Da oltreoceano giungono, puntuali nel tormentato panorama politico del nostro Paese, gli “avvertimenti intimidatori di FINANZA-NOSTRA”
Chi sono i registi del disastro Chi è alla regia delle azioni criminali con le quali le grandi multinazionali e le lobby finanziarie si arricchiscono non solo acquistando il patrimonio pubblico di interi Paesi, ma anche delocalizzando la produzione dove la manodopera costa di meno? Perché si continua a percorrere la strada dell’austerità e delle privatizzazioni se, invece della riduzione del debito pubblico, il risultato è solo lo smantellamento del welfare e della capacità produttiva dei Paesi del sud Europa? Cosa possono fare i Paesi del Mediterraneo contro la globalizzazione dei mercati che sta distruggendo le economie locali di tutto il mondo? L’ospite di Byoblu Tiziana Alterio, giornalista che si occupa di tematiche europee con particolare attenzione al Mediterraneo, risponde a queste ed altre domande nel suo libro “La guerra silenziosa”.
Oggi parliamo della guerra in Europa, però né della Prima, né della Seconda guerra mondiale, ma di quella che lei, nel libro, definisce: “La guerra silenziosa”. Di che cosa si tratta?
È una guerra a tutti gli effetti, però silenziosa appunto, una guerra subdola, invisibile perché è molto difficile anche definirne i contorni e comprendere chi ci sia dall’altra parte, chi sia il nostro nemico. In fondo, noi siamo abituati a pensare alle guerre combattute con le armi e quindi con le bombe, a vedere nel nostro immaginario palazzi distrutti. Ecco, noi ora non stiamo vedendo questo, ma tuttavia siamo in guerra. Una guerra tra chi? Tra le grandi multinazionali e le lobby finanziarie sostenute dal potere politico e tutti noi. In fondo, nelle guerre del passato, per esempio la Prima o la Seconda guerra mondiale, i dittatori agivano in modo criminale, ma in qualche modo ci mettevano la loro faccia. Invece noi siamo nel bel mezzo di questa guerra invisibile, silenziosa, dove grandi multinazionali e lobby finanziarie si arricchiscono con azioni criminali (perché di azioni criminali si tratta) senza, però, essere visti.
E dunque a me piace parlare di guerra, utilizzare questa parola che sembra apparentemente molto forte, proprio perché è importante iniziare a comprendere che cosa noi stiamo vivendo, perché anche le nostre vite sono cambiate radicalmente in peggio in pochissimi anni. Perché, appunto, siamo in guerra. Questa guerra della quale la Germania ha saputo, sapientemente, prendere la regia. Per cui potremmo dire che ha perso le due guerre mondiali, ma sta vincendo questa guerra che io amo definire “silenziosa”.
Ma, andando anche un po’ più nello specifico, cosa è accaduto soprattutto ai Paesi del sud Europa?
Io amo dire che ci siamo trovati nel bel mezzo di una tempesta perfetta perché alla crisi economico-finanziaria, iniziata come sappiamo negli Stati Uniti nel 2007, la politica europea ha risposto con pesantissime misure di austerità che hanno interessato soprattutto i Paesi fortemente indebitati e quindi tutti i Paesi del sud Europa. A questo però si è aggiunta anche la politica di malgoverno e di corruzione, che non dobbiamo nascondere.
Alcuni Paesi del sud Europa sono caratterizzati da diffusa corruzione e malgoverno delle amministrazioni e a questo poi si aggiunge anche il fatto che abbiamo totalmente perso la nostra sovranità monetaria entrando tra i Paesi dell’eurozona. Che cosa è accaduto? In tutti i Paesi del sud Europa stiamo assistendo a una espropriazione graduale, ma incessante di ogni tipo di sovranità. Sovranità politica, sovranità economica, sovranità monetaria, sovranità anche alimentare e, direi, anche una perdita della democrazia e della dignità umana. Ci è stato detto che avremmo dovuto digerire questa pillola molto amara, con la riduzione della spesa e l’aumento delle tasse, per raggiungere (soprattutto) un obiettivo, e cioè la riduzione del debito pubblico.
