martedì 16 maggio 2017

Democrazia alla “francese”, democrazia diretta, o democrazia che non esiste?


Hanno lanciato urla di gioia, alte al cielo. Hanno festeggiato l’un con l’altro, mandando messaggi di congratulazioni a iosa. In qualche altro caso, sono addirittura scesi in piazza per latrare ai quattro venti, il proprio piccolo (e passeggero) momento di felicità. Eh già…tutto questo perché o si sono resi, fin troppo bene, conto di cosa comporta l’elezione all’Eliseo del competitor elettorale di Marine Le Pen, o, proprio non se ne sono ancor del tutto accorti ed allora quando se ne accorgeranno, saranno lacrime amare.
Qualche imbecille d’oltralpe intervistato dalla nostrana tivvù, ha affermato che, a suo dire, l’aver votato per il nuovo presidente francese, dovrebbe rappresentare un chiaro segnale di cambiamento e riportare in auge l’economia ed, in primis, la disastrata occupazione. Il tutto mentre, all’indirizzo del neoeletto, piovono congratulazioni dai principali rappresentanti dell’establishment occidentale e nessuno osa dire ad alta voce l’indicibile.
E cioè che, il neo insediato signor Nullità, altri non è che l’espressione degli interessi congiunti dei Poteri Forti, ed in particolare, di quella famiglia Rotschild, presso le cui istituzioni bancarie il nostro ha svolto un fruttuoso tirocinio che lo ha via via portato ad assurgere al ruolo di ministro dell’economia nella compagine governativa francese, sotto la presidenza Hollande. Le vigorose, ma vane, proteste per i gravosi tagli sul sociale, la ferocia degli attacchi terroristici, hanno lasciato l’opinione pubblica con l’amaro in bocca, ma non hanno, evidentemente, sortito quel salutare effetto in grado di provocare un reale cambiamento di rotta da parte del nostro dirimpettaio transalpino. A pensarci bene, però, ad un piccolo-grande miracolo le elezioni francesi ci hanno fatto assistere.
Qualcuno mi dovrebbe proprio spiegare come fa un partito (il Front National) che, sino a qualche giorno prima, i sondaggi davano alla pari con la formazione del neoeletto, se non in leggero vantaggio, numericamente considerato addirittura il primo partito francese, bene, come fa a non vincere, incassando anzi, già sin dalle ultime battute della campagna elettorale, vistosi cali di preferenze, concordemente pronosticati da altrettanti strani sondaggi. E’ presto detto. Il miracolo non lo ha fatto il signor Nessuno ed il suo partito di plastica, ma le varie forze politiche francesi, tutte concordi nell’orientare i voti dei propri elettori in direzione di quest’ultimo.
E qui non può non sorgere, spontanea, una riflessione sulla natura aleatoria ed illusoria dell’attuale modello di democrazia parlamentare che, come il caso francese ci insegna, non premia il consenso maggioritario degli elettori, bensì dei veri e propri pacchetti di consenso, già preformati e preventivamente organizzati da gruppi di pressione, che assurgono, in questo caso, al ruolo di vere e proprie holding del voto. In questo modo, le elezioni che, della dialettica democratica dovrebbero rappresentare il momento-cardine, cioè quello della libera scelta di un individuo pienamente cosciente ed integrato nei processi decisionali della propria comunità nazionale, assumono invece una funzione di mera riconferma di equilibri precedentemente stabiliti, creando, invece, attraverso l’orientamento dei pacchetti elettorali, dei veri e propri cordoni sanitari nei riguardi di qualunque forma di opposizione democratica che, in tal modo viene immediatamente neutralizzata, come nel caso della Francia di Marine Le Pen, per l’appunto.
Il caso francese è, pertanto, esemplificativo della forma degenerata oggidì assurta dal sistema democratico occidentale ma, sulla falsariga di quanto qui illustrato, esistono altre varianti del medesimo scenario. Prendendo l’esempio del nostro amato paese, qui si può tranquillamente affermare che, nei riguardi delle varie opposizioni, sia stato adottato un sistema più “inclusivo”. Qui, quelli che, a vario titolo, rappresentavano le opposizioni “dure e pure” sono stati, con l’abbaglio di logore tattiche entriste, introiettati in logiche politiche che hanno finito con l’inficiarne qualunque valenza politica antagonista. Varianti a parte, resta, comunque, il fatto che l’essenza del sistema democratico occidentale è proprio quella descritta poc’anzi, in questo momento assurta ad una vera e propria “democrazia a sovranità limitata”, ovverosia imperniata sul controllo e sull’orientamento preventivo del consenso in genere da parti di determinati gruppi di pressione, oggidì rappresentati da cosmopolite oligarchie globaliste.
L’orientamento del consenso di cui abbiamo parlato poc’anzi, si esercita attraverso uno stretto controllo dei mezzi di informazione, divenuti cassa di risonanza e diffusione a livello capillare, di un vero e proprio bombardamento propagandistico.
Quest’ultimo è accompagnato da subliminali messaggi dalla valenza intimidatoria e ricattatoria, in grado di annichilire la coscienza del singolo elettore che, in tal modo, perdendo qualsiasi capacità di autonomia decisionale, finisce con il divenire una delle parti di quegli impersonali portafogli elettorali, la cui orientabilità sta a fondamento di un intero sistema di potere. Qualora poi non si riuscisse ad addivenire a quell’agognato controllo totale, allora, per conferire maggior solidità all’intero impianto, si ricorre al classico voto di scambio o favore, che dir si voglia e, se questo non dovesse ancora bastare, alla criminalizzazione dell’avversario.
