Beppe fuori dal
vaso
Beppe Grillo, cui non sono mai mancate l’astuzia, la chiaroveggenza
e l’alterità, assenti nel panorama
politico tradizionale, lo facevo meno boccalone rispetto a quella che è,
dall’inizio in Tunisia, passando per Berlino e finendo a Sesto S. Giovanni, una
delle più patetiche e disoneste montature allestite dal terrorismo di Stato
globale. Beppe Grillo, non sapendo tenere a bada le sue impennate emotive, non
solo manda a puttane l’equilibrato e intelligente lavoro dei 5 Stelle sui
migranti con un post che ne invoca l’espulsione perché il terrorismo
infesterebbe l’Europa. Si pone a fianco del superspione Minniti, fiduciario
storico della Cia e ora ministro degli Interni, nell’esaltazione di pessimo
gusto dei due “eroi” in uniforme che, “casualmente”, sono incappati in un
pregiudicato armato e lo hanno fatto secco quando, sparando, rifiutava di farsi
arrestare. Fatto che, pure, ricorre ogni qualche ora nelle nostre vaste lande
infestate dalle mafie.
Come Grillo, tutta l’informazione si beve, e, con rigurgito
gastrofaringeo, ripropone all’universo mondo, le cazzate della montatura
berlinese sul tunisino Anis Amri e le spacconate di un regime che, avendo
ammazzato un tale presentatoci come autore della strage di Berlino in virtù del
documento di identità ritrovato nel camion, si vanta di essere il campione del
mondo - altro che Cia, FBI, Mossad, BND tedesco e Mi6 britannico - nella lotta
al terrorismo. Ma, a proposito di quanto ho già scritto sul nuovo False Flag nell’articolo precedente, che
fine hanno fatto le riprese delle telecamere puntate perfino sugli scarafaggi
tra i wurstel del mercatino berlinese e,
quindi, inevitabilmente sul terrorista in fuga dal camion? Sparite, esattamente come quelle del
lungomare di Nizza. Chi, caro Beppe, dopo la tua intemerata sul blog, potrà mai più obiettare
al robocop con mitraglia nel proprio tinello? Io me lo sento già alle spalle
mentre controlla che tasti pigio sul computer.
Proteggerci! Dal
terrorismo di chi?
Ne discende per Grillo, che di solito, va detto, la sa più
lunga, e per tutti, l’invocazione di più
polizia, più sicurezza, più controlli e più espulsioni. A chi l’invocazione? A
un regime in cui alcuni massimi esponenti istituzionali, dal capo dei
carabinieri (“Nei secoli fedeli”. A chi?) al capo dei finanzieri al factotum
del governo, finiscono sotto le ferula di giudici che ne ventilano porcate ai
danni del contribuente. Con i media che ne proclamano con trombe e cimbali la
bravura quando si abbatte brevi manu
un presunto terrorista (presunzione di innocenza?) e ne tacciono totalmente le
malefatte per le quali sono indagati. E a questa gente che Grillo, vedendo ciò
che nessuno vede, cioè “un’Italia che
diventa un viavai di terroristi”, dice “ora
dobbiamo proteggerci”. Fino a ieri vedeva un viavai di lavoratori
licenziati, di giovani senza lavoro, di studenti senza università, di famiglie
senza pane, di gente senza casa, di vittime di frane, tutti sistematicamente
picchiati dai colleghi di quei due la cui esecuzione di un presunto attentatore
si va festeggiando. Chiede, Grillo, protezione a gente che è filiazione di un
potere della cui trasparenza e probità nell’interpretazione del terrorismo
aveva fin qui molto opportunamente dubitato. La stessa gente che infierisce sulla
sua sindaca di Roma, abbrustolita per il 10% dai suoi errori ma per il 90% dal
napalm lanciatole addosso dai banditi spodestati.
