mercoledì 3 maggio 2023

Mercato del lavoro e immigrazioni...

Il dovere dello Stato e del Governo che lo rappresenta sarebbe quello di riaprire gli uffici di collocamento e, per quanti non riescano a trovare una occupazione in loco, creare le condizioni per poter reperire un posto di lavoro in altra località.

“Creare le condizioni” non significa soltanto mettere in contatto datore di lavoro e prestatore d’opera, ma intervenire anche economicamente per rendere attuabile l’occasione di lavoro. 

Mi spiego: se a un giovane viene offerta in un’altra cittá una remunerazione – per esempio – di 1.500 euro mensili, quando in loco un alloggio decente ne costa 1.200, lo Stato deve necessariamente intervenire per garantire la praticabilitá del rapporto di lavoro in questione. Per esempio, offrendo alloggi a prezzi calmierati.

La prioritá è sconfiggere la disoccupazione “nostra”, non quella di aprire le porte ad una forza-lavoro esterna che, fatalmente, fungerà da moltiplicatore per la disoccupazione nazionale (e non soltanto per quella giovanile).


Perché – veritá che ci si ostina ad ignorare – non è la scarsa prolificitá degli italiani (e degli europei) a produrre le lamentate difficoltá nel mercato del lavoro; ma, al contrario, sono le difficoltá a procurarsi un lavoro stabile e adeguatamente remunerato a causare la crescita zero.
 
La cosa è talmente evidente che non ci sarebbe bisogno di ulteriori precisazioni. È chiaro che, in mancanza di una stabile prospettiva di vita per loro stessi e per l’eventuale prole, le giovani coppie non si assumano la responsabilità di mettere al mondo dei figli.

Sarebbe grave il contrario, sarebbe grave che le nuove generazioni si dedicassero a figliare come i conigli, al solo scopo di rendere felici i potentati economici.

Cosí come è grave che i potentati economici, invece di spingere per la creazione di migliori e piú stabili condizioni di vita delle popolazioni autoctone, si rifugino nella predicazione delle strette rigoriste (sul mercato del lavoro, pensioni, sanitá, spesa pubblica in genere) e nella invocazione di una immigrazione  incontrollata che possa fornire una forza-lavoro alternativa e dalle miti pretese.

Tutto ció favorisce soprattutto le grandi concentrazioni industriali e le centrali finanziarie che le governano; e solo in minima parte i piccoli imprenditori locali, che soffrono per la inadeguatezza del mercato del lavoro di casa nostra.

L’unico modo per uscirne non è di aprire le porte ad una immigrazione massiccia, dagli effetti imprevedibili ma quello di migliorare le condizioni di vita della popolazione, di garantire un futuro dignitoso per le prossime generazioni, di smantellare tutto l’infame complesso delle riforme “che l’Europa ci chiede” e che ci hanno ridotto in miseria.

Certo, la nostra società potrà talora avere bisogno di una immigrazione qualificata, diretta a colmare provvisoriamente i “buchi” che dovessero palesarsi in un determinato settore e per determinate figure professionali. Ma, al di là di emergenze di questo tipo, la soluzione non può venire certo dall'apertura delle frontiere alla immigrazione indiscriminata.

Stralcio di una lettera di Michele Rallo



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