1 SIRIA
2 EGITTO
3 LIBANO
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SIRIA: ELENCO DEI CONTENUTI
Armi chimiche in Siria: un nuovo incidente del Tonchino, 22 agosto 2013
Gas sarín en Siria: nueva operación de propaganda, 22 de agosto de 2013
Obama Had Plan For Syrian Chemical Attack False Flag, audio 21 agosto 2013
Deleted Daily Mail Online Article: “US Backed Plan for Chemical Weapon Attack in Syria to Be Blamed on Assad”, 15 giugno 2013
Guerra in Siria. Mons. Tomasi: sì al dialogo, no a intervento armato, 22 giugno 2013
Videomessaggio di Mairead Maguire, Premio Nobel per la Pace, al Popolo italiano, 10 maggio 2013
Torna la minaccia delle armi chimiche: intervista a mons. Giuseppe Nazaro, ex vicario apostolico di Aleppo, 24 agosto 2013
Siria No ad un’altra Libia – Appello di Madre Agnès-Mariam de la Croix, 7 settembre 2012
ALERTE INFO. Syrie: Barack Obama ordonne l’assassinat pur et simple de Bachar al-Assad , 22 agosto 2013
Impeach Obama ( blog )
Overpasses for Obama's Impeachment ( fb )
SIRIA: ARTICOLI
Armi chimiche in Siria: un nuovo incidente del Tonchino?
http://www.sibialiria.org/
L'opposizione siriana accusa l'esercito nazionale di aver ucciso centinaia di civili a Ghouta, a est di Damasco, con bombardamenti al gas sarin il 21 agosto (poco dopo l'arrivo degli ispettori dell'Onu sulle armi chimiche ), valicando dunque la linea rossa stabilita dall'occidente per l’intervento diretto (bombardamenti, no fly zone) in Siria. Il governo ritorce l'accusa contro i gruppi armati, e così fanno la Russia ma anche alcuni media, e diplomatici ed esperti, anche chiedendosi a chi conviene. Sibliairia, impegnata da tempo contro le menzogne che fomentano le ingerenze armate e le guerre anziché il negoziato e la pace analizza a) video e "testimonianze" trovando in diversi di essi incongruenze e probabili finzioni, e in tutti una mancanza di prove circa i responsabili; b) le analisi condotte anche da ricercatori oppositori di Assad che puntano il dito contro i gruppi armati; c) il susseguirsi di "allarmi armi chimiche"… La Redazione di Sibialira
L’opposizione siriana ha accusato le forze governative di aver bombardato con gas nervino uccidendo nel sonno centinaia di civili nell’area di Ghouta vicino a Damasco, all’alba del 21 agosto (in coincidenza temporale con l’arrivo degli ispettori dell’Onu e con la riunione del consiglio dei ministri europei, come è successo per molte altre denunce di massacri). Immediata la reazione internazionale, compresa la convocazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Sul presunto attacco esistono diverse versioni, alcuni video tragici e controversi e nessuna indicazione oggettiva su che cosa sia avvenuto e quali siano i responsabili.
Ancora una volta, tra i primi a diffondere la notizia è la rete saudita Al-Arabiya, non nuova a episodi di manipolazione. L’emittente rende note due versioni dell’accaduto: nella prima le vittime sarebbero 280, nella seconda 1.188. Altre cifre sono fornite dal Consiglio rivoluzionario militare:1.300 morti, dalla Coalizione nazionale siriana: 650, dai Comitati di coordinamento locale: 750.
L’Osservatorio siriano di Londra cita un numero più limitato di vittime, ma si sofferma sulla presenza di molti bambini.
La notizia verrà poi diffusa da Reuters, AP, AFP che parlano di 1.188, 100, 1100 morti ma che precisano che si tratta di fatti “non verificabili”.
Media mainstream, diplomatici e perfino fonti dell’opposizione dubitano che si tratti dell’esercito siriano
A prendere le distanze sembrano essere anche altri organi d’informazione, esperti e diplomatici.
L’esperto nel campo delle armi non convenzionali Gwyn Winfiled, in un’intervista a Repubblica il 22 agosto, sostiene che «L’attacco con agenti tossici ieri in Siria sembra avere tutte le caratteristiche di un nuovo incidente del Tonchino: un “casus belli” creato ad arte per giustificare un’escalation militare delle potenze straniere, come quello che nel ’64 autorizzò l’intervento americano in Vietnam ». L’autore della strage non è Assad: «È difficile credere che il regime di Assad lanci un’offensiva del genere in simultanea con l’arrivo a Damasco degli ispettori Onu incaricati delle indagini sulle armi chimiche. Come in ogni omicidio, l’investigatore dovrebbe chiedersi: cui prodest? Non giova certo al regime, che in ogni caso verrà incolpato». Winfield ritiene che possa essersi verificato un incidente nell’uso di un agente antisommossa, da parte di una delle tante e contrapposte fazioni dell’Esercito libero siriano.
Il corrispondente della BBC Frank Gardner, insospettito dalla “tempistica” si chiede: “Perché il governo di Assad, che recentemente sta riconquistando terreno sui ribelli, dovrebbe effettuare un attacco chimico, mentre gli ispettori delle Nazioni Unite sono nel paese?”
E così il diplomatico svedese ed ex ispettore Onu Rolf Ekeus, che ha dichiarato alla Reuters: “Sarebbe molto strano se fosse stato il governo a fare questo nel momento esatto in cui gli ispettori internazionali entrano nel paese …. per lo meno, non sarebbe molto intelligente.”
Anche lo svedese Ake Sellstrom, esperto di armi chimiche, che guida il gruppo di ispettori ha etichettato come “sospetto” l’alto numero di morti e feriti.
Perfino sul Jerusalem Post, Charles Lister, analista dell’IHS Jane’sTerrorism and Insurgency Center: “Logicamente, non avrebbe molto senso per il governo siriano impiegare agenti chimici in un momento simile, in particolare data la relativa vicinanza delle città di destinazione (al team delle Nazioni Unite)”.
E mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu a Ginevra: “Non si può, a mio avviso, partire già con un pregiudizio, dicendo che questo o quello sono responsabili. Dobbiamo chiarire il fatto, anche perché da un punto di vista d’interessi immediati, al governo di Damasco non serve questo tipo di tragedia, sapendo che ne è comunque incolpato direttamente. Come nel caso delle investigazioni di un omicidio, bisogna farsi la domanda: a chi veramente interessa questo tipo di crimine disumano?”
Il portavoce del ministero degli Esteri russo, Alexander Lukashevick, ha parlato di una “provocazione pianificata”, con un’aggressiva campagna orchestrata come a comando da media regionali, gettando la colpa sul governo. Il ministero russo, citando sue fonti, avanza l’ipotesi che da un’area controllata dall’opposizione sarebbe stato lanciato un missile di fattura artigianale contenente sostanze chimiche non identificate (come quelli che sarebbero stati usati nel marzo scorso per la strage di Khan el Assal, per la quale il governo siriano ha richiesto l’indagine degli ispettori dell’Onu, ndr).
Il portavoce del ministero degli Esteri siriano ha etichettato le accuse come “false”, e volte a “impedire alla commissione d’inchiesta internazionale di svolgere il proprio compito e influenzarne il rapporto”.
Ancora più dettagliato è il sito d'informazione (non filogovernativo) SyriaTruth che riconduce l'episodio a un progetto organizzato dalle"brigate turkmene" di Latakia e Damasco, in particolare "la bandiera dell'Islam" e “le brigate dei discendenti del Profeta". Secondo fonti dell'opposizione siriana a Istanbul e fonti turche, questi gruppi sarebbero riusciti ad ottenere elementi chimici da utilizzare in "massacri su richiesta" nella campagna di Latakia per commettere stragi di pulizia confessionale e a Damasco per alimentare la campagna mediatica internazionale. In particolare, come rivelato in una relazione pubblicata il 14 agosto scorso il massacro nei pressi della capitale sarebbe stato attuato all'inizio della terza settimana di agosto, in concomitanza con l'arrivo della squadra della commissione d'inchiesta internazionale a Damasco. La coincidenza con quanto scritto e quanto effettivamente accaduto è sconcertante.
Le “testimonianze” e i video
I video e le foto diffusi mostrano scene drammatiche, ma suscitano molti dubbi. Un esame completo sarà oggetto di un prossimo articolo.
1. Intanto, ammettendo che l’attacco sia avvenuto effettivamente, e che si possa collocare nelle prime ore del 21 agosto – questo sostengono le fonti dell’opposizione – come è possibile che alcuni video risultino caricati in rete già dal 20 agosto? Secondo tutti i siti degli oppositori sono iniziati i bombardamenti con armi chimiche alle 3 del mattino del 21.08.2013. Questo video, diffuso dall'opposizione anti-Assad è stato caricato in data 2013/08/20 su YouTube, e le immagini sono state girate chiaramente di giorno alla luce del sole.
Anche questi video sono stati caricati il 20 agosto
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Nonostante ciò questi video si sono immediatamente propagti in Rete, tradotti in più lingue e accettati da una distratta 'opinione pubblica come prove incofutabili delle conseguenze dell'attacco.
2. Come è possibile che in un’area fortemente contaminata – come dovrebbe essere quella interessata da attacchi chimici di simile portata – entrino tranquillamente civili, che si vedono in diversi video circolare senza alcuna protezione, e quello che viene presentato come personale medico e paramedico si aggiri senza precauzioni, senza neppure togliere dalle vittime i vestiti ancora contaminati, quando normalmente è necessario attendere ore o addirittura giorni prima di accedervi?
3. In quel giorno in quella zona è stato calcolato un vento tra i 23 e i 25 km/h: una situazione meteorologica tecnicamente poco adatta a un attacco chimico, dal momento che il vento avrebbe causato un importante numero di vittime anche nelle aree circostanti.
4. Perché in alcuni video compaiono anche immagini già diffuse per i massacri in Egitto e alcuni corpi vengono ripresentati in più scene in posizioni differenti?
5. Non c’è nessuna prova che questi video siano stati girati in Siria e in quel luogo. Inoltre non ci sono video dei morti nelle loro case o mentre vengono portati via.
6. Perché alcuni personaggi (anche questi presenti senza alcuna protezione in un’area teoricamente contaminata) si aggirano tra i corpi senza vita delle vittime facendo loro delle iniezioni?
7. A suffragare la “veridicità” dell’attacco con gas nervini testimonianze anonime. Non tutte. Repubblica, ad esempio, si affida a Elisa Fangareggi, presidente di una associazione fondata nel marzo del 2013 per lavorare nei campi profughi, che, riportando la testimonianza dei medici siriani della sua associazione (e afferma che sono scarsissimi in Siria, cosa nient’affatto vera) ripete quello che tutti sanno sugli effetti dei gas nervini sulle vittime arrivate in ospedale: incontenibile rilascio di urine e feci. Ma nessuno dei video che dilagano sulla Rete mostrano questo effetto sugli indumenti delle presunte vittime: qui; per non parlare, poi delle altre sintomatologie che si pretendono rappresentate qui o qui.
8. Qui si intervista anonimamente un uomo: dice di essere un medico che lavora per la detta associazione in un ospedale a 5 km da Damasco, vicino a Ghouta, e sostiene di aver soccorso molte persone colpite dal sarin, nell’ospedale in coordinamento con altri ospedali, contando un totale di 1.300 morti fra cui oltre 300 bambini (oltre a innumerevoli feriti incurabili). Ma di quali ospedali parla? Ospedali pubblici? I video sono stati girati in questi ospedali? Perché i video non sembrano mostrare scene di ospedali?
9. Tra le vittime civili risultano in tutto, come testimoniato a SyriaTruth da fonti dell'opposizione, 17 donne e 33 o 34 bambini, mentre gli altri sono armati. Dove sono il resto delle famiglie? Cosa ci facevano alle 3 di notte tanti bambini radunati insieme, visto che si tratta di una zona di scontri senza scuole o luoghi di aggregazione? Perché i bambini sono a terra come se non fossero in ospedale?
Cui prodest? Le circostanze e le coincidenze per un casus belli
1) Sferrare un attacco con i gas, tanto più in modo così incredibilmente massiccio, con molte vittime civili, significherebbe offrire ai paesi “interessati” un’ottima ragione per superare quella “linea rossa” minacciata da Obama, oltre la quale c’è una no-fly zone e successivi bombardamenti; o quantomeno offrire all’opposizione e ai paesi che la sostengono il destro per continuare a esercitare una fortissima pressione politica, economica e militare; gli stessi Usa hanno deciso di rifornire di armi gli oppositori proprio dopo aver sostenuto di essere in possesso di prove sull’uso delle armi chimiche da parte governativa.
2) E’ del 18 agosto l’arrivo del gruppo di inviati delle Nazioni unite in Siria per verificare l’utilizzo di armi chimiche nel paese. Proprio in questi giorni i tre si trovano nei pressi della capitale, mentre l’esercito sta nuovamente riconquistando terreno anche in quell’area da tempo sotto controllo dell’opposizione. Che senso avrebbe un simile attacco da parte dell’esercito arabo siriano?
3) Un’altra coincidenza: era fissata per il 21 la riunione del Consiglio dei ministri dell’Unione europea, all’ordine del giorno anche la Siria.
4) Si pensi poi che la zona interessata (i villaggi di Zamalka e Ein Tarma) è poco distante sia dalle zone residenziali principali della capitale, abitate per lo più da siriani filogovernativi, sia dall’aeroporto militare di Mezzeh. Perché, allora, si sarebbe dovuto fare un attacco chimico all’aperto, sapendo bene che gli effetti si sarebbero diffusi fino a 10 km di distanza, quindi anche fino a quelle zone?
5. Sempre Syriatruth: "Infine se l'esercito siriano avesse avuto intenzione di usare armi chimiche in questi due anni e mezzo avrebbe avuto diverse occasioni propizie, in particolare un anno fa quando combatteva contro circa 3000 elementi delle brigate armate asserragliate a Jabal al-Zawi, nelle montagne circondate da boschi, lì un attacco chimico non solo avrebbe risolto rapidamente la situazione, ma sarebbe anche passato tutto sommato inosservato, però non è stato attuato, perché farlo ora con la zona sotto la lente d'ingrandimento internazionale?"
Una storia che si ripete
A seguire una scheda su alcuni soltanto degli allarmi relativi alle armi chimiche in Siria (per non parlare della guerra scatenata da Bush contro l’Iraq nel 2003 con il pretesto delle armi di distruzione di massa). In molti casi hanno avuto un impatto favorevole all’opposizione armata.
Ricordiamo anche che diversi massacri sono stati puntualmente denunciati dall’opposizione proprio a ridosso di appuntamenti internazionali importanti.
SCHEDA ALLARMI ARMI CHIMICHE
Tratta da Repubblica con alcune aggiunte.
20 agosto 2012: Esattamente un anno fa il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, minaccia di intervenire se il regime di Assad supererà la “linea rossa” e userà il suo arsenale chimico.
Nel dicembre 2012 la Nato deve decidere l’installazione dei missili Patriot in Turchia. La settimana precedente si assiste a una escalation di allarmi per le armi chimiche. Sarebbero state già preparate per essere usate dai bombardieri siriani. Così le perplessità di Olanda e Germania cadono e i Patriot vengono installati, con la scusa che servono per difendere la Turchia da eventuali lanci di armi chimiche.
19 marzo 2013: almeno 30 persone muoiono quando un razzo, presumibilmente caricato con componenti chimici, colpisce Khan al-Assal, nella provincia settentrionale di Aleppo. Governo e ribelli si accusano a vicenda dell’attacco.
25 aprile: L’intelligence Usa afferma di avere indizi sull’uso di armi chimiche da parte del regime. Il segretario di Stato John Kerry precisa tuttavia che non ci sono prove certe.
6 maggio: Carla del Ponte, ex procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia, parla di prove sull’uso di gas Sarin da parte dei ribelli.
18 maggio: Assad accusa in un’intervista l’Occidente di usare l’espediente delle armi chimiche per giustificare un attacco contro la Siria, come avvenne con l’Iraq.
11 giugno: Le Nazioni Unite accettano un invito del governo di Damasco a recarsi in Siria per indagare sull’uso di armi chimiche a Khan al-Assal.
14 giugno: Gli Stati Uniti annunciano che la loro intelligence ha confermato i dossier sull’uso di armi chimiche da parte del regime e comincia a fornire assistenza militare ai ribelli.
9 luglio: La Russia annuncia che i suoi esperti hanno prelevato campioni di gas Sarin usato dai ribelli a Khan al-Assal e consegna un dossier di 80 pagine a Onu, Cina, Francia, Usa e Regno Unito.
24 luglio: AkeSellstrom, capo della commissione di inchiesta Onu, e Angela Kane, alto rappresentante Onu per il disarmo, si recano in Siria per negoziare i termini di un’indagine.
18 agosto: Una squadra di 20 membri, guidata da Sellstrom, arriva a Damasco per condurre indagini su tre siti che avrebbero subito attacchi chimici.
21 agosto: le forze di opposizione accusano il regime di aver usato gas nervino nei sobborghi orientali di Damasco. Viene convocata d’urgenza una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu richiesta da Usa, Francia e Gran Bretagna.
Gas sarín en Siria: nueva operación de propaganda, 22 de agosto de 2013
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egún el Ejército Sirio Libre, las autoridades sirias bombardearon con gas sarín la región de Ghoutta, en la periferia de Damasco, el miércoles 21 de agosto de 2013, causando en total 1 700 muertos. Esta alegación fue comentada de inmediato por las autoridades alemanas, británicas y francesas, que llamaron a una reunión urgente del Consejo de Seguridad de la ONU para que se autorice a los observadores de la ONU a investigar en el terreno. Las noticias al respecto están siendo repetidas constantemente por la prensa atlantista, que presenta además dichas alegaciones como hechos consumados.
Salta a la vista, sin embargo, la torpeza de esta nueva operación de propaganda. Como puede comprobarse a través de YouTube, los videos que supuestamente muestran la masacre cometida el 21 de agosto fueron publicados en YouTube por la cuenta identificada como «Majles Rif»… el 20 de agosto.
En las imágenes, impresionantes a primera vista, se percibe rápidamente una puesta en escena. Los niños afectados, que parecen desfallecidos o endrogados, no tienen madres que los acompañen. Los varones aparecen a menudo desnudos mientras que las niñas están completamente vestidas. Fuera de algunas cortinas plegables y varias bolsas de suero, no se ve ningún tipo de estructura médica ni equipamiento sanitario, ni siquiera de tipo clandestino.
Algunas de las fotografías difundidas ahora por la prensa atlantista ya fueron utilizadas anteriormente para acusar al ejército de Egipto de haber cometido una masacre en un campamento de la Hermandad Musulmana en El Cairo.
A partir de la madrugada y a lo largo de todo el día 21 de agosto, el Ejército Árabe Sirio bombardeó las posiciones de elementos del Ejército Sirio Libre que se habían reagrupado en el sudeste de la Ghoutta (la región agrícola colindante con la capital siria), zona de enfrentamientos cuya población civil ha sido evacuada desde hace meses. Las bajas de los grupos yihadistas parecen ser allí considerables y no se ha recurrido al uso de gases de combate, un arma que históricamente se utiliza sólo en caso de guerras de trincheras.
Las autoridades rusas han denunciado una nueva campaña de propaganda planificada de antemano, lo cual está siendo confirmado por la simultaneidad y la unanimidad conque los medios de prensa atlantistas están repetiendo a coro la versión del Ejército Sirio Libre, sin esforzarse por verificar los hechos.
Las autoridades iraníes señalan, por su parte, que el uso de armas químicas por parte de Siria sería totalmente injustificado y absurdo en momentos en que sus éxitos militares en el campo de batalla son ya innegables.
En Nueva York, al cabo de una reunión a puertas cerradas, el Consejo de Seguridad de la ONU expresó inquietud.
Ya en 2003, Estados Unidos utilizó la acusación de posesión y uso de gases de combate por parte del gobierno de Irak como justificación para agredir ese país. El entonces secretario de Estado Colin Powell llegó incluso a mostrar a los miembros del Consejo de Seguridad de la ONU una ampolleta de gas licuado como prueba de aquellas alegaciones. Sólo después de la destrucción de Irak, el propio Powell reconoció que aquellas supuestas pruebas eran falsas y que él mismo había mentido a la comunidad internacional.
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Deleted Daily Mail Online Article: “US Backed Plan for Chemical Weapon Attack in Syria to Be Blamed on Assad”
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Guerra in Siria. Mons. Tomasi: sì al dialogo, no a intervento armato
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La crisi in Siria si aggrava e rischia di allargarsi dopo le immagini sconvolgenti di morte giunte ieri dal Paese con la possibilità che siano state usate armi chimiche contro i civili, compresi donne e bambini. Civili che stanno sempre più fuggendo dalla Siria creando un dramma nel dramma. Ascoltiamo in proposito la riflessione di mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, al microfono di Sergio Centofanti:
R. – La comunità internazionale si sta giustamente preoccupando per gli ultimi sviluppi in Siria, che hanno fatto decine e decine di morti. Primo punto da osservare mi pare sia quello che il Santo Padre ha già sottolineato e cioè che la violenza non porta a nessuna soluzione e che quindi bisogna riprendere il dialogo per poter arrivare a Ginevra 2, dove i rappresentanti di tutte le componenti della società siriana possano essere presenti, esporre le loro ragioni e insieme creare una specie di governo di transizione. Per ottenere quest’obiettivo non si possono mettere condizioni che rendano di fatto impossibile questa iniziativa, come escludere l’uno o l’altro dei gruppi che sono coinvolti. Mi pare che questo sforzo sia assolutamente necessario per fermare la violenza. Occorre anche non continuare ad inviare armi sia all’opposizione che al governo. Non si crea certamente la pace, infatti, portando nuove armi a questa gente. Mi pare poi che per arrivare ad una giusta soluzione si debba evitare una lettura parziale della realtà della Siria e del Medio Oriente in generale. Ho l’impressione che la stampa e i grandi mezzi di comunicazione non considerino tutti gli aspetti che creano questa situazione di violenza e di continuo conflitto. Abbiamo visto in Egitto il caso dei Fratelli Musulmani, dove l’appoggio indiscriminato a loro ha portato ad altra violenza. Ci sono degli interessi ovvi: chi vuole un governo sunnita in Siria; chi vuole mantenere una partecipazione di tutte le minoranze. Bisognerebbe, quindi, partire dal concetto di cittadinanza, rispettare ogni cittadino come cittadino del Paese, e poi lasciare che le identità religiose, etniche, politiche, si sviluppino in un contesto di dialogo.
D. – In Siria ora si parla di attacchi con armi chimiche, anche se Damasco smentisce categoricamente...
R. – Non bisogna accelerare un giudizio senza avere sufficiente evidenza. La comunità internazionale, attraverso gli osservatori delle Nazioni Unite, che sono già presenti in Siria, potrebbe far luce su questa nuova tragedia. Non si può, a mio avviso, partire già con un pregiudizio, dicendo che questo o quello sono responsabili. Dobbiamo chiarire il fatto, anche perché da un punto di vista d’interessi immediati, al governo di Damasco non serve questo tipo di tragedia, sapendo che ne è comunque incolpato direttamente. Come nel caso delle investigazioni di un omicidio, bisogna farsi la domanda: a chi veramente interessa questo tipo di crimine disumano?
D. – C’è chi parla d’intervento armato, se fosse confermato l’attacco chimico...
R. – L’esperienza di simili interventi in Medio Oriente, in Iraq, in Afghanistan, mostrano che la strada dell’intervento armato non ha portato nessun risultato costruttivo. Rimane valido il principio: con la guerra si perde tutto.
Videomessaggio di Mairead Maguire, Premio Nobel per la Pace, al Popolo italiano
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Videomessaggio ( http://www.youtube.com/watch?
(registrato nel centro storico di Damasco, vicino al Patriarcato, il 10 maggio 2013)
Trascrizione (non sincronizzata con il video)
Voglio mandare un messaggio al popolo e ai politici italiani
Siamo qui in Siria su invito del movimento Mussalaha per la pace e la riconciliazione
Abbiamo visto le terribili sofferenze della popolazione siriana
Chiediamo che siano tolte le sanzioni economiche così da alleviare queste sofferenze
Riteniamo che non ci debba essere alcun intervento esterno in Siria
Il popolo siriano è unito nell’impazienza di arrivare alla pace
I siriani hanno iniziato un dialogo fra di loro ,hanno iniziato un processo di pace!
Non dobbiamo mandare armi, o addestrare combattenti stranieri, che torturano e uccidono i siriani
La comunità internazionale ha la responsabilità di sostenere chi all’interno della Siria è coinvolto in questo processo di pace per una soluzione pacifica e interna della crisi e per la riconciliazione.
Quanto alla “Conferenza di Doha”, è un gruppo illegale che dice di parlare per la popolazione siriana ma non la rappresenta affatto: la Siria ha i suoi rappresentanti eletti e nessuno da fuori ha il diritto di dire che la Siria non merita una partecipazione internazionale
Facciamo appello alla Lega Araba affinché reinserisca la Siria negli organismi plurinazionali e agli organismi internazionali, e ai governi, che hanno ritirato gli ambasciatori: ripristinate i rapporti. Nessun governo da fuori ha il diritto di deporre un leader finché il popolo non va alle elezioni e non sceglie liberamente.
M.C.
Torna la minaccia delle armi chimiche: intervista a mons. Giuseppe Nazaro, ex vicario apostolico di Aleppo
http://www.laperfettaletizia.
