venerdì 12 maggio 2017

...è arrivato un bastimento carico di... - Il business delle ONG salva-migranti in mare...


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Al Moas salvare vite conviene: un affare da 2 milioni di utili

Parte delle cifre versate dai donatori girate alla società dei Catrambone. L'aereo acquistato grazie a Ryanair.

Quasi 2 milioni di euro girati alla multinazionale dei fondatori dell'Ong, che salva i migranti, per noleggio delle navi, oltre un milione di affitto per due droni, 400mila euro per marketing e pubbliche relazioni. E dal 3 aprile addirittura un aereo di pattugliamento, che sarebbe stato pagato dalla fondazione del figlio del patron di Ryanair.

Dai bilanci 2014 e 2015 della discussa organizzazione non governativa Moas (Migrant offshore aid station) con sede a Malta si scoprono costi e giri di soldi sorprendenti. «A mio avviso è un'operazione imprenditoriale più che umanitaria. Uno straordinario business» spiega a il Giornale, Paolo Romani, presidente del gruppo di Forza Italia in Senato.

Il bilancio del primo anno di attività è introdotto da Martin Xuereb, ex direttore della Ong ed ex capo di stato maggiore di Malta. Proprio lui presentò Moas al ministero della Difesa a Roma.

Nel 2014 le donazioni sono di appena 56.659 euro, veramente esigue. I fondatori, l'italo-americana Regina Catrambone e suo marito Christopher, hanno sempre detto di aver tirato fuori di tasca loro 8 milioni di dollari. Tutti pensano che sia una donazione a fondo perduto per salvare i migranti in mare e portarli in Italia. A tal punto che il presidente della Repubblica concede a Regina, lo scorso 14 ottobre, l'onorificenza di Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana: «Per il contributo che attraverso l'Ong Moas offre nella localizzazione e assistenza dei migranti in difficoltà nel Mediterraneo».

In realtà i bilanci raccontano un'altra storia. Nel 2014 la società privata dei coniugi Catrambone, Tangiers International Ltd, sborsa 1.554.875 euro «per le spese operative». Un'altra compagnia del gruppo paga altri 174.022 euro per costi amministrativi. E compare il primo drone, simile ad un mini elicottero, che costa 633.043 euro. L'anno dopo saranno due per un prezzo considerato troppo alto dagli esperti.

Nel 2015 piovono 5.700.000 euro di donazioni. 

Nell'introduzione al bilancio si scopre che l'Ong lancia i droni per cercare i barconi partiti dalla Libia e «quando il vascello in difficoltà viene localizzato, l'equipaggio della Phoenix invia le coordinate la Centro di soccorso marittimo di Roma». Non il contrario, come i rappresentanti della Moas hanno sostenuto nell'audizione in Commissione Difesa del Senato. «È chiaro che con aerei e droni fanno una ricerca attiva dei barconi. E poi avvertono Roma» spiega Romani, che fa parte del Copasir, il comitato parlamentare per il controllo dei servizi segreti.

A bilancio vengono iscritti 1.200.000 euro in uscita per i due costosi droni. Dal 3 aprile, come ha rivelato il settimanale Panorama in edicola, l'Ong ha annunciato sul suo sito l'utilizzo «per la prima volta di un aereo di pattugliamento» alla ricerca dei barconi. I soldi arriverebbero dalla One foundation, un'organizzazione no profit irlandese voluta da Declan Ryan, il figlio del fondatore della compagnia aerea low cost Ryanair. Peccato che dal 2013-2014 la fondazione irlandese avrebbe praticamente chiuso i battenti dopo l'esaurimento dei fondi.

Nel 2015 salta agli occhi anche la spesa di 412.698 euro per «marketing e pubbliche relazioni». A pagina 10, punto 9, si trova la sorpresa. «Dato che Moas è gestita da ReSyH Limited, che fa parte del Gruppo Tangiers International LLC (gruppo Tangiers)» l'Ong ha pagato 1.865.556 euro di «charter fee», si suppone noleggio nave alla multinazionale dei fondatori. E sparisce il costo dell'equipaggio. Non solo: «Oltre a quanto sopra, 855.428 euro sono stati ricaricati a Moas dalle parti collegate per spese». Le «parti collegate» sono sempre il gruppo Tangiers. «Alle nostre domande in Commissione difesa hanno negato l'evidenza della distribuzione di quasi metà dell'utile del 2015 al gruppo Tangiers - spiega Romani - E stiamo parlando di una multinazionale dell'intelligence e di assicurazioni in zone di guerra».
In pratica quasi due milioni di euro dei donatori vanno a finire nella casse delle società private dei fondatori, come se il salvataggio in mare dei migranti fosse un normale business di investimenti e rimborsi. Peccato che sul sito dell'Ong spicchi il faccione di un bambino e l'appello: «Il tuo aiuto dà loro speranza. Da quest'anno puoi donare il tuo 5 per mille a Moas. Aiutaci a salvare altre vite in mare».


