dei prezzi (Coca Cola, Nike, Adidas, Mattel, Chicco, Benetton,
Reebok, Levis, Chiquita, Mondo, Nestlè, Firestone, Disney, Wallmart,
McDonald, Timberland. Philip Morris, Ikea, Reebok etc. Ma questa è
un'altra brutta storia!).
Lasciamo però queste divagazioni
polemiche e domandiamoci di nuovo quale possa essere la soluzione del
conflitto.
In realtà tutti lo sanno perché, come
abbiamo ripetutamente notato, suddetta soluzione è ben nota , unica
e obbligata: il problema è come arrivarci .
Se gli Israeliani pongono come
presupposto dei negoziati la cessazione di ogni atto di terrorismo,
dall'altra parte quelli che non vogliono il negoziato lo faranno
immediatamente fallire con un attentato: vi saranno sempre dei gruppi
contrari al negoziato e i moderati non sono in grado di
controllarli.
Occorrerebbe invece che la cessazione
del terrorismo fosse posta come fine del negoziato, non come
presupposto. Se effettivamente si costituisse uno Stato palestinese
con un governo effettivamente in grado di governare e controllare il
territorio allora sarebbe nella logica delle cose che assumesse anche
la responsabilità dei propri cittadini. Esso potrebbe effettivamente
e autorevolmente controllare il terrorismo.
D'altra parte se la situazione umana
degli abitanti in Palestina migliorasse sensibilmente certamente il
prestigio del governo moderato crescerebbe e diminuirebbe in
parallelo quello degli estremisti.
In altri termini se il palestinese
comune vedesse la sua vita migliorare realmente con la pace
diventerebbe favorevole alla pace stessa (cioè agli accordi con gli
Israeliani) ma fino a che egli si sentirà oppresso e attaccato dagli
Israeliani non crederà mai che la pace con essi potrebbe portare
qualcosa di buono. E con Hamas sulla testa che oltre che a continuare
a lanciare razzi su Israele continua a lanciarli nella testa del
popolo palestinese appoggiato dai soldoni dell'Emiro del Qatar, degli
Sceicchi di Abu Dhabi e di quelli dell'Arabia Saudita sarà davvero
dura che le cose cambino.
Ecco perché Israele ha deciso di
liberarsi definitivamente di Hamas almeno.
E se non interverranno i soliti
negoziati a legargli le mani (e questi avverranno perché i Paese
Arabi magari sotto sotto minacceranno embarghi petroliferi, l'Iran
minaccerà un intervento armato – che per la verità ho
l'impressione che Israele in fondo in fondo gradirebbe perché così
avrebbe la possibilità si spazzare via uno dei suoi principali
oppositori in un battibaleno – perché gli Europei traccheggeranno
vedendo minacciata la propria molto ipotetica crescita economica
etc...) lo farà e forse si potrà ricominciare a parlare di pace,
perché checché se ne dica, il popolo ebraico e quindi gli
israeliani sono un popolo pacifico, purtroppo però abituato dalla
Storia a doversi difendere sempre da tutto e da tutti (cfr.Nota 2).
Ad ogni buon conto la strada del
negoziato a oltranza richiederebbe coraggio e determinazione da parte
di Israele e qualcuno la ritiene essere l’unica soluzione
risolutrice del conflitto, più che di qualunque inconcludente
vittoria militare. Personalmente, oggi come oggi, io non la vedo
così. A mio avviso (e qui mi beccherò fior di insulti) se non si
elimina la piaga Hamas e del terrorismo il popolo palestinese vivrà
sempre nell'indigenza e nel terrore, mentre quello israeliano dovrà
sempre stare sul chi vive come lo vogliono Siria, Giordania, Libano,
Arabia Saudita ed Egitto, nella speranza che in un attimo di
distrazione lo si possa sopraffare e farsi merito della vittoria
sull'odiato nemico in nome di Allah e diventare così gli “eroi”
della nazione musulmana.
Concludo questo lunghissimo articolo
affermando quindi che se veramente si vuole la salvezza e la
prosperità del popolo palestinese e se si spera nella creazione di
uno Stato Palestinese indipendente che possa crescere e prosperare,
bisogna rivolgere il proprio biasimo solo ed esclusivamente contro
Hamas e tutti quei Paesi Arabi che continuano a consentire che i
poveri palestinesi si sacrifichino per una guerra che in fondo non è
mai stata loro, ma che sono stati convinti a combattere con la
menzogna e con false promesse.
I PALESTINESI SONO VITTIME E NON CI
PIOVE, MA SONO VITTIME SOLO ED ESCLUSIVAMENTE DEI PROPRI STESSI
“FRATELLI ARABI E MUSSULMANI”, E FINCHÈ NESSUNO CAPIRÀ QUESTO
NON CI POTRÀ ESSERE PACE IN MEDIO ORIENTE PERCHÈ È SU QUESTO
CRUDELE INGANNO CHE I PAESI ARABI HANNO DA SEMPRE POGGIATO TUTTA LA
LORO POLITICA.
