sabato 5 novembre 2016

Capire l'Islam per capire il futuro che ci aspetta


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E’ opportuno riprendere il discorso sulla religione del Profeta non tanto per l’interesse che essa può avere in sé come fenomeno religioso, ma in relazione al fatto che la diffusione a livello internazionale del fondamentalismo islamico con i suoi risvolti terroristici, e i sempre più frequenti episodi di frizione e di intolleranza che si verificano in Italia e in Europa con gli immigrati islamici, dimostrano da un lato l’imbarbarimento delle relazioni internazionali, dall’altro la presenza sempre più massiccia degli allogeni sul suolo europeo e italiano, allogeni che sono, appunto, in maggioranza islamici. In altre parole, quel che realmente ci deve interessare e preoccupare, non è il fenomeno religioso, ma il fatto che esso in ultima analisi non è che una spia, un campanello d’allarme della sostituzione etnica che sta avvenendo sotto i nostri occhi e sta portando lentamente alla morte i popoli europei.
Considerate le cose in questa prospettiva, atteggiamenti islamofili dovrebbero essere l’ultima cosa al mondo che potremmo aspettarci in persone che sono o professano di essere dei camerati, eppure, il caso è più frequente di quanto potrebbe apparire a prima vista. I motivi di ciò si comprendono abbastanza facilmente: per prima cosa l’esistenza nel cuore del Medio Oriente di Israele, l’entità sionista, l’artificioso stato ebraico e la politica violenta che si può definire senza mezzi termini un genocidio al rallentatore condotta contro il popolo arabo palestinese, e l’appoggio fornito a questa mostruosità dall’impero americano, un “impero” che ben lungi dall’essere capace di condurre una politica autonoma in grado di salvaguardare gli interessi della propria gente, è in realtà per intero manipolato dalle lobby ebraiche e, correlata a ciò, la resistenza a questo imperialismo deteriore, di diversi popoli mediorientali, i Palestinesi prima di tutto, che hanno la disgrazia di essere sulla linea del fuoco, ma anche l’Iran.
Anti-imperialismo equivale a islamofilia? Diciamo subito che c’è qualcosa di assurdo in questa semplicistica equazione. Si può ricordare che fra i Palestinesi c’è una non trascurabile componente cristiana, e che gli Iraniani appartengono dal punto di vista religioso all’islam sciita che i fondamentalisti considerano eretico e odiano ferocemente allo stesso titolo dei non mussulmani, e che, viceversa, fra i più sicuri alleati degli Stati Uniti (per quanto possano essere sicure le alleanze nell’infido mondo levantino) e quindi indirettamente di Israele, si conta l’Arabia Saudita, la più intransigente custode dell’ortodossia islamica.
Oltre a ciò, vi sono altre suggestioni che sembrano fare presa su molti. Fra le due guerre e nel corso del secondo conflitto mondiale, l’Asse ha manifestato un atteggiamento di simpatia per l’islam, è innegabile: vi sono discorsi di Hitler e di Mussolini che lo testimoniano. Nell’ambito delle Waffen SS sono state costituite divisioni islamiche, e via dicendo. Non dimentichiamo neppure le simpatie per il mondo islamico manifestate da intellettuali “nostri”, René Guenon che arrivò addirittura alla conversione, ma anche Friedrich Nietzsche che, senza arrivare a tanto, amava contrapporre lo spirito virile e guerriero dell’islam a quello rassegnato e femmineo del cristianesimo.
Alla base di queste considerazioni c’è un grave errore prospettico. Ottant’anni fa i rapporti di forza tra Europa e islam erano completamente diversi di quelli di oggi; l’Asse cercava di fare leva sullo spirito di rivalsa islamico contro la dominazione coloniale francese ma soprattutto britannica, oggi invece le popolazioni islamiche muovono aggressivamente alla conquista del nostro continente. La conversione di René Guenon all’islam, a mio parere, in realtà non testimonia altro che il permanere al fondo del suo “tradizionalismo integrale” di un persistente spirito abramitico. Lo stesso Nietzsche era verosimilmente in errore, nel senso che lo spirito virile e guerriero non è certo un’esclusiva dell’islam. Pensiamo allo scintoismo giapponese: forse che l’etica dei samurai aveva qualcosa da invidiare agli islamici da questo punto di vista? Forse che Yukio Mishima non è infinitamente più vicino a noi di qualsiasi imam?
