....non
credo a un Regeni "ingenuo", neanche tra virgolette. Il suo ruolo di
destabilizzazione del governo di Al Sisi è chiaro dal contesto. L'Egitto,
liberatosi a forza di collera popolare (l'ingresso dei militari arriva dopo) del
despota bruciachiese Mohammed Morsi, Fratello Musulmano, insediato dagli
elementi inquinati della primavera araba (e da un'elezione manipolata,
boicottata dal popolo e partecipata dal 17% degli elettori), aveva sottratto il
più importante paesi del Maghreb-Medioriente ai proconsoli coloniali
dell'Occidente. Aveva assunto una politica estera "creativa", addirittura
di avvicinamento a Mosca e Damasco, svolgeva un ruolo determinante in una Libia
che si doveva rendere stazione di rifornimento per le sette sorelle, aveva dato
prova di efficienza con il raddoppio in pochissimo tempo del Canale di Suez.
Grazie alla collaborazione col più debole tra gli attori della scena
petrolifera, l'ENI, aveva irritato geopolitici e geopetrolieri; nel giorno del
ritrovamento di Regeni, stava concludendo affari miliardari con Roma, in
particolare sul giacimento gigante di gas al largo della costa (pensiamo a
Enrico Mattei); era diventato un protagonista energetico scombussolando
equilibri favorevoli a Isis e Israele, era laico, teneva testa al terrorismo che
i Fratelli musulmani avevano condotto contro Mubaraq in prima persona e ora
affidato ai cugini dell'Isis. L'Egitto non era crollato né con l'islamizzazione
forzata di Morsi, né con i ripetuti colpi di maglio del terrorismo a firma
occidentale-islamista: le stragi di Sharm el Sheik, l'abbattimento di aerei di
linea, le bombe dal Sinai a Luxor, la campagna di satanizzazione condotta dallo
schieramento neocon-talmudista-liberal-radicalchic e di cui Regeni doveva essere
l'apice. E, dunque, un colpo fatale al turismo, seconda voce del
bilancio.
Aggiungiamo i dati del giovane. Iniziazione
formativa negli ambienti dell'intelligence Usa, lavoro alle dipendenze di una
nerissima impresa di spionaggio e provocazione, Oxford Analytica, diretta da
pendagli da forca come l'ex-capo del Mi6 (tempi degli attentati falsi di
Londra!), McColl, il pregiudicato e carcerato cospiratore del Watergate, Young,
il principe di tutti gli squadroni della morte, uomo della droga e
dei Contras e devastatore di Iraq e Centroamerica, John
Negroponte.
Basterebbero e avanzerebbero alla
grande questo impiego, questi datori di lavoro, tali mandanti. In più i
riservatissimi e imbarazzati referenti accademici, poco insistentemente curati
dagli inquirenti italiani e pour cause, con la misteriosa cassaforte
britannica da cui dovevano fluire le grosse somme di denaro che il giovanotto
prometteva al suo interlocutore egiziano per un certo progetto in
cambio di informazioni. Solo che, per sfrucugliare gli ambienti suscettibili di essere attivati
per destabilizzare quell'Egitto, Regeni era incappato nell'interlocutore
sbagliato. Uno che, appena si era sentito offrire soldi, non umanitari per
lui e la famiglia in difficoltà, bensì per il "progetto" commissionato da
Londra, reso possibile da "certe informazioni", correttamente aveva
riferito alle autorità del suo paese.
Ora non rimane da noi che l'ultimo
giapponese che crede che la guerra non sia finita. E' il capo di Amnesty
International Italia, Khoury, che dalla sua trincea sbrindellata dai dati
di fatto, invoca ancora guerra, almeno diplomatica, ad Al Sisi. Crede che ci sia
ancora una bella bomba sotto la poltrona dell'odiato presidente e tenta in tutti
i modi di innescarla. Ma la miccia su cui agita le sue fiammelle è
bagnata.
Tutti gli altri, francesi,
britannici, tedeschi, se ne fottono e stanno già al
banchetto brindando con Al Sisi ai grandi affari futuri di cui, se va bene, l'Italia
regenizzata raccoglierà qualche briciola. Ma non è detto se insiste con Regeni.
E' sempre la stessa storia: quella dell'Italia che gli stessi dirigenti italiani
svendono allo straniero fino a ridurla allo stato di detrito spiaggiato in cui
si trova in questo finecorsa. 1992: navigano sul Royal Britannia,
passeggeri con in mano i nostri beni comuni: Draghi, Andreatta, City di
Londra, Soros e, poi, per sicari dell'azzeramento del potenziale industriale
nazionale, dall'Iri all'euro e al Fiscal Compact, gli agenti immobiliari Dini,
Amato, Prodi, Berlusconi, D'Alema, Bersani, giù giù fino all'ultimo nanerottolo
da giardino, il testè decapitato mezzotoscano che doveva, anche con l'operazione
Regeni anti-Eni, contribuire al compimento dell'opera.
I chierichietti mediatici e politici
dell'operazione che tanto hanno latrato sulle contraddizioni, reticenze,
deficienze, degli investigatori egiziani, com'è che su un punto assolutamente
cruciale, forse decisivo, dell'indagine, su un elemento giudiziario
imprescindibile, non abbiano sollevato né questione, né ciglio? Trattasi del
computer di Regeni, sequestrato e rapito dai famigliari dall'abitazione del
Cairo e per sempre sottratto agli inquirenti egiziani. Che stanno zitti o
tergiversano per carità di patria, della nostra patria e della patria
mondiale dell'imperialismo dal quale sortiscono certi scorpioni, ma con cui
tocca pur lavorare.
Fulvio
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