Mohsen Fakhrizadeh non è l ‘ultimo degli scienziati del cui assassinio si vanta a bassa voce il Mossad e che, in ogni caso, va fatto risalire a Israele e USA, sia che sia stato compiuto da propri agenti, o da sicari del MEK. Una provocazione sanguinosa del gangsterismo israelo-americano a spese di un personaggio di altissimo profilo, impegnato nello sviluppo di un paese isolato e sotto micidiali sanzioni. Segue quella contro il generale, Qassem Soleimani, assassinato da un drone statunitense a Baghdad. Qui si trattava di impedire che al governo di Tehran arrivasse un altro Ahmadinejad, come l’aria che tirava in Iran lasciava presagire, e di punire chi aveva sconfitto i mercenari dell’ISIS.
Prima del capo degli scienziati iraniani, erano stati uccisi in attentati, perlopiù con la tecnica delle raffiche da motocicletta, altre eccellenze della ricerca, come Masud Alimohammadi, Majid Shahariari, Darius Rezaeinejad, Mostafa Roshan.
In nessuno di questi casi, si trattava di colpire un programma che puntasse all’armamento atomico. L’obiettivo era piuttosto di colpire la vena giugulare dello sviluppo scientifico, tecnologico ed economico di un giovane, grande e militarmente forte paese, elemento centrale di un’intesa antimperialista mondiale, forte alleato di Cina e Russia, ostacolo alla globalizzazione neoliberista, all’accerchiamento della Russia e alla creazione del Nuovo Medioriente made in Israele, Turchia, Nato e USA.
Cosa ci si ripromette da un’operazione terroristica così clamorosa? Di caricare sulle spalle di Donald Trump, un presidente in uscita, l’ottava di quelle guerre per la quale alla cosca di Bush e Obama non ci sono stati né il tempo, né l’occasione, né il favore degli alleati europei e dell’opinione pubblica statunitense e internazionale, dopo le sette condotte da loro e ultimamente addirittura affidate a terzi. Iniziare un’altra guerra? Meglio farla lanciare a Trump. Che se la veda lui con i pacifisti. Questo è sicuramente l’intento di Israele che, da sempre, persegue lo scontro diretto e conta, anche con i suoi delegati nell’establishment statunitense (intelligence, apparato militar-industriale), oggi in grande spolvero, di arrivarci sfruttando la transizione a Washington.
Commento di V.B.: “L’assassinio dello scienziato iraniano, ultimo di una lunga serie di omicidi, è un’azione violenta ed irresponsabile che rischia di far precipitare in una crisi drammatica tutta la situazione del Medio Oriente, già di per sé gravissima per il perdurare delle guerre innescate in Siria ed Yemen, per le tensioni in Libano, Iraq ed altri paesi, e la mancata soluzione della questione palestinese, soprattutto a causa dell’ostinazione con cui Israele nega i diritti di quella sfortunata popolazione...”
RispondiElimina