venerdì 28 febbraio 2025

Istambul. Alcuni dettagli dopo l'incontro USA/Russia del 27 febbraio 2025...



Il Dipartimento di Stato ha rivelato i dettagli dell'incontro di Istanbul con la Russia: si è discusso del lavoro delle ambasciate e si è programmato un nuovo incontro.

“A seguito di un accordo tra il ministro Rubio e il ministro Lavrov, le delegazioni statunitense e russa si sono incontrate il 27 febbraio u.s. a Istanbul per discutere questioni relative al lavoro delle loro missioni diplomatiche. La delegazione americana era guidata da Sonata Coulter *, quella russa da Alexander Darchiev **.
Le parti hanno discusso questioni relative all'accesso ai servizi bancari e ad altri servizi, nonché alla stabilità del personale dell'ambasciata statunitense a Mosca. 

Sono stati individuati i primi passi per stabilizzare il lavoro delle missioni diplomatiche. È stato raggiunto un accordo per tenere il prossimo incontro nel prossimo futuro."

*Sonata Coulter è vicesegretario di Stato aggiunto.
**Alexander Darchiev - Direttore del Dipartimento Nordamericano del Ministero degli Esteri russo



Notizie collegate: 

Istambul. Alcuni dettagli dopo l'incontro USA/Russia:  https://askanews.it/2025/02/27/terminato-lincontro-fra-delegazioni-russia-e-usa-a-istanbul/

giovedì 27 febbraio 2025

La lotta dei dazi, tra UE e USA, incombe... (e non solo)

 


L'Unione Europea risponderà presto e con decisione ai dazi doganali del 25% sui prodotti europei promessi da Trump.  Lo afferma una nota diffusa dalla Commissione Europea.

Bruxelles ha preso atto anche delle parole di Trump secondo cui l'UE sta "utilizzando gli Stati Uniti". In risposta, la Commissione europea ha affermato che l'UE è "il più grande mercato del mondo" e ha portato a Washington "grande fortuna".  Nella dichiarazione della CE si afferma che la risposta sarà "immediata e ferma".

Trump ha confermato che la decisione è già stata presa e che i dazi non riguarderanno solo le auto, ma anche “tutto il resto”. Il leader americano ha ammesso che i Paesi europei potrebbero rispondere, “ma non ci riusciranno”.

Ma le "divergenze di vedute" tra USA e UE non si fermano ai dazi. 

Trump ha rifiutato di dare a Kiev garanzie di sicurezza. Gli Stati Uniti delegheranno questo compito all'Europa.

Nel complesso, niente di nuovo. Zelensky dovrà cedere tutta la ricchezza dell'Ucraina per gli anni a venire, e l'Europa dovrà continuare a risolvere i propri problemi e vivere anche peggio. Trump ha anche assicurato che gli Stati Uniti riceveranno tutti i soldi spesi per l'Ucraina nell'ambito dell'accordo sulle terre rare.

"Non fornirò garanzie di sicurezza significative. Affideremo questo compito all'Europa, perché è il loro vicino", ha detto Trump.

Ubi maior minor cessat!

mercoledì 26 febbraio 2025

Ferrara. "I macachi siano liberati!

 


Ferrara: l'Università mente, la Procura tentenna. Gli animalisti svelano la realtà: la liberazione è l'unica soluzione.

In seguito alla partecipata manifestazione nazionale organizzata  il 22 febbraio 2025 a Ferrara da Animal Liberation per chiedere il sequestro e la liberazione dei macachi detenuti presso l'Università a scopo di sperimentazione e costretti a condizioni di vita incompatibili con la specie, tali per cui Animal Liberation e LIMAV hanno sporto denuncia per maltrattamento contro il Rettore e il Direttore del Dipartimento di Neuroscienze.


L'Ateneo ha risposto alle accuse di maltrattamenti, respingendo le affermazioni relative a maltrattamenti e vivisezione. L'Università nega di praticare vivisezione e addirittura si spinge a sostenere che "non è più praticata da decenni in nessun laboratorio scientifico degno di tale nome."

Dura la replica da parte di Lilia Casali, presidente di Animal Liberation che rigetta le dichiarazioni rese dall’Università ai media: “L'Università di Ferrara mente, affermando di non praticare vivisezione, consapevole di quanto questa pratica orrenda sia invisa al grande pubblico. Come conferma l'Enciclopedia Treccani, "il concetto di vivisezione può essere applicato a tutte quelle modalità di sperimentazione che inducano lesioni o alterazioni anatomiche e funzionali (ed eventualmente la morte) negli animali di laboratorio". Esattamente ciò che avviene nei laboratori dell'Università”.

Aggiunge la presidente: “L'investigazione condotta da Animal Defenders all'interno dello stabulario mostra un macaco con l'impianto di una placca in testa; Orazio, sottoposto a esperimenti, è successivamente morto. 


L'Università vuol forse sostenere che la placca si è sviluppata naturalmente nel cranio del macaco? Vuol sostenere che questo è stato un esperimento non invasivo? L'Università cerca di nascondersi dietro un dito per non assumere la responsabilità del proprio operato: un'ulteriore prova è che la stessa ha attivato un Corso pratico per insegnare le procedure da seguire finalizzate alla soppressione senza anestesia di animali di varie specie sottoposti ad esperimenti.


Inoltre, la detenzione dei macachi comporta evidenti sofferenze psicofisiche ed etologiche, costretti come sono a vivere una non-vita in gabbie anguste, su reti metalliche, senza mai luce naturale, isolati in condizioni di deprivazione sensoriale, come dimostrato dalle immagini del video investigativo visibile su Youtube.

La Procura non può rimanere inerte e insensibile di fronte a una simile, illegale situazione. Perché gli animalisti devono essere costretti a lottare per l'applicazione della legge?”


