sabato 6 maggio 2017

Vladimir Putin. Il nuovo messia della libertà e della giustizia


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Possiamo forse dire che Vladimir Putin sia il leader Russo più popolare di tutti i tempi?

Si direbbe di si.

In un recente sondaggio condotto dal centro di ricerca statistica sull’opinione pubblica Pan-Russo, i tassi di approvazione di Putin hanno raggiunto un incredibile 86%, vale a dire il doppio di Obama quando ha lasciato l’incarico nel 2016. Ma ciò che è più sorprendente è che la popolarità di Putin è resistita attraverso un momento difficile per l’economia e dopo quasi due decadi di incarico. A differenza della maggior parte dei politici, la cui data di scadenza è compresa tra 4 e 8 anni, l’ammirazione pubblica per Putin si è solo accresciuta nel tempo.

E il fenomeno non si limita alla sola Russia, secondo un recente sondaggio di YouGov “Putin è il terzo uomo più ammirato in Egitto, il quarto in Cina, Arabia Saudita e Marocco, il sesto più ammirato in Germania, Francia e Svezia”. E non parliamo neanche della Siria, dove chiamare i bambini appena nati con il nome del Presidente Russo è la nuova  moda.

Putin ha inoltre vinto il prestigioso riconoscimento di “Uomo dell’anno” del Times nel 2007 ed è sempre stato nella top ten di quella lista per gli ultimi 10 anni. L’unico posto dove Putin non è popolare sono gli Stati Uniti d’America dove viene regolarmente demonizzato come “furfante del KGB”, se non “Nuovo Hitler”. Secondo un sondaggio Gallup del 2017, solo il 22% degli Americani guardano a Putin con favore, mentre il 72% ne hanno una opinione sfavorevole.

Non c’è dubbio che gli attacchi personali rivolti a Putin da parte dei media abbiano avuto un impatto sulla sua popolarità. Ma la domanda che le persone di mentalità aperta dovrebbero rivolgere a se stesse è se l’opinione su Putin sia frutto di personali ricerche, o se piuttosto siano considerazioni formate in base a ciò che sostengono i media controllati dalle grosse corporations, che sono lì sempre pronti a denigrare chiunque si opponga alle ambizioni geopolitiche di Washington. Il mio consiglio per queste persone è ascoltare direttamente le parole di Putin e poi tirare le proprie conclusioni.

I media Occidentali indicano Putin come responsabile di diversi crimini, tra cui l’uccisione di giornalisti e avversari politici. C’è qualcosa di vero in questo? Un uomo così riverito dalla vastissima maggioranza dei Russi non sarebbe altro che un comune sicario mafioso che fa fuori i suoi avversari senza battere ciglio?

Non posso giudicare con tutta la certezza, ma avendo seguito la carriera di Putin (e letto molti dei suoi discorsi), da quando ha rimpiazzato Boris Yeltsin nel 1999, direi che mi sembra molto improbabile. La più probabile spiegazione è che la politica estera Russa abbia creato insormontabili ansie per Washington in posti come l’Ucraina e la Siria, così Washington ha istruito il suo Ministero della Propaganda (cioè i media) di demonizzare Putin come cattivo tiranno e delinquente. Questo è quantomeno quello che visibilmente i media hanno continuato a fare fino ad oggi.

La classe politica USA adorava Yeltsin, chiaramente, poiché Yeltsin era un buffone pronto ad acconsentire a tutto, che ha eviscerato lo Stato e ha detto si a tutte le richieste delle multinazionali Occidentali. Putin al contrario ha compiuto enormi passi avanti nel ricostruire il paese, nazionalizzando in parte l’industria dell’estrazione di petrolio e gas, imponendo la sua autorità sopra gli oligarchi, ristabilendo il potere del governo centrale.

Ancor più importante, ha ripetutamente condannato l’atteggiamento guerrafondaio unilaterale degli Stati Uniti nel Mondo, diventando di fatto il leader di un movimento di resistenza il cui obiettivo primario è fermare i ripetuti cambi di regime promossi da Washington e funzionali alla destabilizzazione, rifondando la sicurezza mondiale sul principio della sovranità nazionale. 

Così Putin stesso ha riassunto il principio a Valdai:
“Non mettiamo un attimo in dubbio che la sovranità sia il principio fondante dell’intero sistema delle relazioni internazionali. Il rispetto e il consolidamento di essa aiuteranno a promuovere pace e stabilità sia a un livello nazionale che internazionale. Innanzitutto è necessario che ci sia un livello di sicurezza uguale e indivisibile per tutti gli Stati” (Incontro del gruppo di discussione internazionale di Valdai, Il futuro in marcia, dare forma al Mondo di domani, dall’ufficio della Presidenza Russa).