Nota 1:
La storia degli ebrei è segnata da
momenti drammatici. Nel VI secolo a.c. vengono deportati dagli assiri
in Babilonia; ritornati non riescono a creare uno stato unitario e
nel 63 a.c. la Palestina divenne provincia romana. Nel 70 d.c. Tito
distrugge Gerusalemme sterminando molti ebrei. Alcuni restano in
Palestina, altri emigrano lungo la costa del Nord Africa, nel
VII-VIII sec. dei gruppi si spostano in Europa al seguito degli emiri
arabi. Quelli che si dirigono verso l'Europa cristiana conoscono ben
presto le prime persecuzioni. Durante i secoli del Medioevo, i
cristiani accusano gli ebrei di essere il popolo “deicida”,
responsabile cioè dell’uccisione di Gesù. Nell’Europa
cristiana, si proibisce agli ebrei di coltivare e di possedere la
terra, e sono costretti a fare solo i banchieri, gli usurai, un ruolo
considerato peccaminoso dal mondo cristiano, gli artigiani o altri
lavori che non prevedano la proprietà fondiaria. Un diverso destino
attende invece gli ebrei nordafricani. Qui, pur pagando una speciale
imposta, la “Jiza”, le comunità ebraiche sono rispettate e
coperte dalla protezione dei califfi. In Spagna , fra il X e il XIII
secolo, si sviluppa una grande cultura arabo-giudaica. Filosofi ebrei
e musulmani discutono fra loro di scienza e fede, scrivendo
indifferentemente in ebraico e in arabo. Nel Cinquecento termina il
periodo fiorente del giudaismo spagnolo, poiché la penisola iberica
viene "riconquistata" dai cristiani. I re cattolicissimi
Fernando d’Aragona e Isabella di Castiglia impongono il battesimo
forzato ad arabi ed ebrei sotto la minaccia della confisca dei beni e
della morte, chi non si piega è costretto all’esilio. Comincia,
dunque, una nuova fase della diaspora, gli ebrei vanno nel nord
Africa, in Turchia, alcuni in Palestina e molti nell’Europa
centrale e orientale. Coloro che scelsero l’Europa cristiana si
trovarono nel pieno delle persecuzioni. In Europa troveranno una
situazione favorevole solo in Inghilterra e nell’Italia meridionale
non nel resto dell’Europa, poiché avevano perso il monopolio delle
loro antiche attività economiche, dovute allo sviluppo
capitalistico. I più emigrarono nell'Europa orientale. In Polonia,
in Lituania e in Ucraina, si forma la più grossa concentrazione di
ebrei. Lo stato polacco li protegge, e permette loro di svolgere il
ruolo economico-sociale che li aveva da sempre caratterizzati. Ma
alla fine del settecento arriva un nuovo dominatore, l’impero
russo, e con esso nuove persecuzioni, i pogrom, e gli ebrei dovettero
riprendere a emigrare, questa volta verso l’Europa occidentale e
gli Stati Uniti. Negli ultimi decenni del XIX secolo, infatti, si era
sviluppata una nuova forma di antisemitismo, soprattutto dal momento
in cui gli ebrei erano diventati uguali davanti alla legge. Il
miglioramento delle loro condizioni sociali, economiche e culturali
aveva suscitato l'invidia di coloro che si consideravano
svantaggiati. Gli ebrei furono indicati come i fondatori delle nuove
tendenze culturali e sociali, prive di certezze tradizionali e piene
di contraddizioni. Furono inoltre accusati di aver dato origine alle
due opposte dottrine ideologiche: il capitalismo e il socialismo, e
sospettati di fomentare segretamente complotti internazionali.
In realtà, gli ebrei si dividevano in
ortodossi e riformisti. Nell'Europa occidentale alcuni possedevano
grandi fortune, ma la gran parte degli ebrei che risiedevano
nell'Europa orientale apparteneva a una classe sociale molto povera.
Lungi dal costituire un insieme coerente, gli ebrei erano divisi da
divergenze politiche e sociali.
In quel periodo i paesi europei erano
teatro di aspri contrasti interni, incapaci di affrontare la grave
crisi economica che aveva generato un clima di malcontento generale.
Il momento era quindi propizio a fare degli ebrei i colpevoli di tale
situazione. Essi furono designati come capro espiatorio e indicati
come tali da coloro che si disputavano il potere. In Germania, il
razzismo fornì un elemento supplementare, rappresentando gli ebrei
come portatori di tare ereditarie senza alcuna via di salvezza.
Incompatibile con i fondamenti del cristianesimo, il razzismo
biologico era ormai il principio conduttore dell'ideologia
nazionalsocialista, l'elemento centrale della sua visione del mondo.
Il nazionalismo razzista si era servito dei miti e dei simboli pagani
esaltando il concetto di forza e del diritto dei più forti. La
Storia veniva letta come una competizione permanente tra razze per la
supremazia, simile alla lotta per la sopravvivenza in natura. Il
nazismo sosteneva che, in tutti gli ambiti, la cosiddetta razza
ariana avesse doti creative di cui beneficiavano gran parte delle
altre razze. Esso affermava che gli ebrei rovinavano la purezza della
razza e minavano l'evoluzione naturale, nonché il diritto degli
ariani all'egemonia.
