lunedì 3 febbraio 2014

Tempi satanici - Occhio trucido ed "estetica" sanguinaria

Critica dell'estetica sanguinaria


Oggi scontiamo una realtà cruenta anche esteticamente, come rivelano le immagini ritraenti corpi umani mutilati, ibridi uomo-animali e mutanti mostruosi, sconcertanti nella loro vitrea espressività.

Ma è soprattutto la morte, a volte in diretta, di scoiattoli, zebre, squali, cani, cavalli, splendide e indifese farfalle, atrocemente sacrificati sull’altare dell’arte, a farci chiedere se una tale sanguinaria estetica non sia la premessa dell’anti arte e il segnale di un generale degrado dell’intera vita umana giunta, con tutto il suo corredo ipertecno-logico, al capolinea dell’abbrutimento.

Contrariamente a quanto si va scientificamente teorizzando sull’alterità animale - il cui contributo, secondo Roberto Marchesini, è stato “tutt’altro che passivo nel complesso ontologico dell’uomo”, al punto che bisognerebbe “riconsiderare i debiti referenziali contratti dall’uomo” con essa -, l’arte predilige la strada dell’abbattimento animale e del disfacimento estetico generalizzato, in funzione anche del convincimento che le due sfere, etica ed estetica, hanno finalità e percorsi diversi, pur quando è la carne ad essere massacrata e posta in croce in nome di una volontà estetica immemore che la violenza, a qualsiasi oggetto o soggetto si rivolga, non è altro che la risposta irrazionale ad una impotenza creativa ed esistenziale. Nonostante ciò, lo sterminio di animali in nome dell’arte prolifica indisturbato, dentro e fuori il recinto estetico, come se fosse un divertimento d’autore.

Questa che sembra essere l’impossibilità dell’uomo (e della critica) di reagire fermamente a tali gratuiti crimini, ricorda l’effettiva incapacità di opporsi alle correnti e alle onde marine da parte degli organismi nectonici, che così sono costretti a un continuo movimento trascinatore, per loro irreversibile!

Che non sia diventata l’arte un organismo nectonico di rilevanza psicopatologica, o, non piuttosto, un accurato e macabro divertissement fine a se stesso? Un divertimento la cui miseria non sta nell’astenersi dell’uomo dal pensare la morte, pensiero che secondo Pascal lo rendeva illusoriamente felice, quanto invece nella programmata reiterazione del gesto violento a scopo scandalistico. Che sia il corpo umano o animale ad essere ri-presentato in situazioni strazianti ed alienanti, non fa differenza: le ripugnanze visive, che se amplificate oltremisura degenerano nella nausea (morale) e nel barocchismo dello stupore (estetico), rimandano in chi le produce ad un preesistente e profondo, patologico, disturbo interiore. Niente di più può allontanarci dalla riflessione sulla morte che non sia la spettacolarizzazione di essa a fini estetico – commerciali…

Con queste prerogative l’arte è giunta oggi sulla soglia del post, umano e organico, con un accumulo di inquietanti quesiti che grondano più etica che estetica…. Tanto clamore attorno alla morte potrebbe essere un modo nuovo di esorcizzarla, ma nella maggior parte dei casi è l’accurato prosieguo di reiterati modi platealmente violenti e disgustosi; modi programmati e tutelati da una critica irresponsabile e da un mercato senza scrupoli che fanno leva sullo stupore per reclutare gli artisti da porre in vetta alla piramide dell’arte e del mercato.


Così è capitato per Hermann Nitsch (l’artista macellaio sanguinario per antonomàsia), per Damien Hirst, per Maurizio Cattelan e per Paola Pivi…

Come reagire di fronte all’aberrante azione di quest’ultima di togliere dalla loro nicchia ecologica alcune zebre per localizzarle sulle freddi nevi? Evidentemente la realtà della Pivi non è quella dell’etologo, secondo il quale le zebre sono “mammiferi i cui sensi risultano sviluppati; nessun rumore sfugge loro e anche la vista è molto acuta”.