Il giudizio di Nazaro è chiaro: per capire cosa realmente succede in Siria bisogna prima fare chiarezza sulle dinamiche dei rapporti tra Occidente e il Medio Oriente
di Patrizio Ricci
Mons. Giuseppe Nazaro, francescano, già Vicario Episcopale per la zona del Cairo e dell’Alto Egitto e poi vicario apostolico di Aleppo, a ragione può essere considerato un profondo conoscitore della realtà siriana e mediorientale. Il suo punto di vista è inequivocabile: l’Occidente sta vivendo al suo interno una grave crisi economica e morale e sta palesando invece all’esterno un’idea distorta di progresso; tutto ciò in Siria si riverbera nell’incapacità di capire che la pace non si ottiene con la guerra.
D - L’intervento occidentale in Siria sembra di nuovo imminente: nonostante abbia negato, il governo siriano è accusato di aver usato armi chimiche. L’avrebbe fatto proprio a Damasco, dove gli ispettori Onu cercano la ‘pistola fumante’. E’ così o ci sfugge qualcosa?
R - Io ritengo che il Consiglio Europeo non abbia diritto ad intervenire per la semplicissima ragione che in tutto quello che è successo fino ad oggi l’Europa è fortemente coinvolta. L’Europa dovrebbe essere la meno titolata a parlare sia perché ha armato quella gente, sia perché fino ad oggi ha preso delle cantonate (ndr: le stragi di civili, avvenute in prossimità di ogni iniziativa di mediazione internazionale, si sono sempre rivelate ‘false flag’). L’Europa ha portato avanti esclusivamente un certo discorso senza mai voler guardare nell’altro campo cosa c’è.
D - Quali sono le ragioni per cui l’Europa appoggia i ribelli?
R - Secondo me (e posso sbagliarmi) l’Europa ha sposato la causa del commercio e in base a questo prende le sue decisioni. Adesso la situazione che c’è in Siria chi l’ha voluta? Chi l’ha patrocinata e chi la sostiene? In questi giorni i paesi del Golfo stanno sostenendo la causa dell’esercito egiziano, perché bisogna che combattano i terroristi: sono le notizie che ci dà la televisione italiana. Ebbene questi stessi paesi combattono Assad e sostengono i terroristi che sono in Siria. Allora, com’è possibile questa contraddizione?
D - E’ credibile che Assad abbia usato le armi chimiche a Damasco?
R - A mio avviso l’utilizzo delle bombe chimiche è tutto da provare. Se sono state utilizzate, non è certo chi le abbia gettate. Qualche tempo fa, un grosso sostenitore della ribellione siriana ha dichiarato ed ha scritto che se i terroristi fossero riusciti ad avere le armi chimiche avrebbero potuto usarle tranquillamente per lo scopo finale (ndr, la caduta di Assad). Perciò non è escluso che potrebbe venir fuori proprio lo scenario immaginato da questo personaggio che oggi si dice sia in mano ai terroristi: si gettano le armi chimiche, arrivano gli ispettori dell’Onu e s’incolpa il governo.
D - Come pensa si evolverà la situazione?
R - Il governo è già stato incolpato, c’è stata già la condanna finale da parte del ‘mondo’ e da parte dei mezzi di comunicazione: Al Jazeera e Al Arabiya hanno già stabilito chi sia il colpevole e con quello che loro dicono si è ‘aggiustata’ l’informazione. A questo punto, a mio avviso, dobbiamo riflettere tutti: chi stiamo sostenendo noi? Le cose stanno in questo modo, oppure come loro vogliono farle apparire, oppure ancora ci stanno prendendo in giro? Ma attenzione: è nel DNA del potere non rivelare quello che è e quello che pensa per poter fare poi ciò che vuole. Ci sono vie traverse per raggiungere un obiettivo. Oggi si sta giocando la carta del ‘fine giustifica i mezzi’. È il machiavellismo totale.
D - Ma non sono libertà e democrazia il fine della cosiddetta ‘opposizione armata’?
R - All’origine del dramma siriano c’è una guerra tra gruppi religiosi. I Paesi del Golfo stanno sostenendo l’Egitto perché è sunnita. Allora se la Fratellanza Mussulmana, come ci dicono, dovesse prendere il potere, non si fermerebbe là , andrebbe avanti contro di loro. E’ per questo che le potenze del Golfo si sentono minacciate . Ecco, questa è la ragione per cui oggi sostengono l’Egitto e combattono il governo siriano.
D - Non sta avvenendo una primavera siriana quindi…
R - Per come io la conosco, la Siria era già il paese islamico più democratico di tutto il Medio Oriente.
D - Di questo purtroppo però non se ne parla, non tutti sanno queste cose…
R - No! Non è che non lo sanno, non lo vogliono sapere. Guardi che non c’è più cieco di chi non vuol vedere e non c’è più sordo (o ignorante) di chi non vuol sentire (o ascoltare). E’ questa la situazione che noi abbiamo provato a combattere. Tutti siamo bravi a decidere sulla pelle altrui, perché non ci siamo in mezzo. Bisogna trovarsi là: ad esempio, quando l’esercito ha aperto il varco da Aleppo per far defluire la gente assediata da giorni, i terroristi hanno preso di mira i pullman, hanno fatto il tiro a segno sui pullman pieni di civili, li hanno bloccati e sequestrati, hanno lasciato la gente in mezzo alla strada senza nulla, come dire ‘arrangiatevi, fate quello che volete’. Nessuno ha parlato di questo, nessun governo, nessun giornale, radio o televisione ha parlato di questi fatti. È esattamente questa la questione: tutta l’informazione fornita è informazione voluta in un dato modo, volutamente destabilizzante. Cosicché poi chi detiene il potere può fare come vuole. Questa è un’immoralità, portata avanti fino ad oggi. Per questo io dico: che l’occidente se ne stia fuori. Non armi nessuno. Le armi a questi signori non gliele ho dato mica io o lei… gliele hanno date proprio questi governi che oggi pretendono di intervenire.
D - E’ un controsenso evidente; strano però che non si colga il paradosso e che si continui a dire che si agisce per la libertà dei popoli e per creare un futuro migliore all’umanità…
R - Non è un controsenso, perché tutti pensano solo alla spartizione finale della torta… Per creare la libertà dei popoli prima di tutto bisogna conoscere i popoli, conoscere la loro psicologia, la loro mentalità, il loro credo. Se non si conosce, è inutile intervenire negli affari altrui con il pretesto di risolvere i problemi: aumentiamo solo i guai. Posso sbagliarmi (e spero di sbagliarmi) ma mi sembra che si stia cercando di attirare l’attenzione sul vicino per distrarre l’attenzione su ciò che succede a casa propria…
D - Cosa si dovrebbe fare?
R - Ognuno dovrebbe occuparsi di casa propria e farsi un esame di coscienza per quello che si è fatto e per come si è agito. Ammesso che si abbia una coscienza, perché ormai è in dubbio anche questo. Perché è veramente ingiusto sacrificare un popolo per i miei interessi … Non posso distruggere una civiltà per portare avanti la ‘mia’ civiltà. La civiltà che noi stiamo distruggendo in Siria e in Egitto in passato ci ha insegnato molto… quanto dipendiamo da quella civiltà! E’ evidente che l’Occidente è in una grave crisi e c’è una visione distorta dell’uomo: noi stiamo praticamente distruggendo le basi di noi stessi.
Siria No ad un’altra Libia – Appello di Madre Agnès-Mariam de la Croix
http://www.sibialiria.org/
Mussalaha è una Rete composta da Siriani di tutte le religioni, laici, sacerdoti, parlamentari, esponenti di tutte le comunità etniche…che presta solidarietà alla popolazione siriana, che lavora per la pace
ALERTE INFO. Syrie: Barack Obama ordonne l’assassinat pur et simple de Bachar al-Assad
http://allainjules.com/2013/
Impeach Obama
http://overpasses.org/
Our Mission: Overpasses for Obama’s Impeachment has a simple goal.. The removal of the corrupt and criminal President of the United States of America, Barack Hussein Obama.His actions go unimpeded, our pleas through petitions unanswered. Our calls and letters to Congress are left ignored and unopened.Our only peaceful recourse is to take to the streets and overpasses of America and DEMAND that our nation be returned to We the People, and that Barack Hussein Obama be Impeached, removed from office, and held accountable for his actions while serving as President.America is in its greatest time of peril in since the Founding Fathers bravely fought in the Revolutionary War. Lady Liberty is calling YOU to stand up, to speak out, to take to the streets and DEMAND that the corrupt tyrant be removed from the White House, and all of those who colluded with him in his crimes against the United States be held accountable to the full extent of the law, with the maximum sentences handed down upon them.When you grow old, would you rather tell your grandchildren that you stood up for Freedom, or would you rather tell them you did nothing as America fell to the iron fisted grip of tyranny?NOW is your chance to honor the sacrifices of the Founding Fathers, and do your part to preserve their dream of truth, justice and liberty for ALL!JOIN US and SAVE AMERICA!Please visit the FORUM page to register and find the posts for your area.As time permits we will be updating and expanding this website with more resources to join this movement. In the meantime you can also visit the Facebook page and state groups there to get details to join with us.
Overpasses for Obama's Impeachment
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EGITTO
2013-08-21 AFRICA/EGITTO - “Ringrazio coloro che da tutto il mondo esprimono solidarietà al popolo egiziano” dice Mons. Zakaria
http://www.fides.org/it/news/ 53362-AFRICA_EGITTO_Ringrazio_ coloro_che_da_tutto_il_mondo_ esprimono_solidarieta_al_ popolo_egiziano_dice_Mons_ Zakaria#.UhbSf0hH7Mw
"...Mons. Zakaria ringrazia inoltre “coloro che da tutto il mondo hanno voluto esprimere la loro solidarietà con il popolo egiziano. Ho ricevuto telefonate dagli Stati Uniti, un Vescovo mi ha chiamato dalla Germania. Tutti hanno detto che hanno accolto l’appello di Papa Francesco per pregare per la pace per l’Egitto. È una solidarietà veramente incredibile che mi ha commosso”.
“È tutto il popolo egiziano che sta soffrendo, musulmani e cristiani sono uniti nel subire la violenza degli estremisti. Per questo chiedo a tutti di continuare a pregare per l’Egitto” conclude Mons. Zakaria. (L.M.) (Agenzia Fides 21/8/2013)".
2013-08-20AFRICA/EGITTO - “Siamo tutti chiusi in casa e le scorte alimentari stanno finendo” dice il Vescovo di Luxor
http://www.fides.org/it/news/ 53356-AFRICA_EGITTO_Siamo_ tutti_chiusi_in_casa_e_le_ scorte_alimentari_stanno_ finendo_dice_il_Vescovo_di_ Luxor#.UhSXpkhH7Mx
Il Cairo (Agenzia Fides)- “Sto piangendo per tutta questa umanità semplice, musulmani e cristiani, che risiede nei villaggi della zona che non ha niente perché le scorte alimentari stanno finendo e la gente ha paura di uscire di casa. Anche chi è benestante non può comprare il cibo perché tutti gli esercizi commerciali sono chiusi. Vorrei recarmi da loro per aiutarli ma non posso perché anch’io sono segregato in casa” dice all’Agenzia Fides Sua Ecc. Mons. Youhannes Zakaria, Vescovo copto cattolico di Luxor, che venerdì 16 agosto (il giorno delle manifestazioni indette dai Fratelli Musulmani per protestare per la destituzione del Presidente Morsi) ha subito un tentativo di aggressione.
“I manifestanti pro Morsi dopo essere stati cacciati via dal centro di Luxor, sono arrivati sotto il Vescovado gridando “morte ai cristiani”. Per fortuna la polizia è arrivata in tempo a salvarci. Ora polizia ed esercito stanno presidiando la casa con due mezzi blindati” racconta il Vescovo.
“A Luxor la situazione è critica anche se non come nel Basso Egitto (Minya, Assiut) o al Cairo. Comunque anche qua ci sono stati disordini nel corso dei quali diverse case di cristiani sono state bruciate. Dieci giorni fa, inoltre, in un villaggio qui vicino sono stati uccisi 5 cristiani e un musulmano” dice Mons. Zakaria. “Per motivi di sicurezza abbiamo cancellato le celebrazioni dell’Assunta, che qui si festeggia il 22 agosto e non il 15. Ognuno è chiusa nella propria casa. Io sono rinchiuso nel Vescovado da circa 20 giorni. Le forze di sicurezza mi hanno consigliato di non uscire” aggiunge Mons. Zakaria.
Secondo il Vescovo la campagna contro i cristiani inscenata dai sostenitori della Fratellanza Musulmana nasce dal fatto che “loro pensano che i cristiani siano la causa della caduta di Morsi”. “È vero- aggiunge- che i cristiani hanno partecipato alle dimostrazioni contro Morsi, ma erano 30 milioni gli egiziani, la maggior parte dei quali musulmani, scesi in piazza contro il deposto Presidente. Attaccando i cristiani vogliono gettare l’Egitto nel caos”.
Mons. Zakaria aggiorna le cifre sulle distruzioni subite dalle diverse confessioni cristiane negli ultimi giorni. “Sono state bruciate più di 80 chiese e diverse scuole cristiane. Ricordo che in Egitto la Chiesa cattolica gestisce da Alessandria fino ad Assuan più di 200 scuole dove alunni cristiani e musulmani siedono gli uni accanto agli altri”.
“Faccio mio l’appello di Papa Francesco perché si preghi per la pace in Egitto. Solo con il dialogo e con il rispetto reciproco si potrà uscire da questa drammatica situazione” conclude il Vescovo. (L.M.) (Agenzia Fides 20/8/2013)
Dal Cairo: “Pregheremo insieme nelle strade” , 17 agosto 2013
http://www.focolare.org/it/ news/2013/08/17/dal-cairo- pregheremo-insieme-nelle- strade/
«La Chiesa Copta sta dando una forte testimonianza: Papa Tawadros ha chiesto ai fedeli di non rispondere in alcun modo agli atti di violenza e ha detto: “Bruceranno le chiese? Pregheremo nelle moschee. Bruceranno le moschee? Pregheremo nelle chiese. Bruceranno entrambe? Pregheremo insieme nelle strade, perché siamo tutti egiziani”.
EGITTO : ELENCO DI ULTERIORI CONTENUTI
I PROMORSI E LA REPRESSIONE MILITARE
Video sul massacro in Egitto, 16 agosto 2013
Foto di un tiratore dei Fratelli musulmani 14 agosto 2013
US government targeting Egypt for destabilization, eventual destruction?, 12 agosto 2013
L’Egitto, la Siria e noi, 18 agosto 2013
SUL VUOTO DI POTERE DOPO LA RIVOLUZIONE NO MORSI DEL 30 GIUGNO 2013
Cairo: chi riempie il vuoto di potere, 9 luglio 2013
Usa/ John Ford scelto da Kerry come nuovo ambasciatore in Egitto.Ex capo della diplomazia siria basato in Turchia, 5 agosto 2013
Was Washington Behind Egypt’s Coup d’Etat? 4 luglio 3013
LA RIVOLUZIONE NO DITTATURA DEL 30 GIUGNO 2013: 33 MILIONI DI NO MORSI IN PIAZZA PER DIRE STOP FIDUCIA AI FRATELLI MUSULMANI
Egitto, l’appello di un ragazzo: fate sapere chi siamo , richiesta di sostegno morale al No morsi del 30 giugno 2013
Egypt-two years after mubarak morsi like hitler theyre killing the revolution 11 febbraio 2013
Intervista a Salah Adly, Segretario Generale del Partito Comunista Egiziano sulla situazione del paese, 17 agosto 2013
EGITTO - Il Patriarca Sidrak: Il popolo egiziano si è ripreso il Paese 2013-07-04
How president Morsi ousted himself. A too short overview. July 25, 2013Vescovo di Andropoli: Cristiani e musulmani in Egitto uniti per salvare il Paese dagli islamisti 20 agoosto 2013
EGITTO - 58 chiese distrutte. “Ma non è una guerra tra cristiani e musulmani” dice il portavoce dei Vescovi cattolici 19 agosto 2013
Video: Brutal Muslim Brotherhood attack on St. George church in Sohag, Egypt 15 agosto 2013
CHI E' ROBERT FORD?
“The Salvador Option For Syria”: US-NATO Sponsored Death Squads Integrate “Opposition Forces”, May 2012
¿Ayudó Obama de forma encubierta a los Hermanos Musulmanes de Egipto con 8 mil millones de dólares?
ARTICOLI
I PROMORSI E LA REPRESSIONE MILITARE
Egipto: 8 minutos de Terror http://youtu.be/x6Mnm9neSLc video
Egitto: https://twitter.com/ KhaledAdeeb/status/ 367561554859810816/photo/1 foto
People, show the world as begin tweeting in English. Pro Morsi protestors attack police forces with machine guns
http://www.presstv.ir/detail/ 2013/08/12/318321/us-death- squad-envoy-targets-egypt/
US government targeting Egypt for destabilization, eventual destruction?
Is the US government targeting Egypt for destabilization - and eventual destruction?
The recent appointment of death squad organizer Robert Ford as US Ambassador to Egypt suggests as much.
Ford’s appointment sends a clear message: US policymakers want to destroy Egypt in the same way they have destroyed Iraq and Syria - by using death squads and false-flag terror to incite civil war.
According to Global Studies professor Michel Chossudovsky, Robert Ford teamed up with notorious war criminal John Negroponte to apply the “Salvador Option” in Iraq in 2004. Chossudovsky writes: “The ‘Salvador Option’ is a ‘terrorist model’ of mass killings by US sponsored death squads. It was first applied in El Salvador (by Negroponte) in the heyday of resistance against the military dictatorship, resulting in an estimated 75,000 deaths.”
Today’s Egypt, like 1980s El Salvador, is experiencing a heyday of resistance against military dictatorship. And Egypt’s military dictatorship (like El Salvador's 1980s junta) has already resorted to the mass murder of anti-government activists. Will Robert Ford, an expert in organizing political mass murder, help the Egyptian regime slaughter tens of thousands of peaceful protesters?
No - it’s even worse than that!
In the past, the US government would straightforwardly help dictators mass-murder their own people. In 1965 Indonesia, for example, CIA-controlled death squads murdered roughly one million opponents of the Suharto regime. The CIA collected the names of prospective victims, trained the death squads, and unleashed them. Most of the million people murdered by those CIA death squads were brutally tortured before death. (The CIA, of course, schooled the torturers in their devilish techniques - as it has in dozens of countries around the world, including Morocco, where I did my Ph.D. research and met a CIA-schooled torturer.)
Today, the US is more interested in destroying Middle Eastern countries than in propping up Asian and Latin American dictators. So it has refined its use of death squads. Instead of simply murdering anti-government activists to prop up an American-owned puppet dictator, the US now sponsors death squads on both sides of the political-religious divide. The purpose: Create a civil war to weaken the targeted nation.
That is what Robert Ford’s “Salvador Option” accomplished in Iraq in 2004 - 2006. And it is also what Ford’s “Salvador Option II” accomplished in Syria in 2011.
In 2004, the Iraqi resistance was defeating the American invaders. So Ford and Negroponte used death squads and false flag terrorism to turn the various factions of the resistance against each other. They created US-sponsored “al-Qaeda” death squad units to brutally and indiscriminately attack Shia victims. And they encouraged (and in some cases manufactured) Shia retaliation - in the hope that it would alienate the larger Sunni community and lead to sectarian civil war.
The American “Salvador Option” team was responsible for many if not most of the “suicide bombings” targeting Iraqi civilians during those years. They would pay an Iraqi to drive a truck to a market or mosque, park, and await further instructions. The truck would then be blown up by remote control, and the Iraqi would be posthumously labeled a “suicide bomber.”
Ford and Negroponte used British as well as American false-flag terror units for some of their dirty work. One of those units, consisting of two British Special Forces officers dressed as Iraqis, was arrested by Iraqi police in Basra on September 19th, 2005. The Brits had been bombing mosques and markets in attacks blamed on “Iraqi sectarians.” When the two disguised British soldiers were arrested, their car was full of weapons and bombs. The day after their arrest, the British army destroyed the Basra jail, using tanks to demolish the walls, in order to recover their two false-flag terrorists, and protect them from the trial that would have exposed the crimes of Ford, Negroponte, and their British terror team in Basra.
Perhaps the most notorious US-sponsored false-flag attack in Iraq - presumably planned by Ford and Negroponte - was the bombing of the al-Askari “Golden Dome” mosque in Samarra on February 22nd, 2006. Witnesses in the neighborhood reported that prior to the bombing, US forces cordoned off the mosque and took control of it. There was absolutely no doubt in anyone's mind that the bombing was carried out by US forces, who were in complete control of the cordoned-off mosque when the bombs went off. Naturally, this US attack was blamed on “al-Qaeda.”
The net result of Ford and Negroponte’s false-flag terror campaign in Iraq was a civil war that still rages to this day.
The destruction of Iraq through death squads and false-flag terror was so successful that Ford was sent to Syria to do the same thing. In 2011, Ford was made Ambassador to Syria - and suddenly a wave of violence created the same kind of civil war that still rages in Iraq.
Syrian President Bashar al-Assad has belatedly realized that the violence in his country was created by false-flag terrorists. What happened was this: Ford’s death squads, consisting of well-trained professional killers, would station themselves on rooftops during US-incited anti-Assad demonstrations. At a designated moment, the snipers would begin firing. Some of the snipers would create the appearance that they were Syrian army soldiers firing at the demonstrators. Others, on a different rooftop, would create the impression that they were demonstrators firing at the soldiers.
Soon, the pro- and anti-Assad forces really were firing at each other.
Will Ford organize the same kind of mischief in Egypt?
Based on his record in Iraq and Syria, here is what we should expect: Ford and his team of US death squad organizers and false-flag terror experts (possibly including some of the people who blew up the World Trade Center) will create shootings and bombings blamed on “radical Islamists.” They will then encourage the Egyptian junta to arrest, torture, and murder even more peaceful protestors than it already has. Since the Egyptian military junta is basically an American militia, created and maintained by billions of dollars of US support, the puppet dictator el-Sisi will have to follow American orders... and plunge his country into civil war.
Does the US really want to destroy Egypt, as it has destroyed Iraq and Syria?
Apparently, yes. It is worth noting that the US covertly engineered the overthrow of democratically-elected President Morsi in part because Morsi had spoken out forcefully against Ethiopia’s plan to dam the Nile, steal most of Egypt’s water supply, and condemn much of Egypt's population to slow death.
Bottom line: The US, through its Ethiopian puppet, is planning a genocide that will kill tens of millions of Egyptians. And if any Egyptian leader tries to stop it, as Morsi planned to, he will be eliminated.
Why does the US feel the need to destroy Middle Eastern countries? Ironically, it isn’t even about US interests. It’s about Israel’s “Oded Yinon plan” to annihilate Israel’s neighbors and seize all the land between the Nile and the Euphrates for Greater Israel. That is why, as Gen. Wesley Clark revealed, Israel took over the US via the 9/11 coup d’état - with a plan to destroy “seven countries in five years” in service to Netanyahu’s “Clean Break” document, itself an update of the Oded Yinon plan to destroy the Middle East for Israel.
There is only one way to resist this impending genocide. All Middle Eastern people, regardless of religion or nationality, must unite and resist the Zionist-sponsored destruction of their lands.
KB/HSN
Dr. Kevin Barrett, a Ph.D. Arabist-Islamologist, is one of America's best-known critics of the War on Terror. Dr. Barrett has appeared many times on Fox, CNN, PBS and other broadcast outlets, and has inspired feature stories and op-eds in the New York Times, the Christian Science Monitor, the Chicago Tribune, and other leading publications. Dr. Barrett has taught at colleges and universities in San Francisco, Paris, and Wisconsin, where he ran for Congress in 2008. He is the co-founder of the Muslim-Christian-Jewish Alliance, and author of the books Truth Jihad: My Epic Struggle Against the 9/11 Big Lie (2007) andQuestioning the War on Terror: A Primer for Obama Voters (2009). His website is www.truthjihad.com.
L’Egitto, la Siria e noi
http://www.sibialiria.org/ wordpress/?p=1855
18 agosto 2013
Molte potrebbero essere le chiavi di lettura per commentare quello che sta succedendo in Egitto.