Il volto segreto di Moas: l'Ong con i santi in paradiso

Il 10 maggio 2017 l'audizione in Commissione Difesa del Senato «Siamo trasparenti». Ma i finanziatori restano oscuri.

«Siamo sempre trasparenti, sinceri e collaborativi con istituzioni e collaboratori. I nostri interventi non sono mai autonomi e indipendenti, ci muoviamo solo su chiamata del centro operativo della Guardia Costiera di Roma».

Per quanto riguarda la lista dei donatori, invece, «non ho problemi» a fornirla «ma devo ottenere il loro consenso». Così ieri Ian Ruggier, Christina Ramm-Ericsson, Benjamin Briffa e Ian Ruggier, rispettivamente membro del consiglio d'amministrazione, capo-staff e responsabile finanziario di Moas (Migrant Offshore Aid Station), l'organizzazione che nel 2014 diede il via alle prime operazioni «private» di salvataggio nel Mediterraneo si sono presentati alla Commissione Difesa del Senato. Una Commissione assai curiosa di saperne di più su questa Ong, sui suoi finanziatori e sulle molteplici attività del suo (in)discusso padre padrone Chris Catrambone.

In verità un primo, evidente elemento di anomalia sedeva davanti a loro. Il maltese Ruggier, riciclatosi come morigerato salvatore di migranti, ha un passato da ufficiale delle forze armate del suo paese ed è finito sotto inchiesta per aver comandato i militari che nel gennaio 2005 sedarono a bastonate una protesta di richiedenti asilo spedendoli all'ospedale. Ma se il «convertito» Ian Ruggier è il più presentabile che dire del «mecenate» Chris Catrambone arricchitosi tra il 2003 e il 2010 stipulando polizze sulla vita per i contractors in partenza per Afghanistan e Iraq. Assicurare i professionisti del mercenariato non è un reato, ma garantirsi una sorta di monopolio su una fetta di mercato dove i contratti più desiderati sono quelli del governo americano non è da tutti. In quel passato è basato il sospetto che ha spinto fonti militari di Malta a segnalare a Il Giornale le possibili attività di intelligence svolte utilizzando il Moas come copertura. 

Un sospetto condiviso dal procuratore di Catania Carmelo Zucchero che accennando al Moas parla di «profili non sempre collimanti con quelli dei filantropi».
Certo se sospetto e realtà corrispondessero la copertura sarebbe a dir poco perfetta. Grazie alla generosa e indifferente copertura della nostra Guardia Costiera - da cui ottiene il placet per operare persino dentro le acque territoriali libiche il Moas è libera di scorrazzare in una delle aree più calde del Mediterraneo spostando ora il Phoenix, una barca di 40 metri appoggiata da droni registrata nel Belize, ora il Topaz Responder, un vascello di 51 metri con bandiera delle isole Marshall.

Due imbarcazioni «notate» sia dalle autorità di Malta, sia dai sistemi di rilevamento di Eunavfor Med per la potenza di alcuni apparati destinati all'intercettazione di onde radio. Apparati che poco hanno a che fare con il salvataggio dei profughi, se veramente il Moas interviene solo su richiesta dalla Guardia Costiera e molto di più con le operazioni d' intelligence in appalto che il Tangiers Group, la holding di Chris Catrambone pubblicizza su siti e depliant delle sue consociate.

E anche sul fronte dei finanziamenti i dubbi non mancano. Certo è singolare che nel settembre del 2014 - dopo una sola missione di salvataggio nel Mediterraneo il Moas sia stato inserito nelle liste di «Global Impact», l'organizzazione che gestisce e spartisce tra un selezionatissimo numero di Ong le offerte per decine di milioni di dollari, fiscalmente detraibili, donate dai dipendenti federali di tutti Stati Uniti.

Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza.
Comunicato n. 47/17 dell’11 maggio 2017, Sant’Ignazio da Laconi




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