È semmai una realtà crudele, masochista, che sarebbe giusto, una volta per tutte, rivolgere verso se stessi e lasciare così vivere tranquillante l’Anima…le che, a modo suo, si avvale di comportamenti migliori di quelli utilizzati dall’uomo.

Dislocare coattamente, dalle temperature caldissime delle grandi praterie africane al freddo gelido delle nevi, mammiferi di tale sensibilità è una violenza umana in nessun modo giustificabile 




L’elenco della morte in diretta o in differita di animali, ormai cavie dei nuovi laboratori estetici, è abbastanza lungo. Maurizio Cattelan, tanto per citare pochissimi esempi, con la sua opera Bidibibodibiboo (1996), espressione magico- rituale risalente a Mary Poppins, offre allo spettatore il suicidio in diretta di un docile scoiattolo. Invece un furbacchione e immorale artista costaricano, lega in una galleria d’arte un cane randagio costringendolo alla fame e alla sete. Perché? Il povero errante morirà di lì a poco, colpevole di nulla.

I luoghi preposti a questi crimini non sono più i macelli (Damien Hirst afferma di volerne costruire uno all’interno del suo studio), ma le gallerie d’arte che ad essi si sono sostituite, in ragione del generale sovvertimento estetico, morale e semantico…

A ridosso di una volontà produttiva funzionale al mercato dello stupore, nel linguaggio artistico tutto diventa, dalla zoologia all’informatica, dall’elettronica alla robotica, dalla biologia alla chirurgia plastica e all’ingegneria genetica, corollario estetico del memento mori: assillante promemoria della finitudine dell’uomo. Una finitudine umana a quanto pare carnefice, se per compensare la propria imperfezione rende l’Anima…le capro espiatorio. Ma, a differenza dell’uomo, esso non ha nessuna colpa primordiale da espiare, né pulsioni da rimuovere.

La differenza del patrimonio genetico tra uomo e primati è del due per cento. E questa differenza è nota solo all’uomo, così come è soltanto a lui nota la sua finitudine e la sua ipotetica superiorità sugli altri primati.


E se l’Anima…le si vestisse con i panni dell’artista, del politico, dell’insegnante, dell’impresario e del cibernauta, gli somiglierebbe?


L’uomo già vestito, truccato, sa cosa e come rispondere, mentre lo scimpanzé, il minorato del due per cento, non può, ma forse sa, rispondere. È meglio che permanga, in questo e in altro, muto e nudo! Gli Anima…li hanno una tale bellezza di forme e di colori variegati da poter fare a meno di qualsiasi tra-vestimento.


Vecchio, stanco e abbastanza deluso, tanto da scrivere: “È un errore supporre che l’uomo abbia ancora un contenuto o debba averne uno”, Gottfried Benn confidava al suo migliore amico F.W. Oelze qualcosa di sconcertante: “Quanto più invecchio tanto più mi sembra enigmatico ciò che l’uomo propriamente rappresenta in quanto fenomeno zoologico. Non è un animale, ma quello che egli è è talmente inquietante e infido che per giorni interi non posso più posare gli occhi su una faccia”. La parte angosciante e subdola dell’uomo non è riferita al suo essere biologicamente animale (fenomeno zoologico), perché egli “non è un animale”, ma al suo essere diventato culturalmente uomo; un uomo incapace di lealtà e di conforto: un uomo travestito.


C’è il timore che se l’uomo continuerà ad infliggere sofferenza e morte all’Anima..le, oltre che a se stesso e alla Natura, giungerà ad avere vergogna dei propri ed altrui occhi, non solo “per giorni interi”, ma per sempre.


E se non saprà vedere nel volto dell’Anima..le sofferente il proprio, allora le conclusioni pessimistiche di Gottfried Benn difficilmente potranno essere scongiurate: “Ci sono soltanto due cose: schifosa umanità e silenzioso, solitario soffrire - un confine che non si sposta! (…) Non esiste più un uomo, rimangono solo i suoi sintomi.”…

Giuseppe De Filippo


1 commento:

  1. Grande espressione dell'anima teutonica che già in Goethe ebbe massimi riverberi di antiche intuizioni. Ecco Gottfried Benn. Georgius.

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