Se in democrazia vi è costituzionalmente la possibilità di esprimere il proprio dissenso verso le politiche governative, è ormai da anni un diritto teorico, un buon proposito da libri di diritto pubblico. Infatti, chi lotta concretamente contro il coinvolgimento dell’Italia nella guerra mondiale a pezzi e si oppone alle politiche e all’economia di guerra, è obiettivo della repressione del governo Meloni oggi e delle istituzioni nazionali da diversi decenni, essendo ormai agli ordini di Usa e Nato.
Per evitare che il dissenso e le critiche possano creare una presa di coscienza e alimentare ribellione e organizzazione tra le masse, decine e decine sono le operazioni repressive attualmente in corso nel Paese, nel tentativo di arginare il crescente e diffuso malcontento del popolo italiano verso azioni militari non volute ma comunque imposte sulle nostre spalle da autorità sempre più slegate dagli interessi della maggior parte della popolazione e sempre più asservite all’industria delle armi, alla Nato e i suoi alleati. I dissenzienti, chi si organizza e lotta, sono rappresentati dai governi italiani come brutti, cattivi e pericolosi. Chi detiene il potere sceglie per noi la cornice di interpretazione dei fatti, cercando di imporre una vulgata a loro comoda.
In questo solco si inseriscono gli assurdi capi di imputazione di associazione con finalità di terrorismo, di eversione dell’ordine democratico contro una quarantina di attivisti/e e solidali con il movimento A Foras in Sardegna. A Foras, da anni è in prima linea per denunciare l’occupazione militare in Sardegna da parte degli Usa e della Nato con la complicità del Ministero della Difesa italiano, occupazione che ha reso intere zone della Sardegna interdette all’uso civico e ai pascoli, ha inquinato falde, aria e terra, ha contribuito all’impoverimento e allo spopolamento progressivo dell’isola dal 1956 ad oggi. A chi si è mobilitato contro lo stupro del suolo sardo viene contestato l’art.270 bis del codice penale (per 5 attivisti/e) e risulta come aggravante per circa un’altra trentina di loro. Stiamo parlando del Processo Lince, avviato a Cagliari a partire dal 2020 contro una quarantina di attivisti/e in Sardegna. Una indagine svolta tra il 2015 e 2019 ha portato all’inizio del processo, entrato realmente nel vivo della fase dibattimentale nel 2025, e prevede varie udienze: 22 gennaio, 19 febbraio, 12 marzo, 16 aprile.
L’art.270 bis C.P. prevede pene dai sette ai quindici anni, incredibilmente lo stesso capo di imputazione degli imputati della strage di Piazza Fontana, in cui di recente è emersa anche la complicità della Nato!
La repressione del dissenso può tuttavia avvenire anche in maniere più ovattate, lontano dalle aule giudiziarie. A Bologna il Centro Sociale Culturale "Villa Paradiso" è a rischio chiusura da parte dalla giunta PD perché le sue iniziative non sono in linea con le politiche anti-russe, iniziative definite “propaganda anti-Ucraina”. Le città, già spesso carenti di zone di aggregazione e di confronto culturale, sono spesso campo di speculazioni immobiliari: edifici e immobili un tempo abbandonati, poi recuperati dal basso e resi fruibili per la cittadinanza, diventano appetibili per le amministrazioni. Le parole chiave della repressione del pensiero alternativo, con sgomberi di associazioni culturali da diversi stabili sono: riqualificazione, innovazione, riconversione. Parole che significano spesso uniformità, appiattimento, silenzio, repressione. Villa Paradiso deve restare un luogo di aggregazione libero dalla censura e dalla speculazione dell’amministrazione comunale di Bologna!
Il Coordinamento Nazionale NO-NATO esprime la propria solidarietà nei confronti di tutti/e coloro che lottano contro la Nato, contro la censura governativa, opponendosi alle politiche militariste e alla propaganda in favore del riarmo globale.
Facciamo appello a tutti gli organismi sociali, politici, sindacali e associativi a fare altrettanto!
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