Tutte le mosse della politica italiana, in questi ultimi mesi, sono fortemente condizionate dalla battaglia per il Quirinale. E piú la scadenza si avvicina, piú questo condizionamento appare essenziale, pervasivo, determinante.
L’esito di quella battaglia, con buona probabilitá, potrebbe giá esser stato deciso in altissimo loco (mi riferisco ad una designazione di Draghi). E i partiti italiani – piú o meno all’unanimitá – sarebbero ben disponibili ad allinearsi disciplinatamente. Ma é pur vero che i vertici di alcuni partiti “tengono famiglia”. Dove per “famiglia” si intende la massa dei rispettivi deputati-peones, tutti – con pochissime eccezioni – preoccupati dalla prospettiva di elezioni anticipate e del probabile addio, per molti di loro, al seggio di Montecitorio o di Palazzo Madama.
Sulle future Camere, infatti, aleggia lo spettro della riduzione di un terzo del numero dei parlamentari, insulsamente voluta dai grillini e poi avallata dagli altri partiti, che non hanno avuto il coraggio di opporsi ad una antipolitica da marciapiede. Senza contare che, ad un “effetto riduzione”, andrebbe a sommarsi un “effetto batosta” per i parlamentari di almeno due fra i principali schieramenti politici: Forza Italia e – soprattutto – il Movimento 5 Stelle (quest’ultimo vittima della sua stessa demagogia).
Ecco, dunque, che un altro fattore fa prepotentemente irruzione sulla scena quirinalizia. Tutti, comunque, sono apparentemente d’accordo su Draghi, ma con alcune differenze. Il fronte sovranista Meloni-Salvini é d’accordo perché ció avvicinerebbe (lo credono loro) lo scioglimento delle Camere e le sospirate elezioni anticipate.
D’accordo anche il duo sinistro Letta-Conte, ma con qualche riserva e comunque per il motivo esattamente opposto a quello dei destrieri. Perché – sperano – all’elezione di Draghi farebbe séguito un governo draghista-senza-Draghi che allontanerebbe le elezioni anticipate. In veritá – si sussurra nei corridoi romani – Calimero-Letta sarebbe tentato dal doppio gioco: ufficialmente disponibile per Sir Drake, ma sotto sotto propenso ad una candidatura di simil-Fronte Popolare (un Mattarella bis o una riscoperta del jolly-Mortadella) che archivierebbe automaticamente una candidatura “di larghe intese”.
L’alzata di genio – stando ad alcune indiscrezioni di palazzo – sarebbe stata partorita in tandem con un Giuseppi sempre piú con l’acqua alla gola. Quest’ultimo – peraltro – teme che numerosi grillini non si fiderebbero né di una candidatura ufficiale del centro-sinistra né del progetto Draghi-senza-elezioni-anticipate; e che probabimente, nel segreto dell’urna, finirebbero per votare un candidato alternativo (e vedremo poi quale). Anche il segretario PD, da questo punto di vista, qualche preoccupazione la nutre. Molti dei suoi temono le urne né piú né meno dei grillini; e molti altri sono sospettati di essere segretamente legati a Renzi. E il Pifferaio dell’Arno – benché in ribasso – per Letta é sempre il nemico per antonomasia, quello di Enrico-stai-sereno e del passaggio di campanella.
Renzi, peraltro, é fortemente tentato di tirare la volata a Berlusconi. Il quale Berlusconi, peraltro, si presenta oggi come il piú credibile candidato che, se eletto, potrebbe garantire la prosecuzione del governo Draghi fino alla scadenza della legislatura “per non interrompere il buon lavoro fatto finora”. La qualcosa – si sussurra nei palazzi – gli avrebbe giá assicurato l’attenzione di alcuni piddini dissidenti e, soprattutto, di numerosi profughi grillini.
Tutto ció sarebbe giunto all’orecchio di Prodi, inducendolo a dichiararsi assolutamente indisponibile ad una candidatura quirinalizia vocata al massacro. Quanto a Mattarella, sarebbe contrarissimo ad apparire come un candidato di parte e, comunque, sogna un po’ di meritato riposo come un cane sogna l’osso.
Al contrario – stando ai si dice – Mario Draghi sarebbe disponibile, disponibilissimo a candidarsi, ma senza nulla concedere alla voglia di elezioni anticipate di Meloni e Salvini. Anzi – sostengono i soliti “bene informati” – avrebbe programmato con cura le sue prossime mosse: dimissioni da Presidente del Consiglio a fine anno, o anche prima; e il ricorso a un Mattarella agli sgoccioli per verificare la possibilitá di far nascere un nuovo governo. Nuovo governo che in realtá sarebbe giá pronto, con alla guida un draghista di ferro come l’attuale Ministro dell’Economia, Daniele Franco. Che duri o non duri, poi, é un altro discorso.
A quel punto, comunque, i giochi sarebbero fatti e Sir Drake potrebbe dedicarsi tranquillamente alla campagna quirinalizia. Piddini e grillini sarebbero tranquillizzati, ma – al contrario – Meloni e Salvini avrebbero qualche motivo di preoccupazione; per tacere di Berlusconi, la cui proposta di sostanziale diarchia sarebbe rispedita al mittente. In festa – ovviamente – le dissidenze leghista e forzista (Giorgetti, Brunetta e donzellette varie).
Finirá veramente cosí? É molto probabile. Ma non é del tutto scontato, perché la candidatura Berlusconi sembra affascinare sempre di piú la galassia centrista e – sotto sotto – anche qualche “sinistro” fra i piú terrorizzati dalle elezioni anticipate.
Intanto, aspettiamo di vedere se veramente Draghi presenterá le sue dimissioni a breve. In ogni caso, resta ancóra lui il candidato in pole position. E – aggiungo – la notizia non mi sembra di quelle che inducano all’ottimismo.
Michele Rallo, l'eretico...
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