Il 4 novembre di ogni anno ci assordano con
le celebrazioni della vittoria, il Piave mormorò, i nostri fanti, il
generale Diaz, Trento e Trieste.
Tra cimbali e fanfare, corse di bersaglieri, penne dritte degli
Alpini, Vittorio Veneto, commossi elogi e severi moniti all’unità
nazionale e all’amore per l’Europa “che
ci ha dato 70 anni di pace”
(Jugoslavia, spedizioni Nato e guerra ai poveri escluse) pronunciati
dal capo dello Stato, siamo tutti chiamati a festeggiare la
“vittoria”.... (sic)
I
padroni sono per scelta e dna assassini seriali. Non hanno il
cromosomo dell’empatia, hanno quello della voracità, come certi
organismi fatti solo di tubo digerente. Odiano tutto quello che gli
impedisce di ingurgitare. Se i nostri sono, come vuole la vulgata,
discorsi dell’odio, hate
speech, i loro
sono fatti dell’odio, hate
facts. E mai
come oggi, passati dai macelli tra liberali e monarchici a quelli tra
liberali e nazifascisti, a quelli di liberali post-nazifascisti
contro tutti gli altri, ne stanno rinnovando la dimostrazione.
In
coda a tutti costoro ci sono poi i marciatori della pace, i
nonviolenti senza se e senza ma. Senza di loro i violenti e i
profittatori di guerre mancherebbero di una base d’appoggio. Finché marciano inneggiando alla pace e riprovando la guerra, evitando
accuratamente di nominare un solo generale, un solo presidente, un
solo ministro, rigettando ogni funesta tentazione di schierarsi,
magari dalla parte delle vittime, collocando i carnefici nella
dimensione dell’inconoscibile, applicando il dettame della
nonviolenza anche a coloro che mani possenti spingono sott’acqua,
il mondo procederà senza scosse. Verso la fine.
Così,
anche tra Perugia e Assisi, anche stavolta, dopo sette anni di guerra
senza quartiere condotta da mezzo mondo civile e dai suoi civilissimi
mercenari, non si è sentito neanche sussurrare la parolina “Siria”.
Ah no, un momento. Ne ha parlato “il manifesto”, il 31 ottobre, a
proposito del patrimonio archeologico millenario del paese. Per
attribuirne la rovina “all’indegno
disinteresse del governo di Bashar el Assad”.
Da
Palmira, dove era nato nel 1932 ed è morto il 18 agosto 2015, saluta
l’autrice di quell’articolo Khaled al Asaad, archeologo,
direttore degli scavi di Palmira per conto del governo di Assad,
trucidato dai mercenari Isis per non aver voluto lasciare alla loro
mercè le colonne millenarie della sua città.
Anni
fa, in occasione di un anniversario della strage, mi ritroverai a
fare una diretta tv dal cimitero che custodisce i resti dei 1.909
ammazzati dai costruttori e non manutentori della diga del Vajont.
Come sottofondo musicale ci infilai la canzone del Piave. E nel
commento accennai a qualcosa come: caduti della guerra dei
costruttori e cementifica tori, come quegli altri, quasi mezzo secolo
prima, nella guerra degli industriali e generali. Un vero hate
speech. E mi fu
cancellata la rubrica al TG3. Che si chiamava “Vivere!”,
col punto esclamativo.
Fulvio Grimaldi - www.fulviogrimaldicontroblog. info
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