Le grandi democrazie non presero alcuna
iniziativa d’ordine pratico contro la legislazione antiebraica e le
persecuzioni inflitte agli ebrei, ne furono prese iniziative
straordinarie per aprire le frontiere dei paesi del mondo, o quelle
della Palestina mandataria, agli ebrei intrappolati nel Reich tedesco
e nei territori sotto la sua influenza. Nel periodo che precedette la
guerra mondiale, in cui si moltiplicavano gli estremismi e i regimi
totalitari, il terreno era fertile per la diffusione dell'
antisemitismo e per un minore livello di consapevolezza del pencolo
che la Germania rappresentava per il mondo. L'«ordine nuovo»,
nell'ideologia nazista, aveva come obiettivo l'annullamento e lo
sradicamento dei valori umani. Il diritto dell'uomo alla vita, il
diritto dell'uomo e del cittadino all'uguaglianza nel suo paese,
principi elaborati e adottati lungo il cammino della civiltà
europea, costituivano, tra i popoli illuminati, il fondamento della
condizione giuridica dell'uomo e della famiglia. Adolf Hitler aveva
come fine bellico l'instaurazione nel mondo di un nuovo ordine
sociopolitico fondato sulla gerarchia razziale, sull'egemonia
«ariana» e sull'annientamento degli ebrei. Enunciato nel Mein
Kampf, nei discorsi di Hitler e in innumerevoli scritti dei suoi
collaboratori più anziani, la realizzazione di questo «ordine» fu
perseguita tappa per tappa tra il 1933 e il 1939, per arrivare,
durante la guerra, allo sterminio di massa degli ebrei. E da qui in
avanti è la Shoà, l'Olocausto e la cosa angosciante è che noi
italiani ne siamo stati complici grazie alle Leggi Razziali
promulgate da Mussolini che hanno portato alla costruzione di
centinaia di campi di concentramento anche in Italia di cui
ovviamente NESSUNO parla mai (
http://www.lager.it/campi_concentramento_italiani.html
).
Aggiungo per i “disinformatori”
un'interessante cronologia delle principali persecuzioni subite nei
secoli dagli ebrei nei paesi arabi:
624 d.C. - tribù ebraiche vengono
sterminate da Maometto
628 - gli ebrei di Khaibar (Arabia,
oggi A. Saudita) devono versare tributi altissimi e ogni ebreo che
compie 15 anni deve pagarlo.
700 - intere comunità ebraiche vengono
massacrate dal re Idris I del Marocco.
845 - vengono promulgati in Iraq
decreti per la distruzione delle sinagoghe.
845-861 - El Mutawakil ordina che gli
ebrei portino un abito giallo, una corda al posto della cintura e
delle pezze colorate sul petto e sulla schiena.
900 - col Patto di Omar gli ebrei
vengono spregiativamente chiamati dhimmi. In base a tale Patto era
proibito agli ebrei di costruire case più alte di quelle dei
musulmani, salire a cavallo o su un mulo, bere vino, pregare a voce
alta, pregare per i propri morti o seppellirli in modo da offendere i
sentimenti dei musulmani. Dovevano portare abiti atti a distinguerli
dai musulmani. Nasce qui e non in Europa il segno distintivo degli
ebrei, e l'obbligo di portare pezze sugli abiti si diffonderà in
tutti i paesi arabi
1004 - Il Cairo: gli ebrei sono
costretti a portare legato al collo un piccolo vitello di legno e in
seguito palle di legno del peso di tre chili.
1006 - Granada: massacro di ebrei.
1033 - Fez, Marocco: proclamata la
caccia all'ebreo. 6000 ebrei massacrati.
1147-1212 - persecuzioni e massacri in
tutto il nord Africa.
1293 - Egitto e Siria: distruzione
delle sinagoghe.
1301 - i Mammelucchi costringono gli
ebrei a portare un turbante giallo.
1344 - Distruzione delle sinagoghe in
Iraq.
1400 - Pogrom in Marocco in seguito al
quale si contano a Fez solo undici ebrei sopravvissuti.
1428 - vengono creati i ghetti
(mellaha) in Marocco.
1535 - Gli ebrei della Tunisia vengono
espulsi o massacrati.
1650 - Anche in Tunisia vengono creati
i ghetti, qui si chiamano hara (in arabo significa “merda”)
1676 - distruzione delle sinagoghe
nello Yemen.
1776 - vengono sterminati gli ebrei di
Basra, Iraq.
1785 - massacri di ebrei in Libia.
1790-92 - distruzione delle comunità
ebraiche in Marocco.
1805-15-30 - Sterminio degli ebrei di
Algeri.
1840 - persecuzioni e massacri a
Damasco.
1864-1880 - continui pogrom a Marrakesh
1869 - massacri di ebrei a Tunisi.
1897 - massacri di ebrei a Mostganem,
Algeria.
1912 - pogrom a Fez.
1929 - massacro della comunità ebraica
a Hebron e distrutta la sinagoga.
1934 - il governo iracheno vieta agli
ebrei lo studio dell'ebraico.
1936 - In Iraq gli ebrei vengono
esclusi dagli uffici pubblici e pogrom a Bagdad.
1938-44 - Persecuzioni a Damasco; gli
assassini diventano cronici.
