lunedì 7 giugno 2021

L'ideologia sionista ed il dramma della Palestina


Nakba

Nella seconda metà del XIX secolo sorse soprattutto fra gli ebrei sparsi nell’Europa centrale un movimento essenzialmente politico tendente a creare in qualche luogo del mondo uno Stato ebraico. Verso la fine del secolo Theodor Herzl fu uno degli attivisti più qualificati per la diffusione di tale programma, scrisse il libro Der Judenstaat e nel 1897 fu uno dei principali fondatori del movimento sionista. Si diffuse intanto l’idea che questo nuovo stato dovesse costituirsi in Palestina. Apparentemente tutto si presentava come un’iniziativa innocua, anzi opportuna.


Ma una semplice riflessione, prescindendo da qualsiasi altra considerazione, poteva da subito evidenziare che si sarebbe inevitabilmente messo in atto un’ interminabile serie di tensioni, di contrasti e di lotte. Poiché la Palestina non era un paese disabitato ma con una popolazione prevalentemente araba di musulmani e cristiani ed una piccola minoranza ebraica, il  nuovo stato sionista si sarebbe potuto fare solo togliendo territori alle popolazioni autoctone. In che modo? Certamente non con la persuasione; nessuno mai accetterebbe di essere estromesso da casa propria per cederla in tutto od in parte  ad altri. Quindi con la forza, cioè con le minacce, le deportazioni, le devastazioni, i campi di concentramento, le fucilazioni. Qualcuno potrebbe dirmi che sto esagerando perché  si può a priori affermare che i sionisti non avrebbero mai potuto usare questi metodi. La mia risposta è che essi sono tutti documentabili e che sono stati documentati soprattutto da studiosi ebrei non sionisti utilizzando anche gli archivi militari israeliani desecretati  nel 1998.

Ma come è stato possibile che gli ebrei sionisti, sopravvissuti a tante tremende persecuzioni, abbiano potuto concepire e mettere in atto tali metodi? La spiegazione a mio avviso  è semplice: gli ebrei sarebbero il popolo eletto a cui Dio ha donato in via definitiva la Palestina, che è ritenuta pertanto una terra di loro esclusiva appartenenza. Dio stesso li autorizzò già una volta a conquistarla sotto la guida di Giosuè. Ecco ad esempio come avvenne secondo la Bibbia la conquista di Gerico:

………il popolo (ebraico)allora penetrò nella città, ciascuno dal lato che aveva di fronte e s’impadronirono di Gerico. E votarono allo sterminio tutto ciò che vi era nella città: uomini e donne, fanciulli e vecchi, persino buoi, pecore ed asini, tutto passarono a fil di spada.( Giosuè,6,2-7.1).

Ora, se Dio autorizzò l’uso di quei metodi all’epoca della conquista della Palestina, è implicito secondo i sionisti, che  metodi analoghi,  anche se  più aggiornati, possano essere usati nella riconquista.

      Si è sostenuto che i sionisti avrebbero acquistato dagli arabi i territori occupati e che quindi violenze non ce ne furono o comunque  di lieve portata; in realtà le terre acquistate, rispetto a quelle occupate, furono una  quantità alquanto scarsa.

      In tale situazione non è inutile ricordare che una certa parte di ebrei non sionisti fu contraria, e lo è tuttora, alla creazione di uno stato ebraico ritenendola un’ eresia rispetto ad una ben radicata tradizione religiosa secondo la quale il popolo ebraico sarebbe rientrato in Palestina sotto la guida del futuro Messia.
 
       Al termine della prima guerra mondiale i Turchi che si erano schierati con la Germania e l’ Austria –Ungheria, a seguito di una pesante sconfitta dovettero cedere la Palestina a favore delle potenze vincitrici. Nel 1920 la Società delle Nazioni affidò con un mandato l’amministrazione della Palestina alla Gran Bretagna ed i sionisti attuarono la costituzione dell’Haganà, un’organizzazione militare  clandestina ma che collaborò per un certo tempo con l’amministrazione inglese. Nel 1922 il censimento inglese della Palestina forniva i seguenti risultati:  78% musulmani, 9,6% cristiani, 11% ebrei.