Ed in questo il nostro amato paese, con le tragiche vicende degli anni ’70 ed ’80 ha costituito un esempio all’avanguardia…Esiste però un qualcosa che, anche sotto i migliori (o peggiori) intenti e nonostante controlli e censure da parte della politica politicante non è prevedibile o controllabile ed è costituito da quel mix di esasperazione e volontà di rivolta che, condizioni estreme quali fame o altre tangibili rinunce economiche, possono arrivare a determinare. Certo, è vero, in Austria, Olanda e Francia, tanto per citare degli esempi attuali, quelle formazioni politiche i cui programmi si rifanno al comune ed irrazionale sentire della gente ( i cosiddetti “populismi”) hanno, a detta dei media ”embedded”, subito una battuta d’arresto. Un arresto che, avendo però ufficialmente collocato costoro al secondo posto nel consenso elettorale dei vari contesti nazionali, va assumendo, al di là dei vari starnazzamenti di gioia, la valenza di una vera e propria “vittoria di Pirro”.
La vita dei Signori del Vapore va facendosi sempre più difficile, gli immensi spazi di consenso a cui un sistema attingeva per ottenere la propria legittimazione, è andato e va restringendosi continuamente. Pertanto, il complessivo scenario politico europeo, dovrà fare i conti con i condizionamenti determinati dalla sostanziosa presenza del convitato di pietra “populista”. Una presenza che, però, di per sé, non è sufficiente a determinare quella poderosa spinta al cambiamento, di cui oggi l’Europa intera necessiterebbe. Chiarezza ideologica e programmatica, sembrano non essere i punti forti di questi movimenti che, troppo spesso, affidandosi unicamente al “mal di pancia” di certa opinione pubblica, non riescono poi a conseguire i risultati sperati.
E qui ritorna prepotentemente alla ribalta, il nodo di Gordio da cui tutto, poi, si dipana, rappresentato da quel rapporto con la Globalizzazione, che oltrepassa e supera qualunque residuale confronto ideologico sinistra-destra. O si è CON la Globalizzazione o le si è CONTRO. Senza mediazioni o scorciatoie di sorta. O si è con chi intende portare avanti l’idea che il mondo debba essere uniformato a quei valori occidentali, frutto di una visione improntata sulla preminenza a livello planetario di un’economia finanziarizzata, supportata da un sapere scientifico asservito ai propri scopi, a cui fa da corollario un astruso mix di progressismo e di buonismo da strapazzo o, contrari a tutto questo, ci si rifà ad una concezione imperniata su principi quali Identità e Sovranità. Logicamente, da ambedue le opzioni qui brevemente illustrate, derivano tutta una serie di ricadute ideologiche e programmatiche, da cui non si può esulare. Una di queste riguarda, per l’appunto, il problema del consenso pilotato, a cui abbiamo poc’anzi accennato.
E qui torna prepotentemente alla ribalta, il quanto mai abusato e frainteso tema della democrazia diretta, oggi caro a certi movimenti (5 Stelle, uno su tutti…) ma, il cui lignaggio, risale a molto tempo prima che Grillo ed i suoi se ne appropriassero in modo tanto goffo e confuso.
Dal modello ateniese all’istituzione repubblicana dei comizi centuriati romani, da Rousseau alla Comune di Parigi, da Bakunin a Burkl, sino ai contemporanei teorici dell’anarchia alla Nozick, l’idea di una gestione diretta della Res Publica da parte del popolo, è stata accarezzata non poche volte nel corso della storia. Il problema sta nei limiti di realizzazione di un’idea che, a causa di una prassi distorta e confusionaria, rischia, invece, di trasformarsi in irrealizzabile utopia. Non si può, difatti, pensare di demandare ad un popolo la gestione diretta della res publica, senza provocare una paralisi istituzionale di quest’ultima, determinata da un continuo e logorante ricorso alle urne, giuocoforza accompagnato da una altrettanto continua e logorante mobilitazione nazionale. La democrazia diretta, invece, ha un senso laddove essa è realizzata, al fine di confutare quelle che rappresentano le più importanti e strategiche scelte in materia politica o economica che dir si voglia, di una nazione.
L’istituzione del referendum propositivo potrebbe rappresentare, una valida soluzione a tutte quelle situazioni in cui vi sia un ristagno politico, determinato, come nell’attuale contesto, dalla volontà di lasciare le cose così come sono o di volgerle al peggio, facendo orecchie da mercante alle istanze della gente. Un bel plebiscito contro l’Euro o sull’uscita dagli accordi-cappio internazionali in vari campi o, ancor meglio, per ristabilire la validità giuridica delle nostre frontiere, dinnanzi all’emergenza dell’invasione migratoria ed altro ancora, sarebbero le materie ideali per dei referendum in tal senso, ponendo così la classe politica di fronte alla difficile opzione di doversi adattare alla volontà popolare, o scomparire. Già. Perché se ce lo fossimo dimenticato, quella della democrazia diretta, può rappresentare il propellente atto ad ispirare una svolta anche in ambito elettorale. Le elezioni dovrebbero trasformarsi in altrettanti plebisciti sulla sopravvivenza di questo o quei partiti politici che, grazie alla volontà popolare, potrebbero essere cancellati e sostituiti con nuove formazioni.
Qualcuno ha recentemente detto che dovremo morire piddini o grillini o italo forzuti… Nulla di più sbagliato. L’esempio francese è lì a dimostrarci, con tutti i suoi paradossi ed i suoi chiaroscuri, che, se ci si mette, alla fine si può arrivare e mettere il Sistema in grave difficoltà, sino ad arrivare, a Dio piacendo, alla vittoria. Quella della democrazia diretta e plebiscitaria, è l’unica strada percorribile per stravolgere uno stato di cose ad oggi divenuto insopportabile, in Francia, come in Italia, come nell’Europa intera. Prima ce ne renderemo conto e meglio sarà. Per tutti.
Umberto Bianchi

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