Ad esempio , evidenziare l'ipocrisia dell'Occidente che, dapprima con sanzioni e poi con l'intervento militare, ha scatenato una guerra alla Siria per aiutare i "ribelli" e che oggi non batte ciglio (anzi, Obama ha confermato gli aiuti militari ed economici) di fronte ai massacri che stanno insanguinando l'Egitto. Oppure, il ruolo del movimento Tamarod (Ribellione) che ha instradato i milioni di egiziani scesi in piazza per protestare sostanzialmente contro una mostruosa crisi economica – dettata dal Fondo Monetario Internazionale e aggravata dal rientro di un milione di emigrati che lavoravano in Libia prima della sua "liberazione" – unicamente verso l'inetta e corrotta "casta" del governo Morsi e dei "Fratelli mussulmani", trovando così "alleati" in ampi settori dell'oligarchia egiziana, nelle Petromonarchie (che aizzavano la folla promettendo favolosi "investimenti" in Egitto dopo la caduta di Morsi), e nello stesso esercito, (che, pure, aveva sempre sostenuto il governo). Oppure, il ruolo degli anonimi cecchini che, – così come agli esordi dell'aggressione alla Siria – trasformano le manifestazioni in scontri militari. Ci sarà occasione per approfondire questi argomenti. Per ora soffermiamoci sul ruolo dei "Fratelli mussulmani", una organizzazione – è bene ricordarlo – creata, nel 1928 dall'imperialismo inglese per contrastare i nascenti movimenti indipendentisti e "socialisti" arabi; e che, non a caso, una volta arrivata al potere nel 2012 in Egitto, si è affrettata a schierarsi con l'Occidente contro la Siria e a confermare il trattato militare e politico con Israele. L'organizzazione dei "Fratelli mussulmani" (oggi osteggiata dal Bahrain e Arabia Saudita, ma sponsorizzata da Qatar), e alla quale – è bene ricordarlo – appartiene anche Hamas, avrebbe tenuto una riunione a Istanbul il 29 luglio 2013 nella quale, per porre fine al loro logoramento politico in Egitto (dettato da una crescente crisi economica e dalle conseguenti proteste), veniva stabilito di porre le mani alle armi, rompendo quella politica di continui compromessi con l'esercito che aveva caratterizzato il governo Morsi. La conseguente mattanza (sopratutto, nella popolazione inerme) avrebbe trasformato i "Fratelli mussulmani" da mediocri politicanti in "martiri del sionismo e dell'imperialismo". Una indicazione politica che sarebbe stata data, soprattutto, dal Quatar. L'uscita dei "Fratelli mussulmani" dal governo egiziano senza reazioni clamorose, infatti, avrebbe potuto indebolire ancora di più i governi del partito Ennahdha in Tunisia e del presidente Erdogan in Turchia; per non dire dei "Fratelli musulmani" tra le forze anti Assad in Siria, oggi allo sbando e, sostanzialmente, surclassati da Al Qaeda. La scelta dei Fratelli mussulmani", quindi, sarebbe più funzionale ad uno scontro politico sul piano regionale che su quello interno egiziano. Certamente, queste considerazioni non possono giustificare l'inerzia che sta caratterizzando quello che resta del "movimento pacifista" di fronte ai massacri e alla "guerra di religione" che si sta profilando in Egitto. E per decidere il cosa fare e come, proponiamo come Redazione di Sibialiria una assemblea da tenersi nei prossimi giorni. Aspettiamo le vostre adesioni.
La Redazione di Sibialiria
SUL VUOTO DI POTERE DOPO LA RIVOLUZIONE NO MORSI DEL 30 GIUGNO 2013
Cairo: chi riempie il vuoto di potere
http://www.voltairenet.org/ article179371.html
di Manlio Dinucci 9 luglio 2013
a parola comincia con «c» ma non si può dire: così nei corridoi washingtoniani si descrive la posizione della Casa bianca di fronte al colpo di stato in Egitto. Essa condanna genericamente le violenze, dicendosi preoccupata per il «vuoto di potere» e sorpresa dagli eventi.
Funzionari del Pentagono assicurano, però, che il segretario alla difesa Chuck Hagel è sempre stato in «stretto contatto» con quello egiziano, il generale Abdel Fattah al-Sisi. Uomo di fiducia del Pentagono, perfezionatosi allo US Army War College di Carlisle (accademia militare della Pennsylvania), già capo dei servizi segreti militari, principale interlocutore di Israele, nominato meno di un anno fa dal presidente Morsi capo di stato maggiore e ministro della difesa.
Cinque mesi fa, l’11 febbraio, era stato convocato dal generale James Mattis, capo del Comando Centrale Usa, nella cui area rientra l’Egitto poiché svolge una «influenza stabilizzante in Medio Oriente», soprattutto nei confronti di Gaza. All’ordine del giorno (presente l’ambasciatrice al Cairo Anne Patterson), la «cooperazione militare Usa-Egitto» nel quadro della «instabilità politica» al Cairo.
Contemporaneamente Washington aveva annunciato la fornitura di altri 20 caccia F-16 e 200 carrarmati pesanti M1A1 (fabbricati su licenza in Egitto). Grazie a un finanziamento militare di 1,5 miliardi di dollari che gli Usa forniscono annualmente dal 1979 (secondo solo a quello dato a Israele), le forze armate egiziane posseggono la quarta flotta mondiale di F-16 (240) e la settima di carrarmati (4.000).
All’uso di queste e altre armi (tra cui quelle antisommossa made in Usa) vengono addestrate dal Pentagono, che ogni due anni invia in Egitto 25mila militari per l’esercitazione «Bright Star».
Così è stata creata la principale leva dell’influenza Usa in Egitto: una casta militare che nelle alte gerarchie ha anche un ramificato potere economico. Quella che ha sostenuto per oltre trent’anni il regime di Mubarak al servizio degli Usa, che ha assicurato la «ordinata e pacifica transizione» voluta da Obama quando la sollevazione popolare ha rovesciato Mubarak; che ha favorito l’ascesa alla presidenza di Mohamed Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani, per neutralizzare le forze laiche protagoniste della sollevazione; che ha deposto Mohamed Morsi quando la sua gestione ha provocato la sollevazione delle opposizioni laiche e dei giovani ribelli della Tamarrod.
L’altra leva dell’influenza Usa in Egitto è quella economica. Da quando Mubarak attuò le misure di privatizzazione e deregolamentazione volute da Washington e spalancò le porte alle multinazionali, l’Egitto, pur essendo grosso esportatore di petrolio e gas naturale e di prodotti finiti, ha accumulato un debito estero di oltre 35 miliardi di dollari. E, per pagare gli interessi di un miliardo di dollari annui, dipende dai «prestiti» di Usa, Fmi e monarchie del Golfo. Un cappio al collo della maggioranza degli 85 milioni di egiziani, circa la metà dei quali vive in condizioni di povertà. Da qui le spinte profonde alla ribellione e alla lotta per una reale democrazia politica ed economica. Che le gerarchie militari sono riuscite finora a imbrigliare presentandosi, di volta in volta, come garanti della volontà popolare.
Restano così le reali detentrici di quel potere funzionale agli interessi statunitensi e occidentali. La sollevazione diventerà vera rivoluzione solo quando le forze popolari, sia laiche che religiose, riusciranno a recidere questo legame neocoloniale, aprendo all’Egitto un futuro di indipendenza e progresso sociale.
Usa: John Ford scelto da Kerry come nuovo ambasciatore in Egitto
Ex capo della diplomazia siria
http://www.ilmondo.it/esteri/ 2013-08-05/usa-john-ford- scelto-kerry-come-nuovo- ambasciatore-egitto_304042. shtml
Was Washington Behind Egypt’s Coup d’Etat?
http://www.globalresearch.ca/ was-washington-behind-egypts- coup-detat/5341671
LA RIVOLUZIONE NO DITTATURA DEL 30 GIUGNO 2013: 33 MILIONI DI NO MORSI IN PIAZZA PER DIRE STOP FIDUCIA AI FRATELLI MUSULMANI
Egitto, l’appello di un ragazzo: fate sapere chi siamo ( richiesta di sostegno morale al No morsi del 30 giugno 2013 )
http://www.anordestdiche.com/ egitto-lappello-di-un-ragazzo- fate-sapere-chi-siamo/
Egypt-two years after mubarak morsi like hitler theyre killing the revolution
http://www.anordestdiche.com/ egypt-two-years-after-mubarak- morsi-like-hitler-theyre- killing-the-revolution/ 11 febbraio 2013
Intervista a Salah Adly: «La Fratellanza Musulmana è un’organizzazione fascista»
http://albainformazione. wordpress.com/2013/08/17/ intervista-a-salah-adly/
Intervista a Salah Adly, Segretario Generale del Partito Comunista Egiziano sulla situazione del paese.
Intervista pubblicata il 10 luglio 2013 su Nameh Mardom, organo di stampa del Comitato Centrale del Partito Comunista d’Iran (Tudeh)*
Salah Adly: Vorrei in primo luogo portare il mio saluto al Partito Tudeh d’Irán e augurargli successo nella sua lotta. Gradirei anche ringraziare il periodico Nameh Mardom per l’opportunità che mi sta dando per chiarire i grandi e storici avvenimenti che stanno avvenendo in Egitto.
Nameh Mardom: Secondo le recenti dichiarazioni del Partito Comunista Egiziano (del 3 luglio u.s.), vi siete riferiti al fatto che il movimento di proteste di massa è composto di diversi strati e classi sociali. Come si sono mobilitate queste classi e strati della società egiziana nella seconda ondata della Rivoluzione del 30 giugno?SA: Dallo scoppio della rivoluzione del 25 di gennaio del 2011, i movimenti di protesta non sono scemati, e le manifestazioni di milioni di persone non si sono fermate, vale a dire, si è mantenuta in piedi la mobilitazione rivoluzionaria delle masse, a volte perdendo forza e riprendendosi in altre occasioni. Anche le proteste e gli scioperi dei lavoratori si sono intensificate. Dopo il successo di Morsi e dei Fratelli Musulmani con la presa del potere, le masse hanno scoperto la loro natura autoritaria, il loro carattere fascista, il loro favoritismo per gli interessi dei settori più reazionari e parassitari del capitalismo, e la loro inettitudine nel dirigere uno Stato dalle dimensioni come quelle dell’Egitto. Oltre al loro tradimento degli interessi della patria e la disponibilità ad agire come il principale agente nel curare gli interessi degli USA e di Israele nella regione sono stati evidenti. Hanno negoziato la tregua a Gaza e hanno dato agli USA e ad Israele quello che nemmeno il regime fantoccio di Mubarak aveva loro concesso. Il loro progetto oscurantista e settario, che è ostile alla democrazia, alla scienza, alla cultura e alla tolleranza, si è reso molto evidente. Ancora più importante è che le masse hanno scoperto la falsità del loro uso delle parole d’ordine religiose per mascherare i loro piani al servizio del progetto imperialista del Grande Medio Oriente e del “caos creativo”.Per questo, il numero delle proteste sociali (scioperi, sit-in, concentrazioni e picchetti di protesta) è arrivato 7.400 – secondo quanto ammette lo stesso Mohamed Morsi – durante l’anno passato. L’indice di disoccupazione al 32%, la maggioranza dei disoccupati con livelli alti e medi di preparazione professionale. Il debito estero passato da 34 a 45 miliardi di dollari. Il debito interno è aumentato di 365 miliardi di lire egiziane durante il regno di Morsi in un solo anno. La proporzione di coloro che vivono sotto la soglia della povertà ha superato il 50% della popolazione. In sintesi, la maggioranza degli strati e delle classi della società e le loro forze politiche liberali, nazionaliste e di sinistra, così come i movimenti giovanili, nella loro maggioranza orientati su posizioni nazionaliste e di sinistra, più le principali istituzioni dello Stato, in special modo l’esercito, il potere giuridico, i mezzi di comunicazione e la polizia, hanno capito che c’era un grave pericolo come conseguenza della permanenza al potere dei Fratelli Musulmani, a causa del loro intenso sforzo di monopolizzare il potere, di escludere tutti colo che non sono dalla loro parte, oltre ai loro alleati fra i gruppi terroristi che utilizzano la religione come copertura.Inclusi ampi settori della borghesia egiziana media e grande nei settori del turismo, dell’industria, del commercio, dell’agricoltura e della costruzione hanno temuto molto per i loro interessi, come risultato della permanenza del governo dei Fratelli Musulmani, che ha creato un’atmosfera di caos, insicurezza ed instabilità.Il Movimento “Tamarud” (Ribellione) è riuscito a raccogliere più di 22 milioni di firme per richiedere il ritiro della fiducia a Morsi e sostenere la convocazione alle elezioni presidenziali anticipate. Tutti i partiti, sindacati ed organizzazioni hanno partecipato alla raccolta delle firme, e la campagna si è estesa nelle strade, nelle città, nelle fabbriche, scuole ed università, nei comuni e in tutte le province dell’Egitto. La grande importanza di questa campagna è che è stata capace di coinvolgere attivamente i cittadini egiziani nel movimento rivoluzionario per sconfiggere il governo della Fratellanza Musulmana. Inoltre ha restaurato il carattere pacifico e democratico dell’azione rivoluzionaria, ed ha formato la base per demistificare la falsa legittimità delle urne elettorali come unico criterio di legittimità nel sistema democratico. La convocazione per la raccolta delle firme è stata accompagnata con gli appelli alle dimostrazioni in tutte le principali piazze dell’Egitto il 30 giugno come dimostrazione della credibilità di questa campagna e della sua fondamentale base di legittimità rivoluzionaria delle masse per sconfiggere questo regime fascista e vincere il suo progetto di stato religioso.La risposta delle masse popolari egiziane è stata notevole, abbiamo assistito alle più grandi concentrazioni non solo della storia dell’Egitto ma del mondo. Fatto constatato dell’Index di “Google Earth”. Più di 27 milioni di persone hanno protestato contemporaneamente in tutte le province dell’Egitto, in rappresentanza di diverse classi e differenti strati sociali della società egiziana, di fronte alle concentrazioni della Fratellanza Musulmana e dei suoi alleati che non sono arrivati ai 200 mila manifestanti in una piccola piazza del Cairo. Per tanto, il popolo egiziano stava da una parte e la Fratellanza Musulmana e i suoi alleati dall’altro lato, isolati. Su questa realtà si deve basare qualsiasi valutazione o qualsiasi analisi politica.Pensiamo che ciò che è accaduto il 30 luglio è una seconda ondata della rivoluzione egiziana più forte e più profonda della prima del 2011. Ciò è avvenuto per correggere la traiettoria della rivoluzione e sottrarla all’estrema destra religiosa che ha cospirato per scippare la rivoluzione e “cavalcare l’onda” per metterla a servizio dei suoi obiettivi fascisti e reazionari e dei piani dell’imperialismo mondiale.
NM: Qual è il livello di partecipazione della classe operaia e dei lavoratori in questa protesta? Perché i lavoratori partecipano alla battaglia contro l’islam politico e per i diritti democratici?SA: Le fondamentali parole d’ordine della rivoluzione di gennaio sono state: pane – libertà – giustizia sociale – dignità umana. Questo è un passaggio essenziale della rivoluzione democratica nazionale ed è venuto dopo una lunga tappa storica che era cominciata a metà degli anni settanta dello scorso secolo, con il dominio del grande capitalismo dipendente ed un ciclo completo di regresso, arretratezza e tirannia. Durante questo periodo, le forze reazionarie, in alleanza con l’imperialismo mondiale e la reazione araba, sono riuscite a rafforzare un clima che ha permesso alle correnti dell’Islam politico – specialmente la Fratellanza Musulmana – di estendersi e crescere. Le forze di sinistra si sono indebolite, i lavoratori sono stati cacciati e le grandi industrie sono state liquidate, la qual cosa ha assestato un colpo a qualsiasi possibilità di realizzare uno sviluppo integrale.Di fatto, i lavoratori hanno partecipato alla maggior parte delle proteste che si sono intensificate dal 2006 e partecipano in tutte le manifestazioni popolari come parte del popolo e non come classe organizzata. Ciò è dovuto all’assenza di forti sindacati e di federazioni, a causa della lunga eredità di una tirannia e della repressione del governo per controllare le federazioni e i sindacati. Si deve anche ai grandi cambiamenti che hanno avuto luogo durante il periodo passato nelle correlazioni dei rapporti di classe e nella natura della composizione della classe operaia nei diversi settori. Nelle piccole e medie industrie controllate dal settore privato ai lavoratori è stato impedito la formazione dei sindacati. La classe operaia non è sorta in modo chiaro come classe nella rivoluzione. Come risultato della mancanza di unità effettiva tra le forze della sinistra e la sua debolezza nella tappa precedente, per molte ragioni che per motivi di spazio non menzioniamo qui, il movimento operaio non ha agito in maniera efficace ed influente in relazione alla dimensione della sua partecipazione ed i suoi grandi sacrifici nella rivoluzione.Inoltre è importante chiarire che i lavoratori del settore pubblico hanno scoperto che la pratica e l’attitudine dei Fratelli Musulmani non si discosta dagli orientamenti del regime di Mubarak, addirittura erano peggiori. La Fratellanza Musulmana ha messo in pratica le stesse politiche relative alla continuazione del programma delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni dei prezzi, e non ha incrementato il salario minimo, una delle prime richieste della rivoluzione. Inoltre sono state ridotte le imposte agli imprenditori, hanno continuato con la privatizzazione dei servizi e si sono negati ad applicare il programma di assicurazione sulla salute. Hanno insistito con la vendita e l’ipoteca degli attivi dell’Egitto e delle sue istituzioni attraverso il progetto dei “buoni islamici”, che si sono affrettati ad approvare nel Consiglio della Shura (la camera alta del parlamento) controllata dalla Fratellanza Musulmana. Il fatto più pericoloso è stato il rifiuto di approvare la legge per garantire la libertà di istituire sindacati, che avevano accordato con tutte le forze politiche e le correnti sindacali prima della rivoluzione, e hanno rimpiazzato con i loro propri uomini la gente di Mubarak che era rimasta a dirigere la Unione Generale dei Lavoratori Egiziani controllata dal governo. Questa è la base sociale e democratica per la quale la classe operaia si è indirizzata a favore della rivoluzione contro il dominio dei Fratelli Musulmani e le forze dell’Islam politico, oltre alle altre ragioni che abbiamo indicato prima.Chiunque pensi che i lavoratori si rivelino solo per questioni di partito o ragioni economiche si sbaglia. I lavoratori sono molto coscienti dei pericoli della destra estremista religiosa e le sue pratiche fasciste negli ambiti democratico, politico, economico, sociale e nazionale.
NM: Nelle sue dichiarazioni, il PC Egiziano definisce gli attuali avvenimenti una rivoluzione. Qual è la natura, quali sono i compiti e i bisogni urgenti di questa rivoluzione?SA: Sì, quello che sta accadendo è una rivoluzione. Per essere precisi, è la seconda ondata della rivoluzione del gennaio 2011, giacché la sua prima ondata è stata abortita dovuta al fatto che è stata scippata dalla Fratellanza Musulmana nonostante questa organizzazione non abbia partecipato alla sua preparazione, né la caldeggiata né l’ha fatta. Questa è una rivoluzione democratica con un chiaro orientamento sociale e patriottico. Una rivoluzione in gestazione, in sviluppo ed ampi strati sociali e diverse forze politiche (liberali, nazionaliste e di sinistra) vi partecipano. Con la continuazione della marea rivoluzionaria, la verità circa le distinte posizioni adesso è più chiara, e gli orientamenti di ognuna di queste forze e la loro volontà di continuare il percorso di questa rivoluzione si sta rivelando.I primi compiti democratici della rivoluzione consistono nel promulgare una nuova costituzione civile e democratica che si basi sui diritti umani, i diritti delle donne e i diritti sociali ed economici a favore delle classi lavoratrici, e che non neghi il diritto del popolo a scegliere il suo sistema politico ed economico nel futuro concordemente alle correlazioni di forza. Per questo, l’obiettivo di sconfiggere l’attuale costituzione settaria, reazionaria e distorta (imposta dalla Fratellanza Musulmana), e non solo modificarla o emendarla, è un obiettivo fondamentale per le forze democratiche e progressiste nel momento attuale.Uno dei compiti della rivoluzione democratica si basa anche nella libertà di formare sindacati, partiti politici e associazioni senza l’intervento governativo; il rifiuto della formazione di partiti su base religiosa e settaria; la piena uguaglianza di uomini e donne in termini di diritti e doveri; l’uguaglianza di fronte alla legge e la lotta contro tutte le forme di discriminazione religiosa o di altro tipo.Tra i compiti sociali abbiamo la formulazione di un piano per lo sviluppo sociale indipendente ed integrale, sulla base dello stimolo dei settori produttivi, con la necessità di una equa distribuzione della ricchezza e dei prodotti dello sviluppo a beneficio dei poveri e degli sfruttati, nonché la soddisfazione delle più urgenti necessità sociali. Le principali priorità tra queste richieste sono: stabilire minimi e massimi salariali, e la regolazione dei prezzi; la cancellazione dei debiti dei piccoli contadini; la redistribuzione della scelta dei finanziamenti per incrementare la spesa per la salute e l’educazione; garantire gli alloggi alle persone con basso reddito; aumentare le imposte ai ricchi; recuperare la proprietà delle imprese del settore pubblico che sono state saccheggiate;nonché la lotta contro la corruzione.Gli obiettivi nazionali sono: opporsi alla dipendenza degli USA; negarsi a soccombere alla egemonia sionista; emendare l’accordo di Camp David; restaurare il ruolo nazionale dell’Egitto nell’ambito arabo, africano, regionale e internazionale; e approfondire le relazioni con i popoli ed i paesi del Terzo Mondo.
Nameh Mardom: Gli avvenimenti attuali in Egitto rappresentano un rifiuto dell “Islam politico” o solo il rifiuto della Fratellanza Musulmana da parte del popolo egiziano?Salah Adly: I Fratelli Musulmani sono l’organizzazione più efficace ed influente dell’Islam politico. Il resto delle organizzazioni, come i gruppi salafiti e jiadisti, sono alleati della Fratellanza Musulmana ed hanno con loro partecipato nell’ultima battaglia per difendere il loro regime, poiché sanno che la loro sconfitta significherebbe una sconfitta importante per il progetto islamista settario che è sostenuto dal governo degli USA come alternativa ai regimi autoritari che stanno crollando. Solo il partito salafita al-Nour è stato escluso da questa alleanza nell’ultima battaglia a causa della sua adesione con l’Arabia Saudita, siamo comunque coscienti che si tratta di un partito reazionario, settario e ostile ai diritti umani e ai diritti delle donne e delle minoranze, incluse le altre sette islamiche. Ciò si è reso evidente con la sua intenzione di assassinare gli sciiti i cui corpi sono stati trascinati per le strade nel massacro orribile che ha avuto luogo in un paese il mese passato.Siamo convinti che la battaglia non sia ancora terminata e che sia necessaria una lotta culturale, politica e sociale per schiacciarne la resistenza e cambiare il clima generale che ha dominato per decenni.Ci piacerebbe inoltre chiamare l’attenzione sul fatto che ciò che accade in Egitto non è solo uno scontro tra i Fratelli Musulmani e i suoi alleati della destra religiosa, contro le istituzioni di sicurezza dello Stato. Di fatto, adesso si stanno scontrando con il popolo egiziano tutte le sette e le correnti, allo stesso modo contro tutte le istituzioni dello Stato, incluso il potere giuridico i mezzi di comunicazione e la cultura. Nei quartieri e nei piccoli centri, i Fratelli Musulmani si scontrano adesso con le masse del popolo egiziano, poiché hanno senza dubbio perso l’appoggio di ampi settori della popolazione durante gli ultimi due anni. Senza dubbio, senza dubbio le forze di sicurezza e l’esercito ricopriranno un ruolo importante nello scontro con le loro milizie terroriste armate.In sintesi,quella che è avvenuta è una grande sconfitta del progetto della destra religiosa in generale, e non solo per il progetto dei Fratelli Musulmani. Tutto ciò avrà importanti ripercussioni nella regione nel prossimo periodo.
