domenica 30 settembre 2018

Critica dell'idealismo tedesco di Fichte ed Hegel



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In Germania la reazione anti-illuminista e romantica fu molto estesa. Essa ebbe come massimi esponenti i fratelli August e Frederich Schlegel, i filosofi Novalis e Herder, il poeta Holderlin. Lo stesso grande poeta Wolfgang Goethe (1749-1832) si caratterizzò per un’idealizzazione della natura che assunse gli aspetti di una forma di panteismo. Nel campo filosofico il Romanticismo tedesco assunse il carattere dell’Idealismo, cioè di quella corrente filosofica che considera la realtà coincidente con l’Io pensante, lo spirito e le idee, creando una metafisica dello spirito che sfociò spesso in concezioni mistico-religiose. 

Bertrand Russel nella sua “Storia della Filosofia Occidentale” considera “pazzesco” questo modo di vedere, e svolge una critica radicale contro i filosofi idealisti come Platone, Fichte, ed Hegel. L’idealismo è criticato anche da Ludovico Geymonat nella sua “Storia del Pensiero Scientifico e Filosofico” per il suo sottofondo sostanzialmente irrazionalistico ed i suoi contradditori rapporti con il mondo scientifico.

Iniziatore del movimento può essere considerato Johann Gottlieb Fichte (1762-1814), che fu professore di filosofia a Jena e poi Rettore dell’Università di Berlino. Fichte parte da una critica alla “cosa in sé” di Kant che cercava di mantenere ancora un legame con una realtà oggettiva fuori di noi. L’unica realtà sarebbe l’Io puro (infinito ed assoluto) che crea, da un lato, il Non-Io, ovvero il mondo esterno (che non ha quindi un’esistenza indipendente ed oggettiva), dall’altro un Io limitato che si oppone al Non-Io. Questa concezione assunse successivamente caratteri mistico-religiosi.

Nel 1807-1808 Fichte – a seguito della disastrosa sconfitta subita dalla Prussia nel 1806 ad opera dell’armata napoleonica - rivolse i famosi “Discorsi alla Nazione Tedesca”, intrisi da spirito nazionalistico, in cui incitava i connazionali a risollevarsi.
Critico verso il pensiero di Fichte fu Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (1771-1854), anch’egli professore a Jena e amico (poi avversario) di Hegel. Il filosofo, a differenza di Fichte, valorizza la Natura che però viene vista, non da un punto di vista scientifico, ma come un’unione inscindibile di elementi oggettivi e di spirito. 

L’unione di questi due elementi è chiamato “Assoluto” ed in un secondo tempo assunse nell’opera del filosofo un carattere panteistico-religioso, coincidendo con Dio. Il processo naturale è quindi essenzialmente un processo spirituale che arriva alla fine all’autocoscienza. L’opera di Schelling, il cui carattere irrazionalistico è evidente, ebbe almeno il merito di rilanciare in Germania lo studio della natura, pur se idealizzata, e con i limiti teorici della cosiddetta “Naturphilosophie” romantica.

Massimo esponente dell’Idealismo fu Georg Wilhelm Hegel (1770-1831), la cui influenza sul pensiero ottocentesco, ed anche più recente, è stata enorme. Il filosofo mostrò in gioventù aperte simpatie pe la Rivoluzione Francese e l’Illuminismo, ma poi, dopo essere stato professore a Jena, si trasferì a Berlino divenendo sostenitore e collaboratore della monarchia prussiana che era divenuta uno dei pilastri della Restaurazione post-napoleonica.
Nel periodo di Jena Hegel scrisse “La fenomenologia dello Spirito” (1807), opera in cui il filosofo identifica la realtà con il pensiero razionale, posizione che può essere riassunta nella famosa formula: “Tutto ciò che è reale è razionale. Tutto ciò che è razionale è reale”. Secondo Hegel il pensiero (ovvero lo spirito) si eleva progressivamente dalla coscienza al sapere assoluto, che coincide con la piena coscienza filosofica. Anche nella sua successiva opera del periodo berlinese: “Enciclopedia delle Scienze” (1817), che ebbe varie ristampe, Hegel ribadisce il concetto che la logica fa parte della realtà; che non esiste distinzione tra realtà ed idee; che l’oggetto coincide con il concetto; il percipiente coincide con il percepito; il molteplice è espressione di un assoluto unitario (tesi che ricorda Parmenide: vedi N. 3). 