Animal Liberation



Lilia Casali 393 418 6697 - presidente@animalliberation.it

martedì 25 febbraio 2025

Nazioni Unite confuse... (e la performance di Macaron e Trump alla Casa Bianca)



Un breve riassunto di quanto accaduto il 24 febbraio 2025 presso la sede delle Nazioni Unite.   L'Ucraina ha presentato la sua tradizionale risoluzione anti-russa all'Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA). È stata accettata. Per la prima volta gli Stati Uniti si sono dichiarati contrari.

lunedì 24 febbraio 2025

Pellegrinaggio dei vertici UE a Kiev (per consolare zelensky)

 

24 febbraio 2025. I capi europei sono giunti a Kiev

Terzo anniversario dell'operazione speciale russa, iniziata all'alba del 24 febbraio 2022.  Auspicate le dimissioni del presidente ucraino zelensky, il quale  resiste e rilancia: “Lascio solo se l'Ucraina entra nella Nato”.

La commissaria Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa sono  arrivati in treno a Kiev, dimostrando così l'efficienza delle ferrovie ucraine (malgrado la guerra).  Il capo dell'ufficio personale di Zelensky, Andriy Yermak, li ha accolti alla stazione. I vertici UE portano con loro  3,5 miliardi di euro come  anticipo di un più ampio fondo da 50 miliardi di euro che l'Unione Europea ha istituito all'inizio del 2024, denominato "Fondo per l'Ucraina",  mentre la fornitura di armi dopo l'estate rimane incerta.

Scopo della visita, in corrispondenza del terzo anniversario dell'inizio dell'operazione militare speciale, i leader occidentali  dei Paesi particolarmente legati al regime di Kiev intendono incoraggiare zelensky e discutere una soluzione con  garanzie di sicurezza per l'Ucraina.

A questo scopo i leader più solidali d'Europa  stanno giungendo a Kiev per mettersi d'accordo.  "Siamo a Kiev oggi perché l'Ucraina è Europa. In questa lotta  non è solo il destino dell'Ucraina a essere in gioco, ma quello dell'Europa", ha detto la presidente della Commissione Ue via social.

Sono già arrivati, oltre  alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ed  al presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, anche il primo ministro del Canada Justin Trudeau, il presidente della Lituania Gitanas Nauseda, il leader della Lettonia Edgars Rinkēvičs, i primi ministri di Estonia, Kristen Michal, e della Spagna  Pedro Sánchez.

Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia, Polonia, Croazia, Belgio, Paesi Bassi, Germania e Irlanda non hanno risposto alla richiesta di commenti sulla possibile partecipazione all'incontro, riporta Politico.

Alegher!


(Notizie raccolte e rielaborate da P.D'A.)


domenica 23 febbraio 2025

Comiche finali. Scambio di battute tra zelensky, trump e musk...

 


Come Trump vede zelensky: “Dittatore senza elezioni, Zelensky farebbe meglio a muoversi in fretta o non gli rimarrà un Paese”. “Un dittatore mai eletto”, “un comico mediocre” che “rifiuta di indire elezioni, è molto giù nei sondaggi ucraini (4%)e l’unica cosa in cui è stato bravo è l’aver suonato Biden come un violino”. “Be’, sei stato lì per tre anni. Avresti dovuto chiuderla dopo tre anni. Non avresti mai dovuto iniziarla. Avresti potuto fare un accordo”. “Pensateci, un comico di modesto successo ha convinto gli Stati Uniti d’America a spendere 350 miliardi di dollari, per entrare in una guerra che non poteva essere vinta, che non avrebbe mai dovuto iniziare, ma una guerra che lui, senza gli Stati Uniti e Trump, non sarà mai in grado di risolvere”. Anzi, “Zelensky ammette che metà dei soldi che gli abbiamo inviato sono mancanti”, “probabilmente vuole mantenere in funzione il treno della cuccagna”. In passato Donald Trump lo aveva già definito sarcasticamente come “il miglior piazzista sulla terra: ogni volta che viene in Usa se ne va con 60 miliardi...”.

Elon Musk aggiunge al carico: “Zelensky non può affermare di rappresentare la volontà del popolo ucraino a meno che non ripristini la libertà di stampa e smetta di cancellare le elezioni!”.”In America teniamo elezioni presidenziali ogni quattro anni, anche in tempo di guerra. Abbiamo tenuto elezioni durante la guerra civile. Abbiamo tenuto elezioni durante la seconda guerra mondiale, dovrebbe tenere elezioni anche lui”.

Zelensky ha replicato dando ad entrambi dei putiniani. L’epiteto era stato ripetuto per anni nei confronti dei pacifisti che sostenevano trattative, piuttosto che l’invio di armi di Meloni & Co. per “una guerra fino all’ultimo ucraino”.




P.S. A proposito di Meloni: "Stanno circolando voci sull'imminente consegna dei carri armati italiani su ruote (veicoli di supporto di fuoco) B1 Centauro all'Ucraina. Il Centauro italiano è corazzato al livello di un mezzo da combattimento per la fanteria (la parte anteriore dello scafo può resistere a proiettili da 25 mm, i lati a proiettili da 14,5 mm) e può essere armato con un cannone da 105 o addirittura da 120 mm."



sabato 22 febbraio 2025

Ecocidio e guerra...

 


Le vittime delle guerre non sono solo gli esseri umani, anche se l’obiettivo delle guerre è uccidere o far morire il maggior numero possibile di “nemici”, sia combattenti che civili. Ne sono vittime anche acque, aria, suoli, boschi e animali, avvelenati da esplosioni e sversamenti, case, strade, ponti, ferrovie ridotti in macerie e l’atmosfera compromessa da milioni di tonnellate aggiuntive di CO2  generati da bombe e macchine per uccidere: cannoni, mortai, razzi, aerei, droni e carri armati, in uso o in produzione per ricostituirne le scorte, oltre che da tutte le opere di ricostruzione, se e quando le armi taceranno.

Insomma, ne sono vittime anche l’ambiente, il clima, la Terra… Il Ground Zero della Striscia di Gaza, ridotta a paesaggio lunare perché i palestinesi non possano più viverci e i coloni israeliani la possano “rigenerare” a loro gusto ne sono un esempio. La guerra è un acceleratore micidiale della crisi climatica ed ambientale; preoccuparsi per il futuro del pianeta e sostenere una guerra in termini di “vittoria o resa” è pura ipocrisia.