NM: Qual è la sua opinione relativa agli argomenti secondo i quali la destituzione di Morsi sia antidemocratica poiché eletto democraticamente in accordo con la nuova Costituzione che è stata ratificata con un referendum? Morsi è stato sconfitto dall’Esercito Egiziano?SA: Coloro che hanno sconfitto Morsi sono gli oltre 22 milioni di cittadini del popolo egiziano che hanno firmato un documento con il proprio nome, numero di carta di identità e provincia, scritto di persona e a mano, oltre che in Internet, in un referendum senza precedenti che è sfociato nella “grande mobilitazione” di 27 milioni di cittadini nelle principali piazze il 30 giugno, una mobilitazione che si è mantenuta per quattro giorni consecutivi. Morsi è stato a sconfiggere la propria legittimità quando emise la propria dichiarazione costituzionale dittatoriale nel novembre del 2011. Morsi è stato il responsabile quando ha devastato i diritti umani quando i suoi sostenitori terroristi hanno circondato la Corte Costituzionale, quando le sue milizie hanno torturato i manifestanti davanti al palazzo al-Ittihadyah [Il palazzo Presidenziale], come è stato dimostrato dalle indagini della Magistratura, e quando i suoi uomini hanno ucciso i manifestanti davanti alla sede del Partito Libertà e Giustizia (braccio politico della Fratellanza Musulmana), conformemente agli ordini dettati da leader del gruppo e suoi associati, come gli assassini hanno confessato davanti al magistrato. Morsi è stato colui che ha rinnegato le promesse che aveva annunciato che giorno che riuscì ad emendare la Costituzione e formare un governo di coalizione. Lui ed il suo gruppo hanno insistito a sottomettere il paese al Fondo Monetario Internazionale, ed hanno anche dichiarato la Jihad contro la Siria in una conferenza delle forze jihadiste terroriste senza consultare l’esercito né il Consiglio di Difesa Nazionale.Pertanto, tutti i partiti politici e tutte le forze, e persino il partito salafita al-Nour, che ha abbandonato la nave di Morsi poiché stava affondando, hanno appoggiato l’appello alle elezioni presidenziali anticipate. Tale appello non è un colpo di stato contro la democrazia, piuttosto proviene dal cuore della democrazia popolare quando quale presidente tradisce il suo impegno con il popolo e del suo programma sulla base del quale era stato eletto.Limitare la causa della democrazia alla sola “urna elettorale” è un tradimento totale dell’essenza della democrazia, ed una negazione esplicita del diritto dei popoli a ribellarsi contro i suoi autocrati governanti e i regimi fascisti che utilizzano la religione per occultare la propria natura reazionaria ed il proprio orientamento della destra capitalista.La difesa di Morsi da parte degli USA e degli stati capitalisti occidentali e presentare la situazione come un “golpe militare” contro la “legittimità costituzionale” è una posizione formale che nasconde il fatto che l’imperialismo mondiale è terrorizzato dalle rivoluzioni dei popoli e la loro capacità di andare oltre gli stretti limiti della borghesia democratica, che rappresenta, nell’essenza, la forma migliore per soddisfare gli interessi dei grandi imprenditori e dei monopoli ed i suoi agenti locali, nel controllo del destino dei popoli dei paesi del Terzo Mondo.Ciò che è accaduto in nessun modo può essere definito un colpo di stato militare, piuttosto un colpo rivoluzionario dato dal popolo egiziano per disfarsi di questo regime fascista. Ciò che ha fatto l’esercito è seguire la volontà del popolo e proteggerlo dai piani della Fratellanza Musulmana ed i suoi alleati terroristi armati che vogliono accendere lo scontro settario e la guerra civile, dividere l’esercito egiziano e distruggere le istituzioni dello Stato egiziano per servire gli interessi dell’Imperialismo e del sionismo nella regione.Che razza di colpo di stato sarebbe questo, dove milioni di persone riempiono le strade appoggiandoli? Che razza di colpo di stato è quello in cui il capo della Corte Costituzionale ha assunto il potere, come è stato richiesto dal Fronte di Salvezza, che comprende tutte le forze dell’opposizione con i suoi differenti orientamenti ed il movimento giovanile “Tamarud” (Ribellione), ed ha avuto l’appoggio di massa del popolo egiziano? Che razza di colpo di stato è quando si è formato un un governo composto da civili definiti nazionali, e che ha pienamente il potere durante il periodo di transizione non superiore ad un anno che terminerà con la promulgazione di una costituzione civile e democratica e con le elezioni presidenziali e parlamentari che tutto il mondo desidera? Che razza di colpo di stato è quello che permette il diritto alla protesta pacifica, incluso da parte dell’opposizione, e non impone uno stato di emergenza? La decisione di Al-Sisi, il comandante dell’esercito egiziano, nel quale ha esplicitato il percorso per la transizione (road map), è stato annunciato solo dopo aver conseguito il consenso attraverso un dialogo con i rappresentanti del popolo egiziano, tra questi i giovani di “Tamarud”, il rappresentante del Fronte di Salvezza Nazionale, lo sceicco di al-Azhar, il Papa copto ed una rappresentanza del movimento femminile. Gli egiziani hanno celebrato l’evento nella piazza principale, nei quartieri e nei paesi questa grande vittoria del popolo egiziano e l’accordo dell’esercito nazionale con tale decisione.Dobbiamo come ci insegna il marxismo, procedere a partire dalla realtà concreta e non limitare la nostra visione con idee rigide e predeterminate e formule precotte. Non per caso un fatto da evidenziare che i media occidentali fanno finta di nulla di fronte a tutto ciò? Non è strano che neghino di guardare la realtà di fronte a tutto ciò che sta accadendo ed insistono sul fatto che ciò che qui accade è un colpo militare?Senza alcun dubbio, stiamo coscienti della necessità di fare attenzione durante la prossima fase per garantire che il ruolo dei militari in questa tappa si limiti alla protezione delle persone e della sicurezza nazionale dell’Egitto e che rispetti le promesse di non interferire direttamente nelle questioni politiche. Perciò è necessario che il popolo rimanga nelle piazze per garantire la realizzazione delle sue richieste nella fase di transizione.*Versione in castigliano da Tribuna Popular – organo di stampa del Comitato Centrale del Partito Comunista del Venezuela
[Trad. dal castigliano per AlbaInFormazione di Ciro Brescia]
EGITTO - Il Patriarca Sidrak: Il popolo egiziano si è ripreso il Paese
http://www.fides.org/it/news/ 53107-AFRICA_EGITTO_Il_ Patriarca_Sidrak_Il_popolo_ egiziano_si_e_ripreso_il_ Paese#.UhG540hH7Mw
2013-07-04
AFRICA/EGITTO - Il Patriarca Sidrak: Il popolo egiziano si è ripreso il Paese Il Cairo (Agenzia Fides) - “Da ieri sera siamo in festa. Non abbiamo dormito. Il popolo egiziano si è ripreso pacificamente il suo Paese. E così ha mostrato al mondo che è un popolo civile, nonostante i grandi problemi che si trova a affrontare”. Così il Patriarca di Alessandria dei copti cattolici Ibrahim Isaac Sidrak descrive all'agenzia Fides l'atmosfera che percepisce nel Paese dopo la deposizione del Presidente Morsi da parte dell'esercito e la fine traumatica del governo egemonizzato dai Fratelli Musulmani. Il capo della Chiesa copta cattolica esprime appoggio alla road map delineata per uscire dalla crisi politica e stabilizzare il Paese: “Diversi segnali” spiega a Fides Sua Beatitudine “mostrano che stiamo sulla strada giusta. Non si ripeteranno gli errori della volta precedente, quando nell'euforia per la fine politica di Mubarak si perse di vista tutto il resto e molte cose rimasero nel vago. Stavolta hanno preparato bene i prossimi passi, oggi il nuovo Presidente provvisorio Adly Mansour presta giuramento, e si andrà avanti gradualmente verso il pieno ristabilimento dell'ordine democratico”. Il Patriarca copto cattolico non nasconde problemi: “Non possiamo dire di non avere timori. La situazione economica preoccupa, e rende tutti più esposti al rischio di essere manipolati dalle sirene della propaganda. I sostenitori militanti di Morsi sentono di aver perso, e su questo si possono innescare sentimenti di vendetta. Noi dobbiamo convincerli che nel Paese c'è posto anche per loro, che nessuno li rifiuta, ma devono essere e comportarsi da egiziani, come concittadini di tutti gli altri egiziani, e non puntare a instaurare un dispotismo religioso”. Secondo S. B. Sidrak “il popolo ha vissuto un anno nero e non accetterà mai di tornare indietro. Ma almeno cinque milioni di concittadini continueranno a sostenere le convinzioni radicali dei Fratelli Musulmani. Loro non vanno esclusi dalla scena politica, ma devono comportarsi come un partito politico, e non come uno strumento per imporre egemonie religiose. Ognuno può vivere la propria fede religiosa in moschea o in chiesa, senza tentare di imporre agli altri per legge i precetti religiosi”. (GV) (Agenzia Fides 4/7/2013).
How president Morsi ousted himself. A too short overview.
http://blogs.euobserver.com/ debeuf/2013/07/25/how- president-morsi-ousted- himself-a-too-short-overview/
Confusion all around in Egypt today. Everywhere discussions rage on whether or not the military did a coup, if June 30 was a second revolution or a protraction of the 2011 revolution. What to do with the Muslim Brotherhood, let alone president Muhamed Morsi who is being kept hidden somewhere for over two weeks? My cab driver declared going to a pro-Morsi protest although he absolutely did not want the Muslim Brotherhood or Morsi to reassume power. Confusing.However, the deep feelings of hatred that surface these days, are more cause for concern than the confusion. Many hate the Muslim Brotherhood and are willing to do anything to break the backbone of the organization. They’re convinced the MB are religious totalitarians. Others hate the military, the police and all things linked to the old regime as manifestation of all that went so very wrong in Egypt over the last decades. As for the MB, they hate everything that remotely smells like secularism. According to them, June 30 and all that preceded it, was one big conspiracy. Actually, all are somewhat right in a certain way.Who are the Muslim Brothers?The MB was founded in 1928 by a young Egyptian teacher, Hassan Al Banna. It is no coincidence that Mustafa Kemal Attatürk had abolished the Caliphate just a few years earlier. Al Banna was convinced that Egyptians were westernizing too much and that they had to become real Muslims again. He wanted to achieve his goal by two means: resistance to the British occupation of Egypt, but above all through education of the Egyptians themselves. For all intents and purposes, Al Banna was a kind of a missionary. He travelled all over Egypt, persuading as many Egyptians a possible to join his underground resistance movement.The MB combined religious education and social aid to the poorest. It made them immensely popular in no time. Egyptian and British authorities were less enthusiastic. They saw the MB as a subversive movement and quickly took action to suppress it. The Brothers were violent and murdered the Egyptian prime minister in the forties. A year later Hassan Al Banna himself was murdered.The average Egyptian never really completely trusted the MB and this for three reasons. First, there is the ambiguity regarding their ultimate objective. Do they aim to restore the Caliphate? Do they aspire worldwide domination? Do they seek to transform Egypt into some sort of Saudi Arabia? The second reason is congruent with the first: it being a secret organization. As with free-masons, there’s no public list of members and nobody knows their exact numbers. And although they deny it, the MB is organized on an international level. The secrecy has a lot to do with persecution but also gives way to all kinds of conspiracy theoriesThe third reason for mistrust is the fact that the MB used a lot of violence. Their most infamous act was the assassination of president Anwar Sadat. Despite the fact they have since disavowed violence, many are convinced that the Brothers are behind terrorist organizations as Gamaa Al Islamiya or Al Qaida. Al Zawahiri, Osama Bin Laden successor has a MB past. It is no coincidence that every Egyptian president was on a tense footing with the Brotherhood while simultaneously being forced to deal with them.
The 2011 revolutionWhen on January 25th the first mass protests filled Tahrir, MB executives declared that its members would not join. They choose evolution, not revolution. Nonetheless many young members joined the revolutionaries at Tahrir. On January 28th the MB realized that remaining on the side-lines was not an option and backed the revolution. That was important because if the organization is capable of one thing, it is raising huge crowds. That became apparent after Hosni Mubarak had fallen and the military leaders made some big errors. If Tahrir needed to be filled, the Brothers delivered. It have them an aura of good organizers that could speak for a large part of Egyptians.After all, the MB had the aura of the revolution and of decades of resistance to the dictatorship. Muhamed Morsi was pretty used to be in jail and he and many other leader of the MB still were imprisoned on January 25. Besides, they enjoyed the image of being ‘good Muslims’ and therefore honest people, as opposed to the corrupt regime. A third advantage they held over other opposition forces: they had a plan, the so-called Ennahda.
The 2011 electionsTherefore, it was no surprise the MB won the November elections in a very convincing way, with nearly 50% of the votes. The other contenders were divided, badly organized and made quite some campaign mistakes. On the subway, someone explained very plainly why he voted MB. He said: “To marry I must buy an apartment. I can’t do that if I lose my job. The economy must reboot. The MB is our best guarantee for that.”The enthusiasm in Egypt before, during and after the elections was enormous. People queued for hours to cast their true first vote. Politics and the meaning of the newly won liberty was discussed all over, the subway, the market, at the barber shop. After the elections huge numbers of Egyptians listened in on the sessions of parliament that were broadcasted live on radio. They did so in cabs, in the street, in tea houses. Every word was heard. That initiated the first downfall of the MB.Every Egyptian heard how chaotic the parliamentary debates were. They heard elected MB and Salafis table the most insane propositions. There was the representative that proposed to make it legal to have sexual intercourse with a spouse up until six hours after she died. It infuriated the average Egyptian. They voted for the MB to improve the economy not to discuss Islam. Popular support for the MB sank rapidly.
The 2012 presidential electionsI was sitting down with a few young revolutionaries the day before the first round of presidential elections. One of them suddenly questioned: ‘What if the second round is between Morsi and Ahmed Shafiq?’ That off course would be every revolutionaries worst nightmare. But voting for Shafiq was out of the question. He was Mubarak’s last prime minister. If Shafiq were to become president, the revolution would have been in vain. To the astonishment of many Egyptians that nightmare choice became reality.Although Morsi, and thus the MB, only got 25% in the first round, half the score of the parliamentary elections six months earlier, he got the most votes of any candidate. 75% didn’t vote MB, but that vote was divided. It was (and still is) the reality of the opposition: divided and lacking a common strategy. Yours truly suggested the revolutionary candidates endorsed Morsi in return for half the power and a veto right. It never came to an actual deal along those lines for lack of unity in the revolutionary camp.Nonetheless Muhamed Morsi accepted the proposal, live in the most important TV show on air. He promised to be the guardian of the revolution, the president of all Egyptians and to share power with the liberal opposition. He further promised to appoint a Coptic vice-president and a woman. What were the options available for the revolutionary voter? Letting Shafiq win or reluctantly voting for Morsi, hoping the promises were not hollow words.
Morsi’s broken promisesI stood in the middle of Tahrir amidst a Muslim Brotherhood crowd when Muhamed Morsi was declared winner of the presidential elections and thus the first elected president in the history of Egypt. The relief among those present was indescribable. It felt as if 85 years of persecution fell of the Brothers shoulders. It was the week I published a piece stating Morsi had a choice between cooperating and disappearing. And that if MB failed to live up to their promises, Egyptians fear of them would quickly turn to hatred. That is exactly what happened the past year.Still, Morsi was off to a good start. He deposed the hated military leader Tantawi and replaced him with the younger general Abdel-Fattah Al-Sisi. Tantawi was the face of the Supreme Council of Armed Forces (SCAF) that held all power in the days between Mubarak and Morsi. It was the same SCAF that deprived the president of power during the presidential election weekend by virtue of a hastily drawn up constitutional declaration. Having taken back that power in August Morsi was cheered on by many Egyptians. He had an approval rating of 80%.Other promises proved harder to realize. In his campaign Morsi had promised to solve Cairo’s traffic problems in a hundred days. And clean up the city. Off course, a hundred days having come and gone, there was not one traffic jam or pile of rubbish less in one of the world’s most chaotic cities. His promise of a woman and a Copt vice president weren’t fulfilled either. Instead he did appoint a widely appreciated judge.
The beginning of the end: the mini-coupNone of these shortcomings were the reason the atmosphere in Egypt shifted all of a sudden. To everyone’s surprise in November 2012, Morsi –by way of his spokesman- issued a new constitutional declaration stripping constitutional court judges of all power. He appointed a new general prosecutor. He further declared that the drafting of the constitutions was to be concluded within the week and to be followed by a referendum in two weeks on a text written almost exclusively by Islamists.Revolutionary and liberal Egypt was infuriated. Instead of implicating them in the political process, they got pushed aside together with the entire judicial power. Again masses took to the street, protesting “the MB coup”. The MB resorted to armed mobs to disperse the protesters. Some people got dragged into the presidential palace where they were beaten and tortured. Revolutionaries of the first hour declared Morsi to be the new Mubarak. The vice president resigned in protest, as did all independent presidential advisors.The day after the so-called mini-coup I asked someone close to Morsi what was going on. He told me a incredible story. Morsi and the MB leadership were convinced of a major conspiracy orchestrated by opposition figures as Mohamed El Baradei, the media, judges, businessmen and elements of the old regime. Morsi and his brothers got entrenched in a bunker mentality of ‘us against everyone else’ they haven’t managed to let go since. It induced Morsi to commit mistake upon mistake. Dialogue had become impossible.
The tyranny of the majorityThere were several attempts to restore dialogue. The first one was made by the new army commander, general Sisi during the protests against the mini-coup. Morsi refused Sisi’s invitation. Instead he organized his own dialogue between his advisors, the resigning vice-president and the opposition. By that time, the opposition had lost all faith. And it has to be said, the opposition was also divided to the extent that any strategy beyond boycotting seemed impossible.But despite the divisions the opposition organized itself in the National Salvation Front, headed by Baradei. Once the interlocutors had become clear, the European Union endeavored a kind of compromise in order to share power between the MB and the opposition. Morsi should replace his prime minister and allow the opposition access to five cabinet positions. The electoral law should be adapted according to the remarks made by the Supremer Constitutional Court. The hated general prosecutor should be replaced. European diplomacy chief, Catherine Ashton herself came to Cairo to give this proposal a final push. All seemed to agree. But Morsi did not respond. The political leadership of the MB was divided…Instead of trying to close the gap, a campaign was launched against leading political and media figures. Journalists were detained. Liberal politicians were accused of spying, of heresy, of conspiring. Even the very popular satirist Bassem Youssef was prosecuted and questioned. Morsi’s approval ratings fell from 80 to 30 percent in less than seven months. More and more people saw him as the president of the Muslim Brothers rather than the president of all Egyptians. Those that had voted for him felt cheated. In the presidential elections they had overcome their deep doubts and anxieties in the name of the revolution. Now they felt betrayed by Morsi.
The youth rises against MorsiAtop of all the political mistakes, Egypt was doing ever worse economically. There were daily power an water cuts? Petrol shortages became a general nightmare, causing enormous traffic jams at every filling station. Living got a lot more expensive as Egypt’s pound fell. If it hadn’t been for financial aid from Qatar and Libya, Egypt would probably have gone bankrupt in January.In April some youth had the idea of starting a petition demanding precipitated presidential elections. A big demonstration was planned for June 30th, the first anniversary of Morsi’s oath of office. To their own surprise the response to the petition was overwhelming. Pretty soon they had gathered 2 million signatures. The military realized: June 30 was going to be huge and dangerous. The hatred ran deep. The Army decided on contacting the founders of the Rebel movement (Tamarod) and offered to provide security on the condition of a peaceful demonstration.Meanwhile the petition amassed an increasing and spectacular number of signatures (it is said that by the end there were 22 million), making everyone realize this would end in an enormous clash between those that saw Morsi as a new dictator (betraying all ideals of the revolution) and the MB (that insisted on respect for election outcome). The days leading up to June 30th already saw some skirmishes and casualties.
The role of the Egyptian ArmyThe army is highly respected in Egypt. Particularly because as all other institutions seem to fail, the military often appeared the only one that could get things done. Even as it holds a large chunk of the country’s economy (figures vary from 20 to 40 percent), it is considered the only factor to put the country’s interests first. During the 2011 revolution the army chose not to intervene, which meant choosing the side of the protesters in Tahrir. In the end, it was the military that deposed Mubarak.Of course Morsi too saw June 30 approaching. But instead of searching for a solution, he was looking for ways to divert the people’s attention and to try to gather them behind him. All of a sudden there was the problem of the Nile dam in Ethiopia and the threat of war. The sentencing of NGO employees drew anger in Europe and the US. And suddenly, in front of a packed soccer stadium Morsi changed his Syria strategy and called for a jihad against Assad. At the same time Morsi refused to take tough measures to tackle the anarchy and violence in Sinai where several soldier were kidnapped.Thus, in June the army saw the convergence of two phenomena. On the one hand a big clash between Morsi opposers and supporters with the potential to grow into a kind of civil war. On the other hand the army saw a president willing to risk national security for political reasons. And this even leaves out the economic consequences of all of this for a country already on the brink. General Sisi made multiple attempts to persuade Morsi to engage in dialogue with the opposition. Morsi not only refused to listen to him, the political office of the MB decided secretly to replace Sisi and a number of other generals. A similar fate was bestowed upon a bunch of ‘conspiring’ judges and journalists.
The finale: June 30 until July 3The tension on the eve of June 30 was enormous. Everybody believed a massive and violent clash would ensue. Friends told me they were even prepared to die – or at least they were convinced that in the end that would be their fate. But when I went from Tahrir tot the presidential palace and back on June 30, I realized it was al over for Morsi. Never before had so many people taken the streets. Numbers varied from 15 to 33 million Egyptians. Whatever the correct figure, it was clear to all that this was far bigger than the 2011 revolution itself. The protests were too big to fail.The question then was: what will the military do? Will it wait to intervene until the situation escalates completely into violence or will it try act preventively? General Sisi chose the latter. He gave Egyptian politicians (read: Morsi) 48 hours to come to a solution. Morsi rejected the ultimatum and gave a speech repeating allegations of conspiracies and foreign interference. The only ‘concession’ he made was the promise to hold parliamentary elections within six months.The army intervened, backed by the liberal opposition, de Coptic pope and the head of Al Azhar, the most renowned institute of Sunni Islam. They advanced a transition plan that was verbatim the one the Rebel-movement had proposed two weeks earlier. I was in Tahrir square when it was announced Morsi had been removed for office and replaced by the presiding judge of the constitutional court. The mood was ecstatic. Millions of Egyptians partied, danced and sang in the streets all night.
Revolution or military coup?Apart from MB themselves, few Egyptians consider the removal of Morsi a real military coup. Rather it is regarded as a second revolution with the military siding with the people, as was the case in the first revolution. Contrary to what it did in the first revolution in 2011, the army did not assume political control of the transition, but immediately presented a civil president and cabinet. However it is clear that the army continues to play an important role in Egypt, politically and economically, as it has for the past sixty years. Particularly in foreign policy it is and remains the military that sets out the boundaries.The massacre committed by the military among protesting Muslim Brothers raises serious questions of accountability though. Can anyone hold the military accountable? Or does the army remain an untouchable state within the state? As was the case in Malaysia or Turkey, it will probably take considerable time for the Egyptian army to be reined in to its appropriate role.The most important question however remains what will happen to the MB? Up until today, they refuse to accept Morsi’s removal as a fact and refuse to talk unless he is restored in his office. We will undoubtedly see more clashes in the weeks and months to come. Still overtures for talks – whether or not under the auspices of the EU – remain possible. In any case, for Egypt to make progress, it is necessary to find some sort of democratic modus vivendi. For this to happen, hate and mistrust will have to make way for something we learned to live with a long time ago in all democratic countries: compromise.
Vescovo di Andropoli: Cristiani e musulmani in Egitto uniti per salvare il Paese dagli islamisti
http://www.asianews.it/ notizie-it/Vescovo-di- Andropoli:-Cristiani-e- musulmani-in-Egitto-uniti-per- salvare-il-Paese-dagli- islamisti-28787.html
20/08/2013 14:21
EGITTO
Vescovo di Andropoli: Cristiani e musulmani in Egitto uniti per salvare il Paese dagli islamisti
Per mons. Golta, ausiliare della diocesi copta cattolica di Alessandria, Stati Uniti e Unione Europea vogliono imporre agli egiziani il dominio dei Fratelli Musulmani. Gli islamisti hanno promesso di risolvere la questione palestinese cedendo il 40% del Sinai ad Hamas. Musulmani pronti a difendere i cristiani a qualsiasi costo.
Il Cairo (AsiaNews) - "Cristiani e musulmani egiziani sono uniti per cambiare il Paese, i Fratelli musulmani invece sono un movimento internazionale a cui non interessa il bene dell'Egitto. Dopo la sua elezione Mohammed Morsi ha promesso di risolvere la questione palestinese, cedendo il 40% della penisola del Sinai e creare insieme ad Hamas un nuovo Stato per la popolazione di Gaza e la Cisgiordania. Tutto a scapito degli egiziani". È quanto afferma ad AsiaNews mons. Yohanna Golta, vescovo di Andropoli e ausiliare della diocesi di Alessandria per la Chiesa copta-cattolica. Il prelato descrive il drammatico clima di violenza in cui è piombato l'Egitto e punta il dito contro tutti quei Paesi che nascondono la verità dei fatti, ignorando l'opinione di milioni di egiziani e riducendo lo scontro politico a quello fra militari e Fratelli Musulmani."L'organizzazione dei Fratelli Musulmani ha un piano per costruire un califfato islamico - racconta mons. Golta - tale programma è internazionale e comprende Turchia, Qatar, Egitto e altri Stati musulmani". Per il prelato l'occidente è più interessato a risolvere la questione israeliana che ai desideri di democrazia degli egiziani. "La popolazione egiziana, soprattutto i giovani - continua - rifiuta questo piano. La rivoluzione del 30 giugno è avvenuta proprio per evitare distruggere il nostro Paese e l'esercito e la polizia per la prima volta si sono schierati con la gente. Tutti, donne, uomini, anziani, bambini, imam e sacerdoti cristiani hanno marciato insieme senza scontri. Io ero fra i manifestanti e ho sperimento questo clima di amicizia e unità". Il vescovo sottolinea che nel resto del mondo nessuno sta dando peso a questo evento epocale, preferendo scontrarsi sui cavilli della legittimità del governo di Mohammed Morsi. "La pace in Israele e Palestina - continua - fa comodo all'occidente, per questa ragione gli Usa rifiutano la nostra politica e vogliono realizzare il loro obiettivo: far tornare gli islamisti al potere".Mons. Golta sostiene che l'attacco contro le Chiese cristiane era stato preparato da tempo ed è parte di un programma premeditato. "In queste settimane - racconta - gli estremisti hanno distrutto chiese, abitazioni, musei e ingaggiato scontri con la polizia. E questo per mostrare al mondo che il Paese è nel caos e spingere i Paesi occidentali ad entrare in Egitto e obbligare la popolazione ad accettare il governo di Mohammed Morsi".
Tuttavia, secondo il vescovo chi ha vissuto sulla sua pelle i fatti delle ultime settimane conosce la verità, che non corrisponde alle notizie riportate dai media. "Il prezzo di questo caos oltre alle centinaia di morti negli scontri fra islamisti ed esercito - spiega - sono le oltre 40 chiese bruciate e le 500 abitazioni cristiane distrutte in modo deliberato". Mons. Golta critica chi continua a parlare di scontro confessionale: "I musulmani stanno difendendo i copti, organizzando cordoni di sicurezza intorno alle chiese (v. foto), alle case, ai negozi. Chi desidera lo scontro è solo una piccola minoranza, che non rappresenta l'Egitto. Stati Uniti e Unione Europea non vogliono vedere la realtà, ma solo ciò che a loro interessa, dicendo falsità e calpestando i desideri della popolazione egiziana". (S.C.)
EGITTO - 58 chiese distrutte. “Ma non è una guerra tra cristiani e musulmani” dice il portavoce dei Vescovi cattolici
http://www.fides.org/it/news/ 53348-AFRICA_EGITTO_58_chiese_ distrutte_Ma_non_e_una_guerra_ tra_cristiani_e_musulmani_ dice_il_portavoce_dei_Vescovi_ cattolici#.UhSQnUhH7Mw
Il Cairo (Agenzia Fides)- Sono 58 le chiese e istituzioni cristiane attaccate e incendiate in Egitto negli ultimi giorni. Lo comunica all’Agenzia Fides p. Rafic Greiche, portavoce dei Vescovi cattolici dell’Egitto. “Su 58 chiese attaccate 14 sono cattoliche, il resto appartengono alle comunità copto ortodosse, greco ortodosse, anglicane e protestanti” precisa p. Greiche. “Gli attacchi contro le chiese si sono verificati un po’ in tutto il Paese, ma sono concentrati soprattutto nelle aree di Al Minya e di Assiut, perché è là che si trova il quartiere generale dei jihadisti, responsabili di queste violenze” aggiunge p. Greiche .