Più lo si guarda da vicino, meno lo “spirito guerriero” dell’islam persuade. Vi è, vi deve essere una confine preciso fra esso e la violenza insensata; esso presuppone prima di tutto un uso intelligente della forza, e questo non si può certo attribuire all’islam, caratterizzato da un fanatismo tipicamente abramitico che spinge a odiare quanti differiscono per aderire a una variante del proprio credo i cui dettagli sfuggono a chi è al di fuori da esso: pensiamo al solco di odio mortale tra sunniti e sciiti o varianti minori dello stesso credo, come drusi e yasidi, e questo nonostante la presenza di un nemico almeno teoricamente comune a tutti e dotato di una schiacciante superiorità, come l’USA-sionismo, che riesce facilmente a manovrarli proprio in ragione delle loro rivalità. Altro elemento importante per parlare di spirito guerriero, è l’etica cavalleresca che impedisce di infierire sugli inermi: questa nel mondo islamico manca del tutto perlomeno da quando è scomparso Saladino (che era un curdo, quindi non un semita ma un indoeuropeo, e questo faceva allora e fa oggi la differenza).
L’islam è barbarico, ma si noti che non è la barbarie positiva di un Conan, indice della sanità della stirpe: vi è presente in dosi massicce la crudeltà più spietata, il gusto di infierire sugli inermi e sugli indifesi, ma vi è del tutto assente la vitalità spontanea; al suo posto troviamo la doppiezza levantina che rende l’islamico sempre infido anche e soprattutto quando ti si presenta come amico.
Recentemente mi sono trovato coinvolto in una discussione su facebook, peraltro in termini pienamente civili, con un “camerata islamofilo” al riguardo (e devo dire che il nostro Joe Fallisi, con cui sembra condivida una grande sintonia, si è prontamente schierato al mio fianco).
Nel corso della discussione, il nostro interlocutore ha affermato che Joe ed io abbiamo “una mentalità da crociati”. Per quanto mi riguarda, una simile affermazione è ben lontana dall’offendermi. Io vorrei ricordare che, contrariamente a quanto afferma il masochismo etnico predicato dalla sinistra e a quanto “insegna” quell’autentica piaga del genere umano che sono i docenti di sinistra che impestano la nostra scuola, le crociate non furono altro, in ultima analisi che una momentanea controffensiva dell’Europa posta storicamente a cavallo fra due aggressioni islamiche contro il nostro continente, quella dell’impero arabo califfale, e quella ottomana.
Piaccia o no, è innegabile che l’Europa ha costruito e definito la sua identità DIFENDENDOSI DALL’ISLAM. I suoi pilastri sono Poitiers, Kosovo Polje, Lepanto.
Una volta di più, occorre ribadire che NON SI TRATTA DI UNA CONTRAPPOSIZIONE RELIGIOSA MA ETNICA. I crociati, i combattenti di Poitiers, Kosovo Polje, Lepanto, gli uomini del Medio Evo in genere erano assai meno cristiani di quanto credevano di essere, la dottrina del “discorso della montagna” non li aveva ancora corrotti, non praticavano il “porgere l’altra guancia” ma la difesa della loro terra e della loro gente con le armi in pugno; da questo punto di vista, i cristiani odierni sono molto più coerenti e spregevoli, hanno recuperato lo spirito delle origini, quello che permise loro di mandare in rovina l’impero romano.
Quest’affermazione me ne ha ricordato tanto un’altra che mi fece un mio interlocutore anni fa, con il quale ebbi una discussione in tema di religione, secondo il quale io avrei “una mentalità da antico romano”. Per lui gli antichi romani erano semplicemente i cattivoni che facevano sbranare quei poveri cristiani dai leoni, secondo lo scenario ben costruito delle menzogne dei film hollywoodiani, non si rese conto del complimento che mi faceva.
Casualmente, abbiamo alcuni recenti aggiornamenti proprio riguardo alla questione dell’islam. Il 2 ottobre il nostro Joe Fallisi, che evidentemente  sente molto questa tematica, mi ha segnalato un video postato su You Tube (in inglese) in data 1 luglio 2014 da Bill Warner ph. d., “L’età non così aurea dell’islam” (la traduzione è mia).
In effetti, il tema della conferenza del dottor Warner è un problema che angustia gli storici: come si spiega l’attuale arretratezza culturale, la miseria intellettuale che oggi il mondo islamico presenta, se nell’età medioevale esso è stato quel grande faro di civiltà che ci viene presentato dalla maggior parte dei nostri storici (che sembrano nutrire per la verità una sorta di compiacimento masochistico nello sminuire tutto quanto è europeo)?