Ma il nesso tra guerra e clima funziona anche in senso inverso: la crisi ambientale produce a sua volta guerra, perché genera, direttamente o attraverso i conflitti che alimenta, molti migranti: oggi centinaia di migliaia, domani milioni, tra qualche decennio anche miliardi (così la pensano due studiosi importanti di questo nesso: Gaia Vince, Il secolo nomade, Bollati Boringhieri, 2023, e Parag Khanna, Il movimento del mondo, Fazi, 2021).

(....)

In ogni caso, il clima bellicoso che si è andato diffondendo in Europa con la guerra in Ucraina e, ancor più, con quella contro Gaza e la conseguente corsa al riarmo (soprattutto con tecnologie di sorveglianza e intercettazione) è propedeutico alla guerra che vogliono farci combattere su questo altro fronte. La guerra di Israele contro i gazawi e dei suoi coloni contro i palestinesi dei territori occupati fa capire fino a che punto la “civiltà occidentale” sia disposta a combattere contro le comunità “sgradite” e i popoli in movimento da cui intende difendersi: fino alla desertificazione totale…

(...)

Ci troviamo tutti, tanto noi europei come gli abitanti degli Stati Uniti, ma ormai anche quelli della Tunisia, della Turchia, del Marocco o dell’Algeria, in una “zona di interesse”, cioè, come ha mostrato un recente film di successo, a condurre le nostre vite falsamente normali accanto a un gigantesco campo di sterminio – questa volta di dimensioni planetarie – gestito dai nostri governi, fingendo di “non sapere”, ma sapendo benissimo…

Stralcio di un articolo di Guido Viale 




venerdì 21 febbraio 2025

L'Europa dopo Donald Trump...


Ubi maior minor cessat

Donald Trump, ...a prescindere da come si risolve l’attuale congiuntura geopolitica, si è già guadagnato di diritto un posto proprio, una capitolo a sé, nei manuali di storia delle relazioni internazionali lungo la prima metà del 21° secolo, che verranno redatti per le generazioni a venire...


Il sub-continente europeo, o meglio la sovrastruttura istituzionale che lo rappresenta da circa 40 anni, attraversa in questo preciso momento il frangente più COMPLICATO –moralmente parlando– dal termine del secondo conflitto mondiale. Non da un punto di vista “fisico” (non si è sotto invasione), ma da un più complesso piano esistenziale, morale.

Se Bruxelles già 3 anni orsono ha rivelato la sua inadeguatezza nel dire la sua sulla guerra, adesso si ritrova parimenti inadeguata nel dire la propria sulla pace (!) : in parole altre, tanto nel momento ALFA (l’inizio) quanto nel momento OMEGA dell’evento in questione, il grado di inconsistenza è assolutamente il medesimo, il che fa sì che la chiusura del cerchio assuma un carattere ancor più problematico in prospettiva europea, non limitandosi ai circoli dell’alta politica, ma andando a coinvolgere strati più ampi dell’opinione pubblica, che possono legittimamente domandarsi COSA sia l’Europa a questo punto.

Il caso in realtà più che problematico si dovrebbe dire EMBLEMATICO, nella misura in cui risulta chiaro, ed oltre il ragionevole dubbio, che L’UE in alcun momento della crisi (prima, durante ed ora anche al suo probabile termine) ha avuto la minimo voce in capitolo, o la minima capacità decisionale. Di fronte ad un evento di primissima grandezza ai propri confini è risultata essere -semplicemente – un grande corpo inerte, percorso da qualche vibrazione che consiste nelle dichiarazioni veementi dei vari leader a turno (e qui non si parla micro guerre o fenomeni terroristici in società meno avanzate di altri continenti, ma di un grande conflitto convenzionale che ha coinvolto direttamente molti milioni di individui per la prima volta dai conflitti mondiali)... insomma si è dimostrata essere un raffinato ologramma (!) di quanto pretende di essere.

Sì, il nodo, irrisolvibile, è questo: il presidente americano, col suo fare irruento e guascone mette in crisi l’intimo fondamento psicologico del sistema transatlantico....ossia svelando indirettamente di che illusione sia costruito. Spieghiamoci: il presidente americano nel giro di una manciata di giorni ha letteralmente CAPOVOLTO la narrativa geopolitica in merito al conflitto russo-ucraino, passando da “Putin dittatore” a “Zelensky dittatore”.....un qualcosa che non ha precedenti nella storia politica recente: cambiare rotta a 180° nello spazio di meno di una settimana è obiettivamente più di quanto la psiche collettiva possa elaborare, anche se a dettarlo è la maggiore potenza al mondo e anche se il destinatario sono i suoi stessi alleati storici.

La classe politica europea –poveretta– si ritrova in uno stato di sogno lucido o allucinazione, letteralmente intrappolata nella metafora dell’incudine e del martello (...).

Non si tratta soltanto di ostacoli di ordine “cognitivo/comportamentali” (un’abitudine può essere corretta in breve all’estrema occorrenza), ma di senso stesso delle cose: se i leader europei –dopo anni di messaggi sguaiati anti/Mosca– ora si riorientano in direzione del tutto opposta solo perchè l’amministrazione statunitense del momento ha così stabilito... se fanno tutto questo come se fosse A COMANDO, allora portano a pieno compimento quel processo di screditamento della “casa europea”, ridotta a succursale atlantica, che già serpeggia da ormai molti anni (ma non si era mai manifestato tanto sfrontatamente).

Ecco, pur con tutto il viscerale rifiuto che si può avere dell’UE si può comprendere (io lo faccio) la posizione in cui si trova la leadership di Bruxelles: nel nome dell’ordine, nel nome della tenuta dei sistemi politici tradizionali (quelli cioè al potere dal secondo dopoguerra ad oggi, ma che iniziano ad arrancare di front alle sfide sociali più recenti) NON possono permettere che risalti quanto inesistente sia l’Unione Europea. Non possono assolutamente permettersi di passare per marionette di Washington e del Pentagono... varcherebbe la soglia del consentito sul piano dell'immagine con contraccolpi politici interni non quantificabili. Pertanto NECESSARIAMENTE devono reagire, dissociarsi, lagnarsi e urlarvi contro persino (proprio per dare la parvenza di non essere burattini che si adeguano ad ogni inclinazione o gesto di indefiniti poteri forti d’oltreoceano). Tutto questo è pienamente razionale, comprensibile.