“È da sottolineare- afferma il sacerdote- che i musulmani che abitano nei pressi delle chiese colpite hanno aiutato i religiosi e le religiose a spegnere gli incendi degli edifici di culto”.
“Questa non è una guerra civile tra cristiani e musulmani” enfatizza P. Greiche. “Non è una guerra civile ma una guerra contro il terrorismo. E la maggioranza della popolazione è contro il terrorismo e l’estremismo religioso” conclude p. Greiche. (L.M.) (Agenzia Fides 19/8/2011
Video: Brutal Muslim Brotherhood attack on St. George church in Sohag, Egypt , 15 agosto 2013
http://www.jihadwatch.org/ 2013/08/video-brutal-muslim- brotherhood-attack-on-st- george-church-in-sohag-egypt. html
CHI E' ROBERT FORD?
“The Salvador Option For Syria”: US-NATO Sponsored Death Squads Integrate “Opposition Forces”
http://www.globalresearch.ca/ the-salvador-option-for-syria- us-nato-sponsored-death- squads-integrate-opposition- forces/31096
This article was originally published in May 2012
Modeled on US covert ops in Central America, the Pentagon’s “Salvador Option for Iraq” initiated in 2004 was carried out under the helm of the US Ambassador to Iraq John Negroponte (2004-2005) together with Robert Stephen Ford, who was appointed US Ambassador to Syria in January 2011, less than two months before the beginning of the armed insurgency directed against the government of Bashar Al Assad.
“The Salvador Option” is a “terrorist model” of mass killings by US sponsored death squads. It was first applied in El Salvador, in the heyday of resistance against the military dictatorship, resulting in an estimated 75,000 deaths. ùUS–sponsored death squads carrying out their brutal work in El Salvador
John Negroponte had served as US ambassador to Honduras from 1981 to 1985. As Ambassador in Tegucigalpa, he played a key role in supporting and supervising the Nicaraguan Contra mercenaries who were based in Honduras. The cross border Contra attacks into Nicaragua claimed some 50,000 civilian lives. In 2004, after serving as Director of National Intelligence in the Bush administration, John Negroponte was appointed US Ambassador to Iraq, with a very specific mandate: the setting up of “Salvador Option” for Iraq.
The Salvador Option for Syria”: The Central Role of US Ambassador Robert S. Ford The US Ambassador to Syria (appointed in January 2011), Robert Stephen Ford had been part of Negroponte’s team at the US Embassy in Baghdad (2004-2005). In this regard, “The Salvador Option” for Iraq laid the groundwork for the launching of an armed insurgency in Syria in March 2011. In relation to recent events, the killing of 108 people including 35 children in the border city of Houla on May 27 was, in all likelihood, committed by US sponsored death squads under the “Salvador Option for Syria”. The deaths of civilians have been casually blamed by the Western media on the Al Assad government and the incident is being used as pretext for a “humanitarian” R2P intervention by NATO. Outright media fabrications, including the manipulation of images by the BBC suggest that the Syrian government was not behind the massacre:
“As information trickles out of Houla, Syria, near the city of Homs and the Lebanese-Syrian border, it is becoming clear that the Syrian government was not responsible for shelling to deaths some 32 children and their parents, as periodically claimed and denied by Western media and even the UN itself. It appears that instead, it was death squads at close quarters – accused by anti-government “activists” as being “pro-regime thugs” or “militias,” and by the Syrian government as the work of Al Qaeda terrorists linked to foreign meddlers.” (See Tony Cartalucci, Syrian Government Blamed for Atrocities Committed by US Sponsored Deaths Squads, Global Research, May 28, 2012)
Chronology of the Syria “Protest Movement”US Ambassador Robert S. Ford was dispatched to Damascus in late January 2011 at the height of the protest movement in Egypt. (The author was in Damascus on January 27, 2011 when Washington’s Envoy presented his credentials to the Al Assad government).
At the outset of my stay to Syria in January 2011, I reflected on the significance of this diplomatic appointment and the role it might play in a covert process of political destabilization. I did not, however, foresee that this destabilization agenda would be implemented within less than two months following the instatement of Robert S. Ford as US Ambassador to Syria.
The reinstatement of a US ambassador in Damascus, but more specifically the choice of Robert S. Ford as US ambassador, bears a direct relationship to the onset of the insurgency integrated by death squads in mid-March 2011 (in the southern border city of Daraa) against the government of Bashar al Assad.
Robert S. Ford was the man for the job. As “Number Two” at the US embassy in Baghdad (2004-2005) under the helm of Ambassador John D. Negroponte, he played a key role in implementing the Pentagon’s “Iraq Salvador Option”. The latter consisted in supporting Iraqi death squads and paramilitary forces modelled on the experience of Central America.
Ambassador Ford in Hama in July 2011
Since his arrival in Damascus in late January 2011 until he was recalled by Washington in October 2011, Ambassador Robert S. Ford played a central role in laying the groundwork within Syria as well as establishing contacts with opposition groups. The US embassy was subsequently closed down in February 2012.
Ford also played a role in the recruitment of Mujahideen mercenaries from neighboring Arab countries and their integration into Syrian “opposition forces”. Since his departure from Damascus, Ford continues to oversee the Syria project out of the US State Department:“As the United States’ Ambassador to Syria—a position that the Secretary of State and President are keeping me in —I will work with colleagues in Washington to support a peaceful transition for the Syrian people. We and our international partners hope to see a transition that reaches out and includes all of Syria’s communities and that gives all Syrians hope for a better future. My year in Syria tells me such a transition is possible, but not when one side constantly initiates attacks against people taking shelter in their homes”. (US Embassy in Syria Facebook page)
“Peaceful transition for the Syrian people”? Ambassador Robert S., Ford is no ordinary diplomat. He was U.S. representative in January 2004 to the Shiite city of Najaf in Iraq. Najaf was the stronghold of the Mahdi army. A few months later he was appointed “Number Two Man” (Minister Counsellor for Political Affairs), at the US embassy in Baghdad at the outset of John Negroponte’s tenure as US Ambassador to Iraq (June 2004- April 2005). Ford subsequently served under Negroponte’s successor Zalmay Khalilzad prior to his appointment as Ambassador to Algeria in 2006.
Robert S. Ford’s mandate as “Number Two” (Minister Counsellor for Political Affairs) under the helm of Ambassador John Negroponte was to coordinate out of the US embassy, the covert support to death squads and paramilitary groups in Iraq with a view to fomenting sectarian violence and weakening the resistance movement.
John Negroponte and Robert S. Ford at the US Embassy worked closely together on the Pentagon’s project. Two other embassy officials, namely Henry Ensher (Ford’s Deputy) and a younger official in the political section, Jeffrey Beals, played an important role in the team “talking to a range of Iraqis, including extremists”. (See The New Yorker, March 26, 2007). Another key individual in Negroponte’s team was James Franklin Jeffrey, America’s ambassador to Albania (2002-2004).
It is worth noting that Obama’s newly appointed CIA head, General David Petraeus played a key role the organization of covert support to Syria’s rebel forces, the infiltration of Syrian intelligence and armed forces, etc.
Petraeus played a key role in Iraq’s Salvador Option. He led the Multi-National Security Transition Command (MNSTC) “Counterinsurgency” program in Baghdad in 2004 in coordination with John Negroponte and Robert S Ford at the US Embassy in Baghdad.
General David Petraeus (prior to his appointment as Head of the CIA)
The CIA is overseeing covert ops in Syria. In mid-March, General David Petraeus met with his intelligence counterparts in Ankara, to discuss Turkish support for the Free Syrian Army (FSA)( CIA Chief Discusses Syria, Iraq With Turkish PM, RTT News, March 14, 2012)
David Petraeus, the CIA chief, held meetings with top Turkish officials both yesterday and on March 12, the Hürriyet Daily News learned. Petraeus met with Prime Minister Recep Tayyip Erdoğan yesterday and his Turkish counterpart, Hakan Fidan, head of the National Intelligence Organization (MİT), the previous day.
An official from the U.S. Embassy said that Turkish and American officials discussed “more fruitful cooperation on the region’s most pressing issues in the coming months.” Turkish officials said Erdoğan and Petraeus exchanged views on the Syrian crisis and anti-terror fight. (CIA chief visits Turkey to discuss Syria and counter-terrorism | Atlantic Council, March 14, 2012).
The US State Department in collaboration with several US intelligence agencies and the Pentagon is overseeing US support to the Free Syrian Army.
A Syria policy committee chaired by Secretary of State Hillary Clinton involves the participation of Ambassador Robert Stephen Ford, CIA director David Petraeus, Jeffrey Feltman, Assistant Secretary of State for Near Eastern Affairs and Derek Chollet, Principal Deputy Director of Clinton’s Policy Planning Staff at the State Department.
Under Jeffrey Feltman’s supervision, the actual recruitment of terrorist mercenaries, however, is carried out in Qatar and Saudi Arabia in liaison with senior intelligence officials from Turkey, Saudi Arabia, Qatar, Libya and NATO. The former Saudi ambassador to the US, Prince Bandar, who remains a key member of Saudi intelligence, is said to be working with the Feltman group in Doha.
¿Ayudó Obama de forma encubierta a los Hermanos Musulmanes de Egipto con 8 mil millones de dólares?
http://www.elespiadigital.com/ index.php/noticias/ confidenciales/2703-iayudo- obama-de-forma-encubierta-a- los-hermanos-musulmanes-de- egipto-con-8-mil-millones-de- dolares-
El hijo de un líder de la Hermandad Musulmana en Egipto encarcelado afirma su padre tiene pruebas para llevar al presidente Obama a la cárcel. La afirmación se hizo pública tras la intervención del gobierno de Obama, con la ayuda de los senadores John McCain, R-Ariz., Y Lindsey Graham, y la participación abierta del No. 2 del Departamento de Estado de EE.UU., para hacer un esfuerzo para ver líderes de la Hermandad Musulmana en Egipto que se encontraban en libertad tras el golpe cívico-militar que sacó a los islamistas del poder.
En una entrevista con la Agencia de Noticias Anatolia en Turquía, Saad Al-Shater, el hijo del encarcelado líder de la Hermandad Musulmana Khairat Al-Shater, dijo que su padre "tenía en su mano" evidencias que podrían poner a Obama en la cárcel.
En una amenaza velada, Saad Al-Shater dijo que una delegación EE.UU. fue enviada a El Cairo por Obama para presionar por la liberación de los líderes de los Hermanos Musulmanes detenidos, incluyendo a su padre para evitar la divulgación de una información explosiva.
El informe de la Agencia de noticias turca Anatolia señalaba que en una entrevista con Saad Al-Shater, el hijo de un líder de la Hermandad Musulmana, el detenido Khairat Al-Shater
“dijo que su padre tenía en la mano la evidencia que el presidente de los Estados Unidos de América, Barack Obama, podría acabar en la cárcel. Hizo hincapié en que la alta delegación de EE.UU. que se encuentra de visita Egipto, sabe muy bien que el destino, el futuro, los intereses y la reputación de su país está en manos de su padre, y ellos saben que él es dueño de la información, los documentos y las grabaciones que incriminan y condenan a su país. Tales documentos se pusieron en manos de las personas que habían recibido el encargo dentro y fuera de Egipto, y que la liberación de su padre es la única manera para evitar una gran catástrofe. Afirmó que una advertencia fue enviada para mostrar la conexión directa con la administración de EE.UU. La evidencia fue enviada a través de intermediarios que hizo cambiar de actitud y corregir la posición norteamericana respecto a Egipto, y que se han dado pasos importantes para demostrar la buena fe. Saad también dijo que la seguridad de su padre es más importante para los estadounidenses que la seguridad de Mohamed Morsi”.
Escribiendo en su blog, Shoebat señaló que seis diferentes fuentes árabes confirmaron la entrevista con Saad Al-Shater y el informe de las afirmaciones de Al-Shater.
Shoebat dijo que la entrevista con Saad Al-Shater fue el 7 de agosto, por lo que es probable que la referencia a la "delegación de altos funcionarios EE.UU. actualmente de visita en Egipto", fue sobre el viaje de McCain, Graham y EE.UU. El subsecretario de Estado William Burns.
El 6 de agosto, durante la reunión con el vicepresidente del gobierno interino egipcio, Mohamed ElBaradei, ex director general de la Agencia Internacional de Energía Atómica de la ONU, McCain y Graham llamaron a Khairat Al-Shater y otros líderes de los Hermanos Musulmanes encarcelados "presos políticos". Posteriormente, dijeron a los periodistas en El Cairo que el no liberar a los presos Hermandad Musulmana sería "un gran error".
El Presidente interino de Egipto, Adly Mansour, rechazó la solicitud de la delegación de EE.UU., para poner en libertad a los líderes islamistas ya que constituía una "injerencia inaceptable en la política interna."
El 6 de agosto, la Associated Press informó que el gobierno egipcio planeaba procesar a Khairat Al-Shater y los otros líderes de la Hermandad Musulmana encarcelados bajo la acusación de incitar a la violencia en diciembre pasado cuando los miembros de la Hermandad Musulmana atacaron una sentada de manifestantes contra el entonces presidente Mohamed Morsi, lo que acabó con la muerte de 10 personas.
ABC News informó que las delegación estadounidense viajó por separado la noche del Domingo 4 de agosto, a la prisión de Tora en el centro de El Cairo para reunirse con Khairat Al-Shater, a pesar de las afirmaciones de los Hermanos Musulmanes, que negaban dicha reunión.
En una entrevista el 6 de agosto con la CNN en Egipto, McCain pidió liberar a Khairat Al-Shater, líder de la Hermandad Musulmana y reconocido como “interlocutor” válido para Estados Unidos, cuando se le preguntó acerca de las personas que podían negociar con éxito un futuro gobierno egipcio.
EGITTO
2013-08-21 AFRICA/EGITTO - “Ringrazio coloro che da tutto il mondo esprimono solidarietà al popolo egiziano” dice Mons. Zakaria
http://www.fides.org/it/news/
"...Mons. Zakaria ringrazia inoltre “coloro che da tutto il mondo hanno voluto esprimere la loro solidarietà con il popolo egiziano. Ho ricevuto telefonate dagli Stati Uniti, un Vescovo mi ha chiamato dalla Germania. Tutti hanno detto che hanno accolto l’appello di Papa Francesco per pregare per la pace per l’Egitto. È una solidarietà veramente incredibile che mi ha commosso”.
“È tutto il popolo egiziano che sta soffrendo, musulmani e cristiani sono uniti nel subire la violenza degli estremisti. Per questo chiedo a tutti di continuare a pregare per l’Egitto” conclude Mons. Zakaria. (L.M.) (Agenzia Fides 21/8/2013)".
2013-08-20AFRICA/EGITTO - “Siamo tutti chiusi in casa e le scorte alimentari stanno finendo” dice il Vescovo di Luxor
http://www.fides.org/it/news/
Il Cairo (Agenzia Fides)- “Sto piangendo per tutta questa umanità semplice, musulmani e cristiani, che risiede nei villaggi della zona che non ha niente perché le scorte alimentari stanno finendo e la gente ha paura di uscire di casa. Anche chi è benestante non può comprare il cibo perché tutti gli esercizi commerciali sono chiusi. Vorrei recarmi da loro per aiutarli ma non posso perché anch’io sono segregato in casa” dice all’Agenzia Fides Sua Ecc. Mons. Youhannes Zakaria, Vescovo copto cattolico di Luxor, che venerdì 16 agosto (il giorno delle manifestazioni indette dai Fratelli Musulmani per protestare per la destituzione del Presidente Morsi) ha subito un tentativo di aggressione.
“I manifestanti pro Morsi dopo essere stati cacciati via dal centro di Luxor, sono arrivati sotto il Vescovado gridando “morte ai cristiani”. Per fortuna la polizia è arrivata in tempo a salvarci. Ora polizia ed esercito stanno presidiando la casa con due mezzi blindati” racconta il Vescovo.
“A Luxor la situazione è critica anche se non come nel Basso Egitto (Minya, Assiut) o al Cairo. Comunque anche qua ci sono stati disordini nel corso dei quali diverse case di cristiani sono state bruciate. Dieci giorni fa, inoltre, in un villaggio qui vicino sono stati uccisi 5 cristiani e un musulmano” dice Mons. Zakaria. “Per motivi di sicurezza abbiamo cancellato le celebrazioni dell’Assunta, che qui si festeggia il 22 agosto e non il 15. Ognuno è chiusa nella propria casa. Io sono rinchiuso nel Vescovado da circa 20 giorni. Le forze di sicurezza mi hanno consigliato di non uscire” aggiunge Mons. Zakaria.
Secondo il Vescovo la campagna contro i cristiani inscenata dai sostenitori della Fratellanza Musulmana nasce dal fatto che “loro pensano che i cristiani siano la causa della caduta di Morsi”. “È vero- aggiunge- che i cristiani hanno partecipato alle dimostrazioni contro Morsi, ma erano 30 milioni gli egiziani, la maggior parte dei quali musulmani, scesi in piazza contro il deposto Presidente. Attaccando i cristiani vogliono gettare l’Egitto nel caos”.
Mons. Zakaria aggiorna le cifre sulle distruzioni subite dalle diverse confessioni cristiane negli ultimi giorni. “Sono state bruciate più di 80 chiese e diverse scuole cristiane. Ricordo che in Egitto la Chiesa cattolica gestisce da Alessandria fino ad Assuan più di 200 scuole dove alunni cristiani e musulmani siedono gli uni accanto agli altri”.
“Faccio mio l’appello di Papa Francesco perché si preghi per la pace in Egitto. Solo con il dialogo e con il rispetto reciproco si potrà uscire da questa drammatica situazione” conclude il Vescovo. (L.M.) (Agenzia Fides 20/8/2013)
Dal Cairo: “Pregheremo insieme nelle strade” , 17 agosto 2013
http://www.focolare.org/it/
«La Chiesa Copta sta dando una forte testimonianza: Papa Tawadros ha chiesto ai fedeli di non rispondere in alcun modo agli atti di violenza e ha detto: “Bruceranno le chiese? Pregheremo nelle moschee. Bruceranno le moschee? Pregheremo nelle chiese. Bruceranno entrambe? Pregheremo insieme nelle strade, perché siamo tutti egiziani”.
EGITTO : ELENCO DI ULTERIORI CONTENUTI
I PROMORSI E LA REPRESSIONE MILITARE
Video sul massacro in Egitto, 16 agosto 2013
Foto di un tiratore dei Fratelli musulmani 14 agosto 2013
US government targeting Egypt for destabilization, eventual destruction?, 12 agosto 2013
L’Egitto, la Siria e noi, 18 agosto 2013
SUL VUOTO DI POTERE DOPO LA RIVOLUZIONE NO MORSI DEL 30 GIUGNO 2013
Cairo: chi riempie il vuoto di potere, 9 luglio 2013
Usa/ John Ford scelto da Kerry come nuovo ambasciatore in Egitto.Ex capo della diplomazia siria basato in Turchia, 5 agosto 2013
Was Washington Behind Egypt’s Coup d’Etat? 4 luglio 3013
LA RIVOLUZIONE NO DITTATURA DEL 30 GIUGNO 2013: 33 MILIONI DI NO MORSI IN PIAZZA PER DIRE STOP FIDUCIA AI FRATELLI MUSULMANI
Egitto, l’appello di un ragazzo: fate sapere chi siamo , richiesta di sostegno morale al No morsi del 30 giugno 2013
Egypt-two years after mubarak morsi like hitler theyre killing the revolution 11 febbraio 2013
Intervista a Salah Adly, Segretario Generale del Partito Comunista Egiziano sulla situazione del paese, 17 agosto 2013
EGITTO - Il Patriarca Sidrak: Il popolo egiziano si è ripreso il Paese 2013-07-04
How president Morsi ousted himself. A too short overview. July 25, 2013Vescovo di Andropoli: Cristiani e musulmani in Egitto uniti per salvare il Paese dagli islamisti 20 agoosto 2013
EGITTO - 58 chiese distrutte. “Ma non è una guerra tra cristiani e musulmani” dice il portavoce dei Vescovi cattolici 19 agosto 2013
Video: Brutal Muslim Brotherhood attack on St. George church in Sohag, Egypt 15 agosto 2013
CHI E' ROBERT FORD?
“The Salvador Option For Syria”: US-NATO Sponsored Death Squads Integrate “Opposition Forces”, May 2012
¿Ayudó Obama de forma encubierta a los Hermanos Musulmanes de Egipto con 8 mil millones de dólares?
ARTICOLI
I PROMORSI E LA REPRESSIONE MILITARE
Egipto: 8 minutos de Terror http://youtu.be/x6Mnm9neSLc
Egitto: https://twitter.com/
People, show the world as begin tweeting in English. Pro Morsi protestors attack police forces with machine guns
http://www.presstv.ir/detail/
US government targeting Egypt for destabilization, eventual destruction?
Is the US government targeting Egypt for destabilization - and eventual destruction?
The recent appointment of death squad organizer Robert Ford as US Ambassador to Egypt suggests as much.
Ford’s appointment sends a clear message: US policymakers want to destroy Egypt in the same way they have destroyed Iraq and Syria - by using death squads and false-flag terror to incite civil war.
According to Global Studies professor Michel Chossudovsky, Robert Ford teamed up with notorious war criminal John Negroponte to apply the “Salvador Option” in Iraq in 2004. Chossudovsky writes: “The ‘Salvador Option’ is a ‘terrorist model’ of mass killings by US sponsored death squads. It was first applied in El Salvador (by Negroponte) in the heyday of resistance against the military dictatorship, resulting in an estimated 75,000 deaths.”
Today’s Egypt, like 1980s El Salvador, is experiencing a heyday of resistance against military dictatorship. And Egypt’s military dictatorship (like El Salvador's 1980s junta) has already resorted to the mass murder of anti-government activists. Will Robert Ford, an expert in organizing political mass murder, help the Egyptian regime slaughter tens of thousands of peaceful protesters?
No - it’s even worse than that!
In the past, the US government would straightforwardly help dictators mass-murder their own people. In 1965 Indonesia, for example, CIA-controlled death squads murdered roughly one million opponents of the Suharto regime. The CIA collected the names of prospective victims, trained the death squads, and unleashed them. Most of the million people murdered by those CIA death squads were brutally tortured before death. (The CIA, of course, schooled the torturers in their devilish techniques - as it has in dozens of countries around the world, including Morocco, where I did my Ph.D. research and met a CIA-schooled torturer.)
Today, the US is more interested in destroying Middle Eastern countries than in propping up Asian and Latin American dictators. So it has refined its use of death squads. Instead of simply murdering anti-government activists to prop up an American-owned puppet dictator, the US now sponsors death squads on both sides of the political-religious divide. The purpose: Create a civil war to weaken the targeted nation.
That is what Robert Ford’s “Salvador Option” accomplished in Iraq in 2004 - 2006. And it is also what Ford’s “Salvador Option II” accomplished in Syria in 2011.
In 2004, the Iraqi resistance was defeating the American invaders. So Ford and Negroponte used death squads and false flag terrorism to turn the various factions of the resistance against each other. They created US-sponsored “al-Qaeda” death squad units to brutally and indiscriminately attack Shia victims. And they encouraged (and in some cases manufactured) Shia retaliation - in the hope that it would alienate the larger Sunni community and lead to sectarian civil war.
The American “Salvador Option” team was responsible for many if not most of the “suicide bombings” targeting Iraqi civilians during those years. They would pay an Iraqi to drive a truck to a market or mosque, park, and await further instructions. The truck would then be blown up by remote control, and the Iraqi would be posthumously labeled a “suicide bomber.”
Ford and Negroponte used British as well as American false-flag terror units for some of their dirty work. One of those units, consisting of two British Special Forces officers dressed as Iraqis, was arrested by Iraqi police in Basra on September 19th, 2005. The Brits had been bombing mosques and markets in attacks blamed on “Iraqi sectarians.” When the two disguised British soldiers were arrested, their car was full of weapons and bombs. The day after their arrest, the British army destroyed the Basra jail, using tanks to demolish the walls, in order to recover their two false-flag terrorists, and protect them from the trial that would have exposed the crimes of Ford, Negroponte, and their British terror team in Basra.
Perhaps the most notorious US-sponsored false-flag attack in Iraq - presumably planned by Ford and Negroponte - was the bombing of the al-Askari “Golden Dome” mosque in Samarra on February 22nd, 2006. Witnesses in the neighborhood reported that prior to the bombing, US forces cordoned off the mosque and took control of it. There was absolutely no doubt in anyone's mind that the bombing was carried out by US forces, who were in complete control of the cordoned-off mosque when the bombs went off. Naturally, this US attack was blamed on “al-Qaeda.”
The net result of Ford and Negroponte’s false-flag terror campaign in Iraq was a civil war that still rages to this day.
The destruction of Iraq through death squads and false-flag terror was so successful that Ford was sent to Syria to do the same thing. In 2011, Ford was made Ambassador to Syria - and suddenly a wave of violence created the same kind of civil war that still rages in Iraq.