Ebbene, dopo sette anni all’incirca di austerità, qual è il risultato che abbiamo raggiunto? Esattamente l’opposto! Perché i dati ci dicono che il debito pubblico continua a salire in tutti i Paesi del sud Europa. Ma non solo: quali sono gli effetti di questa guerra cosiddetta “silenziosa”? Sono effetti paragonabili a una vera e propria guerra combattuta con le armi, perché stiamo assistendo a uno smantellamento dello stato sociale in tutti i Paesi del sud Europa. Aumentano le persone a rischio povertà: siamo intorno al 30% in quasi tutti i Paesi del sud Europa, appunto, con punte fino al 35% in Grecia. Ricordiamo che in Italia abbiamo 10 milioni di persone che sono al di sotto della soglia della povertà, e cioè al di sotto dei 780 Euro al mese. E questo dato è aumentato soprattutto negli ultimi 10 anni. E poi è stata totalmente smantellata la capacità produttiva industriale del sud Europa. Voglio riportare l’attenzione verso nostro Paese ricordando che l’Italia, fino a 15 anni fa, era la quarta potenza mondiale. Oggi siamo al 23° posto con i salari più bassi tra i Paesi OCSE.
Insomma, da Paesi esportatori quali eravamo, ci stiamo trasformando in Paesi importatori di merce dai Paesi del nord Europa e dai Paesi di oltreoceano. Allora c’è da chiedersi: bene, ma se le misure di austerità hanno fallito, come mai continuiamo a percorrere questa strada? Qual è il fine di tutto questo? Il fine di tutto questo è che siamo in presenza, anzi dentro una guerra silenziosa, una colonizzazione silenziosa. Quindi il fine ultimo di tutto quello che stiamo vivendo, in realtà, è quello di impoverire i Paesi del sud Europa per poi colonizzarli. Ed è quello a cui stiamo assistendo, e anche qui in modo silenzioso. Sta avvenendo tutto così quasi come se fosse naturale, ma naturale non è.
Invito tutti a leggere un interessante report del Transition Institute, un istituto di ricerca inglese, che nel 2016 ha passato sotto la lente d’ingrandimento questa potentissima industria delle privatizzazioni che è in corso nei Paesi del sud Europa. Che cosa si legge in questo report? Si legge che a giovarsi di questo smantellamento del patrimonio pubblico dei Paesi del sud Europa sono le società che offrono consulenze finanziarie e legali ai Governi per la dismissione del patrimonio pubblico. Per uno strano gioco, per uno strano meccanismo di scatole cinesi, accade anche molto spesso che alcune di queste società, che offrono consulenze legali e finanziarie (e che dovrebbero essere super partes), in realtà figurano anche tra le stesse società che acquistano i beni su cui hanno offerto le consulenze legali e finanziarie. Quindi siamo in presenza di veri e propri casi di corruzione e di conflitti d’interesse, ovviamente. Tutto questo perpetrato alle spalle di noi cittadini, perché ricordiamo che questi beni pubblici sono di proprietà dei cittadini.
Stiamo svendendo di tutto: in Portogallo la rete elettrica, in Spagna la sanità, in Italia sono in corso la vendita delle Ferrovie dello Stato e delle Poste. In Grecia siamo davvero al paradosso: si stanno svendendo intere isole! E sono stati venduti 14 tra i più importanti aeroporti che collegano le mete turistiche strategiche della Grecia a una società, ovviamente tedesca, la “Fraport”. Si stanno svendendo intere spiagge. E tutto questo ovviamente non ha alcuna ripercussione positiva sui cittadini. Sempre in questo report (che invito a leggere) viene chiaramente detto che queste privatizzazioni stanno avendo effetti assolutamente negativi per noi cittadini, perché siamo in presenza di più licenziamenti, salari più bassi, meno entrate per lo Stato, e non è vero che i servizi e anche quelli essenziali per il cittadino migliorano in presenza di privatizzazioni. Ovviamente, quando una società privata ha come fine ultimo il profitto è ovvio che il bene collettivo venga assolutamente messo in secondo piano.
Siamo all’interno di un meccanismo perverso in cui grandi multinazionali e grandi gruppi finanziari si arricchiscono non soltanto acquistando il patrimonio pubblico di interi Paesi del sud Europa, ma anche delocalizzando la produzione in Paesi dove la manodopera costa di meno. Penso, per esempio, alla Polonia. Perché abbiamo creato all’interno della stessa Unione Europea un meccanismo di concorrenza sleale per cui alle aziende italiane o greche o spagnole conviene delocalizzare in Paesi europei come la Polonia perché, non trovandosi all’interno dell’eurozona, la mano d’opera ovviamente costa di meno. E non soltanto, quindi, delocalizzano, ma stanno anche facendo ingenti profitti nei Paesi del sud Europa per poi (penso alla Apple, a Google, ad Amazon, queste grandi multinazionali) trasferire questi ingenti capitali nei paradisi fiscali. I paradisi fiscali che noi immaginiamo sono delle esotiche isole chissà quanto lontane, ma abbiamo paradisi fiscali anche all’interno degli stessi Paesi europei. Penso al Lussemburgo, penso, per esempio, all’Olanda.