Occorre rendersi conto che l’intensità della situazione tale da essere percepita ormai non solo più dal fine osservatore o dall’analista di politica, ma anche da fasce di pubblico meno preparate che avvertono la debolezza delle istituzioni comunitarie: fattore critico in un momento che vede le società del vecchio continente fortemente polarizzate tra globalizzazione e sovranismo.....ovvero un contesto nel quale, qualsiasi perdita di credibilità delle istituzioni europee e delle forze politiche tradizionali che le sostengono (centriste o progressiste) equivale –viceversa- ad un’avanzata delle varie alternative nazional-popolari (Fronte nazionale o AFD in Francia e Germania, esempio per tutti).

L’Europa non può quindi fare marcia indietro: ma al tempo medesimo non può nemmeno andare avanti tuttavia... poichè difetta oggettivamente dei mezzi materiali per farlo: continuare a rifornire il regime di Kiev, ora in ritirata, pur sapendo che 3 anni di rifornimenti USA (ben più ingenti di quelli UE) non siano serviti? Oppure intervenire DIRETTAMENTE sul campo di battaglia (al di fuori della Nato) con i 30-40'000 uomini di cui Macron e Starmer parlano? (alla coscienza del lettore il giudizio, non mi sembra adeguato esprimersi).

Eppure tutto questo non è che la punta dell'iceberg del problema.
Le esternazioni del vulcanico capo di stato statunitense possono essere il detonatore di un cataclisma diplomatico di rilevanza storica, nella misura in cui non riguardano esclusivamente la corrente crisi russo/ucraina, ma vanno a coinvolgere 80 ANNI di relazioni transatlantiche: il punto non è nemmeno più l’Ucraina, ma lo stesso futuro di quella sovrastruttura socio/politica/economica/militare che è il continuum EURO-AMERICANO, per antonomasia il cuore di quanto chiamiamo “occidente”. In paragone a QUESTO......il destino di Kiev è qualcosa di secondario, di importanza del tutto relativa: un’eventuale questione esistenziale europea costituisce un interrogativo di criticità assai superiore (...).

Partiamo da ciò che è semplice: a nessuno certo è mai sfuggita l’ovvietà sulla natura dell’Alleanza Atlantica in qualità di ombrello a stelle e strisce sul vecchio continente (nozione basilare), tuttavia tale status quo –per quanto evidente– veniva comunque “sfumato” nei limiti del possibile, onde mantenere l’apparenza (onorevole) di un insieme di paesi indipendenti, alcuni dei quali potenze di medio livello come Francia e Germania, decisi e coordinati, pur sotto la supervisione statunitense... quest’ultimo stato, il membro più potente certo, ma in fin dei conti solo un primus inter pares su un continente che in caso di necessità poteva essere in grado di sopravvivere anche da solo (***).

Ebbene, gli eventi dell’ultimo triennio – coronati dall’ultimo atto che si consuma in questi giorni – agiscono come un soffio di vento che fa diradare la foschia, vale dire l’illusione della favoletta appena accennata sopra che ho concluso con asterischi: la realtà è che la comunità europea NON è mai stata entità in condizioni superiori a quelle della più basilare collaborazione, in rapporto alla forza militare USA. La Nato è, in modo pressoché esclusivo, una proiezione AMERICANA oltreoceano (è nata in questo modo, a scanso di qualsiasi altra narrativa), la quale in assenza di Washington non possiede vita propria: il vecchio continente è un agglomerato di stati nazionali – più o meno rilevanti – accomunati dall’impotenza di fronte a qualsiasi sfida di prima grandezza che ne metta a repentaglio l’equilibrio.

Si potrebbe riformulare il tutto con un’altra metafora molto semplice... lo SPECCHIO. Il frangente storico in cui viviamo ha agito come uno SPECCHIO: la comunità europea è stata di fatto obbligata a vedersi... come realmente è, senza sconti e concessioni, senza veli pietosi e alibi. E’ stata costretta a vedersi a confrontarsi con la propria vacuità come mai era successo negli 80 anni che dalla conferenza di YALTA ci portano sino ad oggi.
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L’Europa si risveglia quindi, dopo 80 ANNI. Per 8 decadi si era creduta di essere – perlomeno in forma collettiva, sotto egida atlantica – una POTENZA. Si è cullata per 3 generazioni in questo vago autoconvincimento. Era comodo farlo: fluttuare in questa narrativa era un potente narcotico, utile a lenire il trauma di una grande guerra mondiale che aveva azzerato il continente sotto ogni aspetto, lasciatolo umiliato e spoglio in balia di forza extraeuropee tanto da est quanto da ovest, mettendo a nudo le proprie vergogne e limiti, per la prima volta in secoli (persino agli occhi dei propri subalterni su scala planetaria, i quali prestissimo si ribelleranno: DECOLONIZZAZIONE).

Il nerbo di tutto, il tema MAI realmente affrontato per molteplici ragioni... è che il vecchio continente non si è mai realmente ripreso dall’ultimo conflitto mondiale. Per dirla nel modo più autentico: l’Europa – auto-annientandosi – ha perduto qualcosa di inestimabile (il primato nel mondo), status quo che non è stato sostituito da alcuna opzione intermedia o compromesso.... per non girarci attorno si è semplicemente passati “dalle stelle alle stalle”, come a dire che da leader del pianeta il continente europeo è stato derubricato a imprecisato “spazio” la cui politica estera è commissariata da un potere superiore ed esterno ad esso.

CONCLUSIONE.
La congiuntura storica presente – se vogliamo arrivare ai suoi significati ultimi – riveste un significato per ognuno degli attori che vi prende parte. Per quanto concerne RUSSIA e UE, è questo: Mosca “supera il 1991”, ne vendica l’oltraggio e pur senza tornare alla mega-potenza di prima, recupera moralmente il proprio destino, la propria identità di potenza (per quanto imperfetta possa essere). La Casa europea... è posta invece dinanzi alla sconcertante verità del non aver mai superato quel lontano 1945. Non si è mai veramente ripresa, in qualità di soggetto indipendente, ma ha soltanto vissuto per oltre mezzo secolo come in stasi entro una torre d’avorio, libera di ogni responsabilità, salvo quello di accontentare ogni bisogno e capriccio delle sue prospere società (ed ora ne subisce le conseguenze).