Syrian President Bashar al-Assad has belatedly realized that the violence in his country was created by false-flag terrorists. What happened was this: Ford’s death squads, consisting of well-trained professional killers, would station themselves on rooftops during US-incited anti-Assad demonstrations. At a designated moment, the snipers would begin firing. Some of the snipers would create the appearance that they were Syrian army soldiers firing at the demonstrators. Others, on a different rooftop, would create the impression that they were demonstrators firing at the soldiers.
Soon, the pro- and anti-Assad forces really were firing at each other.
Will Ford organize the same kind of mischief in Egypt?
Based on his record in Iraq and Syria, here is what we should expect: Ford and his team of US death squad organizers and false-flag terror experts (possibly including some of the people who blew up the World Trade Center) will create shootings and bombings blamed on “radical Islamists.” They will then encourage the Egyptian junta to arrest, torture, and murder even more peaceful protestors than it already has. Since the Egyptian military junta is basically an American militia, created and maintained by billions of dollars of US support, the puppet dictator el-Sisi will have to follow American orders... and plunge his country into civil war.
Does the US really want to destroy Egypt, as it has destroyed Iraq and Syria?
Apparently, yes. It is worth noting that the US covertly engineered the overthrow of democratically-elected President Morsi in part because Morsi had spoken out forcefully against Ethiopia’s plan to dam the Nile, steal most of Egypt’s water supply, and condemn much of Egypt's population to slow death.
Bottom line: The US, through its Ethiopian puppet, is planning a genocide that will kill tens of millions of Egyptians. And if any Egyptian leader tries to stop it, as Morsi planned to, he will be eliminated.
Why does the US feel the need to destroy Middle Eastern countries? Ironically, it isn’t even about US interests. It’s about Israel’s “Oded Yinon plan” to annihilate Israel’s neighbors and seize all the land between the Nile and the Euphrates for Greater Israel. That is why, as Gen. Wesley Clark revealed, Israel took over the US via the 9/11 coup d’état - with a plan to destroy “seven countries in five years” in service to Netanyahu’s “Clean Break” document, itself an update of the Oded Yinon plan to destroy the Middle East for Israel.
There is only one way to resist this impending genocide. All Middle Eastern people, regardless of religion or nationality, must unite and resist the Zionist-sponsored destruction of their lands.
KB/HSN
Dr. Kevin Barrett, a Ph.D. Arabist-Islamologist, is one of America's best-known critics of the War on Terror. Dr. Barrett has appeared many times on Fox, CNN, PBS and other broadcast outlets, and has inspired feature stories and op-eds in the New York Times, the Christian Science Monitor, the Chicago Tribune, and other leading publications. Dr. Barrett has taught at colleges and universities in San Francisco, Paris, and Wisconsin, where he ran for Congress in 2008. He is the co-founder of the Muslim-Christian-Jewish Alliance, and author of the books Truth Jihad: My Epic Struggle Against the 9/11 Big Lie (2007) andQuestioning the War on Terror: A Primer for Obama Voters (2009). His website is www.truthjihad.com.
L’Egitto, la Siria e noi
http://www.sibialiria.org/
18 agosto 2013
Molte potrebbero essere le chiavi di lettura per commentare quello che sta succedendo in Egitto.
Ad esempio , evidenziare l'ipocrisia dell'Occidente che, dapprima con sanzioni e poi con l'intervento militare, ha scatenato una guerra alla Siria per aiutare i "ribelli" e che oggi non batte ciglio (anzi, Obama ha confermato gli aiuti militari ed economici) di fronte ai massacri che stanno insanguinando l'Egitto. Oppure, il ruolo del movimento Tamarod (Ribellione) che ha instradato i milioni di egiziani scesi in piazza per protestare sostanzialmente contro una mostruosa crisi economica – dettata dal Fondo Monetario Internazionale e aggravata dal rientro di un milione di emigrati che lavoravano in Libia prima della sua "liberazione" – unicamente verso l'inetta e corrotta "casta" del governo Morsi e dei "Fratelli mussulmani", trovando così "alleati" in ampi settori dell'oligarchia egiziana, nelle Petromonarchie (che aizzavano la folla promettendo favolosi "investimenti" in Egitto dopo la caduta di Morsi), e nello stesso esercito, (che, pure, aveva sempre sostenuto il governo). Oppure, il ruolo degli anonimi cecchini che, – così come agli esordi dell'aggressione alla Siria – trasformano le manifestazioni in scontri militari. Ci sarà occasione per approfondire questi argomenti. Per ora soffermiamoci sul ruolo dei "Fratelli mussulmani", una organizzazione – è bene ricordarlo – creata, nel 1928 dall'imperialismo inglese per contrastare i nascenti movimenti indipendentisti e "socialisti" arabi; e che, non a caso, una volta arrivata al potere nel 2012 in Egitto, si è affrettata a schierarsi con l'Occidente contro la Siria e a confermare il trattato militare e politico con Israele. L'organizzazione dei "Fratelli mussulmani" (oggi osteggiata dal Bahrain e Arabia Saudita, ma sponsorizzata da Qatar), e alla quale – è bene ricordarlo – appartiene anche Hamas, avrebbe tenuto una riunione a Istanbul il 29 luglio 2013 nella quale, per porre fine al loro logoramento politico in Egitto (dettato da una crescente crisi economica e dalle conseguenti proteste), veniva stabilito di porre le mani alle armi, rompendo quella politica di continui compromessi con l'esercito che aveva caratterizzato il governo Morsi. La conseguente mattanza (sopratutto, nella popolazione inerme) avrebbe trasformato i "Fratelli mussulmani" da mediocri politicanti in "martiri del sionismo e dell'imperialismo". Una indicazione politica che sarebbe stata data, soprattutto, dal Quatar. L'uscita dei "Fratelli mussulmani" dal governo egiziano senza reazioni clamorose, infatti, avrebbe potuto indebolire ancora di più i governi del partito Ennahdha in Tunisia e del presidente Erdogan in Turchia; per non dire dei "Fratelli musulmani" tra le forze anti Assad in Siria, oggi allo sbando e, sostanzialmente, surclassati da Al Qaeda. La scelta dei Fratelli mussulmani", quindi, sarebbe più funzionale ad uno scontro politico sul piano regionale che su quello interno egiziano. Certamente, queste considerazioni non possono giustificare l'inerzia che sta caratterizzando quello che resta del "movimento pacifista" di fronte ai massacri e alla "guerra di religione" che si sta profilando in Egitto. E per decidere il cosa fare e come, proponiamo come Redazione di Sibialiria una assemblea da tenersi nei prossimi giorni. Aspettiamo le vostre adesioni.
La Redazione di Sibialiria
SUL VUOTO DI POTERE DOPO LA RIVOLUZIONE NO MORSI DEL 30 GIUGNO 2013
Cairo: chi riempie il vuoto di potere
http://www.voltairenet.org/
di Manlio Dinucci 9 luglio 2013
a parola comincia con «c» ma non si può dire: così nei corridoi washingtoniani si descrive la posizione della Casa bianca di fronte al colpo di stato in Egitto. Essa condanna genericamente le violenze, dicendosi preoccupata per il «vuoto di potere» e sorpresa dagli eventi.
Funzionari del Pentagono assicurano, però, che il segretario alla difesa Chuck Hagel è sempre stato in «stretto contatto» con quello egiziano, il generale Abdel Fattah al-Sisi. Uomo di fiducia del Pentagono, perfezionatosi allo US Army War College di Carlisle (accademia militare della Pennsylvania), già capo dei servizi segreti militari, principale interlocutore di Israele, nominato meno di un anno fa dal presidente Morsi capo di stato maggiore e ministro della difesa.
Cinque mesi fa, l’11 febbraio, era stato convocato dal generale James Mattis, capo del Comando Centrale Usa, nella cui area rientra l’Egitto poiché svolge una «influenza stabilizzante in Medio Oriente», soprattutto nei confronti di Gaza. All’ordine del giorno (presente l’ambasciatrice al Cairo Anne Patterson), la «cooperazione militare Usa-Egitto» nel quadro della «instabilità politica» al Cairo.
Contemporaneamente Washington aveva annunciato la fornitura di altri 20 caccia F-16 e 200 carrarmati pesanti M1A1 (fabbricati su licenza in Egitto). Grazie a un finanziamento militare di 1,5 miliardi di dollari che gli Usa forniscono annualmente dal 1979 (secondo solo a quello dato a Israele), le forze armate egiziane posseggono la quarta flotta mondiale di F-16 (240) e la settima di carrarmati (4.000).
All’uso di queste e altre armi (tra cui quelle antisommossa made in Usa) vengono addestrate dal Pentagono, che ogni due anni invia in Egitto 25mila militari per l’esercitazione «Bright Star».
Così è stata creata la principale leva dell’influenza Usa in Egitto: una casta militare che nelle alte gerarchie ha anche un ramificato potere economico. Quella che ha sostenuto per oltre trent’anni il regime di Mubarak al servizio degli Usa, che ha assicurato la «ordinata e pacifica transizione» voluta da Obama quando la sollevazione popolare ha rovesciato Mubarak; che ha favorito l’ascesa alla presidenza di Mohamed Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani, per neutralizzare le forze laiche protagoniste della sollevazione; che ha deposto Mohamed Morsi quando la sua gestione ha provocato la sollevazione delle opposizioni laiche e dei giovani ribelli della Tamarrod.
L’altra leva dell’influenza Usa in Egitto è quella economica. Da quando Mubarak attuò le misure di privatizzazione e deregolamentazione volute da Washington e spalancò le porte alle multinazionali, l’Egitto, pur essendo grosso esportatore di petrolio e gas naturale e di prodotti finiti, ha accumulato un debito estero di oltre 35 miliardi di dollari. E, per pagare gli interessi di un miliardo di dollari annui, dipende dai «prestiti» di Usa, Fmi e monarchie del Golfo. Un cappio al collo della maggioranza degli 85 milioni di egiziani, circa la metà dei quali vive in condizioni di povertà. Da qui le spinte profonde alla ribellione e alla lotta per una reale democrazia politica ed economica. Che le gerarchie militari sono riuscite finora a imbrigliare presentandosi, di volta in volta, come garanti della volontà popolare.
Restano così le reali detentrici di quel potere funzionale agli interessi statunitensi e occidentali. La sollevazione diventerà vera rivoluzione solo quando le forze popolari, sia laiche che religiose, riusciranno a recidere questo legame neocoloniale, aprendo all’Egitto un futuro di indipendenza e progresso sociale.
Usa: John Ford scelto da Kerry come nuovo ambasciatore in Egitto
Ex capo della diplomazia siria
http://www.ilmondo.it/esteri/
Was Washington Behind Egypt’s Coup d’Etat?
http://www.globalresearch.ca/
LA RIVOLUZIONE NO DITTATURA DEL 30 GIUGNO 2013: 33 MILIONI DI NO MORSI IN PIAZZA PER DIRE STOP FIDUCIA AI FRATELLI MUSULMANI
Egitto, l’appello di un ragazzo: fate sapere chi siamo ( richiesta di sostegno morale al No morsi del 30 giugno 2013 )
http://www.anordestdiche.com/
Egypt-two years after mubarak morsi like hitler theyre killing the revolution
http://www.anordestdiche.com/
Intervista a Salah Adly: «La Fratellanza Musulmana è un’organizzazione fascista»
http://albainformazione.
Intervista a Salah Adly, Segretario Generale del Partito Comunista Egiziano sulla situazione del paese.
Intervista pubblicata il 10 luglio 2013 su Nameh Mardom, organo di stampa del Comitato Centrale del Partito Comunista d’Iran (Tudeh)*
Salah Adly: Vorrei in primo luogo portare il mio saluto al Partito Tudeh d’Irán e augurargli successo nella sua lotta. Gradirei anche ringraziare il periodico Nameh Mardom per l’opportunità che mi sta dando per chiarire i grandi e storici avvenimenti che stanno avvenendo in Egitto.
Nameh Mardom: Secondo le recenti dichiarazioni del Partito Comunista Egiziano (del 3 luglio u.s.), vi siete riferiti al fatto che il movimento di proteste di massa è composto di diversi strati e classi sociali. Come si sono mobilitate queste classi e strati della società egiziana nella seconda ondata della Rivoluzione del 30 giugno?SA: Dallo scoppio della rivoluzione del 25 di gennaio del 2011, i movimenti di protesta non sono scemati, e le manifestazioni di milioni di persone non si sono fermate, vale a dire, si è mantenuta in piedi la mobilitazione rivoluzionaria delle masse, a volte perdendo forza e riprendendosi in altre occasioni. Anche le proteste e gli scioperi dei lavoratori si sono intensificate. Dopo il successo di Morsi e dei Fratelli Musulmani con la presa del potere, le masse hanno scoperto la loro natura autoritaria, il loro carattere fascista, il loro favoritismo per gli interessi dei settori più reazionari e parassitari del capitalismo, e la loro inettitudine nel dirigere uno Stato dalle dimensioni come quelle dell’Egitto. Oltre al loro tradimento degli interessi della patria e la disponibilità ad agire come il principale agente nel curare gli interessi degli USA e di Israele nella regione sono stati evidenti. Hanno negoziato la tregua a Gaza e hanno dato agli USA e ad Israele quello che nemmeno il regime fantoccio di Mubarak aveva loro concesso. Il loro progetto oscurantista e settario, che è ostile alla democrazia, alla scienza, alla cultura e alla tolleranza, si è reso molto evidente. Ancora più importante è che le masse hanno scoperto la falsità del loro uso delle parole d’ordine religiose per mascherare i loro piani al servizio del progetto imperialista del Grande Medio Oriente e del “caos creativo”.Per questo, il numero delle proteste sociali (scioperi, sit-in, concentrazioni e picchetti di protesta) è arrivato 7.400 – secondo quanto ammette lo stesso Mohamed Morsi – durante l’anno passato. L’indice di disoccupazione al 32%, la maggioranza dei disoccupati con livelli alti e medi di preparazione professionale. Il debito estero passato da 34 a 45 miliardi di dollari. Il debito interno è aumentato di 365 miliardi di lire egiziane durante il regno di Morsi in un solo anno. La proporzione di coloro che vivono sotto la soglia della povertà ha superato il 50% della popolazione. In sintesi, la maggioranza degli strati e delle classi della società e le loro forze politiche liberali, nazionaliste e di sinistra, così come i movimenti giovanili, nella loro maggioranza orientati su posizioni nazionaliste e di sinistra, più le principali istituzioni dello Stato, in special modo l’esercito, il potere giuridico, i mezzi di comunicazione e la polizia, hanno capito che c’era un grave pericolo come conseguenza della permanenza al potere dei Fratelli Musulmani, a causa del loro intenso sforzo di monopolizzare il potere, di escludere tutti colo che non sono dalla loro parte, oltre ai loro alleati fra i gruppi terroristi che utilizzano la religione come copertura.Inclusi ampi settori della borghesia egiziana media e grande nei settori del turismo, dell’industria, del commercio, dell’agricoltura e della costruzione hanno temuto molto per i loro interessi, come risultato della permanenza del governo dei Fratelli Musulmani, che ha creato un’atmosfera di caos, insicurezza ed instabilità.Il Movimento “Tamarud” (Ribellione) è riuscito a raccogliere più di 22 milioni di firme per richiedere il ritiro della fiducia a Morsi e sostenere la convocazione alle elezioni presidenziali anticipate. Tutti i partiti, sindacati ed organizzazioni hanno partecipato alla raccolta delle firme, e la campagna si è estesa nelle strade, nelle città, nelle fabbriche, scuole ed università, nei comuni e in tutte le province dell’Egitto. La grande importanza di questa campagna è che è stata capace di coinvolgere attivamente i cittadini egiziani nel movimento rivoluzionario per sconfiggere il governo della Fratellanza Musulmana. Inoltre ha restaurato il carattere pacifico e democratico dell’azione rivoluzionaria, ed ha formato la base per demistificare la falsa legittimità delle urne elettorali come unico criterio di legittimità nel sistema democratico. La convocazione per la raccolta delle firme è stata accompagnata con gli appelli alle dimostrazioni in tutte le principali piazze dell’Egitto il 30 giugno come dimostrazione della credibilità di questa campagna e della sua fondamentale base di legittimità rivoluzionaria delle masse per sconfiggere questo regime fascista e vincere il suo progetto di stato religioso.La risposta delle masse popolari egiziane è stata notevole, abbiamo assistito alle più grandi concentrazioni non solo della storia dell’Egitto ma del mondo. Fatto constatato dell’Index di “Google Earth”. Più di 27 milioni di persone hanno protestato contemporaneamente in tutte le province dell’Egitto, in rappresentanza di diverse classi e differenti strati sociali della società egiziana, di fronte alle concentrazioni della Fratellanza Musulmana e dei suoi alleati che non sono arrivati ai 200 mila manifestanti in una piccola piazza del Cairo. Per tanto, il popolo egiziano stava da una parte e la Fratellanza Musulmana e i suoi alleati dall’altro lato, isolati. Su questa realtà si deve basare qualsiasi valutazione o qualsiasi analisi politica.Pensiamo che ciò che è accaduto il 30 luglio è una seconda ondata della rivoluzione egiziana più forte e più profonda della prima del 2011. Ciò è avvenuto per correggere la traiettoria della rivoluzione e sottrarla all’estrema destra religiosa che ha cospirato per scippare la rivoluzione e “cavalcare l’onda” per metterla a servizio dei suoi obiettivi fascisti e reazionari e dei piani dell’imperialismo mondiale.
NM: Qual è il livello di partecipazione della classe operaia e dei lavoratori in questa protesta? Perché i lavoratori partecipano alla battaglia contro l’islam politico e per i diritti democratici?SA: Le fondamentali parole d’ordine della rivoluzione di gennaio sono state: pane – libertà – giustizia sociale – dignità umana. Questo è un passaggio essenziale della rivoluzione democratica nazionale ed è venuto dopo una lunga tappa storica che era cominciata a metà degli anni settanta dello scorso secolo, con il dominio del grande capitalismo dipendente ed un ciclo completo di regresso, arretratezza e tirannia. Durante questo periodo, le forze reazionarie, in alleanza con l’imperialismo mondiale e la reazione araba, sono riuscite a rafforzare un clima che ha permesso alle correnti dell’Islam politico – specialmente la Fratellanza Musulmana – di estendersi e crescere. Le forze di sinistra si sono indebolite, i lavoratori sono stati cacciati e le grandi industrie sono state liquidate, la qual cosa ha assestato un colpo a qualsiasi possibilità di realizzare uno sviluppo integrale.Di fatto, i lavoratori hanno partecipato alla maggior parte delle proteste che si sono intensificate dal 2006 e partecipano in tutte le manifestazioni popolari come parte del popolo e non come classe organizzata. Ciò è dovuto all’assenza di forti sindacati e di federazioni, a causa della lunga eredità di una tirannia e della repressione del governo per controllare le federazioni e i sindacati. Si deve anche ai grandi cambiamenti che hanno avuto luogo durante il periodo passato nelle correlazioni dei rapporti di classe e nella natura della composizione della classe operaia nei diversi settori. Nelle piccole e medie industrie controllate dal settore privato ai lavoratori è stato impedito la formazione dei sindacati. La classe operaia non è sorta in modo chiaro come classe nella rivoluzione. Come risultato della mancanza di unità effettiva tra le forze della sinistra e la sua debolezza nella tappa precedente, per molte ragioni che per motivi di spazio non menzioniamo qui, il movimento operaio non ha agito in maniera efficace ed influente in relazione alla dimensione della sua partecipazione ed i suoi grandi sacrifici nella rivoluzione.Inoltre è importante chiarire che i lavoratori del settore pubblico hanno scoperto che la pratica e l’attitudine dei Fratelli Musulmani non si discosta dagli orientamenti del regime di Mubarak, addirittura erano peggiori. La Fratellanza Musulmana ha messo in pratica le stesse politiche relative alla continuazione del programma delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni dei prezzi, e non ha incrementato il salario minimo, una delle prime richieste della rivoluzione. Inoltre sono state ridotte le imposte agli imprenditori, hanno continuato con la privatizzazione dei servizi e si sono negati ad applicare il programma di assicurazione sulla salute. Hanno insistito con la vendita e l’ipoteca degli attivi dell’Egitto e delle sue istituzioni attraverso il progetto dei “buoni islamici”, che si sono affrettati ad approvare nel Consiglio della Shura (la camera alta del parlamento) controllata dalla Fratellanza Musulmana. Il fatto più pericoloso è stato il rifiuto di approvare la legge per garantire la libertà di istituire sindacati, che avevano accordato con tutte le forze politiche e le correnti sindacali prima della rivoluzione, e hanno rimpiazzato con i loro propri uomini la gente di Mubarak che era rimasta a dirigere la Unione Generale dei Lavoratori Egiziani controllata dal governo. Questa è la base sociale e democratica per la quale la classe operaia si è indirizzata a favore della rivoluzione contro il dominio dei Fratelli Musulmani e le forze dell’Islam politico, oltre alle altre ragioni che abbiamo indicato prima.Chiunque pensi che i lavoratori si rivelino solo per questioni di partito o ragioni economiche si sbaglia. I lavoratori sono molto coscienti dei pericoli della destra estremista religiosa e le sue pratiche fasciste negli ambiti democratico, politico, economico, sociale e nazionale.
NM: Nelle sue dichiarazioni, il PC Egiziano definisce gli attuali avvenimenti una rivoluzione. Qual è la natura, quali sono i compiti e i bisogni urgenti di questa rivoluzione?SA: Sì, quello che sta accadendo è una rivoluzione. Per essere precisi, è la seconda ondata della rivoluzione del gennaio 2011, giacché la sua prima ondata è stata abortita dovuta al fatto che è stata scippata dalla Fratellanza Musulmana nonostante questa organizzazione non abbia partecipato alla sua preparazione, né la caldeggiata né l’ha fatta. Questa è una rivoluzione democratica con un chiaro orientamento sociale e patriottico. Una rivoluzione in gestazione, in sviluppo ed ampi strati sociali e diverse forze politiche (liberali, nazionaliste e di sinistra) vi partecipano. Con la continuazione della marea rivoluzionaria, la verità circa le distinte posizioni adesso è più chiara, e gli orientamenti di ognuna di queste forze e la loro volontà di continuare il percorso di questa rivoluzione si sta rivelando.I primi compiti democratici della rivoluzione consistono nel promulgare una nuova costituzione civile e democratica che si basi sui diritti umani, i diritti delle donne e i diritti sociali ed economici a favore delle classi lavoratrici, e che non neghi il diritto del popolo a scegliere il suo sistema politico ed economico nel futuro concordemente alle correlazioni di forza. Per questo, l’obiettivo di sconfiggere l’attuale costituzione settaria, reazionaria e distorta (imposta dalla Fratellanza Musulmana), e non solo modificarla o emendarla, è un obiettivo fondamentale per le forze democratiche e progressiste nel momento attuale.Uno dei compiti della rivoluzione democratica si basa anche nella libertà di formare sindacati, partiti politici e associazioni senza l’intervento governativo; il rifiuto della formazione di partiti su base religiosa e settaria; la piena uguaglianza di uomini e donne in termini di diritti e doveri; l’uguaglianza di fronte alla legge e la lotta contro tutte le forme di discriminazione religiosa o di altro tipo.Tra i compiti sociali abbiamo la formulazione di un piano per lo sviluppo sociale indipendente ed integrale, sulla base dello stimolo dei settori produttivi, con la necessità di una equa distribuzione della ricchezza e dei prodotti dello sviluppo a beneficio dei poveri e degli sfruttati, nonché la soddisfazione delle più urgenti necessità sociali. Le principali priorità tra queste richieste sono: stabilire minimi e massimi salariali, e la regolazione dei prezzi; la cancellazione dei debiti dei piccoli contadini; la redistribuzione della scelta dei finanziamenti per incrementare la spesa per la salute e l’educazione; garantire gli alloggi alle persone con basso reddito; aumentare le imposte ai ricchi; recuperare la proprietà delle imprese del settore pubblico che sono state saccheggiate;nonché la lotta contro la corruzione.Gli obiettivi nazionali sono: opporsi alla dipendenza degli USA; negarsi a soccombere alla egemonia sionista; emendare l’accordo di Camp David; restaurare il ruolo nazionale dell’Egitto nell’ambito arabo, africano, regionale e internazionale; e approfondire le relazioni con i popoli ed i paesi del Terzo Mondo.
Nameh Mardom: Gli avvenimenti attuali in Egitto rappresentano un rifiuto dell “Islam politico” o solo il rifiuto della Fratellanza Musulmana da parte del popolo egiziano?Salah Adly: I Fratelli Musulmani sono l’organizzazione più efficace ed influente dell’Islam politico. Il resto delle organizzazioni, come i gruppi salafiti e jiadisti, sono alleati della Fratellanza Musulmana ed hanno con loro partecipato nell’ultima battaglia per difendere il loro regime, poiché sanno che la loro sconfitta significherebbe una sconfitta importante per il progetto islamista settario che è sostenuto dal governo degli USA come alternativa ai regimi autoritari che stanno crollando. Solo il partito salafita al-Nour è stato escluso da questa alleanza nell’ultima battaglia a causa della sua adesione con l’Arabia Saudita, siamo comunque coscienti che si tratta di un partito reazionario, settario e ostile ai diritti umani e ai diritti delle donne e delle minoranze, incluse le altre sette islamiche. Ciò si è reso evidente con la sua intenzione di assassinare gli sciiti i cui corpi sono stati trascinati per le strade nel massacro orribile che ha avuto luogo in un paese il mese passato.Siamo convinti che la battaglia non sia ancora terminata e che sia necessaria una lotta culturale, politica e sociale per schiacciarne la resistenza e cambiare il clima generale che ha dominato per decenni.Ci piacerebbe inoltre chiamare l’attenzione sul fatto che ciò che accade in Egitto non è solo uno scontro tra i Fratelli Musulmani e i suoi alleati della destra religiosa, contro le istituzioni di sicurezza dello Stato. Di fatto, adesso si stanno scontrando con il popolo egiziano tutte le sette e le correnti, allo stesso modo contro tutte le istituzioni dello Stato, incluso il potere giuridico i mezzi di comunicazione e la cultura. Nei quartieri e nei piccoli centri, i Fratelli Musulmani si scontrano adesso con le masse del popolo egiziano, poiché hanno senza dubbio perso l’appoggio di ampi settori della popolazione durante gli ultimi due anni. Senza dubbio, senza dubbio le forze di sicurezza e l’esercito ricopriranno un ruolo importante nello scontro con le loro milizie terroriste armate.In sintesi,quella che è avvenuta è una grande sconfitta del progetto della destra religiosa in generale, e non solo per il progetto dei Fratelli Musulmani. Tutto ciò avrà importanti ripercussioni nella regione nel prossimo periodo.
