“Gli Dei popolavano le terre, e dopo averle popolate nutrivano noi, lor possesso e prole, come i pastori il bestiame: però non costringevano i corpi con la forza dei pastori, che traggono al pascolo il bestiame con le percosse, ma, com’è l’uomo un animale docilissimo, dirigevano quasi dalla poppa di una nave, secondo la loro volontà, e adoperando come un timone la persuasione per muovere gli animi, reggevano così tutto il genere mortale” (Crizia – Platone)
Per il resto, una volta fissata la pari dignità, non possiamo che constatare come le razze, con le loro caratteristiche fisiche e psicologiche, esistano. Ciò va accettato come un dato di fatto. La Natura insegna che il mescolamento tra le razze resta sempre un’eccezione confermante la regola dell’autoconservazione delle differenze. Non ci si può, come scrive Paolo D'Arpini, “perdere” nella comunità, mantenendo le differenze.
Perdere o eliminare le differenze è come mescolare tutti i colori: si ottiene il grigio, ovvero il massimo dell’indistinzione, del brutto e dell’angoscia. Ne parla Michael Ende in “Momo”, tratteggiando l’immagine di “uomini grigi”, ladri di tempo.
Significativo è rilevare come negli Stati Uniti l’integrazione razziale non sia ancora avvenuta, almeno non in profondità. Anzi, si sa che tale società è tra le più violente esistenti sul pianeta. L’uguaglianza indiscriminata tra tutti gli uomini è un’utopia di stampo illuministico da cui sono scaturite e continuano a scaturire le peggiori ingiustizie. Gli uomini (e naturalmente anche le razze) sono tutti identici nello Spirito, ma differenti nella forma. Laddove molte etnie sono coesistite per millenni, come in India, ciò è potuto accadere in virtù di leggi tradizionali assai precise che, sul piano orizzontale, custodivano i limiti tra le differenze, ma che, verticalmente, tenevano sempre aperta la porta metafisica dell’Unità assoluta.
Confondere la dimensione formale con quella essenziale (in altri termini: lo svadharma – il dharma personale –, con il dharma metafisico universale: la Liberazione dall’ignoranza-sofferenza) è, a me sembra, un grave errore. Errore che, tra l’altro, molti sedicenti maestri orientali hanno alimentato e alimentano, diffondendo interpretazioni spurie delle più alte dottrine metafisiche. Del resto, basta osservare la Natura, maestra di vita: in genere le varie specie non si mescolano. La bellezza del mondo non è forse data dalle differenze coesistenti in modo equilibrato. Equilibrio vuol dire che a volte c’è lotta, a volte cooperazione; ciò è inevitabile.
Qual è il dramma maggiore del mondo moderno se non la distruzione della biodiversità? Il livellamento mondialista sta mescolando tutti i colori non certo per “amore” o per “rispetto” dell’Unità principiale. Quel che si vuole ottenere è un mondo di esseri umani disanimati, capaci solo di produrre merci e di consumare. Si pretende persino di manipolare, monopolizzare e omologare il mondo animale, vegetale e quello minerale. Quindi ben vengano le lingue, i dialetti, le razze, i popoli, le tribù, le patrie, le religioni, le tradizioni, gli usi e costumi e tutte le differenze che nella loro precisa identità (principio di individuazione) tengono vivo lo stupore e la meraviglia. L’importante è non dimenticare mai che essere diversi, essere se stessi, non vuol dire essere spiritualmente “superiori” o “inferiori”; nella tradizione neo-platonica Dio viene inteso come un Centro che è dappertutto e la cui circonferenza non è in alcun luogo. Perciò, come sta scritto nel Corano: “Ovunque vi giriate, là è la faccia di Dio”. L’onnipervadenza divina non ci suggerisce, tuttavia, che sia auspicabile nutrirsi di veleno, o mangiare nello stesso piatto di un maiale (con tutto il rispetto per questo animale) o elogiare un delinquente, o rigettare ogni forma di autodifesa, o promuovere arbitrariamente una guerra, bensì che ci è dato preservare la nostra identità senza però giudicare in modo definitivo quel che è diverso o contrastante con noi.
Concludo con una citazione di Alain Daniélou, profondo conoscitore dell’India: “Tutti i tentativi di riforme sociali che non tengano sufficientemente conto della natura dell’uomo individuale e collettivo sono inevitabilmente votati allo scacco. Se le esaminiamo dal punto di vista di uno studio sistematico delle tendenze collettive degli esseri umani, noi siamo obbligati a notare che le ideologie moderne non sono che astrazioni, sogni che non corrispondono ad alcuna società reale né possibile. Nella misura in cui si vogliono ignorare i fatti biologici, le differenze tra i sessi, le razze, le specie, invece di cercare di armonizzarle, si creano delle società fittizie che non corrispondono alla realtà e che, di conseguenza, sono costantemente agitate da conflitti e da disordini alcuni dei quali possono essere fatali, e che inoltre sono inevitabilmente ingiusti e disumani, poiché è sempre il più scaltro che si appropria di tutti i benefici e non il più meritevole” (da “I quattro sensi della vita”, Vi 1998, p. 37).
Subramanyam
Subramanyam
Mio commentino:
"Ricordo la storia del re Janaka…. Tanto tempo fa alcuni preti vollero mettere alla prova la realizzazione dell’Uno professata da Janaka, un re che viveva l’unitarietà di tutte le cose. Essi inviarono alla sua reggia un gruppo composto da un bramino (casta sacerdotale), un intoccabile, una vacca, un elefante ed un cane. Quando il gruppo giunse davanti al re, egli inviò il bramino nel posto dove sedevano gli altri sacerdoti, l’intoccabile in mezzo agli altri intoccabili, la vacca fu mandata nella stalla, l’elefante nella rimessa degli elefanti ed il cane nel branco reale dei cani e diede istruzioni affinché di ognuno venisse presa cura nel modo dovuto.
Allora i preti lo interrogarono e gli chiesero come mai aveva separato quegli esseri: “perché li hai separati individualmente, non sono tutti la stessa cosa per te?”. Janaka rispose “sì tutti sono Uno, ma l’auto soddisfazione cambia seconda la natura dell’individuo. Ad ognuno di essi deve esser dato secondo la propria natura individuale e le proprie esigenze”.
Anche se in una commedia uno stesso uomo recita diverse parti, il suo comportamento varia a seconda del ruolo giocato – come affermava Ramana Maharshi- egli non viene avvantaggiato ne diminuito dal ruolo impersonato."
(Paolo D'Arpini)
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