Così, tra turbe di misericordiosi che, ovviamente a spese
altrui e dell’altrui tranquillità sociale, invocano l’accoglienza di tutti,
fossero anche miliardi, e grilli e soci che vedono terroristi in tutti coloro
che non meritano asilo politico, fossero anche deportati da villaggi africani
divorati dall’agrobusiness multinazionale, ognuno si sforza spasmodicamente di
non dire che bisogna smetterla con le
aggressioni militari, economiche, climatiche. Di non dire che per fermare
l’insostenibile alluvione migrante bisogna bloccare gli Usa, Israele e loro
gregari. E di non dire anche che costoro fabbricano terroristi per giustificare
agli occhi dei gonzi il loro terrorismo.
Trump? E’ l’albero.
Poi c’è il bosco
Volevo oggi parlare di Donald Trump. Infatti il collegamento
c’è. Ed è che da quando siamo piccoli ci condizionano a vedere l’albero e non
il bosco. Così i mistificatori della politica, dell’informazione e
dell’indottrinamento hanno i nostri neuroni spianati. Beppe, che però prima
aveva dato mostra di avere lo sguardo lungo e ampio, e tutti gli altri si
fermano al terrorista migrante e non vedono il contesto nel quale si è
sviluppato. E quelli che hanno calato la scure su Trump hanno voluto sentire
solo le sparate sui migranti da espellere, sui muri da erigere, sulle donne da
palpare, sui mori che si vendicano di Roncisvalle. Mentre gli altri,
giustamente rallegratisi per le distanze che Trump ha preso da Nato, regime change, guerra alla Russia,
pensavano che sarebbero bastate quelle per farci entrare a Shangrilà, o nel
regno di Saturno.
Sono alberi, non è il bosco. Che è invece un grande
complesso di formazioni botaniche e faunistiche che si avviluppano, si
sostengono e integrano, si combattono e falcidiano. Di solito c’è un supremo
regolatore di queste collusioni-collisioni che mantiene in piedi il sistema e
lo fa proseguire verso i suoi scopi. Nel caso del bosco è madre natura, in
quello degli Usa e delle società complesse è un concentrato di interessi
economici che io chiamo Cupola, qualcun altro l’1% (ma sono di meno) e che di
solito impongono alle varie componenti un esito che fornisca il risultato
ambito. Nella contingenza, quello della globalizzazione e del governo mondiale
(ma succede dai tempi dei tempi, basta pensare alla Chiesa).
Bislacco o astuto
manovratore?
Pareva che rispetto al duo della brutta morte,
Obama-Hillary, sostenuto con passione da tutto il mondo talmudista per il suo
impegno anti-arabo e anti-islamico, The Donald facesse svettare il suo
ciuffo albicocca su una pax siriana con
tanto di Assad. Ed ecco invece che il bizzarro miliardario copre il crine
albicocca con la kippà, agita la Torah, si tatua sul cuore la stella a sei
punte, promette di spostare la capitale sionista a Gerusalemme e si fa
incensare dalla lobby talmudista AIPAC. E quando l’agonizzante Obama raspa tra le
sue stragi alla ricerca di un minimo di dignità storica astenendosi al
Consiglio di Sicurezza quando passa la condanna dei carcinomi coloniali
incistati in Palestina, è Trump che accende il candeliere a sei braccia per dar
fuoco all’antisemita predecessore...
Manifesto e Amnesty
vendetta sull’Egitto anti-israeliano
Per inciso, è stato
l’Egitto di Al Sisi a formulare la proposta di condanna degli insediamenti, poi
sospesa sotto le granate sioniste di Trump, ma riattivata e vittoriosa. Ciò,
insieme al sostegno militare e politico offerto da Al Sisi ad Assad, la sua
intesa con la Russia, fa capire l’intensificarsi del terrorismo dei Fratelli
Musulmani in Egitto, parallelo ai nuovi paginoni di contumelie e menzogne
contro l’Egitto, riprendendo a pretesto il pupillo di John Negroponte, Regeni,
sparate da “manifesto”, Amnesty e altri surrogati USraeliani. E, assieme
all’Egitto, è entrata in campo a gamba tesa anche l’Algeria, che ha celebrato
il “ristabilimento della sovranità
siriana su Aleppo contro il terrorismo”. E’ ora che il manifesto e
Amnesty mandino di nuovo qualcuno, tipo Giuliana Sgrena, a sfrucugliare gli
algerini su “democrazia e diritti umani” .