E’ molto presto per fare affermazioni di questa portata così in anticipo... ma forse proprio questo potrebbe essere una delle maggiori ripercussioni a lungo termine della guerra russo/ucraina: quella di generare una scossa che porti gradualmente a superare i conflitti mondiali, a superare e DEFINITIVAMENTE il 900, in un modo o in un altro.

Putin ha dato il calcio d’inizio (con la cortesia di un orso) e Trump sta completando (con la delicatezza di un toro): ognuno a modo suo – e da ora in sinergia si direbbe – contribuendo alla metamorfosi geopolitica del mondo in cui si vive. Non a caso le maggiori potenze militari del pianeta (ma piaccia o meno le rivoluzioni non si scelgono democraticamente: ti investono e basta).

Daniele Lanza



giovedì 20 febbraio 2025

Lo spettro del napoleonismo si aggira per l'Europa...

 


Macaron ha affermato: “La Francia si assumerà la piena responsabilità della sicurezza in Europa. Io ne sono il garante. Noi sosteniamo l'Ucraina."    

"Ho controllato, non è un falso!" -   conferma  Maria Zakharova -  E che dire del fatto che Zelensky ha affermato: "Io sono il leader di ogni trattativa"? Per tutti questi anni ha affermato di difendere l'Europa. E nessuno nell'UE lo ha corretto: al contrario, gli hanno dato soldi per garantire la propria sicurezza.  Ora decidete a chi è più importante: “il garante Macaron” o “il leader di eventuali trattative Zelensky”.... ?.

Lo spettro del napoleonismo si aggira per l'Europa. Lo dimostrano anche le grandi manovre delle Forze armate ucraine che stanno preparando un'offensiva su larga scala nella regione di Bryansk.

L'attacco sarebbe organizzato con l'obiettivo di intercettare e bloccare l'agenda dei negoziati tra la Federazione Russa e gli Stati Uniti.

Al momento, si presume che a 50 chilometri dal confine con la regione si stia accumulando equipaggiamento e diverse migliaia di militari. Il gruppo principale del personale militare ucraino è concentrato in due insediamenti nella regione di Sumy.

Si ritiene che nell'offensiva siano coinvolti più di 5.000 militari delle Forze armate ucraine e più di 200 unità di equipaggiamento, tra cui carri armati NATO Leopard e Abrams.

Si segnala inoltre un'evacuazione parziale di civili da Shostka e Glukhov, nella regione di Sumy.  La probabilità che si verifichi un pesante intervento bellico è ritenuta elevata, anche alla luce dei problemi nella regione di Kursk. Ma dato che Bankova ha ora un disperato bisogno di una vittoria mediatica, Kiev potrebbe decidere di colpire alla disperata.


Un'altra questione è cosa fare dopo. Sebbene l'obiettivo sembri ovvio, non solo quello di mettere a tacere il contesto negoziale tra Russia ed USA e i problemi di legittimità  di Zelensky, ma anche quello di attuare il piano UE/NATO per interrompere i negoziati ed inviare le truppe anglo-francesi (ed altri) a dar manforte a zelensky.

Trump, a questo  proposito, ci mette una pezza:   "Mi sto muovendo rapidamente per porre fine alle guerre, risolvere i conflitti e portare la pace nel mondo. Guardate le morti in Medio Oriente e le morti che stanno avvenendo nel conflitto tra Russia e Ucraina.  Nessuno di noi  vuole la Terza Guerra Mondiale ma non ne siamo poi così lontani, ve lo dico subito. Se l'amministrazione biden fosse rimasta un altro anno, ora ci sarebbe la Terza Guerra Mondiale. Ma questo non accadrà ora. Non accadrà".


(Notizie da varie fonti raccolte e rielaborate da P.D'A.)

mercoledì 19 febbraio 2025

Reset delle relazioni USA / Russia... (ma sull'Ucraina si dice poco...)



 Riyadh, 18 febbraio 2025. Le 4,5 ore non risolveranno tutti i problemi delle relazioni tra Stati Uniti e Russia ereditati da Biden, ma i risultati dei primi contatti sono costruttivi.

La “guerra diplomatica” lanciata da Obama alla fine del suo mandato sta infatti volgendo al termine: Serghey Lavrov e Mark Rubio hanno concordato di ripristinare il numero delle missioni diplomatiche a Mosca e a Washington. Allo stesso tempo, vorremmo vedere un approccio altrettanto positivo da parte degli americani nei confronti della proprietà diplomatica russa a San Francisco.

È stato avviato il processo di risoluzione del problema ucraino. È stato raggiunto un accordo per la creazione di gruppi negoziali nel prossimo futuro e per la preparazione di un incontro tra i Presidenti di Russia e Stati Uniti. In generale, è stato fissato un vettore positivo per il ripristino del dialogo russo-americano e la rimozione delle barriere artificiali allo sviluppo di una cooperazione economica reciprocamente vantaggiosa. La dichiarazione di Rubio sull'inevitabilità della revoca delle sanzioni anti-russe dopo la fine del conflitto in Ucraina è stata indicativa a questo proposito.

L'interazione tra Mosca e Washington è storicamente ciclica. Molti ricordano il 2009 e la cerimonia di avvio del “reset” delle relazioni tra Stati Uniti e Russia con la partecipazione del Ministro degli Esteri russo Serghey Lavrov e dell'allora Segretario di Stato americano Hillary Clinton. La Clinton decise poi di regalare a Lavrov un bottone come souvenir, dove c'era un errore di battitura: “overload”. E questo “sovraccarico” ha quasi portato il mondo, grazie agli sforzi della passata amministrazione americana, a un confronto nucleare o alla crisi dei missili di Cuba 2.0.

Il risultato più importante di Riyadh è che le parti si sono ascoltate a vicenda, riconoscendo il diritto di proteggere gli interessi nazionali e la necessità di cooperare nelle aree in cui coincidono. Non si tratta di un nuovo “reset”, ma di un ritorno, soprattutto, al rispetto del dialogo tra le due principali potenze nucleari del mondo.