NM: Qual è la sua opinione relativa agli argomenti secondo i quali la destituzione di Morsi sia antidemocratica poiché eletto democraticamente in accordo con la nuova Costituzione che è stata ratificata con un referendum? Morsi è stato sconfitto dall’Esercito Egiziano?SA: Coloro che hanno sconfitto Morsi sono gli oltre 22 milioni di cittadini del popolo egiziano che hanno firmato un documento con il proprio nome, numero di carta di identità e provincia, scritto di persona e a mano, oltre che in Internet, in un referendum senza precedenti che è sfociato nella “grande mobilitazione” di 27 milioni di cittadini nelle principali piazze il 30 giugno, una mobilitazione che si è mantenuta per quattro giorni consecutivi. Morsi è stato a sconfiggere la propria legittimità quando emise la propria dichiarazione costituzionale dittatoriale nel novembre del 2011. Morsi è stato il responsabile quando ha devastato i diritti umani quando i suoi sostenitori terroristi hanno circondato la Corte Costituzionale, quando le sue milizie hanno torturato i manifestanti davanti al palazzo al-Ittihadyah [Il palazzo Presidenziale], come è stato dimostrato dalle indagini della Magistratura, e quando i suoi uomini hanno ucciso i manifestanti davanti alla sede del Partito Libertà e Giustizia (braccio politico della Fratellanza Musulmana), conformemente agli ordini dettati da leader del gruppo e suoi associati, come gli assassini hanno confessato davanti al magistrato. Morsi è stato colui che ha rinnegato le promesse che aveva annunciato che giorno che riuscì ad emendare la Costituzione e formare un governo di coalizione. Lui ed il suo gruppo hanno insistito a sottomettere il paese al Fondo Monetario Internazionale, ed hanno anche dichiarato la Jihad contro la Siria in una conferenza delle forze jihadiste terroriste senza consultare l’esercito né il Consiglio di Difesa Nazionale.Pertanto, tutti i partiti politici e tutte le forze, e persino il partito salafita al-Nour, che ha abbandonato la nave di Morsi poiché stava affondando, hanno appoggiato l’appello alle elezioni presidenziali anticipate. Tale appello non è un colpo di stato contro la democrazia, piuttosto proviene dal cuore della democrazia popolare quando quale presidente tradisce il suo impegno con il popolo e del suo programma sulla base del quale era stato eletto.Limitare la causa della democrazia alla sola “urna elettorale” è un tradimento totale dell’essenza della democrazia, ed una negazione esplicita del diritto dei popoli a ribellarsi contro i suoi autocrati governanti e i regimi fascisti che utilizzano la religione per occultare la propria natura reazionaria ed il proprio orientamento della destra capitalista.La difesa di Morsi da parte degli USA e degli stati capitalisti occidentali e presentare la situazione come un “golpe militare” contro la “legittimità costituzionale” è una posizione formale che nasconde il fatto che l’imperialismo mondiale è terrorizzato dalle rivoluzioni dei popoli e la loro capacità di andare oltre gli stretti limiti della borghesia democratica, che rappresenta, nell’essenza, la forma migliore per soddisfare gli interessi dei grandi imprenditori e dei monopoli ed i suoi agenti locali, nel controllo del destino dei popoli dei paesi del Terzo Mondo.Ciò che è accaduto in nessun modo può essere definito un colpo di stato militare, piuttosto un colpo rivoluzionario dato dal popolo egiziano per disfarsi di questo regime fascista. Ciò che ha fatto l’esercito è seguire la volontà del popolo e proteggerlo dai piani della Fratellanza Musulmana ed i suoi alleati terroristi armati che vogliono accendere lo scontro settario e la guerra civile, dividere l’esercito egiziano e distruggere le istituzioni dello Stato egiziano per servire gli interessi dell’Imperialismo e del sionismo nella regione.Che razza di colpo di stato sarebbe questo, dove milioni di persone riempiono le strade appoggiandoli? Che razza di colpo di stato è quello in cui il capo della Corte Costituzionale ha assunto il potere, come è stato richiesto dal Fronte di Salvezza, che comprende tutte le forze dell’opposizione con i suoi differenti orientamenti ed il movimento giovanile “Tamarud” (Ribellione), ed ha avuto l’appoggio di massa del popolo egiziano? Che razza di colpo di stato è quando si è formato un un governo composto da civili definiti nazionali, e che ha pienamente il potere durante il periodo di transizione non superiore ad un anno che terminerà con la promulgazione di una costituzione civile e democratica e con le elezioni presidenziali e parlamentari che tutto il mondo desidera? Che razza di colpo di stato è quello che permette il diritto alla protesta pacifica, incluso da parte dell’opposizione, e non impone uno stato di emergenza? La decisione di Al-Sisi, il comandante dell’esercito egiziano, nel quale ha esplicitato il percorso per la transizione (road map), è stato annunciato solo dopo aver conseguito il consenso attraverso un dialogo con i rappresentanti del popolo egiziano, tra questi i giovani di “Tamarud”, il rappresentante del Fronte di Salvezza Nazionale, lo sceicco di al-Azhar, il Papa copto ed una rappresentanza del movimento femminile. Gli egiziani hanno celebrato l’evento nella piazza principale, nei quartieri e nei paesi questa grande vittoria del popolo egiziano e l’accordo dell’esercito nazionale con tale decisione.Dobbiamo come ci insegna il marxismo, procedere a partire dalla realtà concreta e non limitare la nostra visione con idee rigide e predeterminate e formule precotte. Non per caso un fatto da evidenziare che i media occidentali fanno finta di nulla di fronte a tutto ciò? Non è strano che neghino di guardare la realtà di fronte a tutto ciò che sta accadendo ed insistono sul fatto che ciò che qui accade è un colpo militare?Senza alcun dubbio, stiamo coscienti della necessità di fare attenzione durante la prossima fase per garantire che il ruolo dei militari in questa tappa si limiti alla protezione delle persone e della sicurezza nazionale dell’Egitto e che rispetti le promesse di non interferire direttamente nelle questioni politiche. Perciò è necessario che il popolo rimanga nelle piazze per garantire la realizzazione delle sue richieste nella fase di transizione.*Versione in castigliano da Tribuna Popular – organo di stampa del Comitato Centrale del Partito Comunista del Venezuela
[Trad. dal castigliano per AlbaInFormazione di Ciro Brescia]
EGITTO - Il Patriarca Sidrak: Il popolo egiziano si è ripreso il Paese
http://www.fides.org/it/news/
2013-07-04
AFRICA/EGITTO - Il Patriarca Sidrak: Il popolo egiziano si è ripreso il Paese Il Cairo (Agenzia Fides) - “Da ieri sera siamo in festa. Non abbiamo dormito. Il popolo egiziano si è ripreso pacificamente il suo Paese. E così ha mostrato al mondo che è un popolo civile, nonostante i grandi problemi che si trova a affrontare”. Così il Patriarca di Alessandria dei copti cattolici Ibrahim Isaac Sidrak descrive all'agenzia Fides l'atmosfera che percepisce nel Paese dopo la deposizione del Presidente Morsi da parte dell'esercito e la fine traumatica del governo egemonizzato dai Fratelli Musulmani. Il capo della Chiesa copta cattolica esprime appoggio alla road map delineata per uscire dalla crisi politica e stabilizzare il Paese: “Diversi segnali” spiega a Fides Sua Beatitudine “mostrano che stiamo sulla strada giusta. Non si ripeteranno gli errori della volta precedente, quando nell'euforia per la fine politica di Mubarak si perse di vista tutto il resto e molte cose rimasero nel vago. Stavolta hanno preparato bene i prossimi passi, oggi il nuovo Presidente provvisorio Adly Mansour presta giuramento, e si andrà avanti gradualmente verso il pieno ristabilimento dell'ordine democratico”. Il Patriarca copto cattolico non nasconde problemi: “Non possiamo dire di non avere timori. La situazione economica preoccupa, e rende tutti più esposti al rischio di essere manipolati dalle sirene della propaganda. I sostenitori militanti di Morsi sentono di aver perso, e su questo si possono innescare sentimenti di vendetta. Noi dobbiamo convincerli che nel Paese c'è posto anche per loro, che nessuno li rifiuta, ma devono essere e comportarsi da egiziani, come concittadini di tutti gli altri egiziani, e non puntare a instaurare un dispotismo religioso”. Secondo S. B. Sidrak “il popolo ha vissuto un anno nero e non accetterà mai di tornare indietro. Ma almeno cinque milioni di concittadini continueranno a sostenere le convinzioni radicali dei Fratelli Musulmani. Loro non vanno esclusi dalla scena politica, ma devono comportarsi come un partito politico, e non come uno strumento per imporre egemonie religiose. Ognuno può vivere la propria fede religiosa in moschea o in chiesa, senza tentare di imporre agli altri per legge i precetti religiosi”. (GV) (Agenzia Fides 4/7/2013).
How president Morsi ousted himself. A too short overview.
http://blogs.euobserver.com/
Confusion all around in Egypt today. Everywhere discussions rage on whether or not the military did a coup, if June 30 was a second revolution or a protraction of the 2011 revolution. What to do with the Muslim Brotherhood, let alone president Muhamed Morsi who is being kept hidden somewhere for over two weeks? My cab driver declared going to a pro-Morsi protest although he absolutely did not want the Muslim Brotherhood or Morsi to reassume power. Confusing.However, the deep feelings of hatred that surface these days, are more cause for concern than the confusion. Many hate the Muslim Brotherhood and are willing to do anything to break the backbone of the organization. They’re convinced the MB are religious totalitarians. Others hate the military, the police and all things linked to the old regime as manifestation of all that went so very wrong in Egypt over the last decades. As for the MB, they hate everything that remotely smells like secularism. According to them, June 30 and all that preceded it, was one big conspiracy. Actually, all are somewhat right in a certain way.Who are the Muslim Brothers?The MB was founded in 1928 by a young Egyptian teacher, Hassan Al Banna. It is no coincidence that Mustafa Kemal Attatürk had abolished the Caliphate just a few years earlier. Al Banna was convinced that Egyptians were westernizing too much and that they had to become real Muslims again. He wanted to achieve his goal by two means: resistance to the British occupation of Egypt, but above all through education of the Egyptians themselves. For all intents and purposes, Al Banna was a kind of a missionary. He travelled all over Egypt, persuading as many Egyptians a possible to join his underground resistance movement.The MB combined religious education and social aid to the poorest. It made them immensely popular in no time. Egyptian and British authorities were less enthusiastic. They saw the MB as a subversive movement and quickly took action to suppress it. The Brothers were violent and murdered the Egyptian prime minister in the forties. A year later Hassan Al Banna himself was murdered.The average Egyptian never really completely trusted the MB and this for three reasons. First, there is the ambiguity regarding their ultimate objective. Do they aim to restore the Caliphate? Do they aspire worldwide domination? Do they seek to transform Egypt into some sort of Saudi Arabia? The second reason is congruent with the first: it being a secret organization. As with free-masons, there’s no public list of members and nobody knows their exact numbers. And although they deny it, the MB is organized on an international level. The secrecy has a lot to do with persecution but also gives way to all kinds of conspiracy theoriesThe third reason for mistrust is the fact that the MB used a lot of violence. Their most infamous act was the assassination of president Anwar Sadat. Despite the fact they have since disavowed violence, many are convinced that the Brothers are behind terrorist organizations as Gamaa Al Islamiya or Al Qaida. Al Zawahiri, Osama Bin Laden successor has a MB past. It is no coincidence that every Egyptian president was on a tense footing with the Brotherhood while simultaneously being forced to deal with them.
The 2011 revolutionWhen on January 25th the first mass protests filled Tahrir, MB executives declared that its members would not join. They choose evolution, not revolution. Nonetheless many young members joined the revolutionaries at Tahrir. On January 28th the MB realized that remaining on the side-lines was not an option and backed the revolution. That was important because if the organization is capable of one thing, it is raising huge crowds. That became apparent after Hosni Mubarak had fallen and the military leaders made some big errors. If Tahrir needed to be filled, the Brothers delivered. It have them an aura of good organizers that could speak for a large part of Egyptians.After all, the MB had the aura of the revolution and of decades of resistance to the dictatorship. Muhamed Morsi was pretty used to be in jail and he and many other leader of the MB still were imprisoned on January 25. Besides, they enjoyed the image of being ‘good Muslims’ and therefore honest people, as opposed to the corrupt regime. A third advantage they held over other opposition forces: they had a plan, the so-called Ennahda.
The 2011 electionsTherefore, it was no surprise the MB won the November elections in a very convincing way, with nearly 50% of the votes. The other contenders were divided, badly organized and made quite some campaign mistakes. On the subway, someone explained very plainly why he voted MB. He said: “To marry I must buy an apartment. I can’t do that if I lose my job. The economy must reboot. The MB is our best guarantee for that.”The enthusiasm in Egypt before, during and after the elections was enormous. People queued for hours to cast their true first vote. Politics and the meaning of the newly won liberty was discussed all over, the subway, the market, at the barber shop. After the elections huge numbers of Egyptians listened in on the sessions of parliament that were broadcasted live on radio. They did so in cabs, in the street, in tea houses. Every word was heard. That initiated the first downfall of the MB.Every Egyptian heard how chaotic the parliamentary debates were. They heard elected MB and Salafis table the most insane propositions. There was the representative that proposed to make it legal to have sexual intercourse with a spouse up until six hours after she died. It infuriated the average Egyptian. They voted for the MB to improve the economy not to discuss Islam. Popular support for the MB sank rapidly.
The 2012 presidential electionsI was sitting down with a few young revolutionaries the day before the first round of presidential elections. One of them suddenly questioned: ‘What if the second round is between Morsi and Ahmed Shafiq?’ That off course would be every revolutionaries worst nightmare. But voting for Shafiq was out of the question. He was Mubarak’s last prime minister. If Shafiq were to become president, the revolution would have been in vain. To the astonishment of many Egyptians that nightmare choice became reality.Although Morsi, and thus the MB, only got 25% in the first round, half the score of the parliamentary elections six months earlier, he got the most votes of any candidate. 75% didn’t vote MB, but that vote was divided. It was (and still is) the reality of the opposition: divided and lacking a common strategy. Yours truly suggested the revolutionary candidates endorsed Morsi in return for half the power and a veto right. It never came to an actual deal along those lines for lack of unity in the revolutionary camp.Nonetheless Muhamed Morsi accepted the proposal, live in the most important TV show on air. He promised to be the guardian of the revolution, the president of all Egyptians and to share power with the liberal opposition. He further promised to appoint a Coptic vice-president and a woman. What were the options available for the revolutionary voter? Letting Shafiq win or reluctantly voting for Morsi, hoping the promises were not hollow words.
Morsi’s broken promisesI stood in the middle of Tahrir amidst a Muslim Brotherhood crowd when Muhamed Morsi was declared winner of the presidential elections and thus the first elected president in the history of Egypt. The relief among those present was indescribable. It felt as if 85 years of persecution fell of the Brothers shoulders. It was the week I published a piece stating Morsi had a choice between cooperating and disappearing. And that if MB failed to live up to their promises, Egyptians fear of them would quickly turn to hatred. That is exactly what happened the past year.Still, Morsi was off to a good start. He deposed the hated military leader Tantawi and replaced him with the younger general Abdel-Fattah Al-Sisi. Tantawi was the face of the Supreme Council of Armed Forces (SCAF) that held all power in the days between Mubarak and Morsi. It was the same SCAF that deprived the president of power during the presidential election weekend by virtue of a hastily drawn up constitutional declaration. Having taken back that power in August Morsi was cheered on by many Egyptians. He had an approval rating of 80%.Other promises proved harder to realize. In his campaign Morsi had promised to solve Cairo’s traffic problems in a hundred days. And clean up the city. Off course, a hundred days having come and gone, there was not one traffic jam or pile of rubbish less in one of the world’s most chaotic cities. His promise of a woman and a Copt vice president weren’t fulfilled either. Instead he did appoint a widely appreciated judge.
The beginning of the end: the mini-coupNone of these shortcomings were the reason the atmosphere in Egypt shifted all of a sudden. To everyone’s surprise in November 2012, Morsi –by way of his spokesman- issued a new constitutional declaration stripping constitutional court judges of all power. He appointed a new general prosecutor. He further declared that the drafting of the constitutions was to be concluded within the week and to be followed by a referendum in two weeks on a text written almost exclusively by Islamists.Revolutionary and liberal Egypt was infuriated. Instead of implicating them in the political process, they got pushed aside together with the entire judicial power. Again masses took to the street, protesting “the MB coup”. The MB resorted to armed mobs to disperse the protesters. Some people got dragged into the presidential palace where they were beaten and tortured. Revolutionaries of the first hour declared Morsi to be the new Mubarak. The vice president resigned in protest, as did all independent presidential advisors.The day after the so-called mini-coup I asked someone close to Morsi what was going on. He told me a incredible story. Morsi and the MB leadership were convinced of a major conspiracy orchestrated by opposition figures as Mohamed El Baradei, the media, judges, businessmen and elements of the old regime. Morsi and his brothers got entrenched in a bunker mentality of ‘us against everyone else’ they haven’t managed to let go since. It induced Morsi to commit mistake upon mistake. Dialogue had become impossible.
The tyranny of the majorityThere were several attempts to restore dialogue. The first one was made by the new army commander, general Sisi during the protests against the mini-coup. Morsi refused Sisi’s invitation. Instead he organized his own dialogue between his advisors, the resigning vice-president and the opposition. By that time, the opposition had lost all faith. And it has to be said, the opposition was also divided to the extent that any strategy beyond boycotting seemed impossible.But despite the divisions the opposition organized itself in the National Salvation Front, headed by Baradei. Once the interlocutors had become clear, the European Union endeavored a kind of compromise in order to share power between the MB and the opposition. Morsi should replace his prime minister and allow the opposition access to five cabinet positions. The electoral law should be adapted according to the remarks made by the Supremer Constitutional Court. The hated general prosecutor should be replaced. European diplomacy chief, Catherine Ashton herself came to Cairo to give this proposal a final push. All seemed to agree. But Morsi did not respond. The political leadership of the MB was divided…Instead of trying to close the gap, a campaign was launched against leading political and media figures. Journalists were detained. Liberal politicians were accused of spying, of heresy, of conspiring. Even the very popular satirist Bassem Youssef was prosecuted and questioned. Morsi’s approval ratings fell from 80 to 30 percent in less than seven months. More and more people saw him as the president of the Muslim Brothers rather than the president of all Egyptians. Those that had voted for him felt cheated. In the presidential elections they had overcome their deep doubts and anxieties in the name of the revolution. Now they felt betrayed by Morsi.
The youth rises against MorsiAtop of all the political mistakes, Egypt was doing ever worse economically. There were daily power an water cuts? Petrol shortages became a general nightmare, causing enormous traffic jams at every filling station. Living got a lot more expensive as Egypt’s pound fell. If it hadn’t been for financial aid from Qatar and Libya, Egypt would probably have gone bankrupt in January.In April some youth had the idea of starting a petition demanding precipitated presidential elections. A big demonstration was planned for June 30th, the first anniversary of Morsi’s oath of office. To their own surprise the response to the petition was overwhelming. Pretty soon they had gathered 2 million signatures. The military realized: June 30 was going to be huge and dangerous. The hatred ran deep. The Army decided on contacting the founders of the Rebel movement (Tamarod) and offered to provide security on the condition of a peaceful demonstration.Meanwhile the petition amassed an increasing and spectacular number of signatures (it is said that by the end there were 22 million), making everyone realize this would end in an enormous clash between those that saw Morsi as a new dictator (betraying all ideals of the revolution) and the MB (that insisted on respect for election outcome). The days leading up to June 30th already saw some skirmishes and casualties.
The role of the Egyptian ArmyThe army is highly respected in Egypt. Particularly because as all other institutions seem to fail, the military often appeared the only one that could get things done. Even as it holds a large chunk of the country’s economy (figures vary from 20 to 40 percent), it is considered the only factor to put the country’s interests first. During the 2011 revolution the army chose not to intervene, which meant choosing the side of the protesters in Tahrir. In the end, it was the military that deposed Mubarak.Of course Morsi too saw June 30 approaching. But instead of searching for a solution, he was looking for ways to divert the people’s attention and to try to gather them behind him. All of a sudden there was the problem of the Nile dam in Ethiopia and the threat of war. The sentencing of NGO employees drew anger in Europe and the US. And suddenly, in front of a packed soccer stadium Morsi changed his Syria strategy and called for a jihad against Assad. At the same time Morsi refused to take tough measures to tackle the anarchy and violence in Sinai where several soldier were kidnapped.Thus, in June the army saw the convergence of two phenomena. On the one hand a big clash between Morsi opposers and supporters with the potential to grow into a kind of civil war. On the other hand the army saw a president willing to risk national security for political reasons. And this even leaves out the economic consequences of all of this for a country already on the brink. General Sisi made multiple attempts to persuade Morsi to engage in dialogue with the opposition. Morsi not only refused to listen to him, the political office of the MB decided secretly to replace Sisi and a number of other generals. A similar fate was bestowed upon a bunch of ‘conspiring’ judges and journalists.
The finale: June 30 until July 3The tension on the eve of June 30 was enormous. Everybody believed a massive and violent clash would ensue. Friends told me they were even prepared to die – or at least they were convinced that in the end that would be their fate. But when I went from Tahrir tot the presidential palace and back on June 30, I realized it was al over for Morsi. Never before had so many people taken the streets. Numbers varied from 15 to 33 million Egyptians. Whatever the correct figure, it was clear to all that this was far bigger than the 2011 revolution itself. The protests were too big to fail.The question then was: what will the military do? Will it wait to intervene until the situation escalates completely into violence or will it try act preventively? General Sisi chose the latter. He gave Egyptian politicians (read: Morsi) 48 hours to come to a solution. Morsi rejected the ultimatum and gave a speech repeating allegations of conspiracies and foreign interference. The only ‘concession’ he made was the promise to hold parliamentary elections within six months.The army intervened, backed by the liberal opposition, de Coptic pope and the head of Al Azhar, the most renowned institute of Sunni Islam. They advanced a transition plan that was verbatim the one the Rebel-movement had proposed two weeks earlier. I was in Tahrir square when it was announced Morsi had been removed for office and replaced by the presiding judge of the constitutional court. The mood was ecstatic. Millions of Egyptians partied, danced and sang in the streets all night.
Revolution or military coup?Apart from MB themselves, few Egyptians consider the removal of Morsi a real military coup. Rather it is regarded as a second revolution with the military siding with the people, as was the case in the first revolution. Contrary to what it did in the first revolution in 2011, the army did not assume political control of the transition, but immediately presented a civil president and cabinet. However it is clear that the army continues to play an important role in Egypt, politically and economically, as it has for the past sixty years. Particularly in foreign policy it is and remains the military that sets out the boundaries.The massacre committed by the military among protesting Muslim Brothers raises serious questions of accountability though. Can anyone hold the military accountable? Or does the army remain an untouchable state within the state? As was the case in Malaysia or Turkey, it will probably take considerable time for the Egyptian army to be reined in to its appropriate role.The most important question however remains what will happen to the MB? Up until today, they refuse to accept Morsi’s removal as a fact and refuse to talk unless he is restored in his office. We will undoubtedly see more clashes in the weeks and months to come. Still overtures for talks – whether or not under the auspices of the EU – remain possible. In any case, for Egypt to make progress, it is necessary to find some sort of democratic modus vivendi. For this to happen, hate and mistrust will have to make way for something we learned to live with a long time ago in all democratic countries: compromise.
Vescovo di Andropoli: Cristiani e musulmani in Egitto uniti per salvare il Paese dagli islamisti
http://www.asianews.it/
20/08/2013 14:21
EGITTO
Vescovo di Andropoli: Cristiani e musulmani in Egitto uniti per salvare il Paese dagli islamisti
Per mons. Golta, ausiliare della diocesi copta cattolica di Alessandria, Stati Uniti e Unione Europea vogliono imporre agli egiziani il dominio dei Fratelli Musulmani. Gli islamisti hanno promesso di risolvere la questione palestinese cedendo il 40% del Sinai ad Hamas. Musulmani pronti a difendere i cristiani a qualsiasi costo.