Luci che parevano
ombre, ombre che parevano luci
Si contava sulla battaglia annunciata dall’immobiliarista di
New York a favore degli operai Usa massacrati da subprime e delocalizzazioni,
da tagli agli investimenti e al sociale, tutti i soldi ad armi, guerre e
delocalizzazioni che sono opera di
banchieri e armieri, ed ecco giungere ai posti di comando della nuova
amministrazione squadroni di generali, ex-Pentagono ed ex-industria militare e
banchieri miliardari di Goldman Sachs, mostro capofila di ogni banda di
criminali. Mentre contemporaneamente svapora la frenesia razzista e xenofoba del
nostro, tra incontri applauditi con
tutte le minoranze e il volume a quasi zero su muri ed espulsioni. Bello. Meno
bello che Trump assumi il fior fiore dei devastatori di ambiente e clima
promettendo al paese e al mondo un futuro fossile. Fossile come le ossa
dissotterrate dei dinosauri.
S’era pensato a un imprevisto, un bizzarro, uno sfuggito al
controllo dei supremi regolatori che di solito amministrano con avvedutezza
l’alternanza tra burattini di diverso temperamento e colore, ma tutti in marcia
per il comune obiettivo. E il suo saltabeccare di contraddizione in
contraddizione giustificava l’idea: dagli amici Exxon-Mobil della Rosneft e di
Putin, da lui addirittura decorati, spediti a Mosca, allo sfregio a Pechino con
la telefonata al bubbone anticinese di Taiwan e contemporanea nomina ad
ambasciatore in Cina di un intimo di Xi. Che ci sia una logica in tutto questo?
Poi c’era il vituperio anti-Trump, da vipera pestata, di John McCain e affini,
padrini Cia di Al Baghdadi, santi protettori di tutti i terroristi, Isil o
nazisti di Kiev che siano, e, all’incontro, la guerra di sterminio promessa da
Trump ai jihadisti , dunque a McCain. Cosa buona.
Proviamo a selezionare il finto dal vero, il demagogico dal
serio. Anche per i predecessori al guinzaglio della voracità bellica dei neocon
la prospettiva di un blocco eurasiatico era anatema. Ma pensavano di
neutralizzarlo minacciando, sì, la Cina con il famoso “Pivot sull’Asia” e il
concentramento di flotte e basi tutt’intorno alla Cina. Più in là non pare
volessero andare, visto anche che, con i denari e i buoni del Tesoro americani
che Pechino tiene in borsa, la sorte economica degli Usa è appesa a quella
borsa, per quante ulteriori banconote volesse stampare la Federal Reserve. La
Russia, invece, zeppa di risorse energetiche, militarmente in rapidissima
ascesa, dinamicissima e decisiva sul piano geostrategico, tentatrice di giri di
valzer con gli europei e loro potenziale partner ideale, disgregatrice della
strategia imperialsionista in Medioriente, li accecava di furore. Anche perché
questi fan di Hillary continuavano a rimediare tranvate, oltretutto mediate da
Putin: Egitto, Algeria, Haftar in Libia, l’imprevedibile Erdogan, lo Yemen,
piccolo, miserabile che in due anni di sfracelli Usa e sauditi resta in piedi…E
poi c’è Dutarte nelle Filippie e chissà quanti altri sentono il profumo di quel
vento.
Bloccare l’Eurasia.
Da est o da ovest?
Quello che Trump, o i suoi sponsor, pare abbiano capito è,
primo, che il costrutto neocon di Obama-Clinton-Bush sta perdendo pezzi.