Questo è uno dei temi fondamentali di Putin, risalente al suo famoso manifesto di Monaco del 2007, un discorso che chiunque abbia anche solo un vago interesse negli affari esteri dovrebbe leggere in forma integrale. 

Eccone un estratto: “Assistiamo a un sempre maggiore disprezzo per i principi base del diritto internazionale. E principi legali indipendenti si intersecano, di fatto, alle leggi dello Stato. Uno Stato, e certamente, prima di tutto gli Stati Uniti, hanno scavalcato indebitamente la competenza dei loro confini in ogni modo possibile. Ciò è notevole sotto il profilo economico, politico, culturale, educativo che impone agli altri Stati. Ebbene, qualcuno è veramente soddisfatto con questo stato di cose?”

“Sono convinto che siamo arrivati al momento decisivo in cui è assolutamente urgente ripensare l’architettura della sicurezza mondiale. Dobbiamo procedere perseguendo un ragionevole bilanciamento tra gli interessi di tutti i partecipanti al dialogo internazionale (Video youtube: Wars not diminishing: Putin’s iconic 2007 Munich speech).

Il discorso di Monaco è stato recitato quattro anni dopo che Washington lanciò la sua sanguinaria invasione dell’Iraq, invasione che Putin oppose duramente. Il discorso è prova di una maturità di pensiero da parte di Putin, il quale, a differenza di quasi tutti gli altri leader mondiali, non è incline a giudizi e decisioni affrettate. Al contrario si prende il tempo necessario per analizzare le situazioni sotto ogni possibile prospettiva, e poi agisce in base a conclusioni molto ben ponderate. Ma una volta che ha preso una decisione non esita.

L’opposizione da parte di Putin a un controllo mondiale unipolare, ossia la politica dittatoriale di Washington, dove tutti gli altri non sono tenuti a fare nient’altro che mettersi in riga, non ha nulla a che vedere con l’antiamericanismo, è un fatto esclusivamente pragmatico. I 16 anni di avventure di Washington in Asia centrale, Nord Africa e Medio Oriente non hanno ottenuto altro risultato che intensificare le crisi, gettare benzina sull’instabilità, nutrito il terrorismo, portato morte e distruzione. Non ci sono stati vincitori nella fantomatica guerra al terrore, solo violenza infinita e montagne di vittime. Di conseguenza, usando le parole di Putin, “nessuno si sente al sicuro”.

Queste sono le motivazioni per le quali Putin ha tracciato una linea nel terreno in Ucraina e Siria. Il Presidente Russo ha impegnato esercito e aviazione allo scopo di fermare il comportamento aggressivo di Washington.E’ il caso di ribadire, ciò non avviene a causa di un odio per l’America o perché egli cerchi lo scontro, ma dal momento che l’appoggio di Washington a violenti estremisti richiede una risposta ferma. Non c’è altro modo. Al tempo stesso Mosca non smette di cercare una soluzione pacifica ad entrambe le crisi. 

Citiamo ancora le sue parole: “Solo dopo aver messo termine ai conflitti armati ed aver assicurato le possibilità di sviluppo pacifico di tutte le nazioni potremo parlare seriamente di progresso economico e risoluzione dei problemi sociali, umanitari, come altre problematiche fondamentali”

E’ essenziale garantire le condizioni necessarie al lavoro creativo e al progresso economico a un passo che possa porre termine alla divisione del mondo in vincitori permanenti e eterni sconfitti. Le regole del gioco dovrebbero offrire alle economie in via di sviluppo almeno una opportunità di potersi mettere sullo stesso piano di quelle che conosciamo come economie sviluppate. Bisognerebbe lavorare per rendere omogeneo il ritmo dello sviluppo economico, e assicurare protezioni a stati e regioni arretrate, così da rendere i frutti del progresso economico e tecnologico accessibili a tutti. Ciò sarebbe il modo concreto di sconfiggere la povertà, uno tra i peggiori problemi della contemporaneità”-

Un’ altra priorità è la salute mondiale. Tutti gli esseri umani al mondo, e non soltanto le élite, devono avere diritto a vivere a lungo e in salute. Questo è un nobile obiettivo. In breve dovremmo porre oggi le fondamenta del mondo di domani, attraverso l’investimento in tutte le aree fondamentali per lo sviluppo umano” (Incontro del gruppo di discussione internazionale di Valdai).

Queste affermazioni sono i motivi per cui le storie su Putin che elimina giornalisti mi sembrano insensate. Mi sembra molto improbabile che un uomo che crede nella necessità di garantire a tutti nel mondo accesso alle cure mediche, lavoro creativo, fine della povertà e “investire in tutte le aree prioritarie per lo sviluppo umano”, possa, allo stesso tempo, eliminare avversari come un qualsiasi boss mafioso. Mi sembra molto difficile da credere.