       Già prima del termine della guerra , il 2 novembre 1917, il ministro degli esteri inglese Balfour aveva inviato una lettera a Lord Rothschild, rappresentante della comunità ebraica inglese e referente del movimento sionista dichiarando che:

Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche.

      Tale dichiarazione costituiva quindi un importante antefatto per istaurare uno stato ebraico in Palestina anche se le modalità con cui esso fu poi realizzato furono ben differenti da quelle auspicate. La situazione però per gli Inglesi si presentò subito complicata infatti durante la guerra essi avevano promesso la Palestina agli Arabi per l’aiuto prestato nella lotta contro i Turchi.

La promessa fatta agli Arabi non venne però affatto rispettata perchè mal si conciliava con la dichiarazione Balfour. Nel 1920 mentre la popolazione araba era circa il 90 per cento, iniziava  un’intensa immigrazione sionista, ben più consistente di quella delle annate precedenti, e crescevano sempre più le tensioni con gli arabi (musulmani e cristiani) che si rendevano conto che  s’intendeva modificare la percentuale etnica a favore dei sionisti e che essi rischiavano sempre più di essere gradualmente  estromessi. Dopo una serie di scontri, a cominciare dal 1920  (particolarmente gravi quelli del 1929)  nell’aprile del 1936 il Supremo Comitato Arabo organizzò una grande rivolta che fu dagli inglesi domata anche grazie all’intervento militare dell’ Haganà. Nella dura repressione morirono 5000 arabi, 400 sionisti e 200 militari inglesi. Inoltre furono condannati a morte 120 arabi di cui alcuni impiccati.

L’Haganà  si era costituita con la tolleranza inglese e poteva contare su diversi reparti ben armati ed inquadrati da ex soldati ed ufficiali . La costituzione di questi corpi lasciava  intendere che essi sarebbero stati in seguito pronti per effettuare con la forza delle armi l’espulsione degli Arabi dalla Palestina, secondo quanto più o meno palesemente affermato da numerosi capi sionisti. Un’altra organizzazione terroristica che provocò centinai di morti fu l’Irgun finalizzato a colpire diplomatici e militari inglesi ed elementi della popolazione araba.

      Soprattutto a seguito della grande rivolta araba del 1936, gli inglesi, almeno in apparenza, mostrarono di voler mitigare il loro palese atteggiamento a favore dei sionisti conseguente all’ attuazione della dichiarazione Balfour. Nel 1939  dichiararono pertanto che avrebbero consentito la prosecuzione dell’immigrazione solo per altri 5 anni. Le autorità arabe dimostrarono subito la loro totale contrarietà chiedendone invece il blocco immediato; tenendo conto di tutti i sionisti delle  precedenti  immigrazioni, essi  temevano che nel periodo di altri cinque anni  la percentuale della componente etnica araba sarebbe fortemente diminuita.

      Con l’inizio della seconda guerra mondiale la popolazione ebraica mondiale si schierò quasi tutta con gli Alleati. Per reazione e discordanza di interessi molti gruppi arabi furono invece favorevoli all’Asse in quanto un’eventuale sconfitta degli Inglesi avrebbe potuto impedire l’espropriazione di altre terre e la creazione dello stato sionista,

      Al termine della guerra, quando si conobbe l’esistenza della Shoah, si ritenne generalmente che l’effettuazione dello stato sionista in Palestina dovesse essere ormai considerato inevitabile e doveroso atto riparatorio nei confronti degli Ebrei , anzi gran parte dell’ignara popolazione europea credette che tra Shoah e stato ebraico esistesse una stretta correlazione. Molti in effetti ignoravano che il progetto di tale stato risaliva già agli ultimi anni dell’ottocento, che esisteva la dichiarazione Balfour e che emigrazioni  di sionisti  si erano continuamente verificate in Palestina. La sorte di centinaia di  migliaia di Arabi non aveva pertanto nessuna importanza, d’altra parte essi meritavano una giusta punizione per le loro simpatie per l’Asse.