La risposta è semplice: l’età d’oro dell’islam non è stata per nulla così aurea come ci viene presentata, il suo presunto splendore è stato dovuto in gran parte al riutilizzo di ciò che avevano lasciato le civiltà che avevano preceduto l’islam nell’area mediterranea: persiana, greca, romana, bizantina, di suo, l’islam non ha messo praticamente niente. Bene, se vi ricordate, questo è un fatto che avevo già osservato in miei scritti precedenti. Mi è venuto in mente un parallelo con qualcosa di odierno e (purtroppo) molto vicino a noi: la “cultura” di quella che è oggi la potenza egemone di questo pianeta, gli Stati Uniti, interamente basata sugli scarti dell’Europa. Ancora oggi, quando uno scienziato “americano” riceve un premio nobel per qualche importante scoperta scientifica, scopriamo regolarmente che si tratta di un immigrato o di un figlio di immigrati di prima generazione. Di realmente americano non ci sono che la coca cola, il fracasso della musica rock e le volgarità di celluloide hollywoodiane.
Che sia in questa segreta affinità la chiave per capire certi fatti apparentemente incomprensibili, come l’atteggiamento NATO nella crisi della ex Jugoslavia che, colpendo la Serbia, ha criminalmente aperto le porte all’islamizzazione dell’Europa?
Sempre in questo periodo, c’è da segnalare un bell’articolo comparso il 9 ottobre sul sito del circolo Aletheia di Palermo firmato Filiusapollinis (è certamente uno pseudonimo), “Distruggiamo il mito della Sicilia araba”. Se fra le diverse dominazioni e colonizzazioni che la grande isola italiana ha subito nei secoli, taluni tendono a dare un’eccessiva importanza all’episodio tutto sommato marginale della dominazione araba, questo avviene per motivi che non hanno nulla a che fare con la realtà della storia medioevale siciliana, e molto invece con questioni politiche più contingenti.
Questo mito, ma “favola” sarebbe un termine di gran lunga più appropriato, fu molto in voga nel tardo settecento, soprattutto perché taluni ambienti siciliani vi videro un mezzo per contrastare il centralismo dello stato borbonico, appoggiandosi soprattutto all’opera di tale Giuseppe Vella, spacciato per esperto storico e linguista, ma in realtà un falsario.
La realtà dei fatti però non corrisponde a questa leggenda. La conquista araba e mussulmana della Sicilia iniziò nel 827, e non si concluse che nel 995, poco prima del fatidico anno 1000, e alcune zone della Sicilia orientale non furono mai sottomesse, a causa della fiera resistenza dei Siciliani agli invasori; a titolo di confronto, l’intera Penisola iberica fu conquistata in soli sei anni, e al settimo partì l’invasione della Francia meridionale. Nel 1059 partì la conquista normanna, e anche in questo caso va evidenziato che i Normanni erano un pugno di avventurieri che non sarebbero mai riusciti a liberare l’isola dalla dominazione saracena senza il costante appoggio delle popolazioni native. La maggior parte della comunque esigua comunità dei mussulmani di Sicilia, poi, in seguito alla conquista normanna, preferì abbandonare l’isola.
Alla luce di questi fatti si comprende bene che voler trovare radici arabe e islamiche alla Sicilia e ai siciliani di oggi, è semplicemente ridicolo.
Ciò, per la verità, è stato lontano dal sorprendermi. Se guardiamo una carta geografica, vediamo che le popolazioni “arabe” sono diffuse su di un’area enorme che va dal Marocco all’altopiano iranico. Pensare che fra di esse vi sia una reale unità etnica, è spontaneo ma assolutamente sbagliato; si pensi a un semplice fatto: mille-milleduecento anni or sono la Penisola arabica era poco meno desertica di oggi. Da dove mai sarebbero potute venire le masse umane per colonizzare l’immenso territorio che va dalla costa africana davanti a Gibilterra fino ai confini con l’Iran? Un simile trasferimento di popolazione non è mai avvenuto, ma le popolazioni assoggettate dall’impero dei califfi hanno dovuto apprendere la lingua araba assieme alla religione islamica. Ancora oggi, e indipendentemente dai confini artificiosi tracciati con la disintegrazione dell’impero ottomano, si possono riconoscere nel mondo “arabo” almeno quattro grandi entità “nazionali”: gli Arabi della Penisola, ossia gli Arabi veri e propri, i Mesopotamici, gli Egiziani e i Magrebini.
