Due universi - Dipinto di Franco Farina
Nell'anniversario dell'espianto di Pietro Tarantino, ricordiamo che questa vicenda legale è stata trascinata per 14 anni fino all'incidente probatorio (2004), atto strumentale richiesto dai medici inquisiti per manovrare l'archiviazione e impedire il processo. Ai 4 consulenti di parte presenti in aula (Patologo e Chirurgo generale, Anestesista-rianimatrice, medico-legale e Presidente della Lega Contro la Predazione di Organi) fu impedito di parlare. Invece i 2 consulenti tecnici del giudice parlarono a ruota libera senza spiegare perché l'ospedale riportò all'atto del ricovero una diagnosi inventata di “Frattura C2” che sostituiva la diagnosi corretta data da un precedente ospedale e, ancor più grave, perché glissarono sulla relazione tecnica che stigmatizzava la valutazione del coma compiuta sotto Atropina, farmaco vietato a livello internazionale nelle dichiarazioni di morte cerebrale, perché produce midriasi (dilatazione fissa pupillare).
Ecco uno stralcio dell'analisi dell'Ordinario di Fisiologia Umana dell'Università degli Studi Milano:
“...Dalle cartelle cliniche si evince che nelle ore seguenti all'incidente Tarantino, che era in stato comatoso, ricevette due successive iniezioni intramuscolari di atropina, ciascuna nella dose di 1 mg, la prima tra le ore 9.00 e le 9.30, durante il trasporto in elicottero dall'ospedale di Vaprio d'Adda agli Ospedali Riuniti di Bergamo, e la seconda subito dopo il ricovero nel reparto di Terapia Intensiva della Divisione Neurochirurgia, simultaneamente all'incannulazione della vena succlavia destra. Tra le due somministrazioni era pertanto trascorsa circa un'ora, un intervallo breve se confrontato con l'emivita del farmaco (circa 4 ore). In base alle nozioni presentate più sopra sulla farmacocinetica dell'atropina somministrata intramuscolo, è possibile arguire che la seconda dose, fatta ad un'ora di distanza dalla prima, abbia poco meno che raddoppiato (1,85 volte) la concentrazione plasmatica dell'atropina prodotta dalla prima somministrazione. E' quindi affermabile che gli effetti biologici globalmente derivati dal trattamento siano stati di poco inferiori rispetto a quelli ottenibili con una singola dose di 2 mg intramuscolo.
Occorre inoltre notare che dal registro di accettazione dell'Ospedale di Vaprio d'Adda risulta che Tarantino, al momento del suo arrivo (ore 8.20), ha subito l'intubazione oro-tracheale. Generalmente tale manovra viene accompagnata dalla somministrazione di atropina. Tale importante dettaglio, tuttavia, non ha potuto venire accertato, dato che non è stato ritrovato il documento (modello 24) che dovrebbe descrivere i trattamenti subiti da Tarantino durante il breve transito per l'Ospedale di Vaprio. Nel caso, peraltro molto probabile, che ciò si sia verificato, a Tarantino sarebbero state iniettate, a distanza di circa un'ora l'una dall'altra, ben tre dosi di atropina, capaci di produrre effetti pupillari ancor più ampi di quelli sopra postulati.
La totale scomparsa della reattività pupillare, causata dalla depressione dei neuroni del tronco encefalico che trasmettono i riflessi alla luce, fa parte dei segni utilizzati per diagnosticare la profondità del coma. Da quanto fin qui descritto a proposito degli effetti pupillari dell'atropina risulta evidente che dovendo utilizzare l'esame pupillare come rilevatore della gravità del danno funzionale del tronco encefalico, si deve necessariamente escludere che la caduta della reattività della pupilla sia dovuta a cause periferiche, per esempio al blocco della trasmissione neuromuscolare nello sfintere pupillare provocata dall'atropina. Ogni indebolimento della reattività pupillare, indotto dal danno cerebrale conseguente al trauma, verrebbe infatti aggravato dall'azione pupillare del farmaco, falsando la stima dell'entità della depressione centrale. In un paziente in coma, che abbia ricevuto 2 o 3 mg di atropina, una cospicua quota della caduta di reattività pupillare potrebbe infatti essere dovuta al farmaco.