      Il 25 novembre 1947 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite decise di dividere la Palestina in due stati e di tenere Gerusalemme sotto controllo internazionale. I sionisti accettarono ad eccezione dell’Irgun e della Banda Stern, un gruppo terroristico sionista responsabile  di un attentato dinamitardo nel Quartier Generale inglese  che aveva provocato la morte di 91 militari (alcuni degli organizzatori dell’attentato diventeranno in seguito ministri del governo d’Israele). L’Irgun e la Banda Stern non volevano assolutamente uno stato arabo e propugnavano, come ancor oggi propugna il governo Netanyahou, la Grande Israele, dal Nilo all’Eufrate. Gli arabi al contrario avversarono la decisione dell’ONU per i seguenti motivi:

1° Una parte di essi osteggiava totalmente la creazione in Palestina di uno stato sionista realizzato con l’espulsione di abitanti arabi e l’accaparramento delle terre-

2° Lo stato arabo non avrebbe avuto sbocchi sul Mar Rosso e sul Mar di Galilea che era la principale risorsa idrica della zona-

3° La popolazione sionista rappresentando un terzo della popolazione totale avrebbe avuto la maggior parte della terra (ed inoltre di miglior qualità) adducendo la previsione di ulteriori immigrazioni sioniste.

      Gli scontri che in realtà non erano mai del tutto cessati non tardarono a riaccendersi dando una netta prevalenza ai sionisti a cui si erano aggiunti presunti disertori dell’esercito inglese (in realtà militari inglesi a tutti gli effetti). Vasta risonanza ebbe la strage del villaggio di Deir Yassin dove il 19 aprile 1948 furono eliminati 120 arabi ed espulsi 700, ma c’è chi sostiene che il numero reale delle vittime possa arrivare a 250, comprese donne e bambini. Purtroppo dati precisi non è possibile averli anche perché la catasta delle vittime venne bruciata. L’impresa era stata organizzata da Begin che forse anche per questa benemerenza diventerà in seguito primo ministro d’Israele e premio Nobel per la pace.

      La decisione dell’ONU fu seguita da un’ondata di inaudite violenze dei gruppi militari e paramilitari sionisti a cui tentarono di contrapporsi i gruppi armati arabi. Ad accrescere ulteriormente il caos sopraggiunse il 14 maggio 1948 la dichiarazione di fine mandato britannico col relativo ritiro delle truppe. I sionisti che negli anni precedenti avevano aumentato la loro consistenza numerica, ricevuto continuamente finanziamenti da gran parte del mondo ebraico, organizzato gruppi armati con l’inclusione di reduci della seconda guerra mondiale, acquistato armamenti dalla Cecoslovacchia, potevano finalmente avere mano libera.

Come prima cosa dichiararono la creazione dello stato d’Israele continuando nel frattempo i combattimenti con gli Arabi. A questo punto, come avevano già in precedenza preannunciato, Egitto, Transgiordania, Siria, Libano ed Iraq entrarono in guerra contro la nuova entità statale. La guerra si concluse  con la sostanziale sconfitta delle truppe arabe non adeguatamente armate, mancanti di coordinamento per i contrasti relativi alla nomina del comandante in capo e per il subdolo comportamento di Abd Allah I di Transgiordania che in realtà non voleva la creazione dello Stato Arabo-Palestinese e sottobanco trattava coi sionisti per questioni di spartizione territoriale.

I sionisti avevano eliminato fisicamente gli avversari più intransigenti, messo in fuga centinaia di migliaia di arabi e conquistato una quantità di territori pari al 78% del territorio della Palestina del mandato, cioè il 50% in più di quanto previsto dal piano di ripartizione dell’ONU. Secondo dati dell’ONU 711.000 palestinesi, cioè metà della popolazione araba era stata espulsa dal proprio territorio. Nei primi mesi del 1949 furono sottoscritti armistizi fra Israele ed i vari stati arabi; la Transgiordania grazie al suo comportamento durante la guerra poteva occupare la Cisgiordania; l’Egitto aveva occupato la striscia di Gaza.

      Veniva pertanto a fine guerra a porsi il problema dei profughi palestinesi, senza terra, senza casa, senza lavoro e mezzi di sostentamento, costretti a vivere fino ai nostri giorni in squallide tendopoli, senza alcuna seria assistenza  spesso a mala pena tollerati da diversi stati arabi.