Leonid Slutsky



Video collegato:   "Dietro il Sipario" con Marco Bertolini, Umberto Pascali e Pino Cabras: https://www.youtube.com/watch?v=l32cobnGzuA

martedì 18 febbraio 2025

Parigi: "Guerra alla Russia? Per il momento se magna...!"

 

17 febbraio 2025. A Parigi si mangia e si parla di piani di guerra!

 L'allegra tavolata ritratta in foto si è riunita a Parigi (Meloni trucidissima con la testa nel cellulare, vabbè. Forse era Duolingo) per deliberare non si sa su cosa, e infatti non è sato deliberato niente. Soprattutto non è stata deliberata la questione dell'invio di truppe in Ucraina, a guerra ancora in corso o a guerra finita o a guerra che verrà, cosa che alcuni giornali davano per scontata. I convitati sono rimasti sul vago. Uno ha frenato, l'altro ha distinto, l'altro ha detto che non è il caso per adesso, l'altra appunto guardava il cellulare, possibilista solo Starmer che però, finché non riceve il briefing dell'MI5, non sa che giorno è per cui eviterei di dare troppo peso alle sue aperture belliciste.

Scherzi a parte: nessuna forza di interposizione verrà mandata se prima non si sarà data risposta a tre domande essenziali. Al comando di chi, a che scopo, e con che regole d'ingaggio. Agirebbe al di fuori del mandato ONU (la Russia non l'autorizzerebbe mai, molto probabilmente nemmeno la Cina) e al di fuori della protezione dell'articolo 5, nonostante la bandiera della NATO che fa bella mostra di sé, come fosse uno stato anche lei, e ci sono tutte le premesse per una catastrofe di proporzioni difficilmente immaginabili. Per cui restiamo tutti a casa, che è meglio...

Francesco Dall'Aglio



Articolo collegato:

I potenti del mondo siedono a tavoli separati per discutere di guerra e pace... - Mentre Russia e USA avviano negoziati per la pace in Arabia parallelamente gli esperti riunitia Parigi  sostengono che "sconfiggere la Russia sul campo di battaglia è molto più facile di quanto sembri”. E ne parlano a tavola...” - Continua:   https://altracalcata-altromondo.blogspot.com/2025/02/notizie-daccatto-i-potenti-del-mondo.html


lunedì 17 febbraio 2025

Gran Bretagna. Repressione dei giornalisti pro-palestina...



Ante Scriptum: "Violenta repressione dei giornalisti pro-palestinesi in UK, una volta il pilastro della libertà di espressione.  Qualcuno dirà che si reprime anche qui ed è vero.  Ma, in UK, la lobby sionista è riuscita a far passare una legge per la quale sostenere la resistenza palestinese significa fare apologia del terrorismo. Dobbiamo stare attenti: la lobby sionista in Italia potrebbe cercare di far passare una legge simile anche qui..."

Oggi nel Regno Unito criticare il sionismo o proclamare sostegno alla rivolta armata palestinese viene accolto con una feroce repressione.  Prendiamo il caso dei giornalisti pro-pal.

La lunga mano della lobby sionista e l’intimidazione dei giornalisti

Cosa s’intende per “lobby sionista”? Il “sionismo”, originariamente un movimento identitario e nazionalistico che rivendicava una patria per gli ebrei, oggi si è trasformato in “imperialismo fideistico”, cioè nella difesa del “diritto divino” di Israele ad occupare non solo le terre originariamente sottratte ai palestinesi, ma anche altri territori limitrofi, che si estendono fino al fiume Giordano e addirittura all’Eufrate.  Chiunque abbia questa convinzione è un “sionista”, ebreo o non ebreo che sia.  Ad esempio, i cristiani sionisti evangelici negli Stati Uniti desiderano una “Grande Israele” come presagio del ritorno di Cristo. Pertanto, il termine “lobby sionista” indica oggi una rete di sionisti, in uno o più Paesi, che cercano di favorire l’espansione territoriale di uno Stato ebraico integralista. Un ultimo punto: l’antisionismo (la posizione etico-politica – perfettamente legittima – che condanna l’espansionismo israeliano a scapito di altri popoli) non deve essere confuso con l’antisemitismo (l’ostilità vile e razzista verso gli ebrei come gruppo etnico). Cercare di equiparare le due cose è semplicemente un tentativo disonesto di screditare le critiche all’imperialismo fideistico israeliano.

Il 16 ottobre 2023, il giornalista britannico Craig Murray, attivista filo-palestinese ed ex diplomatico del Regno Unito, è stato arrestato dalla polizia antiterrorismo all’aeroporto di Glasgow, di ritorno da un incontro con lo staff di WikiLeaks in Islanda.  Gli sono stati sequestrati il PC e il cellulare e ha dovuto subire un interrogatorio di un’ora – e riguardante non solo i suoi legami con WikiLeaks. Infatti, la polizia – forse informata dalla lobby sionista del Regno Unito, che tiene d’occhio ogni spostamento di attivisti come Murray – era ben consapevole che il giornalista aveva partecipato a una manifestazione pro-palestinese mentre si trovava in Islanda e gli agenti volevano sapere cosa fosse stato detto in quell’occasione. “Non ne ho idea, non parlo islandese, ho semplicemente partecipato alla manifestazione per solidarietà”, ha risposto Murray, con grande disappunto degli agenti, che alla fine hanno dovuto rilasciarlo – senza i suoi dispositivi elettronici, però.

Il 15 agosto 2024, la polizia ha arrestato il giornalista filopalestinese Richard Medhurst al suo arrivo all’aeroporto londinese di Heathrow, apparentemente a causa dei suoi servizi a favore della resistenza palestinese, considerati “apologia (sostegno) del terrorismo”.  Gettato in cella per 15 ore, Medhurst ha dovuto dormire – semisvestito – su un freddo blocco di cemento. Alla fine il giornalista è stato rilasciato, ma con l’obbligo di presentarsi a una stazione di polizia tre mesi dopo e con l’avvertimento di fare attenzione, nel frattempo, a ciò che avrebbe scritto.