E voi volete che l’impero califfale abbia concentrato i propri sforzi di colonizzazione in una regione marginale e su chi esercitava un dominio precario? Che senso avrebbe ciò se non nell’ottica di chi vuole esasperare le differenze fra italiani e italiani?
Questo è un punto che occorre approfondire meglio. In un articolo pubblicato un paio di anni fa su “Ereticamente”, citavo una ricerca pubblicata in inglese su Geocities (e che non mi risulta sia stata mai tradotta in italiano), una sintesi di un lavoro collettivo di diversi genetisti, dalla quale risultava che gli Italiani sono una popolazione piuttosto coerente dal punto di vista genetico, con una differenza rilevabile tra Italiani del nord (che presentano una componente celtica) e del sud (che presentano una componente greca), ma non tale che non si possa parlare degli Italiani come popolo unitario. Le differenze fra Italiani, dicevano apertamente i ricercatori, sono state esagerate per motivi politici.
In particolare, costoro si aspettavano di trovare una componente di origine mediorientale nell’Italia del sud, soprattutto in Sicilia, in ragione della dominazione cartaginese in età antica e/o di quella araba in epoca medioevale, ma hanno rilevato con sorpresa che tale componente era minima (3%).
Quello che sinceramente non mi aspettavo, era il fatto che citare questi dati provocasse una reazione INDIGNATA da parte di alcuni lettori. E’ un fatto che sorprende ma su cui occorre riflettere; anche in ambienti cosiddetti “nostri” vi sono persone che hanno bisogno di coltivare la leggenda della non esistenza di una nazione italiana.
UNA PARTE della spiegazione si trova, io penso, nella nostra infelice storia recente: settant’anni di repubblica democratica, cioè di totale servaggio allo straniero, ai vincitori di settant’anni fa, e di un regime fra i più corrotti che possano esistere, caratterizzato dall’assenza totale di senso civico e dall’appropriazione della cosa pubblica da parte di una “casta” padrona corrotta quanto arrogante, hanno ingenerato negli Italiani la vergogna di essere tali. Si vorrebbe essere qualsiasi cosa: padani, bi-siculi (delle Due Sicilie), celti, etruschi, longobardi, magni greci, tutto meno che italiani. Ma non è di essere italiani che dobbiamo provare vergogna, piuttosto è la repubblica democratica e antifascista che deve farci nausea e schifo.
Tuttavia, questa è solo una parte della spiegazione, è infatti visibile che il fenomeno del diffondersi dei localismi non è soltanto italiano ma diffuso un po’ in tutta Europa anche se su scala minore rispetto a noi.
Un uomo coraggioso, lo scrittore austriaco Gert Honsik, ha sfidato un lungo periodo di detenzione da parte dell’Europa “democratica” e ipocrita che non ha pietà per i VERI oppositori, per svelarci “Il piano Kalergi in 28 punti” con il quale si prepara l’annientamento dei popoli europei. Non vi pare che le sue parole meritino di essere attentamente ascoltate?
Secondo Honsik il piano Kalergi prevede l’annientamento del principio di nazionalità attraverso un doppio attacco, DALL’ALTO, attraverso la diffusione di una cultura cosmopolita e mondialista e il trasferimento sempre più massiccio della sovranità nazionale degli stati, e DAL BASSO attraverso la diffusione di localismi e separatismi. Noi dobbiamo essere consapevoli di confrontarci con un nemico non solo enormemente forte, ma anche terribilmente astuto, e che certo non ha scrupoli a usare contro di noi anche un sentimento identitario male inteso.
Se la penetrazione islamica in Europa fosse un discorso soltanto religioso, non avremmo un gran motivo per interessarcene, non è certo la dottrina del Discorso della Montagna, specialmente oggi che pare tornata allo spirito imbelle e rinunciatario dei tempi della decadenza romana, a essere il centro delle nostre preoccupazioni, ma questa penetrazione è la spia forse più visibile dell’invasione allogena dell’Europa, del pari inaccettabile anche in riferimento a quel 40% di allogeni che non sono islamici, ed è contro di essa, e contro coloro che l’hanno provocata e la manovrano, che dovremmo fare fronte compatto, come italiani e come europei.

Fabio Calabrese

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