      Una nuova guerra arabo-israeliana scoppiò a seguito della nazionalizzazione del canale di Suez (luglio 1956) attuata dal presidente Egiziano Nasser. Israele in conseguenza attaccò l’Egitto occupando il Sinai e raggiungendo il canale. Dopo il successivo intervento militare di Francia e Gran Bretagna, l’ONU il 9 novembre  ristabilì la pace. Scontri comunque continuarono sporadicamente negli anni successivi specie con la Siria. I Palestinesi da parte loro avevano istituito nel 1964 l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina  (OLP)  a cui aderì la formazione paramilitare al Fatah che aveva già effettuato azioni di guerriglia contro Israele.

       La situazione si aggravò di nuovo nel maggio 1967 quando Nasser bloccò gli stretti di Tiran impedendo il traffico navale nel golfo di Aqaba e quindi del porto israeliano di Elat. Israele entrò in guerra il 5 giugno (guerra dei 6 giorni) e proseguì sino al 10 distruggendo gran parte dell’aeronautica egiziana e conquistando territori siriani delle alture del Golan, Gaza, la Cisgiordania e la parte araba di Gerusalemme. A questo nuovo conflitto parteciparono anche la Siria e la Giordania.

      Nel 1973, il 6 ottobre, ebbe inizio la quarta guerra fra arabi e sionisti;  un attacco a sorpresa fu effettuato da Siria ed Egitto nel tentativo di recuperare territori persi in conflitti precedenti. In particolare il presidente egiziano Sadat intendeva riprendere la penisola del Sinai. In un primo tempo le truppe arabe ebbero un notevole successo anche grazie all’uso di nuove armi sovietiche ma successivamente l’esercito sionista seppe arginare quella che era parsa l’inizio di una disfatta e passò con successo alla controffensiva malgrado un nuovo apporto di truppe irakene e giordane. Il 22 ottobre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU intimava di cessare il fuoco ed avviare trattative che ebbero successivamente luogo a Ginevra nel settembre del 1978; furono fissate le modalità di pace tra Egitto ed Israele  attuando lo scambio di relazioni diplomatiche. I problemi della Palestina e dei Palestinesi furono esaminati ma non portarono a nulla di definitivo per l’opposizione di Israele e non ne fu riconosciuta l’indipendenza nazionale prolungando le tensioni e la conflittualità degli anni seguenti. L’Egitto che aveva effettuato una pace separata e riconosciuto lo stato d’Israele fu espulso dalla Lega Araba e Sadat divenuto impopolare nel mondo arabo, il 6 ottobre 1981 fu assassinato da un estremista per punirlo del tradimento.

     In questa serie di guerre che erano a priori prevedibili a seguito della creazione forzata di uno stato sionista nella Palestina, la sorte dei Palestinesi è progressivamente peggiorata. Dopo aver subito bombardamenti, fucilazioni, requisizioni  di beni, distrutti interi villaggi, non avendo abbastanza terre fertili da coltivare, imprigionati e deportati, una gran parte di essi fu costretta a fuggire e rifugiarsi presso stati arabi limitrofi cercando negli anni seguenti di sopravvivere in squallidi campi di profughi con gli scarsi sussidi di organizzazioni umanitarie. Sia essi che quelli che restarono in Palestina nella vana speranza che  si sarebbe prima o poi pervenuti alla creazione di uno stato arabo-palestinese, secondo quanto stabilito dalle deliberazioni dell’ONU, dovettero prendere atto che l’interesse degli stati arabi per loro era spesso solo di facciata e che le guerre degli arabi erano state motivate sopra tutto dal timore che s’istallasse nel Vicino Oriente un nuovo stato moderno e potente in grado di condizionare i loro interessi. Vediamo ora succintamente alcune occasioni, dopo la dichiarazione Balfour, in cui l’ONU affermò il diritto dei Palestinesi ad avere un proprio stato o comunque ad essere soggetti ad azioni di tutela.

- 25 novembre 1947: l’Assemblea Generale  delle Nazioni Unite affermò la divisione della Palestina in due stati  con Gerusalemme sotto controllo internazionale.