Due settimane dopo, il 29 agosto 2024, all’alba, la polizia in tenuta antisommossa ha fatto irruzione nella casa della giornalista e attivista filopalestinese Sarah Wilkinson, mettendo a soqquadro ogni stanza e confiscando il suo passaporto e i suoi dispositivi elettronici.  Con irriverente crudeltà, gli agenti hanno persino sparso sul pavimento e calpestato le ceneri della madre, che Sarah conservava in un’urna sigillata su una mensola.  Messa agli arresti domiciliari per sospetto sostegno al terrorismo, la 61enne non ha potuto nemmeno andare in farmacia a comprare le medicine di cui aveva bisogno. Essendole stato sottratto il suo telefono cellulare e non potendo uscire di casa, non ha potuto nemmeno chiedere ai vicini di farlo per lei. Ora rischia un massimo di 14 anni di carcere. Il suo crimine?  Gli articoli che ha scritto a favore della resistenza palestinese. “Vogliono instillare la paura”, ha detto, “per farmi smettere di denunciare il genocidio a Gaza; ma non ci riusciranno”.

Poi, il 17 ottobre 2024, all’alba, la polizia antiterrorismo ha fatto irruzione nella casa del noto giornalista Asa Winstanley, vice caporedattore di Electronic Intifada. Il suo telefono cellulare, il suo PC e altri dispositivi elettronici sono stati confiscati e, durante la perquisizione, il giornalista è stato continuamente intimidito.  Anche in questo caso, il suo “reato” sarebbero i suoi scritti a favore della resistenza palestinese, scritti che qualcuno evidentemente ha denunciato alla polizia come apologia del terrorismo.  Ed è facile immaginare chi poteva essere quella persona e quale potente lobby l’avesse incoraggiata a setacciare ogni parola degli articoli di Winstanley per trovare affermazioni che potessero farlo arrestare.

Questi e altri esempi di azioni repressive contro giornalisti ed attivisti filo-palestinesi nel Regno Unito sono stati denunciati in un rapporto che non lascia scampo, redatto dalle Nazioni Unite e reso pubblico una settimana fa (5/2/2025).  Il rapporto era stato inviato in via confidenziale al Primo Ministro Starmer lo scorso 4 dicembre, con la richiesta di un riscontro entro 60 giorni; trascorso tale periodo senza alcuna risposta da parte di Starmer, gli autori del rapporto – quattro Relatori Speciali delle Nazioni Unite – hanno ora scelto di rivelarne il contenuto.  “Le disposizioni del Terrorism Act 2000, del Terrorism Act 2006 e dell’Anti-Terrorism and Border Security Act 2019,” scrivono i quattro Relatori, “sembrano essere state utilizzate per indagare, detenere, raccogliere dati e perseguire attivisti politici e giornalisti, sollevando preoccupazioni per le potenziali violazioni dei loro diritti fondamentali”.

La strumentalizzazione delle leggi contro il terrorismo

Infatti, gli abusi sopra descritti – ed altri ancora, che il rapporto ONU elenca – sono stati resi possibili da una legge antiterrorismo draconiana che risale al 2000, il Terrorism Act. In particolare, la sezione 12 criminalizza qualsiasi tipo di sostegno fornito a un’organizzazione proibita e qualsiasi espressione pubblica di simpatia per tale organizzazione.

La legge elenca, poi, le organizzazioni proibite che non possono essere aiutate e di cui non si può nemmeno parlare in modo favorevole.  La maggior parte sono veri e propri gruppi terroristici, come al-Qaida e ISIS (nei Paesi musulmani), Boko Haram (in Nigeria), al Shabaab (in Somalia) e le Tigri Tamil (in Sri Lanka).

Ma nel 2019 e poi nel 2021, su pressione della potente lobby sionista nel Regno Unito, l’elenco delle organizzazioni proibite è stato ampliato per includere i due gruppi armati che si oppongono all’occupazione israeliana delle loro terre.  Uno di essi è Hezbollah, la resistenza armata creata nel 1982 per respingere l’esercito israeliano che aveva invaso e stava occupando il Libano.  L’altro è Hamas, la resistenza armata creata nel 1987 per cacciare l’esercito israeliano che occupava Gaza.

Vale la pena notare che né l’uno né l’altro di questi due gruppi era attivo o esisteva prima dell’invasione e dell’occupazione israeliana delle loro terre.  Inoltre, nessuno dei due ha mai cercato di occupare e di dominare territori israeliani.  Entrambi sono semplicemente forze difensive che cercano di scacciare le truppe straniere, segnatamente l’IDF, che occupano la loro terra.  In questo senso, possono essere paragonati ai partigiani cinesi, guidati da Mao Tse-Tung, che cacciarono gli occupanti giapponesi e fondarono la Repubblica Popolare Cinese.

Alla luce di tutto ciò, è palesemente pretestuoso designare Hezbollah e Hamas come organizzazioni “terroristiche”, soprattutto dal momento che la 20a Assemblea Generale delle Nazioni Unite (1965) ha legittimato “la lotta [armata] dei popoli sotto il dominio coloniale… per l’autodeterminazione e l’indipendenza”.  Naturalmente, la lotta per cacciare una forza straniera occupante non autorizza i resistenti a commettere crimini di guerra o crimini contro l’umanità; se ne commettono, devono risponderne davanti ad un tribunale.  Molte delle atrocità attribuite a Hamas il 7 ottobre 2024 (come la mai verificata “decapitazione di bambini”) si sono rivelate solo propaganda israeliana, ma altre, invece, sono documentate e andrebbero sanzionate, a partire dalla stessa presa di ostaggi, che è un crimine di guerra.

Dunque, Hamas – come lo stesso Hezbollah – rimangono forze di resistenza (armata), malgrado i delitti eventualmente commessi.  Chiamarli “gruppi terroristici” facendoli inserire in qualche lista nera come la Sezione 12 del Terrorism Act britannico è solo uno stratagemma per demonizzarli e per impedire che se ne parli.  E’ una vecchia tattica: durante la Resistenza in Italia, i nazisti chiamavano i partigiani italiani “banditi”, così come, durante la Resistenza in Cina, i giapponesi chiamavano i partigiani cinesi “diavoli” – in entrambi i casi, per alienare loro il consenso e la simpatia della popolazione. “Terrorista” è il termine demonizzante usato oggi da Israele per screditare le forze che si oppongono con le armi al suo espansionismo.