Siamo all’interno di un meccanismo perverso in cui abbiamo perso qualunque tipo di sovranità. E questo è legato non soltanto al momento storico che sta vivendo l’Europa, ma a quello che sta vivendo il mondo. Penso alla globalizzazione dei mercati che sta distruggendo le economie locali di tutto il mondo. In realtà ci hanno venduto la globalizzazione come se fosse la panacea di tutti i mali che avrebbe risolto la povertà nel mondo. Invece quello che ne è derivato è un assoluto impoverimento delle nostre economie locali. Ma non solo, questo ha effetto anche sul cambiamento climatico: pensiamo, per esempio, agli allevamenti intensivi o ancora al trasporto di merci. Noi non abbiamo più alcun tipo di sovranità, anche la sovranità alimentare abbiamo perso: dobbiamo importare cibo dall’estero.
Tiziana, nel tuo libro ci proponi una soluzione che coinvolge tutti i “PIIGS”. Ci puoi spiegare meglio di cosa si tratta?
Io parlo di due approcci, intanto, diversi. Da un lato una soluzione proposta fra l’altro anche dalla prima forza politica italiana, il Movimento 5 Stelle, un po’ di anni fa e cioè l’alleanza tra Paesi del Mediterraneo (e spiego perché). Dall’altra parte, però, anche una presa di consapevolezza di chi noi siamo come cittadini sud europei. E noi dobbiamo assolutamente recuperare questa vocazione mediterranea per poter imporre e avere anche la capacità di imporre in Europa la nostra diversità, la nostra unicità. Qual è questa identità mediterranea? L’identità mediterranea è legata al nostro saper fare che significa saper essere, al saper fare artigiano, alla bellezza del nostro territorio, alle economie locali, quindi ripartire un po’ da dove siamo stati distrutti e da quello che ci connota maggiormente come popoli mediterranei. Noi, come singoli Paesi del Mediterraneo, contiamo ben poco.
E questo è dimostrato da un evento storico molto importante: il referendum greco del 2015. Quando il 5 luglio il 61% dei greci dissero no a ulteriori misure di austerità, quel referendum fu totalmente disatteso dall’oligarchia di Bruxelles, e quindi dopo pochi mesi la Grecia dovette sottostare a un ulteriore piano di salvataggio, ad un’ulteriore misura di austerità. Quell’evento storico è molto importante perché ci fa capire chiaramente che i singoli Paesi in Europa, soprattutto i Paesi del sud Europa, contano ben poco. Allora l’idea di un’alleanza mediterranea andrebbe proprio nella direzione di una maggiore acquisizione di forza di tutti i Paesi del sud Europa all’interno dei tavoli di Bruxelles. Inoltre, rappresenteremmo il quarto PIL a livello mondiale, se si unissero tutti i Paesi del Mediterraneo. E dico questo perché, fra l’altro, c’è stata sempre una chiara volontà del nord Europa di spingersi più verso i Paesi dell’est piuttosto che verso i Paesi mediterranei. Questo è sempre stato molto chiaro.
Nel 2004 abbiamo avuto l’ingresso di ben otto Paesi dell’est nell’Unione Europea e soltanto due Paesi mediterranei: Cipro e Malta. Ma anche i sogni e la maggiore integrazione tentati da alcuni Presidenti (penso a Sarkozy nel 2008, quando propose l’Unione per il Mediterraneo): anche quelle mire di integrazione, cioè volgere lo sguardo più verso il Mediterraneo, furono assolutamente ostacolate dalla Merkel. E leggo una frase molto emblematica che disse la Merkel proprio in prossimità di questa Unione per il Mediterraneo, che fu molto ridimensionata: «Se la Francia vuole dare impulso al progetto Mediterraneo, la Germania sente di essere più interessata all’Europa centrale e orientale. E tale contrapposizione potrebbe diventare un fattore esplosivo all’interno dell’Unione Europea». Quindi è sempre stata chiara questa volontà dell’Europa di volgere il suo sguardo verso i Paesi dell’est. E questo possiamo capirlo molto facilmente perché, ovviamente, fa il gioco degli interessi di Paesi come la Germania. E quindi anche gli stessi investimenti verso l’area del Mediterraneo sono stati sempre esigui. Nel 2003, quindi in prossimità dell’allargamento verso est, nel budget delle azioni esterne dell’Unione Europea il 42% erano destinati ai Paesi dell’est, mentre appena il 9% ai Paesi mediterranei.
Non mi è chiara una cosa, cioè se tu questa proposta la fai all’Europa o ai Paesi mediterranei fuori dall’Europa, comunque in un contesto diverso da quello attuale.
