In
Germania la reazione anti-illuminista e romantica fu molto estesa.
Essa ebbe come massimi esponenti i fratelli August
e Frederich Schlegel,
i filosofi Novalis
e Herder,
il poeta Holderlin.
Lo stesso grande poeta Wolfgang
Goethe
(1749-1832) si caratterizzò per un’idealizzazione della natura che
assunse gli aspetti di una forma di panteismo. Nel campo filosofico
il Romanticismo
tedesco assunse il carattere dell’Idealismo,
cioè di quella corrente filosofica che considera la realtà
coincidente con l’Io pensante, lo spirito e le idee, creando una
metafisica dello spirito che sfociò spesso in concezioni
mistico-religiose.
Bertrand
Russel
nella sua “Storia
della Filosofia Occidentale”
considera “pazzesco” questo modo di vedere, e svolge una critica
radicale contro i filosofi idealisti come Platone, Fichte, ed Hegel.
L’idealismo è criticato anche da Ludovico
Geymonat
nella
sua “Storia
del Pensiero Scientifico e Filosofico”
per il suo sottofondo sostanzialmente irrazionalistico ed i suoi
contradditori rapporti con il mondo scientifico.
Iniziatore
del movimento può essere considerato Johann
Gottlieb Fichte
(1762-1814), che fu professore di filosofia a Jena e poi Rettore
dell’Università di Berlino. Fichte parte da una critica alla “cosa
in sé”
di Kant
che
cercava di mantenere ancora un legame con una realtà oggettiva fuori
di noi. L’unica realtà sarebbe l’Io
puro (infinito
ed assoluto) che crea, da un lato, il Non-Io,
ovvero il mondo esterno (che non ha quindi un’esistenza
indipendente ed oggettiva), dall’altro un Io limitato che si oppone
al Non-Io. Questa concezione assunse successivamente caratteri
mistico-religiosi.
Nel
1807-1808 Fichte – a seguito della disastrosa sconfitta subita
dalla Prussia nel 1806 ad opera dell’armata napoleonica - rivolse i
famosi “Discorsi
alla Nazione Tedesca”,
intrisi da spirito nazionalistico, in cui incitava i connazionali a
risollevarsi.
Critico
verso il pensiero di Fichte fu Friedrich
Wilhelm Joseph Schelling
(1771-1854), anch’egli professore a Jena e amico (poi avversario)
di Hegel.
Il filosofo, a differenza di Fichte, valorizza la Natura
che però viene vista, non da un punto di vista scientifico, ma come
un’unione inscindibile di elementi oggettivi e di spirito.
L’unione
di questi due elementi è chiamato “Assoluto”
ed in un secondo tempo assunse nell’opera del filosofo un carattere
panteistico-religioso, coincidendo con Dio. Il processo naturale è
quindi essenzialmente un processo spirituale che arriva alla fine
all’autocoscienza. L’opera di Schelling, il cui carattere
irrazionalistico è evidente, ebbe almeno il merito di rilanciare in
Germania lo studio della natura, pur se idealizzata, e con i limiti
teorici della cosiddetta “Naturphilosophie”
romantica.
Massimo
esponente dell’Idealismo fu Georg
Wilhelm Hegel (1770-1831),
la cui influenza sul pensiero ottocentesco, ed anche più recente, è
stata enorme. Il filosofo mostrò in gioventù aperte simpatie pe la
Rivoluzione Francese e l’Illuminismo, ma poi, dopo essere stato
professore a Jena, si trasferì a Berlino divenendo sostenitore e
collaboratore della monarchia prussiana che era divenuta uno dei
pilastri della Restaurazione post-napoleonica.
Nel
periodo di Jena Hegel scrisse “La
fenomenologia dello Spirito”
(1807), opera in cui il filosofo identifica la realtà con il
pensiero razionale, posizione che può essere riassunta nella famosa
formula: “Tutto
ciò che è reale è razionale. Tutto ciò che è razionale è
reale”.
Secondo Hegel il pensiero (ovvero lo spirito) si eleva
progressivamente dalla coscienza al sapere assoluto, che coincide con
la piena coscienza filosofica. Anche nella sua successiva opera del
periodo berlinese: “Enciclopedia
delle Scienze” (1817),
che ebbe varie ristampe, Hegel ribadisce il concetto che la logica fa
parte della realtà; che non esiste distinzione tra realtà ed idee;
che l’oggetto coincide con il concetto; il percipiente coincide con
il percepito; il molteplice è espressione di un assoluto unitario
(tesi che ricorda Parmenide:
vedi N. 3).
