Non
ho nulla contro Sergio Mattarella. Personalmente mi sta anche
simpatico, ed ho pure accolto con una certa qual soddisfazione la sua
elezione a Presidente della Repubblica (vedi “Social” del 6
febbraio 2015). Ma, francamente, la sua gestione dell’attuale crisi
mi lascia fortemente perplesso.
Ricapitoliamo:
le elezioni le ha vinte la coalizione di centro-destra (265 seggi),
seguita dai grillini (227) e dal centro-sinistra (122); nessuno dei
tre schieramenti dispone della maggioranza assoluta (315+1). Ciò era
perfettamente chiaro fin dal giorno successivo a quello delle
elezioni. Aggiungo: era prevedibile fin dall’approvazione di
quell’insulso sistema elettorale – il Rosatellum
– che il signor Presidente della Repubblica ha controfirmato senza
batter ciglio; se mal non ricordo, senza neanche la richiesta di
chiarimenti o approfondimenti. Dal 3 novembre del 2017, dunque, il
Capo dello Stato doveva essere perfettamente cosciente che una delle
ipotesi più probabili era quella che, dalle elezioni del marzo
successivo, potesse venir fuori uno “scenario spagnolo”.
Quando
i risultati elettorali hanno dato corpo a tale ipotesi, il Presidente
della Repubblica avrebbe logicamente potuto percorrere due strade: o
dare l’incarico al candidato dello schieramento vincitore (per
cercare i voti in aula o, al limite, per un governo di minoranza), o
indire nuove elezioni. Erano scelte che potevano essere fatte in
tempi rapidi, già all’indomani della costituzione dei gruppi
parlamentari. E, se proprio non si voleva prendere una decisione, si
sarebbero potute almeno iniziare le consultazioni di rito. Invece, si
è fatto trascorrere un mese tondo prima di iniziare le consultazioni
(il 4 aprile), conducendo poi le stesse con flemma tutta
mattarelliana per un altro mese intero.
Dopo
di che, preso atto di quello che tutti sapevano da almeno due mesi,
il Capo dello Stato non ha ritenuto di seguire una delle due strade
naturali (l’incarico al candidato del centro-destra o le elezioni
anticipate), ma ha comunicato di voler scegliere lui un nominativo
cui affidare il compito di formare un governo più o meno tecnico,
che si trascinasse fino a Natale; governo che avrebbe dovuto essere
“di tutti” ma che – è stato subito chiaro – avrebbe potuto
contare solo sul PD. Un governo di minoranza, dunque, di infima
minoranza, che in aula avrebbe potuto racimolare poco più di un
centinaio di voti (su 630).
In
sintesi: il Capo dello Stato faceva sapere di non essere disposto ad
affidare l’incarico al candidato del Centro-destra, il quale
riteneva di poter trovare in aula i 50 voti che gli mancavano per
raggiungere la maggioranza aritmetica, magari con qualche astensione
strategica. Peraltro, è stato proprio così che in Spagna hanno
evitato di tornare per una terza volta al voto.
D’accordo,
la decisione spetta al Capo dello Stato, e nessuno si sogna di
metterlo in dubbio. Ma, di grazia, vorrebbe spiegarci il signor
Presidente della Repubblica per quale arcano motivo avrebbe
preferito, ad un candidato cui mancavano 50 voti, un altro candidato
cui ne sarebbero mancati quasi 200?
E,
questo, mentre da Bruxelles si faceva trapelare che loro non temevano
un esito indesiderato della crisi italiana, perché avevano la
massima fiducia nel Presidente Mattarella.
Ma
non finisce qui. Perché – poco prima che Sergio Mattarella
svelasse il nome del suo candidato – Salvini e Di Maio gli
notificavano di essere prossimi a trovare l’intesa per formare un
governo con un’ampia base parlamentare. A quel punto, il Capo dello
Stato doveva per forza fermarsi, nell’attesa che la strana coppia
esperisse il suo tentativo.
Ed
è qui che arriva quello che io considero il terzo passo falso del
Presidente. Lo dico senza conoscere ancora quale sarà (se ci sarà)
l’accordo fra Salvini e un personaggio come Giggino Di Maio, sulla
cui valenza politica mantengo inalterato il mio giudizio radicalmente
negativo. Premetto questo, per significare che le cose che andrò a
dire sul comportamento del Presidente della Repubblica non sono
dettate da simpatia per un tentativo che giudico bislacco e, in ogni
caso, privo di una adeguata preparazione. Ciò premesso, dunque, dico
che considero decisamente sopra le righe il recente intervento di
Mattarella, il quale – proprio nelle ore in cui le due forze
politiche si confrontavano per identificare un nominativo condiviso –
ricordava che era lui a dover nominare il Presidente del Consiglio e
successivamente anche i Ministri.
Cosa
ineccepibile dal punto di vista giuridico. Ma che la prassi della
cosiddetta “seconda repubblica” (dal 1994 in poi) ha reso
obsoleta, addirittura improponibile. Il cittadino, infatti, non vota
più per una semplice testimonianza di fede politica, ma per
“scegliere chi dovrà governare”. Il Capo dello Stato, quindi,
pur continuando ad essere formalmente titolare della nomina del
Presidente del Consiglio, è moralmente tenuto a designare chi è
stato indicato dal popolo sovrano con libero voto democraticamente
espresso. Né tampoco, soprattutto all’indomani di una tornata
elettorale, può nominare un Presidente del Consiglio di sua fiducia
e che sia portatore di istanze politiche contrarie a quelle emerse
dalle urne.
In
altre parole, Sergio Mattarella non può nominare un premier
“tecnico” che abbia la fiducia solo del PD. E non può neanche
nominare – è la mia personale opinione più o meno eretica – un
premier che sia portatore di quegli “ideali europei” che sono
usciti sonoramente battuti dalle urne del 4 marzo.
Padronissimo
il signor Presidente della Repubblica di continuare tenacemente a
credere in quegli ideali. Non è invece padronissimo – a mio
sommesso parere – di imporre quegli ideali al popolo italiano
attraverso un Presidente del Consiglio di sua fiducia.
È
una brutta strada, quella intrapresa dal Presidente Mattarella. Una
strada già percorsa da Giorgio Napolitano, campione assoluto della
nomina di “governi del Presidente”. Ma, quando Napolitano ci ha
imposto il governo Monti, erano almeno trascorsi tre anni dalle
elezioni e si poteva ipotizzare – almeno in teoria – che il
sentire politico degli italiani fosse nel frattempo mutato.
Mattarella non ha questo alibi: si è votato appena ieri, e lui non
può far finta di niente.
Piaccia
o non piaccia, siamo in una repubblica parlamentare, non
presidenziale. Piccolo particolare: se ci fosse un sistema
presidenziale il Capo dello Stato dovrebbe essere eletto
democraticamente dai cittadini. E dubito fortemente che gli italiani
sarebbero disposti ad eleggere un Presidente che identificasse il
bene dell’Italia con la fedeltà alle istituzioni europee.
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