L’idea di un’alleanza mediterranea è un’alleanza tra i Paesi del sud Europa all’interno dell’Unione Europea. In qualche modo ci provò anche Tsipras: quando fu eletto, non so se ricordate, iniziò un giro di consultazioni incontrando diversi Presidenti del Consiglio. Venne anche in Italia a incontrare Renzi (allora c’era Renzi), ma andò anche in Spagna e in Portogallo. In realtà l’idea era proprio quella di comprendere se ci potevano essere delle basi comuni per rafforzare le posizioni dei Paesi del sud Europa a Bruxelles. Questa è una soluzione che va verso un ripensamento dell’Unione Europea dove, però, i Paesi del sud Europa possano avere una maggiore forza perché la mia convinzione è che, così come stanno le cose in realtà, noi non abbiamo alcun peso specifico tale da imporre una nostra visione.
Ripeto: l’evento storico del referendum greco è un evento storico importantissimo e visto che siamo tutti Paesi del sud Europa e che stiamo vivendo in questo momento storico, all’interno dell’Unione Europea, un momento di grande sofferenza, allora perché non allearsi per rivedere le proprie posizioni, capire se ci sono dei punti in comune ed essere più forti all’interno del consesso europeo? Nonostante ci troviamo in un momento di grandissima difficoltà e di grande crisi (non soltanto economico-finanziaria, ma io direi anche una crisi morale, siamo in pieno periodo di decadenza), tuttavia io vedo anche i semi di un possibile Rinascimento che io chiamo “Mediterraneo”. E non è un caso, allora, che l’anno scorso nel 2017 ho partecipato in qualità di referente per l’Italia nel primo Forum mondiale “Nuova Economia e Innovazione Sociale” (NESI). Si sono incontrate circa 700 persone da tutto il mondo per capire quale possa essere questo modello alternativo a quello, appunto, globalizzato.
Che cosa è uscito fuori?
Intanto ci sono i primi segni di un cambiamento. Il cambio di direzione è ripartire dalle economie del territorio, quindi partire dal territorio. Un pensare locale, ma un agire globale. Cosa significa? Non un ritorno al passato, ma un ritorno alla produzione del proprio territorio, per esempio, l’economia a “chilometro zero” ma con una visione però internazionale. Cose che sanno fare molto bene i coreani, i cinesi, i giapponesi, gli americani, mentre noi siamo un po’ deficitari nel pensare, invece, in modo globale. Pensiamo, per esempio, a molte delle nostre aziende; al made in Italy, alle aziende della moda, del lusso che vengono acquistate da aziende coreane e d’oltreoceano che riescono a internazionalizzarle e a fornirle di un pensiero internazionale.
Noi siamo molto bravi con la nostra creatività, il nostro saper fare artigianale, ma spesso abbiamo difficoltà ad agire al di là del territorio, ad agire globalmente. Noi, quindi, dobbiamo recuperare la capacità di valorizzare al meglio i nostri talenti migliori. Posso fare l’esempio di un’azienda tipica del Mediterraneo: la “Campbell”, l’azienda delle scarpe, che è proprio un classico esempio di cosa significa “un pensare locale e un agire globale”. È un’azienda molto legata al proprio territorio, ha saputo valorizzare l’artigianalità legata al territorio delle isole Baleari perché quest’azienda ha sede in Spagna, ma è diventata in pochissimo tempo un’azienda assolutamente internazionale, esporta in quasi tutto il mondo pur mantenendo la propria identità mediterranea.
Vedo i semi di un nuovo Rinascimento mediterraneo, ma dovremmo sicuramente fare un passo importante anche noi, perché la rivoluzione parte sempre e prima di tutto da se stessi. Non possiamo immaginare di rivoluzionare il mondo se prima questa rivoluzione non è una rivoluzione interiore. E quindi la coscienza collettiva (che è un corpo unico che è formato da tante cellule e queste tante cellule siamo tutti noi) si può modificare se ciascuno di noi attua un cambiamento interiore profondo che è, innanzitutto, riprendersi il proprio tempo perché, in questa società capitalistica frenetica, noi siamo diventati spesso dei criceti che corrono senza senso, senza più capire qual è il senso della nostra vita. Quindi riprenderci il nostro tempo per fare spazio dentro di noi e intorno a noi. Perché solo riprendendoci anche il nostro tempo e il nostro spazio, potremmo guardare con maggiore occhio critico il sistema nel quale noi siamo immersi. E se prima non guardiamo l’ostacolo non abbiamo la capacità di superarlo, perciò dobbiamo acquisire un’assoluta consapevolezza del tempo storico che stiamo vivendo per poterlo poi superare.
Claudio Messora, intervista, su Byoblu.com, a Tiziana Alterio, autrice del libro “La guerra silenziosa”.
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