Secondo, che l’Eurasia, il più grande e popolato blocco terrestre, con
le risorse della Russia, la potenza produttiva della Cina, il gigantesco
progetto della Via della Seta che arriva in Africa e costruirebbe una coesione
infrastrutturale, economica, politica e militare tra tre continenti, è una
minaccia al progetto globalista che non si affronta sparando alla Russia. Che
proprio quell’aggressività isterica dei neocon, oggi impersonata da
Obama-Clinton-Netaniahu e sguatteri mediatici come Washington Post e NYT,,
aveva rinsaldato l’intesa Russia-Cina, fino ad arrivare a enormi accordi
economici e, addirittura, bancari, tali da minacciare davvero il dollaro,
dominus delle transazioni.
Le mosse di Trump parrebbero un tentativo di rompere il
legame Russia-Cina attraverso la seduzione e la collaborazione col partner
euroasiatico militarmente più forte ed economicamente più debole. La strategia
del ping-pong che Kissinger aveva inaugurato con l’anziano Mao, proprio per
isolare l’Urss. Al cui soccorso, in effetti, quando si è disfatto, non è
apparsa nessuna Cina. Trump, poderoso affarista, sa bene che ha interlocutori
interessati a Mosca tra gli oligarchi atlantisti che convivono ancora con il
sistema Putin e non si sa bene quanto possano condizionarlo. Nel comune
interesse di annegare il mondo negli idrocarburi e gonfiare i forzieri dei petrolieri
e loro sponsor si possono trovare intese. Del resto alla Cina difettano sia il
gas che il petrolio e se l’Iran gliene fornisce la maggior parte, ecco che
Trump promette di buttare per aria l’accordo sul nucleare con Tehran e
sostenere l’aggressività israeliana nei suoi confronti. In ogni caso meglio
tenersi buona la Russia, anche a costo di allevare, tra sovranisti e cosiddetti
“populisti” anti-UE e anti-Usa vari, suoi amici in Europa.
L’isolamento della
Cina vale il prezzo.
Sarebbero, Trump e i suoi mandanti, meno bislacchi di quanto
si ritiene se calcolano che, per una strategia di dominio mondiale, oltre alla
divisione del fronte avversario principale, serve piuttosto un apparato
militare meno pletorico, ma innestato su un corpo nazionale tornato in buona
salute nelle sue articolazioni sociali ed economiche, che non un mastodonte
militare distribuito sui cinque continenti ma sorretto da un corpo debilitato
strutturalmente e innervosito dal disagio sociale, come lo hanno ridotto i
demenziali terroristi neocon del PNAC (Il Nuovo Secolo Americano).
Non so se tutto questi siano arzigogoli, o prese d’atto di
quanto va emergendo. In ogni caso, se non ha sbattuto in un angolo gli
immigrati (Obama ne aveva espulso più di tutti i presidenti Usa), Trump non vi
ha messo neppure i banchieri, gli industriali del petrolio, delle armi e della
produzione manifatturiera. Sembrava una guerra totale tra settori opposti
dell’economia Usa: costruttori di ponti e fabbriche contro speculatori e
cibernetici. A me pare che non se ne faccia niente e mi dispiace per chi crede
in un’irrisolta crisi sistemica. Quella magari c’è, ma qui si continuano a
trovare gli antidoti che la facciano procedere nella direzione che distrugge
noi e salva loro. Staremo a vedere se il vecchio establishment che, preso in
contropiede e scalzato dai posti di comando, latra con tutti i suoi sguatteri
mediatici e umanitaristi contro il bifolco miliardario, se ne saprà fare una
ragione. O verrà ricondotto alla ragione
dalla Cupola. In Bilderberg questi ci stano tutti.
A noi resta l’amara constatazione che, da quella parti, il
più pulito ha la rogna. E l’attacca.
Fulvio Grimaldi - fulvio.grimaldi@gmail.com
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