Riguardo alle possibili interferenze dell'atropina con la diagnosi della profondità del coma, va tenuto presente un ulteriore aspetto. Esistono dati sperimentali che testimoniano come l'atropina induca effetti elettroencefalografi caratteristici di una diminuzione della vigilanza (aumento delle componenti più lente dell'EEG), cui corrisponde un'azione sedativa. In virtù del fatto che l'atropina contenuta nel plasma normalmente non penetra nel tessuto nervoso centrale, perché impedita dalla barriera ematoencefalica, in condizioni fisiologiche i suoi effetti centrali sono di entità modesta (ma sufficienti a sconsigliare il volo ai piloti che, in caso di guerra chimica, debbano assumere atropina come antidoto all'avvelenamento da inibitori della colinesterasi). Va tuttavia considerato che in presenza di edema cerebrale (è il caso del signor Tarantino) le capacità selettive della barriera ematoencefalica sono diminuite e l'ingresso dell'atropina nel cervello diventa più cospicuo. Ciò aumenta l'entità degli effetti centrali dell'atropina, depressivi sulla vigilanza, e può quindi incrementare la profondità apparente del coma”.
Il Comitato Medico-Scientifico della Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente, di cui è Presidente il Prof. Dott. Massimo Bondì, conferma l'analisi sopra esposta.
Non dobbiamo nasconderci la verità, non solo che la “morte cerebrale” è in sé una finzione utilitaristica, ma ancor peggio che con i farmaci può essere indotta una condizione che soddisfa i protocolli di Stato, simulando una apparente 'morte cerebrale' rendendo possibile il successivo espianto di un vivo che ha perso la coscienza.
La L. 91 del '99 però non prevede il caso che i medici che eseguono i protocolli possano certificare falsamente la 'morte cerebrale' per imperizia o per dolo, né prevede alcuna punizione del reato; come se i medici fossero una casta immune da errori, interessi personali e pulsioni criminali.
Comitato Medico-Scientifico,
Prof. Dott. Massimo Bondì,
L. D. Patologo e Chirurgo generale
Comunicazione del fratello:
Pietro era un uomo forte nel pieno della vita, aveva solo 41 anni e quest'oggi (25 marzo) ricorre l'anniversario del suo crudele e illegale espianto.
Negammo ripetutamente l'autorizzazione all'espianto e minacciammo di denunciare il primario. Alla sera a casa mi venne il dubbio che volessero procedere nonostante la nostra opposizione. Andai alla Questura di Milano alle 23, che mi rimandò a quella di Bergamo. La mattina presto andai alla Questura di Bergamo ma nessuno riuscì a trovare il magistrato di turno. Io dicevo “mio fratello è vivo e vogliono espiantarlo” e loro “non si preoccupi se è vivo non lo tocca nessuno”. “Quel giorno non lo dimenticherò mai, di tanto in tanto entravano ed uscivano dei medici dalla sua stanza. Credevo che lo curassero, come loro dicevano, invece dalle cartelle cliniche appresi che lo stavano dichiarando in 'morte cerebrale' a nostra insaputa. I medici quella sera ci tranquillizzarono e ci mandarono a casa assicurandoci che non avrebbero fatto niente senza il nostro consenso. Invece appena usciti Pietro veniva portato in sala operatoria a lato di quella dove c'era il malato che aspettava il cuore, un commerciante di Forlì, che poi seppi da 4 mesi alloggiava in albergo in attesa di un cuore. Così Pietro, camionista, fu sacrificato al commerciante. L'indomani mattina i parenti trovarono Pietro in obitorio con un cerotto che andava dalla gola al pube “Denunciai per omicidio volontario”. L'omicidio doloso o volontario può essere “riaperto” anche oggi stesso, sulla base di nuovi elementi, ma l'onere economico paralizza ogni azione di giustizia compreso il ricorso alla Corte Europea (maggiori dettagli www.antipredazione.org sez. casi principali).
Mario Tarantino - Consigliere Nazionale
Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi
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