Lo spirito assoluto è il punto finale di ogni processo,
sia logico, che storico, o naturale. L’assoluto si estrinseca nella
natura salvo a rivelarsi alla fine come spirito. Lo sviluppo dello
spirito procede per triadi
“dialettiche”
(sulla “dialettica”vedi Eraclito,
N. 4): una tesi è contraddetta da un’antitesi, da cui nasce una
sintesi che diviene la tesi di una nuova triade (procedimento, che se
pur ripreso, ad esempio, da Marx ed Engels, appare in questa
formulazione alquanto artificioso).
Partendo
da queste premesse, Hegel attacca le scienze sperimentali di matrice
newtoniana-galileiana, che non sarebbero in grado di darci risposte
esaustive e contesta persino il principio d’inerzia. Anche se nel
periodo berlinese scrisse “La
Filosofia del Diritto”
(1821), considerata un capolavoro, e singoli passi delle sue opere
contengono interessanti osservazioni sulla storia e sul diritto,
desta sconcerto che lo stato prussiano, dominato dai grandi
proprietari terrieri, sia considerato come un “Dio
reale”
e “la
realtà dell’Io morale”,
ovvero il punto finale dello sviluppo dello spirito, e che Hegel
difenda l’istituto del “Maggiorascato”
che serve a preservare le proprietà terriera.
All’inizio
dell’800 furono comunque presenti in Germania anche correnti non
idealiste. Possiamo ricordare un interessante personaggio come
Alexander
Von Humboldt,
che riportò dai suoi viaggi intorno al mondo una serie di
osservazioni sperimentali e relazioni geografiche preziose. Ma la più
interessante figura non idealista del periodo fu certamente quella
del filosofo Johann
Friederich Herbart (1776-1841),
professore di filosofia a Gottinga e Konigsberg, ed intelligente
pedagogo.
Herbart
criticò apertamente, non solo l’idealismo, ma anche la precedente
filosofia di Kant
con
la sua “sintesi
a priori”
trascendentale e soggettiva (vedi N. 65), aderendo invece ad una
filosofia più attenta alla realtà materiale oggettiva e
all’esperienza esterna che ci permette di conoscerla. Secondo il
filosofo esistono oggettivamente entità reali (sia fisiche e
materiali che psichiche) che reagiscono alle sollecitazioni esterne
come in una interrelazione di tipo meccanico (come nel principio di
azione e reazione della dinamica). Anche la psiche reagisce agli
stimoli esterni (sensazioni) meccanicamente creando delle
“rappresentazioni” della realtà il cui complesso costituisce il
nostro io. La filosofia elabora concetti che ci provengono
dall’esperienza e le contraddizioni della realtà nascono solo da
una nostra conoscenza inadeguata. Le categorie in cui inquadriamo la
realtà, viste da Kant come profondamente soggettive, sono per
Herbart sostanzialmente già presenti negli oggetti osservati, e
quindi oggettive.
Pur
non essendo riuscito a liberarsi di un residuo apparato metafisico,
Herbart sostiene alcune interessanti posizioni che anticipano alcune
importanti acquisizioni più moderne. Egli esclude che lo spazio in
cui si muovono le entità reali sia quello tradizionale euclideo,
anticipando l’intuizione di uno spazio non euclideo ad “n”
dimensioni come nella matematica di Riemann,
di cui parleremo in prossimi numeri. Anche il tempo tradizionale,
come visto anche da Kant, è - per il filosofo tedesco – illusorio
(argomento poi scientificamente trattato da Einstein).
Inoltre il
fatto che la formazione della nostra psiche dipenda dalle
rappresentazioni provenienti da stimoli esterni, lo porta, da un
lato, ad anticipare alcune tematiche della psicologia moderna (egli
ritiene che le risposte psichiche siano misurabili come i fenomeni
meccanici); dall’altro lato lo portano – con chiaro atteggiamento
illuminista - a considerare come fondamentale per l’umanità
l’istruzione, che ci fornisce degli stimoli mirati a creare una
coscienza etica e sociale-umanistica. Questo spiega la grande
importanza data dal filosofo (che insegnò anche in Svizzera dove fu
in contatto con il grande pedagogo
Pestalozzi)
alla pedagogia, tanto da essere considerato, anche in questo campo,
un precursore.
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