La parte più interessante del discorso di Putin a Valdai è la sua analisi dell’incertezza sociale che ha invaso la UE e gli USA, risultando nel diffuso rigetto dei candidati politici tradizionali e relativi partiti. Putin ha osservato attentamente questi sviluppi e ha meditato a lungo su essi. 

Ecco che cosa ne pensa: “L’agenda politica talmente svuotata di senso come si trova adesso, e le elezioni (Americane) che cessano di rappresentare uno strumento di cambiamento, e che invece non sono altro che uno scontro di scandali e diffamazioni. E onestamente basta uno sguardo alle piattaforme dei vari candidati per concludere che siano state fatte con lo stesso stampo, differenze minime, semmai ce ne fosse qualcuna”.

Certo, formalmente tutte le nazioni moderne hanno gli attributi della democrazia: elezioni, libertà di parola, accesso all’informazione, libertà d’espressione. Ma anche nelle democrazie più avanzate la maggior parte delle persone non ha alcuna influenza reale sul processo politico e nessun rapporto col potere.

Sembra che se le élite continuino a rifiutarsi di prendere nota della sempre crescente stratificazione della società e dell’erosione della classe media, e ciò crea un clima di incertezza che ha un effetto diretto sull’umore del pubblico.
Studi sociologici condotti nel Mondo mostrano che la gente in diversi paesi e in diversi continenti tende a guardare al futuro come oscuro e preoccupante. Ciò è triste, il futuro anziché rappresentare una avvincente opportunità rappresenta una fonte di paura. Allo stesso tempo la gente non vede nessuna vera opportunità e nessuno strumento per cambiare nulla, influenzare gli eventi e dare una nuova direzione alle politiche pubbliche.

Quanto alla rivendicazione che le frange populiste avrebbero preso il sopravvento su una minoranza sobria, responsabile e sensibile, non stiamo parlando di populisti o altre etichette ma della gente normale e ordinaria, normali cittadini che stanno smarrendo la fiducia nella classe dirigente. Questo è il problema reale.

La gente avverte un golfo sempre più ampio tra i propri interessi e la visione che l’élite offre come unico corso d’azione possibile, scelto da essa in modo autoreferenziale. Il risultato è che elezioni e referendum offrono esiti sempre più sorprendenti per le autorità. La gente non vota affatto nel modo in cui i media ufficiali e responsabili vorrebbero facesse, o come i partiti mainstream si augurino che faccia. Movimenti pubblici che fino all’altro ieri erano troppo a destra o troppo a sinistra sono ormai centrali e stanno spingendo fuori gli ex pesi massimi politici.

Sulle prime questi risultati politici sconvenienti sono stati liquidati come anomalie o caso. Ma una volta che sono diventati più frequenti i sedicenti esperti hanno iniziato a sostenere che la società non è in grado di capire coloro che si trovano in cima alla piramide del potere e che la gente non è abbastanza matura per poter apprezzare il lavoro che le autorità svolgono per il bene pubblico. Oppure vanno completamente in crisi isterica e dichiarano i risultati elettorali risultato di propaganda estera, generalmente Russa” (Incontro del gruppo di discussone internazionale di Valdai).

Putin sottolinea diversi aspetti importanti, è dunque una buona idea tracciare un elenco:
1) Le elezioni non rappresentano più uno strumento di cambiamento;
2) Le apparenze esteriori della democrazia persistono, ma nei fatti la gente non ha alcun peso sulla determinazione di politiche e processi;
3) L’impotenza politica ha generato frustrazione, depressione, rabbia. Nuovi movimenti e candidati sono emersi proponendo rimedi più estremi, dal momento che i partiti tradizionali non rappresentano più la volontà popolare;
4) Le élite isolate sono diventate sempre più ottuse e cieche alla rabbia che dorme sotto la superficie di una società apparentemente quiescente;
5) Sempre più persone sono spaventate dal futuro, Vedono poca speranza per se stessi, i loro figli, il proprio paese. Il differenziale tra ricchi e poveri continua a seminare malcontento, definito populistico;
6) L’elezione di Trump segnala profondo rigetto della classe politica nazionale, i suoi media, il suo sistema economico, le sue istituzioni primarie;

Questa è un’analisi di prima mano fatta da un uomo che non solo ha passato molto tempo a ragionare su questi argomenti, ma ha anche identificato il particolare evento che ha dato origine all’attuale crisi: la dissoluzione dell’ Unione Sovietica. 