1941 - in concomitanza con la festa di
Shavuot pogrom a Bagdad. E poi pogrom a Tripoli, ad Aleppo, ad Aden,
al Cairo, ad Alessandria, a Damasco ecc. ecc
Nota 2:
Riassunto cronologico delle dominazioni
in terra di Palestina:
dal 722 aC al 639 aC quella terra era dei Sumeri, poi nel 639 aC fu conquistata dagli Assiri che la tennero sino al 587 aC quando gli subentrarono (ovviamente si parla sempre di “conquiste”) i Babilonesi che vi rimasero sino al 559 aC anno in cui la persero a favore dei Persiani il cui regno su questa terra durò sino al 331 aC. Poi arrivarono i Greci che la dominarono sino al 323 aC che però dovettero cederla ai Tolomei che la tennero sino al 169 aC quando iniziò la dominazione da parte dei Seleucidi durata sino al 64 aC allorché venne conquistata dai Romani i quali nel 39 aC permisero che si creasse quello che si chiamò Regno di Palestina che perdurò sino al 395dC. A quel punto fu nuovamente integrata a far parte dell'Impero Romano ma questa volta d'Oriente che proseguì la sua dominazione sino al 614 anno in cui gli venne portata via dai Persiani che a loro volta vi regnarono sino alla conquista ARABA che avvenne nel 638. La Palestina quindi rimase sotto la dominazione araba sino all'anno 1099 quando diventò Regno di Gerusalemme e durò in quanto tale sino al 1244 anno in cui arrivarono addirittura i Mongoli che se la tennero per soli sei anni infatti nel 1250 i Mammelucchi gliela portartono via rimanendovi signori incontrastati sino al 1516 quando l'espansione dell'Impero Ottomano non arrivò ad annetterla alle proprie conquiste. Sotto la dominazione Turco-Ottomana la Palestina vi rimase per 400 anni sino a che nel 1917 dopo la sconfitta nella I Guerra Mondiale il Dominio Britannico che prima la occupò militarmente sino al 1920 poi la governò sotto Mandato della SdN (confermato dall'ONU) sino al 1948 anno in cui viene dichiarata dall'ONU la nascita dello "Stato di Israele".
dal 722 aC al 639 aC quella terra era dei Sumeri, poi nel 639 aC fu conquistata dagli Assiri che la tennero sino al 587 aC quando gli subentrarono (ovviamente si parla sempre di “conquiste”) i Babilonesi che vi rimasero sino al 559 aC anno in cui la persero a favore dei Persiani il cui regno su questa terra durò sino al 331 aC. Poi arrivarono i Greci che la dominarono sino al 323 aC che però dovettero cederla ai Tolomei che la tennero sino al 169 aC quando iniziò la dominazione da parte dei Seleucidi durata sino al 64 aC allorché venne conquistata dai Romani i quali nel 39 aC permisero che si creasse quello che si chiamò Regno di Palestina che perdurò sino al 395dC. A quel punto fu nuovamente integrata a far parte dell'Impero Romano ma questa volta d'Oriente che proseguì la sua dominazione sino al 614 anno in cui gli venne portata via dai Persiani che a loro volta vi regnarono sino alla conquista ARABA che avvenne nel 638. La Palestina quindi rimase sotto la dominazione araba sino all'anno 1099 quando diventò Regno di Gerusalemme e durò in quanto tale sino al 1244 anno in cui arrivarono addirittura i Mongoli che se la tennero per soli sei anni infatti nel 1250 i Mammelucchi gliela portartono via rimanendovi signori incontrastati sino al 1516 quando l'espansione dell'Impero Ottomano non arrivò ad annetterla alle proprie conquiste. Sotto la dominazione Turco-Ottomana la Palestina vi rimase per 400 anni sino a che nel 1917 dopo la sconfitta nella I Guerra Mondiale il Dominio Britannico che prima la occupò militarmente sino al 1920 poi la governò sotto Mandato della SdN (confermato dall'ONU) sino al 1948 anno in cui viene dichiarata dall'ONU la nascita dello "Stato di Israele".
Nota 3 :
http://www.yale.edu/lawweb/avalon/un/res181.htm
Nota 4:
Nota 5:
Circola in internet un documento che
presenta una visione fuorviante delle prese di posizione del
Consiglio di Sicurezza ONU rispetto a Israele
Si immagini di assistere a una partita
a scacchi e di cercare di capire le mosse dei pezzi neri senza poter
vedere i pezzi bianchi. O di assistere alla differita di una partita
di calcio dalla quale siano stati tagliati i fischi dell’arbitro
verso una squadra per dare l’impressione che il gioco dell’altra
sia inutilmente aggressivo e scorretto. Questa più o meno è
l’operazione che hanno fatto gli autori (anonimi) di un documento
che ultimamente va per la maggiore su internet.
Titolo: “Settantatre’ risoluzioni
dell’Onu di condanna a Israele”.
Sottotitolo (insinuante): “Nessun
ispettore, nessuna guerra per farle rispettare”.
Segue un nudo elenco di risoluzioni
del Consiglio di Sicurezza che “esprimono condanna all’operato
di Israele”, citate per numero e data e accompagnate da brevi
“estratti che ne illustrano il contenuto”. Insomma: un documento
che parla da se’, che non ha bisogno di commenti tanto è evidente
il torto di Israele.
E invece di commenti ha bisogno
eccome. Per questo ci sentiamo costretti a tornare, con maggiore
dettaglio, su un tema gia’ affrontato su queste pagine (Vedi NES
ott. 2002: Il falso parallelo).
Innanzitutto le risoluzioni del
Consiglio di Sicurezza non sono tutte uguali.
Vi sono quelle approvate sulla base
del Capitolo 6 della Carta delle Nazioni Unite e quelle sulla base
del Capitolo 7.
Il Capitolo 6 si intitola
“Composizione pacifica dei conflitti” e afferma (art. 33) che “le
parti in causa in un conflitto […] dovranno innanzitutto cercare
una soluzione […] con mezzi pacifici”. Quando il Consiglio vota
sulla base del Capitolo 6 e’ come se dicesse agli Stati in guerra
fra loro: “Dovete negoziare per comporre il conflitto e dovete
farlo sulla base delle linee che vi indico”. Il Capitolo 7, invece,
si intitola “Azioni in caso di minacce alla pace, violazioni della
pace e atti di aggressione”. Gli articoli di questo Capitolo
conferiscono al Consiglio la responsabilita’ di individuare le
minacce alla pace mondiale e gli danno facolta’ di varare
risoluzioni con valore esecutivo e vincolante, autorizzando la
comunita’ internazionale a ricorrere a varie forme di coercizione
per ottenere la loro applicazione, dalle sanzioni fino all’uso
della forza militare. Quando il Consiglio vota sulla base del
Capitolo 7 e’ come se dicesse a uno Stato: “Il tuo comportamento
mette in pericolo la pace del mondo: o ti adegui a quanto di dico di
fare o interveniamo con la forza”.
