Siamo in un evento di portata storica.
Varie teorie si avvicendano sul come e perché siamo arrivati a questo e nei social impazzano le più verosimili o inverosimili congetture.
Non è questo il luogo per esaminare la veridicità o meno delle varie teorie e se il virus sia venuto da un pipistrello o da un laboratorio segreto o se i morti siano DA Coronavirus o CON Coronavirus o se fosse o meno la scelta giusta il modo con cui i nostri governanti hanno affrontato l’emergenza, la eradicazione del virus o se fosse più utile rafforzare i servizi sanitari o piuttosto adottare la strategia cosiddetta di immunizzazione di gregge; ci saranno altre sedi per discutere di questo.
E neppure vorrei affrontare i danni che l’economia globale e dei singoli individui vedrà alla fine di queste difficili giornate primaverili. Le cose sono quelle che sono e la realtà ci cade addosso a volte senza preavviso.
E’ su questo che vorrei riflettere, su questa nuova realtà che ci è piombata addosso, cosa ci può comunque dare e quali insegnamenti trarne.
E’ su questo che vorrei riflettere, su questa nuova realtà che ci è piombata addosso, cosa ci può comunque dare e quali insegnamenti trarne.
L’elemento più evidente che sgomenta la maggioranza è aver sentito, senza mediazione, che quelle che consideravamo realtà della vita consolidate e ci davano l’illusione di avere un “posto” sicuro nel mondo, il lavoro, il nostro status sociale, le nostre abitudini giornaliere, la possibilità di incontrare i nostri cari e tutto quello che faceva della nostra vita una routine, anche a volte un po’ noiosa per la sua ripetitività, non è affatto elemento sicuro come ritenevamo che fosse: pensavamo che quello che abbiamo “costruito” avesse delle solide fondamenta ma in questo momento si rivelano invece terribilmente fragili.
Le altre nostre sicurezze, i rapporti sociali, a volte utilizzati anche come parametro di affermazione di se’ e del proprio valore, sono tenuti a distanza, quella distanza che disgrega i legami poco saldi.
E questo essere vivente non vivente, questa piccolissima catena di RNA con la sua capacita’ espansiva, compare nella coscienza collettiva come un invasore inarrestabile.
E questo essere vivente non vivente, questa piccolissima catena di RNA con la sua capacita’ espansiva, compare nella coscienza collettiva come un invasore inarrestabile.
Sappiamo dalla biologia che i batteri e i virus convivono quotidianamente con noi, anzi sono nostri amici e a volte, come per il microbiota intestinale, ci aiutano e ci proteggono. Sappiamo che i virus a DNA o RNA hanno la capacità di entrare nelle nostre cellule e entrare a far parte del nostro patrimonio genetico, in una simbiosi ormai per alcuni millenaria. Ma questa volta questa piccola catena di RNA ha assunto il valore simbolico di una minaccia cosmica, il nemico mortale, portatore di morte.
Non mi soffermo sul dato che il virus dell’influenza e i vari parainfluenzali ogni anno seminano le loro vittime nelle stagioni invernali, con numeri anche molto più cospicui di quelli visti finora con il Covid 19.
Chiamo all’attenzione il fatto che questo virus è diventato tout court il nostro simbolo della morte o meglio della paura della morte, un simbolo cosi potente che determina un panico generalizzato, che richiama necessariamente a qualcosa già presente nel nostro inconscio collettivo.
Ci incontriamo quindi con qualcosa di molto presente nella nostra cultura,la paura della fine della nostra vita, forse perché viviamo, o abbiamo vissuto fin’ora, come se questo non ci dovesse riguardare, in una rimozione collettiva che sta disfacendosi.
In una società tecnologica altamente performante, in cui il valore fondante è diventato il denaro, in cui alla medicina e ai suoi progressi tecnologici è stato attribuito un potere salvifico e in cui essa stessa ha avuto la grande responsabilità di alimentare un’ illusione di onnipotenza, dove il farmaco, la tecnologia e tutto il resto, sembrava potessero impunemente sfidare la finitezza e la fragilità della vita umana, regalando una falsa certezza di potere dell’uomo sulla natura, abbiamo smarrito il senso vero della vita e della morte, della vita come ciclo di inizio e fine con il suo ripetersi incessante delle lune, delle stagione, dei fiori, della luce e del buio, delle nascite e delle morti.
Quando il Dio era una Donna e le donne portavano nel loro stesso corpo la sacralità della vita, nelle società matriarcali in cui la venerazione era per la Dea Madre, il senso della circolarità era assicurato dalle donne, che col loro corpo,depositario del ciclo della vita, garantivano la coscienza e la consapevolezza di tutto ciò.
Le società patriarcali, successive all’organizzazione sociale delle millenarie culture matrilineari che erano basate sulla condivisione e non sulla gerarchia di potere (come tanti reperti storici e archeologici ci mostrano) hanno spazzato d’un colpo questa visione profondamente radicata alla natura, alla terra al suo divenire.