Ecco cosa sostiene: “L’anno scorso i partecipanti al forum di Valdai hanno discusso i problemi inerenti all’attuale ordine mondiale. Sfortunatamente molto poco è migliorato negli ultimi mesi. Anzi, per essere più onesti, non è cambiato nulla.
Le tensioni messe in atto da cambiamenti nella distribuzione dell’influenza politica ed economica continuano a crescere. Essenzialmente l’intero progetto della globalizzazione si trova oggi in crisi, ed in Europa, sappiamo bene, si alzano sempre più voci a proclamare che il multiculturalismo ha fallito.
Credo che la situazione sia sotto vari punti di vista il risultato di scelte sbagliate, frettolose e in certi casi prepotenti, prese dalle élite di alcuni paesi un quarto di secolo fa. Allora, negli ultimi anni ’80 e primi anni ’90 si è presentata l’occasione non soltanto di accelerare il processo di globalizzazione, ma anche di conferirgli una qualità diversa e renderlo più armonioso e sostenibile nella sua natura.
Ma alcuni paesi hanno voluto autorappresentarsi come vincitori della guerra fredda, non soltanto sentendosi tali ma proclamandolo a gran voce, scegliendo al contrario di rifondare l’ordine economico e politico globale sulla misura dei propri interessi.
In questa euforia hanno praticamente gettato in mare la necessità di un dialogo sostanziale ed equo con gli altri attori sulla scena internazionale, scegliendo di non creare istituzioni internazionali o almeno migliorare quelle esistenti, provando al contrario di costringere il mondo intero sotto il controllo delle proprie organizzazioni, norme e regole. Hanno scelto la strada della globalizzazione unilaterale e della sicurezza solo per i loro beneamati sè stessi, per i pochi prescelti, e non per tutti” (Incontro del gruppo di discussione internazionale di Valdai).

Ha ragione o no? Il progetto globalizzante è palesemente in crisi e la ragione per cui è in crisi è che tutti i benefici sono andati a coloro che hanno progettato il sistema in base ai propri esclusivi interessi, il famoso 1%. Di conseguenza i popoli d’Europa e America stanno perdendo la pazienza e cercano di trovare sistemi per ristabilire il proprio controllo sul sistema. Questo è tutto ciò che la Brexit ci comunica. Questo è ciò che l’esito dell’elezione di Trump rappresenta. Questo è il senso del duello Macron-Le Pen. Tutti e tre sono chiari esempi della rabbia che sta montando contro le élite che hanno imposto un sistema utile solo al proprio auto-accrescimento a tutti gli altri senza consultarli, precipitando un costante declino negli standard di vita, enorme insicurezza economica, perdita di sovranità nazionale.

Questa è la prima volta che sento qualcuno ricondurre l’attuale ondata di turbolenza sociale come esito della dissoluzione dell’Unione Sovietica, ma mi sembra abbia del tutto senso. Le élite Occidentali hanno interpretato la dissoluzione dell’URSS come un semaforo verde per perseguire maniacalmente la propria agenda globale e imporre il modello economico neoliberista al mondo intero, processo che è stato pesantemente accelerato in seguito al 9/11. Gli attacchi terroristici contro le torri gemelle sono diventati l’evento seminale per decurtare le libertà civili, accrescere i poteri esecutivi, dare luogo alla guerra globale al terrore. Non moderata da nessun rivale notevole, Washington si è sentita libera di imporre il suo sistema a tutto beneficio delle multinazionali al mondo intero, ritracciare la mappa del Medio Oriente, occupare paesi in Asia centrale, far cadere regimi secolari ovunque lo abbia ritenuto opportuno. Il trionfalismo del capitalismo Occidentale è ben riassunto nelle parole dell’ex Presidente G.W. Bush, che affermò nel 1990, prima del lancio dell’operazione Desert Storm: “(da oggi) Ciò che affermiamo è legge”. L’affermazione è una dichiarazione non ambigua della determinazione di Washington a dominare il mondo intero e stabilire un nuovo ordine mondiale.

Oggi, 27 anni dopo, il cammino degli Stati Uniti è stato fermato in Siria e Ucraina. Nuovi centri di potere economico stanno emergendo, si formano nuove alleanze, l’autorità di Washington è contestata a viso aperto. Il compito di Putin è arrestare il progetto degli Stati Uniti, creare disincentivazioni tangibili all’aggressione militare, mettere fine per sempre agli interventi militari esteri. Il Presidente Russo potrebbe essere costretto a fare ogni tanto qualche passo indietro per evitare la terza guerra mondiale, ma l’obiettivo è essenzialmente chiaro e realistico. Lo zio Sam deve essere messo sotto controllo, i pretesti per guerre zittiti, una vera sicurezza mondiale ristabilita, e la gente deve poter ritornare in pace a casa.

Mike Whitney

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Traduzione per www.comedonchisciotte.org  a cura di CONZI

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