Ora, come ricordava qualche mese fa
anche l’Economist (10.10.02), “nessuna delle risoluzioni a
proposito del conflitto arabo-israeliano e’ stata emanata ai sensi
del Capitolo 7. Imponendo sanzioni anche militari contro l’Iraq, ma
non contro Israele, l’Onu non fa che rispettare le sue stesse
regole interne”. E aggiungeva: “Che le risoluzioni ai sensi del
Capitolo 7 siano diverse, e che nessuna di esse sia stata approvata
contro Israele, e’ un fatto riconosciuto dagli stessi diplomatici
palestinesi”, che infatti se ne lamentano. Quella irresponsabile
minaccia nel titolo del documento (“nessuna guerra per farle
rispettare”) puo’ essere stata scritta solo da una persona molto
ignorante o in mala fede.
Vale la pena sottolineare che la
distinzione fra Capitolo 6 e Capitolo 7 non e’ puramente formale.
Essa riflette due situazioni politiche completamente diverse. In un
caso, infatti, il Consiglio di Sicurezza individua nel regime
iracheno e nei suoi comportamenti una minaccia alla stabilia’à e
alla pace regionale e mondiale. Pertanto il Consiglio esige da quel
regime comportamenti diversi, pena il ricorso alla forza. Nell’altro
caso, invece, il Consiglio di Sicurezza deve promuovere la
composizione di un conflitto arabo-israeliano pluri-decennale che
vede coinvolte piu’ parti, ognuna con le proprie responsabilita’.
Ma gli autori del documento vogliono che le responsabilita’ siano
solo di Israele e dunque riportano, di molte risoluzione, solo la
parte che si rivolge a Israele, convenientemente scordando l’altra
parte, quella che si rivolge agli arabi. Appunto, come una partita
truccata.
Cosi’ ad esempio, e’ vero –
come dice il documento – che le risoluzioni 1402 e 1403 (2002)
chiedevano “alle truppe israeliane di ritirarsi dalle citta’
palestinesi”. Ma chiedevano anche e contemporaneamente “l’immediata
cessazione di tutti gli atti di violenza, compresi tutti gli atti di
terrore, provocazione, istigazione”. In sostanza il Consiglio di
Sicurezza ribadiva che solo un cessate il fuoco “significativo”
(meaningful, nel testo originale), cioe’ non a parole, unito a un
ritiro israeliano dalle ultime posizioni rioccupate, avrebbe permesso
la ripresa del negoziato di pace. Tacendo mezza risoluzione, gli
autori del documento fanno dire al Consiglio che Israele doveva
ritirarsi senza se e senza ma, mentre i palestinesi potevano
continuare con spari e attentati. Giudichi il lettore se e’ la
stessa cosa.
Allo stesso modo, e’ vero – come
dice il documento – che la risoluzione 1435 (2002) chiedeva a
Israele “la fine immediatamente delle misure prese a Ramallah e
dintorni” e “il rapido ritiro delle forze di occupazione
israeliane dalle citta’ palestinesi”. Ma e’ vero anche che essa
ribadiva “la richiesta di una completa cessazione di tutti gli
atti di violenza, terrorismo, provocazione istigazione”, e faceva
“appello all’Autorita’ Palestinese affinche’ adempia al suo
esplicito impegno di garantire che i responsabili di atti
terroristici vengano da essa assicurati alla giustizia”. Ma di
nuovo, questa parte della risoluzione e’ scomparsa.
Il piu’ delle volte il Consiglio di
Sicurezza, quando chiama in causa Israele, formula anche
contemporaneamente precise richieste alle controparti arabe, e cio’
per la ovvia considerazione che la pace in Medio Oriente non puo’
essere fatta da una parte soltanto. Ma questo e’ appunto cio’
che gli autori del documento non vogliono capire (o farci capire).
Non basta. Gli autori non omettono
solo pezzi di risoluzione. Omettono anche intere risoluzioni. Ad
esempio, per restare nel 2002, non viene citata la 1397. Come mai?
Forse perche’ esprimeva “grave preoccupazione […] per i
recenti attentati”, chiedeva “l’immediata cessazione di tutti
gli atti di violenza, terrorismo, provocazione, istigazione” ed
esortava “le parti israeliana e palestinese e i loro dirigenti a
cooperare nella realizzazione del piano Tenet e del Rapporto
Mitchell, allo scopo di riavviare i negoziati per una composizione
politica”: tutte cose che la parte palestinese, non quella
israeliana, si e’ rifiutata di fare.
Vistosa, poi, l’assenza di una
delle piu’ importanti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza di
tutta la storia del conflitto: la 242 del 1967. Di nuovo, come mai?
Forse perche’ chiedeva (agli arabi, ovviamente) la “fine di ogni
stato di belligeranza” e il “riconoscimento del diritto [di
Israele] di vivere in pace entro confini sicuri e riconosciuti,
libero da minacce o atti di forza”?