Lo spirito assoluto è il punto finale di ogni processo, sia logico, che storico, o naturale. L’assoluto si estrinseca nella natura salvo a rivelarsi alla fine come spirito. Lo sviluppo dello spirito procede per triadi “dialettiche” (sulla “dialettica”vedi Eraclito, N. 4): una tesi è contraddetta da un’antitesi, da cui nasce una sintesi che diviene la tesi di una nuova triade (procedimento, che se pur ripreso, ad esempio, da Marx ed Engels, appare in questa formulazione alquanto artificioso).

Partendo da queste premesse, Hegel attacca le scienze sperimentali di matrice newtoniana-galileiana, che non sarebbero in grado di darci risposte esaustive e contesta persino il principio d’inerzia. Anche se nel periodo berlinese scrisse “La Filosofia del Diritto” (1821), considerata un capolavoro, e singoli passi delle sue opere contengono interessanti osservazioni sulla storia e sul diritto, desta sconcerto che lo stato prussiano, dominato dai grandi proprietari terrieri, sia considerato come un “Dio reale” e “la realtà dell’Io morale”, ovvero il punto finale dello sviluppo dello spirito, e che Hegel difenda l’istituto del “Maggiorascato” che serve a preservare le proprietà terriera.

All’inizio dell’800 furono comunque presenti in Germania anche correnti non idealiste. Possiamo ricordare un interessante personaggio come Alexander Von Humboldt, che riportò dai suoi viaggi intorno al mondo una serie di osservazioni sperimentali e relazioni geografiche preziose. Ma la più interessante figura non idealista del periodo fu certamente quella del filosofo Johann Friederich Herbart (1776-1841), professore di filosofia a Gottinga e Konigsberg, ed intelligente pedagogo.

Herbart criticò apertamente, non solo l’idealismo, ma anche la precedente filosofia di Kant con la sua “sintesi a priori” trascendentale e soggettiva (vedi N. 65), aderendo invece ad una filosofia più attenta alla realtà materiale oggettiva e all’esperienza esterna che ci permette di conoscerla. Secondo il filosofo esistono oggettivamente entità reali (sia fisiche e materiali che psichiche) che reagiscono alle sollecitazioni esterne come in una interrelazione di tipo meccanico (come nel principio di azione e reazione della dinamica). Anche la psiche reagisce agli stimoli esterni (sensazioni) meccanicamente creando delle “rappresentazioni” della realtà il cui complesso costituisce il nostro io. La filosofia elabora concetti che ci provengono dall’esperienza e le contraddizioni della realtà nascono solo da una nostra conoscenza inadeguata. Le categorie in cui inquadriamo la realtà, viste da Kant come profondamente soggettive, sono per Herbart sostanzialmente già presenti negli oggetti osservati, e quindi oggettive.

Pur non essendo riuscito a liberarsi di un residuo apparato metafisico, Herbart sostiene alcune interessanti posizioni che anticipano alcune importanti acquisizioni più moderne. Egli esclude che lo spazio in cui si muovono le entità reali sia quello tradizionale euclideo, anticipando l’intuizione di uno spazio non euclideo ad “n” dimensioni come nella matematica di Riemann, di cui parleremo in prossimi numeri. Anche il tempo tradizionale, come visto anche da Kant, è - per il filosofo tedesco – illusorio (argomento poi scientificamente trattato da Einstein). 

Inoltre il fatto che la formazione della nostra psiche dipenda dalle rappresentazioni provenienti da stimoli esterni, lo porta, da un lato, ad anticipare alcune tematiche della psicologia moderna (egli ritiene che le risposte psichiche siano misurabili come i fenomeni meccanici); dall’altro lato lo portano – con chiaro atteggiamento illuminista - a considerare come fondamentale per l’umanità l’istruzione, che ci fornisce degli stimoli mirati a creare una coscienza etica e sociale-umanistica. Questo spiega la grande importanza data dal filosofo (che insegnò anche in Svizzera dove fu in contatto con il grande pedagogo Pestalozzi) alla pedagogia, tanto da essere considerato, anche in questo campo, un precursore.

Vincenzo Brandi

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