Il potere testosteronico maschile che si è affermato con le armi, non controbilanciato dal femminile accogliente e armonizzante, ha infranto il patto profondo con la natura e le sue leggi e secoli di questa organizzazione prevaricante e gerarchica, basata sull’accaparramento, sull’interesse personale a scapito di quello collettivo e della Madre terra, ci hanno portato al punto in cui siamo… o eravamo.
Quindi… tutto spazzato in pochi giorni, le nostre sicurezza, la nostra economia, i nostri valori, la nostra certezza di rimanere al mondo, la nostra libertà.
Cosa ci può dare tutto ciò?
Il mondo si è fermato e nelle strade percorse da un silenzio irreale puoi osservarti nel mondo: gli altri stanno nel sottofondo, un sottofondo non più rumoroso e aggressivo, non più fatto di competitori per un posto al semaforo o nel mondo, ma sullo sfondo, nelle file per il supermercato o nelle farmacie, appaiono gli umani finalmente privi dell’ aggressività che aveva riempito gli ultimi giorni del vecchio mondo.
Come in un grande colpo di scopa sono scomparsi gli urlatori di invettive contro l’altro, i beceri, i razzisti, i volgari…che grande dono del cielo è stato mai questo?
Riesco ora a guardare un uomo nella sua componente di umanità, ci accomuna qualcosa, siamo finalmente dei simili, scopriamo il senso dell’Entanglement, quel legame che ci unisce tutti e che la Fisica Quantistica ci aveva portato come postulato di base per il dispiegamento di un nuovo paradigma della vita su questa terra.
Ci guardiamo e sentiamo che qualcosa di profondo ci lega, senza dire parole.
Sentiamo anche che in un sol colpo siamo arrivati all’essenziale.
Negozi chiusi, bar chiusi … e allora? Non abbiamo in fondo bisogno di tutto quello che i negozi ci portavano, oggetti di consumo sfrenato senza senso: personalmente ho da mesi tutte le mie cose e i miei oggetti inscatolati per un trasloco e per una ristrutturazione di una casa, tempi che si allungano ora vieppiu’ e in questo tempo mi sono resa conto che posso fare a meno di tutte queste cose, non erano miei bisogni reali… e stando in fila al supermercato per il cibo, guardandoci con gli altri ci rendiamo conto che siamo lì per qualcosa di essenziale, quello che ci assicura la sopravvivenza; il resto non conta… e forse nel nuovo mondo ci renderemo conto che non abbiamo bisogno di mangiare cosi’ tanto, al punto di provocarci malattie metaboliche e disfunzioni per la nostra salute, che gli oggetti, le cose non sono così fondamentali per la nostra vita e il nostro benessere. Ridisegniamo la scala dei valori…
E poi il dono del tempo.
Nell’infanzia conoscevo il tempo senza tempo, dove le giornate non siglate da agende piene che dividono le ore e i minuti in luoghi precisi e impegni spietati, seppure amati, la giornate si presentavano come uno spazio vuoto dove la fantasia e la ricerca del momento avevano la loro parte preponderante; potevo passare ore a guardare un’erba o a contare i petali di una margherita, rimanere incantata dalle nuvole che si rincorrevano e guardare veramente gli oggetti e le cose. Ecco… in queste ore la realta’ ritorna nella sua interezza, ricontatto il potere salvifico della bellezza e con essa entro in contatto profondamente in tutto quel poco tanto che mi circonda, la vado a cercare, senza la fretta che ti fa andare sempre oltre, sempre oltre.
Ma la vera conquista del silenzio è che qui ci si può finalmente incontrare… quel Se’ tanto sfuggito e forse temuto, quel corpo che poco ci appartiene diventano realmente noi… e dal corpo, che finalmente posso amare, curare, guardare, accettare perché sono io, nasce la vera idea di chi IO sono.
Sento cosi’ la mia presenza nel mondo con la stessa intensità di quando ero bambina, mi sento materia viva come è viva un’erba e come è vivo un imponente pino. Sono, ci sono insieme a loro e nel mondo.
Come ci dice la Psicanalista Alice Miller, la fragilità di un essere umano è condizione preziosa per entrare nel proprio stato naturale di libertà; da quando nasciamo ci fanno credere il contrario, veniamo educati a una rigidità che è resistenza alla vita. La nostra natura divina si manifesta quando l’essere umano diventa consapevole della propria condizione di immensa fragilità e cede, si arrende e da li comincia a volare. Non occorre essere forti per essere liberi.
E come il mio amato conterraneo, Gioacchino Da Fiore aveva previsto, tutto questo silenzio, questa stasi, questo esserci, ci apre forse le porte all’ eta’ dello Spirito.
E approfitto di questo silenzio per contattare finalmente la mia anima che da molto mi attendeva.
Il mio augurio che tutti possiamo in questo momento essere Materia e essere Spirito.
Rosa Brancatella
Medico e Psicoterapeuta
www.rosabrancatella.it
rosabrancatella@gmail.com
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