Della 425 (1978) si dice che
“ingiungeva a Israele di ritirare le sue forze dal Libano”. Ma
non si ricorda che chiedeva anche il ripristino della pace al confine
israelo-libanese e un “rigoroso rispetto della integrita’
territoriale, sovranita’ e indipendenza politica del Libano”,
tutte cose che truppe siriane, milizie palestinesi, agenti iraniani
e terroristi Hezbollah non si sognano minimamente di fare. Ne’
viene riportata la Dichiarazione del 18 giugno 2000 con cui il
Consiglio di Sicurezza certificava che “Israele ha ritirato le sue
forze dal Libano in conformita’ con la risoluzione 425″.
Ancora piu’ curioso il fatto che
l’elenco delle risoluzioni viene fatto iniziare con la n. 93 del
18 maggio 1951. Eppure il conflitto arabo-israeliano scoppia almeno
tre anni e mezzo prima, con il rifiuto arabo della risoluzione di
spartizione 181 dell’Assemblea Generale dell’Onu (29.11.47) e
l’attacco degli eserciti arabi a Israele. Prima della 93 (1951) a
noi risultano non meno di 21 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza,
tra cui quelle – ufficialmente respinte dai governi arabi – che
chiedevano il cessate il fuoco e il rispetto della 181.
Non manca, invece, la risoluzione 487
del 19 giugno 1981: quella che condannava “con forza” la
distruzione del reattore nucleare iracheno di Osirak da parte
dell’aviazione israeliana. Una risoluzione che, riletta oggi,
basta da sola a screditare l’Onu agli occhi degli israeliani e di
chiunque abbia a cuore la pace e la stabilita’ internazionali.
Resta da fare un’ultima
considerazione, di carattere storico-politico. Tutti sanno che i
paesi arabi, ripetutamente sconfitti in campo aperto, hanno fatto
costantemente ricorso al terrorismo (dai feddayin degli anni ’50
fino agli Hezbollah degli anni ’80 e ’90) per esercitare una
continua pressione militare ai confini e all’interno dello Stato
di Israele. L’hanno fatto organizzando, finanziando, addestrando,
capeggiando varie formazioni “guerrigliere” palestinesi, nella
consapevolezza che l’Onu avrebbe dovuto per forza condannare le
“violazioni” delle linee d’armistizio fatte da uno Stato
(Israele), ma non avrebbe mai potuto condannare allo stesso modo le
“violazioni” (infiltrazioni, attentati, stragi di civili) fatte
da formazioni irregolari (i terroristi) che provocavano la reazione
d’Israele. Un trucco palese, persino dichiarato, che non inganna
piu’ nessuno. Salvo i “volonterosi” autori del documento e i
loro sfortunati lettori.
Nota 6
Quando Hitler prese il potere nel 1933,
telegrammi di congratulazioni furono inviati dalle capitali arabe.
nel 1937, il ministro nazista della propaganda, Joseph Goebbles,
elogiò la "coscienza nazionale e razziale araba", notando
che "le bandiere naziste sventolano in Palestina, dove le case
sono adornate da svastiche e ritratti di Hitler". Nel 1943,
Heinrich Himmler, il capo delle SS, parlò della "naturale
alleanza che esiste fra il nazional-socialismo della Grande Germania
e i musulmani amanti della libertà in tutto il mondo". Partiti
filo-tedeschi e movimenti giovanili "intonati" con gli
ornamenti del nazional-socialismo vennero alla luce in Siria,
Marocco, Tunisia ed Egitto. Perfino gli slogan nazisti venivano
tradotti in arabo. Una canzone mediorientale diffusa verso la fine
degli anni '30 dice: "niente più 'monsieur', niente più
'mister'. in paradiso Allah, sulla terra Hitler". il Fuhrer
stesso fu perfino islamizzato sotto il nuovo nome di Abu Ali. fra i
molti simpatizzanti nazisti del periodo ricordiamo Haj Amin
al-Husseini (Gran Muftì di Gerusalemme), Ahmed Shukairi (primo
presidente dell'O.L.P), Gamal Abdel Nasser e Anwar Sadat (entrambi
futuri presidenti dell'Egitto), i capi dei fondamentalisti islamici,
e i fondatori del partito socialista arabo "Ba'ath", che al
momento governa in Siria ed Iraq. A questo proposito annoto anche che
un leader del partito "Ba'ath" raccontò orgogliosamente:
"eravamo razzisti, ammiravamo il nazismo, leggevamo i loro libri
e le fonti del loro pensiero. siamo stati i primi a tradurre 'Mein
Kampf'". La glorificazione di Hitler fra gli arabi comunque non
svanì dopo la seconda guerra mondiale. Nel 1965, un cronista
marocchino scrisse sulla rivista francese "Les Temps Modernes":
"Il mito di Hitler e' stato coltivato dal popolo arabo. Lo
sterminio di ebrei compiuto da Hitler viene elogiato. Si crede
perfino che Hitler non sia morto. Tutti sperano nel suo ritorno".
Nel 2001, un giornalista egiziano scrisse sul giornale finanziato dal
governo "Al Akhbar": "Grazie Hitler, sia benedetta la
tua memoria, perché hai vendicato con anticipo i palestinesi per il
più ignobile crimine mai commesso al mondo". Due mesi dopo
l'agenzia di stampa egiziana conferì a questo giornalista la sua più
importante onorificenza.
ADESSO PERÒ GLI ARABI ACCUSANO GLI
EBREI DI ESSERE NAZISTI!!!.