Conclusione

Per via della Sezione 12 del Terrorism Act, nel Regno Unito è diventato un crimine parlare favorevolmente di Hezbollah o di Hamas o anche semplicemente della “resistenza palestinese”: farlo costituisce infatti la cosiddetta apologia del terrorismo. Da qui gli arresti, le perquisizioni e le intimidazioni nei confronti di quei giornalisti e attivisti britannici che hanno osato sostenere il diritto dei palestinesi a liberare la propria terra, anche tramite la lotta armata (purché venga condotta secondo il diritto bellico e le relative convenzioni internazionali).

Ma la legge sul terrorismo, così come è stata scritta, è estremamente ampia e vaga – a tal punto che la polizia non potrebbe mai essere in grado di verificare tutte le possibili violazioni dell’articolo 12; per farlo, sarebbe loro necessario leggere tutti gli scritti di tutti i giornalisti e attivisti del Regno Unito e soppesare le sfumature di tutte le parole che usano: un compito immane, anche con l’aiuto dell’AI. Chiaramente, dunque, l’ondata di repressione dei giornalisti e degli attivisti filopalestinesi attualmente in corso nel Regno Unito, presuppone l’esistenza di una rete di “informatori” di base, in grado di fornire alla polizia le segnalazioni di cui ha bisogno.  Si tratta, molto probabilmente, di una rete di comuni cittadini britannici – ma con spiccate simpatie sioniste – alla quale è stato chiesto di tenere d’occhio determinati giornalisti e attivisti filopalestinesi e di fare una segnalazione quando essi dicono o scrivono qualcosa che possa passare per “apologia del terrorismo”, secondo la vaga definizione della Sezione 12.  Poi, chi ha reclutato questi informatori – si tratta molto probabilmente di sionisti altolocati o comunque influenti – può usare queste segnalazioni per indurre la polizia ad emettere mandati di perquisizione allo scopo di accertare i fatti. Questo stratagemma ha un duplice scopo: serve ad intimidire i giornalisti o gli attivisti in questione e, allo stesso tempo, consente alla polizia di accedere ai contatti privati sui loro rispettivi cellulari e a tutti i documenti riservati presenti nei loro computer e nelle loro apparecchiature elettroniche.  Così facendo, ecco che essi risultano totalmente spiati.  Non solo, ma anche il nome di ciascun loro contatto entrerà in una data base e, quindi, anche quella persona diventerà “schedata”.

Si tratta solo di una pura congettura?  Forse no. Un indizio dell’esistenza di una cinica operazione di questo tipo è, come sottolinea Craig Murray, la totale assenza di interventi della polizia nei casi in cui un giornalista o una personalità di spicco esprime sostegno – come ormai fanno in tanti – all’organizzazione terroristica l’HTS (Hay’at Tahrir al-Sham) in Siria.  Infatti, l’HTS, benché ufficialmente proscritto, viene ora corteggiato dall’Occidente, con il risultato che la legge sul terrorismo sembra non esistere più nei suoi confronti. La prova è che nessuno, dal Primo Ministro in giù, è mai stato arrestato o perquisito per aver espresso simpatie per questa organizzazione terroristica.

Tutto lascia pensare, quindi, che la polizia sia stata indotta a scovare e ad arrestare, ai sensi della Sezione 12, solo quegli individui che esprimono simpatie per la resistenza palestinese.  Indotta da chi? Verosimilmente dalla lobby sionista che, oltre ad avere i motivi e i mezzi, è in grado di offrire alla polizia una fitta rete di informatori.

C’è una via d’uscita a tutto questo?  Sì. Gli attivisti britannici potrebbero intentare una causa chiedendo all’Alta Corte di stabilire che, sebbene Hezbollah e Hamas siano effettivamente forze di resistenza armata, non sono da considerarsi “terroristi”. Non dovrebbero quindi figurare nel Terrorism Act e non dovrebbe essere un crimine appoggiarli.

Esiste un precedente per una sentenza di questo tipo: la Corte d’Appello del Regno Unito è stata recentemente in grado di bloccare il trasferimento di migranti dal Regno Unito al Ruanda, annullando l’inclusione di quel Paese, promossa dal governo, tra i luoghi “sicuri” per la deportazione.  Allo stesso modo, la Corte potrebbe ora annullare l’inclusione di Hezbollah e di Hamas nell’elenco dei gruppi terroristici di cui al Terrorism Act. Questo servirebbe a porre fine all’attuale repressione dell’attivismo filopalestinese, repressione che non fa altro che offuscare la reputazione del Regno Unito. Anzi, la fine della persecuzione di giornalisti e di attivisti filopalestinesi rafforzerebbe le libertà fondamentali di espressione e di stampa nel Regno Unito. Le isole britanniche tornerebbero a essere viste come la cittadella di queste libertà nel mondo.

Patrick Boylan



Fonte: https://www.pressenza.com/it/2025/02/nel-regno-unito-difendere-la-resistenza-palestinese-e-diventato-un-crimine/

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NOTA 1: Quest’articolo è apparso, in forma ridotta, sul mensile de L’Indipendente di febbraio 2025 (1:1, pp. 44-45) con il titolo  UK: vietato difendere la resistenza palestinese.

NOTA 2: L’autore di questo articolo, pur riconoscendo il diritto dei palestinesi a difendersi dall’occupazione israeliana usando la forza, ritiene che solo attraverso mezzi politici nonviolenti essi possano veramente raggiungere l’autodeterminazione.  Il ricorso alla violenza non fa che generare altra violenza, come si è visto. Ma perché i mezzi politici nonviolenti abbiano successo, occorre che la comunità internazionale, intervenendo, li assecondi in massa, isolando così Israele.  Se invece la guerra a Gaza e in Cisgiordania perdura, è in gran parte a causa dell’assenteismo di noi altri.  E il legittimo diritto di Israele alla sicurezza?  Come garantirlo?  Ce lo ha detto Noam Chomsky: “Il modo migliore per combattere il terrorismo è smettere di praticarlo”.