-  22 marzo 1979, risoluzione 446 del Consiglio di Sicurezza: la creazione di insediamenti da Parte di Israele nei territori arabi occupati dal 1967 non ha validità legale e costituisce un grave ostacolo  al raggiungimento della pace. Inoltre Israele deve desistere “di adottare qualsiasi misura tendente a trasferire parti della propria popolazione civile nei territori occupati”.

- 20 agosto 1980, risoluzione 478 del Consiglio di Sicurezza: “ Si censura nei termini più forti la Legge di Gerusalemme, che dichiarando la città di Gerusalemme intera ed unificata come la capitale d’Israele, costituisce violazione del diritto internazionale stabilito dalla Convenzione di Ginevra”.

- 20 dicembre 2016, risoluzione 2334  del Consiglio di Sicurezza:  “ La creazione  di insediamenti  da parte d’Israele nel territorio occupato dal 1967, compresa Gerusalemme Est, non ha validità  legale e crea grave preoccupazione per il fatto che il proseguimento delle attività di insediamento israeliano mettono a repentaglio la fattibilità di due stati basati sui confini del 1967”.

      E’ noto che nessuna delle precedenti deliberazioni dell’ONU (insieme ad altre) è stata da Israele rispettata; è noto che il Consiglio di Sicurezza si è limitato a sole enunciazioni di principio che sono state delle vere e proprie beffe non essendo state seguite da azioni impositive. I comportamenti di Israele, che proseguono anche attualmente, basati sulla sistematica violazione del diritto internazionale  ed  aventi la persistente finalità di produrre con violenza e metodi coercitivi una modificazione irreversibile della struttura demografica della Palestina, si configurano come pulizia etnica, cioè come crimini contro l’umanità, e, se Israele non godesse di totale impunità garantita dagli USA ed dai suoi alleati, alcuni dirigenti e i militari sionisti dovrebbero essere sottoposti, come è accaduto per altri casi, al giudizio di un  tribunale internazionale.

      Tale stato di cose è stato inoltre ulteriormente aggravato dal cosiddetto Piano della pace proclamato da Trump il 28 gennaio 2021 alla Casa Bianca. Prescindendo da qualsiasi deliberazione dell’ONU, da qualsiasi trattato internazionale e da qualsiasi consultazione,  il capo di quella che si proclama la più grande democrazia della Terra ha ritenuto di poter imporre in maniera del tutto unilaterale la soluzione dell’annoso problema esistente fra Palestinesi e sionisti d’Israele. Ecco le modalità che la volontà megalomane di Trump vorrebbe imporre alla Palestina:

1° Nessuna trattativa con gli organi di rappresentanza palestinese-

2° Gerusalemme capitale indivisa di Israele lasciando ai Palestinesi solo sobborghi marginali ed includendo nel territorio della capitale anche i luoghi santi degli arabi-

3° I profughi che fuggirono negli stati arabi circostanti non hanno diritto a tornare-

4° Legittimazione degli insediamenti abusivi effettuati dai sionisti in territorio palestinese e quindi automatica loro annessione allo stato d’Israele.

5° Annessione delle terre fertili della valle del Giordano pari al 30% dell’attuale Cisgiordania-

6° Creazione di uno stato palestinese totalmente smilitarizzato ed avente confini esclusivamente con Israele, e da Israele controllati.-

7° Nella demilitarizzazione va incluso anche il disarmo di Hamas e della striscia di Gaza-

8° All’interno dello staterello palestinese dovrebbero anche esistere isole territoriali di appartenenza ad Israele .

9° Messa a disposizione di 40 miliardi di dollari per le infrastrutture necessarie a questo piccolo stato frammentario, fatiscente e senza alcuna sovranità.

      Uno stato palestinese così concepito, cioè senza sovranità, senza esercito, circondato da confini controllati da Israele, può servire solamente all’attuazione di un’apartheid vergognosamente realizzabile col tacito consenso dell’Europa liberale, democratica e dei Diritti dell’uomo.

      Il presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Abu Mazen ha dichiarato che “bisognerà resistere in tutti i modi” ma la sua credibilità  è sempre più in calo mentre è in grande aumento quella dei dirigenti fondamentalisti di Gaza che sostengono che la propria terra e la propria libertà va difesa, se necessario anche con le armi.

 Prof. Giuseppe Occhini

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