IN QUESTO MODO, I FEDELI AMMIRATORI DI
HITLER STANNO EQUIPARANDO LE PRINCIPALI VITTIME DEL SUO GENOCIDIO CON
I CARNEFICI NAZISTI.
Nota 7:
Il quotidiano del Cairo "Akhbar
el-yom", il 12 Ottobre 1963 ricordava: "Venne il 15 Maggio
1948 quello stesso giorno il Mufti di Gerusalemme [leader imposto
agli Arabi dagli Inglesi] fece appello agli Arabi di Palestina
affinchè abbandonassero il Paese, in quanto gli eserciti Arabi
stavano per entrare al loro posto".
Il 6 Settembre 1948 il "Beirut
Telegraph" intervistava Emile Ghoury, segretario del Comando
Supremo Arabo: "Se esistono questi profughi, è conseguenza
diretta dell azione degli stati arabi contro la partizione, e contro
lo stato ebraico" .
Il 19 Febbraio 1949 il quotidiano
giordano "Filistin" scriveva: "Gli stati arabi che
avevano incoraggiato gli Arabi di Palestina a lasciare le proprie
case temporaneamente per sgomberare il terreno dell'offensiva araba,
non hanno poi mantenuta la promessa di aiutare quei profughi."
Da un rapporto della Polizia Britannica
al Quartier Generale di Gerusalemme il 26 Aprile 1948:
"Ogni sforzo è compiuto da parte
degli Ebrei per convincere a popolazione araba a rimanere e a
condurre insieme a loro una vita normale è risultato vano".
"A Haifa il 27 aprile 1948 il
Comitato Nazionale Arabo rifiutò di firmare una tregua, e né
informò i governi della Lega Araba. Quando la delegazione entrò
nella sala delle riunioni, rifiutò con fierezza di firmare la
tregua, e chiese che si facilitassero l'evacuazione della popolazione
araba, e il suo trasferimento nei paesi arabi circostanti. Le
autorità militari e civili e i vari esponenti ebraici espressero il
loro profondo rincrescimento. Il Sindaco di Haifa, Shabtai Levi,
aggiornò l'incontro con un appello alla popolazione araba affinché
riconsiderasse la sua decisione."
Testo del manifesto in arabo e in
ebraico affisso il 28 aprile 1948 dal Consiglio Ebraico dei
Lavoratori di Haifa, rivolto ai cittadini arabi, ai lavoratori, alle
autorità:
"Da tanti anni viviamo insieme
nella nostra città, Haifa. In sicurezza, e in fratellanza e
comprensione reciproche. Grazie a ciò, la nostra città è fiorita,
e si è sviluppata per il bene dei residenti, sia arabi, sia ebrei.
Così Haifa è stata di esempio per
altre città della Palestina. Elementi ostili non sono riusciti a
adeguarsi a questa situazione, e hanno dato origine a scontri,
minando le relazioni fra voi e noi. Ma la mano della Giustizia è più
forte. La nostra città ora è sgombra di questi elementi, che sono
fuggiti temendo per la propria vita. Così, una volta di più,
l'ordine e la sicurezza hanno il sopravvento nella città. La strada
è aperta per la ripresa della cooperazione e della fratellanza fra i
lavoratori ebrei e arabi.
"A questo punto riteniamo
necessario chiarire nei termini più franchi: siamo persone amanti
della Pace! Non c'è ragione per la paura che altri cercano
d'instillare in voi. Non c'è odio nei nostri cuori, né astio nel
nostro atteggiamento verso cittadini amanti della Pace che, come noi,
sono impegnati nel lavoro, e nello sforzo di creare.
"Non temete! Non distruggete le
vostre case con le vostre stesse mani! Non troncate le vostre fonti
di vita. Non attirate su di voi, con le vostre mani, la tragedia,
mediante un evacuazione non necessaria, mediante fardelli da voi
stessi creati. Trasferendovi altrove sarete sopraffatti dalla povertà
e dall umiliazione. Ma in questa città, vostra e nostra, Haifa, le
porte sono aperte alla vita, al lavoro, alla Pace, per voi e per le
vostre famiglie.
"Cittadini giusti e amanti della
Pace "Il Consiglo dei Lavoratori di Haifa e la Confederazione
del Lavoro, la Histadruth, vi consigliano, per il vostro bene, di
restare nella città, e di tornare al vostro lavoro normale. Siamo
pronti a venire in vostro aiuto, a ristabilire condizioni normali, a
assistervi nell'approvvigionamento di cibo, e ad aprirvi possibilità
di lavoro.
"Lavoratori: la città che abbiamo
in comune, haifa, fa appello a voi affinche vi uniate nella sua
costruzione, nel suo progresso, nel suo sviluppo; non tradite la
vostra citta, e non tradite voi stessi. Seguite il vostro interesse,
e seguite il retto sentiero!
"Federazione Ebraica del Lavoro in
Palestina Consiglio dei Lavoratori di Haifa"
Nel 2002 su circa 6 milioni di
cittadini israeliani, più di un milione sono arabi: sono i figli di
quegli arabi che non accolsero gli appelli dei dittatori della Siria,
dell'Iraq e dell'Egitto.
I discendenti di quegli arabi che
credettero ai dittatori sono a tutt'oggi ancora rinchiusi nei campi
profughi e non hanno la cittadinanza del paese in cui sono nati.
Soltanto in Israele e in Giordania i discendenti degli arabi
provenienti dalla Palestina occidentale non sono nei campi profughi,
ma liberi cittadini di uno stato di diritto.
