lunedì 16 marzo 2015

"Il senso di una fine" di Julian Barnes - Recensione


La storia di un uomo, la sua evoluzione, o anche involuzione, non è detto. I sogni di un ragazzo, le certezze, la spavalderia, anche, la sicurezza che certe cose si faranno, certi obiettivi si raggiungeranno, e tutto sarà meglio di quanto han fatto i propri genitori. Ma Tony è un ragazzo come tanti, e poi diventerà un uomo, come tanti. Un "medio". Non eccellerà in nulla, non guiderà, ma si lascerà guidare. Senza rimorsi, però, ma con accettazione pacata. Il tempo che scorre, è il Padrone assoluto:

"Viviamo nel tempo; il tempo ci forgia e ci contiene, eppure non ho mai avuto la sensazione di capirlo fino in fondo. Non mi riferisco alle varie teorie su curvature e accelerazioni né all'eventuale esistenza di dimensioni parallele in un altrove qualsiasi. No, sto parlando del tempo comune, quotidiano, quello che orologi e cronometri ci assicurano scorra regolarmente: tic tac, tic toc. Esiste al mondo una cosa più ragionevole di una lancetta dei secondi? Ma a insegnarci la malleabilità del tempo basta un piccolissimo dolore, il minimo piacere. Certe emozioni lo accelerano, altre lo rallentano; ogni tanto sembra sparire fino a che in effetti sparisce sul serio e non si ripresenta più".

Quando l'età adulta arriva, nascono i dubbi, le incertezze, all'improvviso può arrivare un episodio che ci costringe a guardare indietro, a capire se, come e dove abbiamo sbagliato o potevamo far meglio. Svanisce quella certezza di aver capito tutto, quella certezza che le nostre parole e le nostre azioni fossero fine a se stesse, e invece magari possono aver deciso non solo il nostro destino ma anche quello altrui.

"Quel che si finisce per ricordare non sempre corrisponde a ciò di cui siamo stati testimoni".

La maggioranza delle vite si svolge così, senza infamia e senza lode, si sopravvive, ci si adatta a persone, fatti, circostanze. La routine. La vita è "nascita, copula e morte". Ma, appunto, a volte il passato torna e ci costringe a rivedere il quadro che ne avevamo dipinto.

Barnes ha la capacità di farti sempre sentire in attesa di ciò che può accadere, le pagine si voltano con questo senso di attesa. Fino ad un finale sorprendente, ma nello stesso tempo frettoloso, per alcuni può anche risultare deludente, senz'altro.

Ma è un libro che fa riflettere, una specie di saggio sulla vita, più che un romanzo vero e proprio. Un libro che può metterci in discussione, se ovviamente abbiamo voglia di farlo.

Ti lascia il senso di amaro in bocca, e fa traballare le certezze. Io non ho traballato, mi ci sono ritrovato, ma non credo sia meglio. Essere ottusi, essere arrendevoli, essere accomodanti, anche vigliacchi, attenua il senso di fallimento, ci difende da esso. Ma con la vita ci si fa i conti, prima o poi. E la vita corre, forse il senso è questo, tutto fugge via prima che ci possiamo capire qualcosa e dargli un senso. Molto amaro, molto disincantato, e anche molto ironico, però. Spesso ho sorriso, in mezzo all'amarezza. Bisogna avere qualche annetto sul groppone, secondo me, per entrare in questo romanzo e capirlo, almeno un po'. Capire quel concetto di "accumulo":

«Scommetti su una relazione, non funziona; vai alla successiva, e non funziona neanche quella; forse non perdi solo la somma di due sottrazioni, bensì un multiplo di quanto avevi puntato. L’impressione è questa, comunque. La vita non è solo fatta di somme e sottrazioni. C’è anche l’accumulo, la moltiplicazione delle perdite, dei fallimenti».

La vita come un giallo, ci sono sempre nuovi indizi per capire quello che è successo, dargli nuove interpretazioni.

Il senso della fine è questo. «C’è l’accumulo. C’è la responsabilità. E al di là di questo, c’è il tempo inquieto. Il tempo molto inquieto».

Oh, però voi lottate eh, non vi fate trasportare, siate nocchieri!! :))



Recensione a cura di Paolo Mario Buttiglieri - Uqbar Love

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