(fonte: Istituto Culturale della
Comunità Islamica Italiana)
Bibliografia e fonti:
A History of Israel, di John Bright,
Terza Edizione - SCM Press Londra 1998
The Israelites, di B.S.J. Isserlin -
Ed. Thames & Hudson, Londra 1998
A History of Palestine, di Moshe Gill -
Ed. Cambridge University Press, Cambridge - UK 1992
The Jew in Their Land in the Talmudic
Age ( 70 - 640 C.E. ), di Gedaliah Alon - Ed. Harvard University
Press, Harvard, 1989
To Come to the Land: Immigration and
Settlement in Sixteenth-Century Eretz-Israel, di Avraham David - Ed.
Cambridge University Press, Cambridge - UK 1992
Bernard Lewis, ‘Semites and
Anti-Semites: An Inquiry into Conflict and Prejudice’, (New York:
Norton, 1999
Justin McCarthy, ‘La popolazione
della Palestina’
Joan Peters, ‘From Time Immemorial’
Il Pensiero Scientifico Editore,
'Proiezioni di Crescita Demografica’ 25/10/2005
Abba Eban, ABBA EBAN, NY: Random House,
1977
C.S. Jarvis, "Palestine,"
United Empire, Londra 1937
N. Garribba, Lo Stato d'Israele, Ed.
Riuniti
Giardina, Liverani, Scarcia, La
Palestina, Ed. Riuniti
B. Litvinoff, Lunga strada per
Gerusalemme, Saggiatore
A. Eban, Storia del popolo ebraico,
Mondadori
R. Balbi, Hatikvà. Il ritorno degli
ebrei nella terra promessa, Laterza
J. Tsur, Il sionismo, Mursia
R. Segre, Israele e il sionismo, Nuova
Milano
M. Rodinson, Israele e il rifiuto
arabo, Feltrinelli
Hans Rieter “Das Reisebuch der
Familie Rieter” Ed. Reinhold Rohricht und Heinrich Meisner
Stuttgart
Mark Twain, “The Innocents Abroad”
London, 1881 (New American Library, 1997).
H B Tristram “The LAN of Israel; A
Journal of Travels in Palestine, Undertaken with a Special Reference
to Its Physical Character”. British Library, Historical Print
Editions 2011
Samuel Manning,“Those holy fields :
Palestine” London : Religious Tract Society 1890
George Adam Smith “The Historical
Geography of the Holy Land” Hodder & Stoughton 1894
Me stesso
Matteo Sommaruga
Istituto D'Aguirre
Emanuela Crespi
Prof. Giovanni De Sio Cesari
Yoav J. Tenembaum
Istituto Culturale della Comunità
Islamica Italiana
Avioserata2000
NES n.3, anno 15
...........................................
Mia nota: Ho ritenuto opportuno, per una parità di pareri e di opinioni, sul tema scottante della Palestina e di Israele pubblicare questo lungo articolo inviatomi da Stefano Davidson. Ovviamente con ciò non sostengo le tesi in esso contenute, mi sono limitato a dare uno spazio, per par condicio, alla descrizione di come sia avventa la formazione di Israele secondo una persona che ne sorregge le ragioni. Visto che in questo stesso blog numerosi sono i pareri contrari supportati con altre ragioni. Si tratta sempre di "opinioni", comunque sono d'accordo che si possano esprimere liberamente. Tutto qui. Personalmente sono dell'idea che le tre religioni monoteiste che basano la loro origine sulla bibbia (ebraismo, cristianesimo ed islam) sono alla radice di ogni male. Le tre teste dell'idra di tanto intanto si azzannano a vicenda. Finché non scomparirà l'idra stessa non vi sarà pace. Infatti ritengo che solo l'abbandono di ogni matrice etnica e religiosa possa salvare "l'uomo" e riportarlo nel contesto dell'umanità. Solo la spiritualità laica e libera potrà affrancarci definitivamente dal senso di separazione fra esseri umani Paolo D'Arpini
...........................................
Mia nota: Ho ritenuto opportuno, per una parità di pareri e di opinioni, sul tema scottante della Palestina e di Israele pubblicare questo lungo articolo inviatomi da Stefano Davidson. Ovviamente con ciò non sostengo le tesi in esso contenute, mi sono limitato a dare uno spazio, per par condicio, alla descrizione di come sia avventa la formazione di Israele secondo una persona che ne sorregge le ragioni. Visto che in questo stesso blog numerosi sono i pareri contrari supportati con altre ragioni. Si tratta sempre di "opinioni", comunque sono d'accordo che si possano esprimere liberamente. Tutto qui. Personalmente sono dell'idea che le tre religioni monoteiste che basano la loro origine sulla bibbia (ebraismo, cristianesimo ed islam) sono alla radice di ogni male. Le tre teste dell'idra di tanto intanto si azzannano a vicenda. Finché non scomparirà l'idra stessa non vi sarà pace. Infatti ritengo che solo l'abbandono di ogni matrice etnica e religiosa possa salvare "l'uomo" e riportarlo nel contesto dell'umanità. Solo la spiritualità laica e libera potrà affrancarci definitivamente dal senso di separazione fra esseri umani Paolo D'Arpini
Su Wikipedia si dice che dal Patto di Omar furono esclusi gli ebrei... Forse c'è bisogno che qualcuno rettifichi la voce di Wikipedia...
RispondiEliminahttp://it.wikipedia.org/wiki/Patto_di_Omar