Il Cairo (AsiaNews) - "Cristiani e musulmani egiziani sono uniti per cambiare il Paese, i Fratelli musulmani invece sono un movimento internazionale a cui non interessa il bene dell'Egitto. Dopo la sua elezione Mohammed Morsi ha promesso di risolvere la questione palestinese, cedendo il 40% della penisola del Sinai e creare insieme ad Hamas un nuovo Stato per la popolazione di Gaza e la Cisgiordania. Tutto a scapito degli egiziani". È quanto afferma ad AsiaNews mons. Yohanna Golta, vescovo di Andropoli e ausiliare della diocesi di Alessandria per la Chiesa copta-cattolica. Il prelato descrive il drammatico clima di violenza in cui è piombato l'Egitto e punta il dito contro tutti quei Paesi che nascondono la verità dei fatti, ignorando l'opinione di milioni di egiziani e riducendo lo scontro politico a quello fra militari e Fratelli Musulmani."L'organizzazione dei Fratelli Musulmani ha un piano per costruire un califfato islamico - racconta mons. Golta - tale programma è internazionale e comprende Turchia, Qatar, Egitto e altri Stati musulmani". Per il prelato l'occidente è più interessato a risolvere la questione israeliana che ai desideri di democrazia degli egiziani. "La popolazione egiziana, soprattutto i giovani - continua - rifiuta questo piano. La rivoluzione del 30 giugno è avvenuta proprio per evitare distruggere il nostro Paese e l'esercito e la polizia per la prima volta si sono schierati con la gente. Tutti, donne, uomini, anziani, bambini, imam e sacerdoti cristiani hanno marciato insieme senza scontri. Io ero fra i manifestanti e ho sperimento questo clima di amicizia e unità". Il vescovo sottolinea che nel resto del mondo nessuno sta dando peso a questo evento epocale, preferendo scontrarsi sui cavilli della legittimità del governo di Mohammed Morsi. "La pace in Israele e Palestina - continua - fa comodo all'occidente, per questa ragione gli Usa rifiutano la nostra politica e vogliono realizzare il loro obiettivo: far tornare gli islamisti al potere".Mons. Golta sostiene che l'attacco contro le Chiese cristiane era stato preparato da tempo ed è parte di un programma premeditato. "In queste settimane - racconta - gli estremisti hanno distrutto chiese, abitazioni, musei e ingaggiato scontri con la polizia. E questo per mostrare al mondo che il Paese è nel caos e spingere i Paesi occidentali ad entrare in Egitto e obbligare la popolazione ad accettare il governo di Mohammed Morsi".
Tuttavia, secondo il vescovo chi ha vissuto sulla sua pelle i fatti delle ultime settimane conosce la verità, che non corrisponde alle notizie riportate dai media. "Il prezzo di questo caos oltre alle centinaia di morti negli scontri fra islamisti ed esercito - spiega - sono le oltre 40 chiese bruciate e le 500 abitazioni cristiane distrutte in modo deliberato". Mons. Golta critica chi continua a parlare di scontro confessionale: "I musulmani stanno difendendo i copti, organizzando cordoni di sicurezza intorno alle chiese (v. foto), alle case, ai negozi. Chi desidera lo scontro è solo una piccola minoranza, che non rappresenta l'Egitto. Stati Uniti e Unione Europea non vogliono vedere la realtà, ma solo ciò che a loro interessa, dicendo falsità e calpestando i desideri della popolazione egiziana". (S.C.)
EGITTO - 58 chiese distrutte. “Ma non è una guerra tra cristiani e musulmani” dice il portavoce dei Vescovi cattolici
http://www.fides.org/it/news/
Il Cairo (Agenzia Fides)- Sono 58 le chiese e istituzioni cristiane attaccate e incendiate in Egitto negli ultimi giorni. Lo comunica all’Agenzia Fides p. Rafic Greiche, portavoce dei Vescovi cattolici dell’Egitto. “Su 58 chiese attaccate 14 sono cattoliche, il resto appartengono alle comunità copto ortodosse, greco ortodosse, anglicane e protestanti” precisa p. Greiche. “Gli attacchi contro le chiese si sono verificati un po’ in tutto il Paese, ma sono concentrati soprattutto nelle aree di Al Minya e di Assiut, perché è là che si trova il quartiere generale dei jihadisti, responsabili di queste violenze” aggiunge p. Greiche .
“È da sottolineare- afferma il sacerdote- che i musulmani che abitano nei pressi delle chiese colpite hanno aiutato i religiosi e le religiose a spegnere gli incendi degli edifici di culto”.
“Questa non è una guerra civile tra cristiani e musulmani” enfatizza P. Greiche. “Non è una guerra civile ma una guerra contro il terrorismo. E la maggioranza della popolazione è contro il terrorismo e l’estremismo religioso” conclude p. Greiche. (L.M.) (Agenzia Fides 19/8/2011
Video: Brutal Muslim Brotherhood attack on St. George church in Sohag, Egypt , 15 agosto 2013
http://www.jihadwatch.org/
CHI E' ROBERT FORD?
“The Salvador Option For Syria”: US-NATO Sponsored Death Squads Integrate “Opposition Forces”
http://www.globalresearch.ca/
This article was originally published in May 2012
Modeled on US covert ops in Central America, the Pentagon’s “Salvador Option for Iraq” initiated in 2004 was carried out under the helm of the US Ambassador to Iraq John Negroponte (2004-2005) together with Robert Stephen Ford, who was appointed US Ambassador to Syria in January 2011, less than two months before the beginning of the armed insurgency directed against the government of Bashar Al Assad.
“The Salvador Option” is a “terrorist model” of mass killings by US sponsored death squads. It was first applied in El Salvador, in the heyday of resistance against the military dictatorship, resulting in an estimated 75,000 deaths. ùUS–sponsored death squads carrying out their brutal work in El Salvador
John Negroponte had served as US ambassador to Honduras from 1981 to 1985. As Ambassador in Tegucigalpa, he played a key role in supporting and supervising the Nicaraguan Contra mercenaries who were based in Honduras. The cross border Contra attacks into Nicaragua claimed some 50,000 civilian lives. In 2004, after serving as Director of National Intelligence in the Bush administration, John Negroponte was appointed US Ambassador to Iraq, with a very specific mandate: the setting up of “Salvador Option” for Iraq.
The Salvador Option for Syria”: The Central Role of US Ambassador Robert S. Ford The US Ambassador to Syria (appointed in January 2011), Robert Stephen Ford had been part of Negroponte’s team at the US Embassy in Baghdad (2004-2005). In this regard, “The Salvador Option” for Iraq laid the groundwork for the launching of an armed insurgency in Syria in March 2011. In relation to recent events, the killing of 108 people including 35 children in the border city of Houla on May 27 was, in all likelihood, committed by US sponsored death squads under the “Salvador Option for Syria”. The deaths of civilians have been casually blamed by the Western media on the Al Assad government and the incident is being used as pretext for a “humanitarian” R2P intervention by NATO. Outright media fabrications, including the manipulation of images by the BBC suggest that the Syrian government was not behind the massacre:
“As information trickles out of Houla, Syria, near the city of Homs and the Lebanese-Syrian border, it is becoming clear that the Syrian government was not responsible for shelling to deaths some 32 children and their parents, as periodically claimed and denied by Western media and even the UN itself. It appears that instead, it was death squads at close quarters – accused by anti-government “activists” as being “pro-regime thugs” or “militias,” and by the Syrian government as the work of Al Qaeda terrorists linked to foreign meddlers.” (See Tony Cartalucci, Syrian Government Blamed for Atrocities Committed by US Sponsored Deaths Squads, Global Research, May 28, 2012)
Chronology of the Syria “Protest Movement”US Ambassador Robert S. Ford was dispatched to Damascus in late January 2011 at the height of the protest movement in Egypt. (The author was in Damascus on January 27, 2011 when Washington’s Envoy presented his credentials to the Al Assad government).
At the outset of my stay to Syria in January 2011, I reflected on the significance of this diplomatic appointment and the role it might play in a covert process of political destabilization. I did not, however, foresee that this destabilization agenda would be implemented within less than two months following the instatement of Robert S. Ford as US Ambassador to Syria.
The reinstatement of a US ambassador in Damascus, but more specifically the choice of Robert S. Ford as US ambassador, bears a direct relationship to the onset of the insurgency integrated by death squads in mid-March 2011 (in the southern border city of Daraa) against the government of Bashar al Assad.
Robert S. Ford was the man for the job. As “Number Two” at the US embassy in Baghdad (2004-2005) under the helm of Ambassador John D. Negroponte, he played a key role in implementing the Pentagon’s “Iraq Salvador Option”. The latter consisted in supporting Iraqi death squads and paramilitary forces modelled on the experience of Central America.
Ambassador Ford in Hama in July 2011
Since his arrival in Damascus in late January 2011 until he was recalled by Washington in October 2011, Ambassador Robert S. Ford played a central role in laying the groundwork within Syria as well as establishing contacts with opposition groups. The US embassy was subsequently closed down in February 2012.
Ford also played a role in the recruitment of Mujahideen mercenaries from neighboring Arab countries and their integration into Syrian “opposition forces”. Since his departure from Damascus, Ford continues to oversee the Syria project out of the US State Department:“As the United States’ Ambassador to Syria—a position that the Secretary of State and President are keeping me in —I will work with colleagues in Washington to support a peaceful transition for the Syrian people. We and our international partners hope to see a transition that reaches out and includes all of Syria’s communities and that gives all Syrians hope for a better future. My year in Syria tells me such a transition is possible, but not when one side constantly initiates attacks against people taking shelter in their homes”. (US Embassy in Syria Facebook page)
“Peaceful transition for the Syrian people”? Ambassador Robert S., Ford is no ordinary diplomat. He was U.S. representative in January 2004 to the Shiite city of Najaf in Iraq. Najaf was the stronghold of the Mahdi army. A few months later he was appointed “Number Two Man” (Minister Counsellor for Political Affairs), at the US embassy in Baghdad at the outset of John Negroponte’s tenure as US Ambassador to Iraq (June 2004- April 2005). Ford subsequently served under Negroponte’s successor Zalmay Khalilzad prior to his appointment as Ambassador to Algeria in 2006.
Robert S. Ford’s mandate as “Number Two” (Minister Counsellor for Political Affairs) under the helm of Ambassador John Negroponte was to coordinate out of the US embassy, the covert support to death squads and paramilitary groups in Iraq with a view to fomenting sectarian violence and weakening the resistance movement.
John Negroponte and Robert S. Ford at the US Embassy worked closely together on the Pentagon’s project. Two other embassy officials, namely Henry Ensher (Ford’s Deputy) and a younger official in the political section, Jeffrey Beals, played an important role in the team “talking to a range of Iraqis, including extremists”. (See The New Yorker, March 26, 2007). Another key individual in Negroponte’s team was James Franklin Jeffrey, America’s ambassador to Albania (2002-2004).
It is worth noting that Obama’s newly appointed CIA head, General David Petraeus played a key role the organization of covert support to Syria’s rebel forces, the infiltration of Syrian intelligence and armed forces, etc.
Petraeus played a key role in Iraq’s Salvador Option. He led the Multi-National Security Transition Command (MNSTC) “Counterinsurgency” program in Baghdad in 2004 in coordination with John Negroponte and Robert S Ford at the US Embassy in Baghdad.
General David Petraeus (prior to his appointment as Head of the CIA)
The CIA is overseeing covert ops in Syria. In mid-March, General David Petraeus met with his intelligence counterparts in Ankara, to discuss Turkish support for the Free Syrian Army (FSA)( CIA Chief Discusses Syria, Iraq With Turkish PM, RTT News, March 14, 2012)
David Petraeus, the CIA chief, held meetings with top Turkish officials both yesterday and on March 12, the Hürriyet Daily News learned. Petraeus met with Prime Minister Recep Tayyip Erdoğan yesterday and his Turkish counterpart, Hakan Fidan, head of the National Intelligence Organization (MİT), the previous day.
An official from the U.S. Embassy said that Turkish and American officials discussed “more fruitful cooperation on the region’s most pressing issues in the coming months.” Turkish officials said Erdoğan and Petraeus exchanged views on the Syrian crisis and anti-terror fight. (CIA chief visits Turkey to discuss Syria and counter-terrorism | Atlantic Council, March 14, 2012).
The US State Department in collaboration with several US intelligence agencies and the Pentagon is overseeing US support to the Free Syrian Army.
A Syria policy committee chaired by Secretary of State Hillary Clinton involves the participation of Ambassador Robert Stephen Ford, CIA director David Petraeus, Jeffrey Feltman, Assistant Secretary of State for Near Eastern Affairs and Derek Chollet, Principal Deputy Director of Clinton’s Policy Planning Staff at the State Department.
Under Jeffrey Feltman’s supervision, the actual recruitment of terrorist mercenaries, however, is carried out in Qatar and Saudi Arabia in liaison with senior intelligence officials from Turkey, Saudi Arabia, Qatar, Libya and NATO. The former Saudi ambassador to the US, Prince Bandar, who remains a key member of Saudi intelligence, is said to be working with the Feltman group in Doha.
¿Ayudó Obama de forma encubierta a los Hermanos Musulmanes de Egipto con 8 mil millones de dólares?
http://www.elespiadigital.com/
El hijo de un líder de la Hermandad Musulmana en Egipto encarcelado afirma su padre tiene pruebas para llevar al presidente Obama a la cárcel. La afirmación se hizo pública tras la intervención del gobierno de Obama, con la ayuda de los senadores John McCain, R-Ariz., Y Lindsey Graham, y la participación abierta del No. 2 del Departamento de Estado de EE.UU., para hacer un esfuerzo para ver líderes de la Hermandad Musulmana en Egipto que se encontraban en libertad tras el golpe cívico-militar que sacó a los islamistas del poder.
En una entrevista con la Agencia de Noticias Anatolia en Turquía, Saad Al-Shater, el hijo del encarcelado líder de la Hermandad Musulmana Khairat Al-Shater, dijo que su padre "tenía en su mano" evidencias que podrían poner a Obama en la cárcel.
En una amenaza velada, Saad Al-Shater dijo que una delegación EE.UU. fue enviada a El Cairo por Obama para presionar por la liberación de los líderes de los Hermanos Musulmanes detenidos, incluyendo a su padre para evitar la divulgación de una información explosiva.
El informe de la Agencia de noticias turca Anatolia señalaba que en una entrevista con Saad Al-Shater, el hijo de un líder de la Hermandad Musulmana, el detenido Khairat Al-Shater
“dijo que su padre tenía en la mano la evidencia que el presidente de los Estados Unidos de América, Barack Obama, podría acabar en la cárcel. Hizo hincapié en que la alta delegación de EE.UU. que se encuentra de visita Egipto, sabe muy bien que el destino, el futuro, los intereses y la reputación de su país está en manos de su padre, y ellos saben que él es dueño de la información, los documentos y las grabaciones que incriminan y condenan a su país. Tales documentos se pusieron en manos de las personas que habían recibido el encargo dentro y fuera de Egipto, y que la liberación de su padre es la única manera para evitar una gran catástrofe. Afirmó que una advertencia fue enviada para mostrar la conexión directa con la administración de EE.UU. La evidencia fue enviada a través de intermediarios que hizo cambiar de actitud y corregir la posición norteamericana respecto a Egipto, y que se han dado pasos importantes para demostrar la buena fe. Saad también dijo que la seguridad de su padre es más importante para los estadounidenses que la seguridad de Mohamed Morsi”.
Escribiendo en su blog, Shoebat señaló que seis diferentes fuentes árabes confirmaron la entrevista con Saad Al-Shater y el informe de las afirmaciones de Al-Shater.
Shoebat dijo que la entrevista con Saad Al-Shater fue el 7 de agosto, por lo que es probable que la referencia a la "delegación de altos funcionarios EE.UU. actualmente de visita en Egipto", fue sobre el viaje de McCain, Graham y EE.UU. El subsecretario de Estado William Burns.
El 6 de agosto, durante la reunión con el vicepresidente del gobierno interino egipcio, Mohamed ElBaradei, ex director general de la Agencia Internacional de Energía Atómica de la ONU, McCain y Graham llamaron a Khairat Al-Shater y otros líderes de los Hermanos Musulmanes encarcelados "presos políticos". Posteriormente, dijeron a los periodistas en El Cairo que el no liberar a los presos Hermandad Musulmana sería "un gran error".
El Presidente interino de Egipto, Adly Mansour, rechazó la solicitud de la delegación de EE.UU., para poner en libertad a los líderes islamistas ya que constituía una "injerencia inaceptable en la política interna."
El 6 de agosto, la Associated Press informó que el gobierno egipcio planeaba procesar a Khairat Al-Shater y los otros líderes de la Hermandad Musulmana encarcelados bajo la acusación de incitar a la violencia en diciembre pasado cuando los miembros de la Hermandad Musulmana atacaron una sentada de manifestantes contra el entonces presidente Mohamed Morsi, lo que acabó con la muerte de 10 personas.
ABC News informó que las delegación estadounidense viajó por separado la noche del Domingo 4 de agosto, a la prisión de Tora en el centro de El Cairo para reunirse con Khairat Al-Shater, a pesar de las afirmaciones de los Hermanos Musulmanes, que negaban dicha reunión.
En una entrevista el 6 de agosto con la CNN en Egipto, McCain pidió liberar a Khairat Al-Shater, líder de la Hermandad Musulmana y reconocido como “interlocutor” válido para Estados Unidos, cuando se le preguntó acerca de las personas que podían negociar con éxito un futuro gobierno egipcio.
¿Qué contienen los documentos que guarda Khairat Al-Shater? Según informaciones validadas por al menos seis fuentes distintas, dichos documentos probarían que Obama donó una ayuda de 8 mil millones de dólares para la Hermandad Musulmana.
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LIBANO
URGENTE -ATAQUES A EL LÍBANO
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LIBANO: Ataque contra mezquitas
Al menos 40 muertos y 500 heridos por dos atentados en Líbano
Las explosiones ocurrieron en rápida sucesión en la norteña ciudad de Trípoli yafectaron a templos sunnitas. El ataque sería consecuencia de la guerra civil en Siria.
Al menos 40 personas murieron hoy y 500 resultaron heridas en dos explosiones frente a sendas mezquitas sunnitas en la norteña ciudad libanesa de Trípoli, en medio de agravadas tensiones en el Líbano por la guerra civil en la vecina Siria, informó el Ministerio de Salud libanés.
Fuentes militares iniciaron tareas de rescate e investigación para determinar si las explosiones fueron causada por coches bomba, tal como suponen.
Las explosiones coincidieron con el horario del rezo musulmán de los viernes, por lo que las mezquitas y sus alrededores estaban muy concurridos.
Los heridos fueron trasladados a distintos hospitales de Trípoli, la ciudad más importante del norte libanés y de mayoría sunnita.
La primera explosión ocurrió en la céntrica mezquita de Al Taqwa, adonde generalmente encabeza las oraciones el jeque Salem Rafei, quien días atrás llamó a sus seguidores a sumarse a la revuelta armada que desde hace más de dos años enfrenta el gobierno del presidente sirio, Bashar Al Assad.
No está claro si al momento de la explosión Rafei estaba dentro del templo, pero la agencia nacional de noticia de Líbano (ANN) informó que no fue herido.
Quien sí resultó herido en el ataque en la mezquita de Al Taqwa fue del antiguo jefe de la Policía nacional, Ashraf Rifi, quien vive cerca de ese templo, informó la Media Luna Roja.
La segunda explosión se produjo minutos después frente a la mezquita As Salam, ubicada en las inmediaciones del puerto de la ciudad.
Imágenes transmitidas por la cadena de noticias BBC mostraron gente corriendo y acarreando personas ensangrentadas, cuerpos que yacían en la calle, autos incendiados y destrozos en los edificios linderos.
Los atentados fueron el segundo episodio de violencia en el Líbano en un mismo día.
Por la madrugada de hoy, el Ejército israelí bombardeó una zona cercana a Beirut en respuesta al lanzamiento de cuatro proyectiles contra su territorio ocurrido ayer y reivindicado por una agrupación vinculada a Al Qaeda.
El vocero de un pequeño grupo armado y nacionalista palestino, diferente del que reivindicó el ataque con cohetes a Israel, dijo que el bombardeo israelí golpeó una posición de su grupo y que no provocó víctimas ni daños.
El ataque con coches bomba de hoy es el más mortífero ocurrido en Trípoli desde que finalizó la guerra civil que tuvo lugar en Líbano entre los años 1975 y 1990, y se producen en medio de una ola de violencia que comenzó en junio pasado.
El pasado 15 de agosto hubo otro episodio de violencia cuando un coche con ex..., en Beirut, y dejó 27 muertos y 336 heridos.
Cruz Roja: 43 muertos y más de 500 heridos en explosiones en Líbano
La primera explosión se registró en el barrio de Al Zaherya cuando los fieles salían de la mezquita de Taqwa.
Fuente: DPA
viernes, 23 de agosto del 2013
Vista de un vehículo calcinado en el lugar donde se produjo una explosión, en la ciudad de Trípoli, Líbano. Al menos 43 personas murieron y más de 500 resultaron hoy heridas en dos explosiones ocurridas en dos mezquitas de mayoría sunita en la ciudad portuaria de Trípoli, en el norte de Líbano, informó la Cruz Roja.
Beirut, Líbano.- Al menos 43 personas murieron y más de 500 resultaron hoy heridas en dos explosiones ocurridas en dos mezquitas de mayoría sunita en la ciudad portuaria de Trípoli, en el norte de Líbano, informó la Cruz Roja. Se trata del segundo gran ataque terrorista en el país en dos semanas.
El líder de la Cruz Roja libanesa, George Kettaneh, espera que la cifra de víctimas aumente debido al estado de gravedad de muchos de los heridos.
La primera explosión se registró en el barrio de Al Zaherya cuando los fieles salían de la mezquita de Taqwa, mientras la segunda, sólo unos minutos después, se produjo contra la mezquita Salam, en el área de Al Mina.
La televisión libanesa mostró imágenes de víctimas ensangrentadas y edificios gravemente dañados. También se vio a hombres corriendo por las calles y gritando "yihad" contra los "enemigos del Islam".
Nadie ha asumido la responsabilidad del ataque. Hace una semana 22 personas murieron en la explosión de un coche bomba en un barrio en el sur de la capital, Beirut, feudo de la milicia chiita Hizbollah. Entonces Hizbollah prometió venganza, pero al parecer el grupo no está implicado en los atentados de hoy. "Hay un plan criminal con el objetivo de sembar la discordia en Líbano", manifestó la milicia chiita, al tiempo que condenó la violencia en Trípoli.
Por su parte, organizaciones radicales sunitas prometieron proteger la zona a partir de ahora con sus "propios medios".
Las tensiones sectarias aumentaron en Trípoli en los últimos meses, azuzadas por el conflicto en la vecina Siria. Precisamente el imán de la mezquita de Taqwa, Salem al rifai, es conocido por atacar en sus discursos al presidnete sirio, Bashar al Assad.
"No descarto que el régimen sirio esté implicado en este crimen con la intención de desviar la atención de la masacre en Siria", dijo el diputado libanés Jalid al Daher.
El presidente Michel Suleiman dijo que los ataques sólo sirven a quienes quieren azuzar las tensiones y llamó a los libanes a permanecer juntos contra "conspiraciones de los enemigos de la paz y la estabilidad".
El primer ministro sunita de transición, Nagib Mikati, cuya casa está situada cerca del lugar de una de las explosiones, condenó también los ataques. "Se trata de otra prueba de que la situación en Líbnao ha alcanzado un nivel peligroso".
El Ministerio de Información sirio "condenó fuertemente" los ataques, dirigidos a crear "un estado de caos y destrucción".
El viernes fueron disparados desde Líbano cuatro cohetes contra Israel e Israel bomberdeó hoy un campamento del Frente para la Liberación de Palestina/Comando General, vinculado a Al Assad, al sur de Beirut.
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LIBANO
URGENTE -ATAQUES A EL LÍBANO
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LIBANO: Ataque contra mezquitas
Al menos 40 muertos y 500 heridos por dos atentados en Líbano
Las explosiones ocurrieron en rápida sucesión en la norteña ciudad de Trípoli yafectaron a templos sunnitas. El ataque sería consecuencia de la guerra civil en Siria.
Al menos 40 personas murieron hoy y 500 resultaron heridas en dos explosiones frente a sendas mezquitas sunnitas en la norteña ciudad libanesa de Trípoli, en medio de agravadas tensiones en el Líbano por la guerra civil en la vecina Siria, informó el Ministerio de Salud libanés.
Fuentes militares iniciaron tareas de rescate e investigación para determinar si las explosiones fueron causada por coches bomba, tal como suponen.
Las explosiones coincidieron con el horario del rezo musulmán de los viernes, por lo que las mezquitas y sus alrededores estaban muy concurridos.
Los heridos fueron trasladados a distintos hospitales de Trípoli, la ciudad más importante del norte libanés y de mayoría sunnita.
La primera explosión ocurrió en la céntrica mezquita de Al Taqwa, adonde generalmente encabeza las oraciones el jeque Salem Rafei, quien días atrás llamó a sus seguidores a sumarse a la revuelta armada que desde hace más de dos años enfrenta el gobierno del presidente sirio, Bashar Al Assad.
No está claro si al momento de la explosión Rafei estaba dentro del templo, pero la agencia nacional de noticia de Líbano (ANN) informó que no fue herido.
Quien sí resultó herido en el ataque en la mezquita de Al Taqwa fue del antiguo jefe de la Policía nacional, Ashraf Rifi, quien vive cerca de ese templo, informó la Media Luna Roja.
La segunda explosión se produjo minutos después frente a la mezquita As Salam, ubicada en las inmediaciones del puerto de la ciudad.
Imágenes transmitidas por la cadena de noticias BBC mostraron gente corriendo y acarreando personas ensangrentadas, cuerpos que yacían en la calle, autos incendiados y destrozos en los edificios linderos.
Los atentados fueron el segundo episodio de violencia en el Líbano en un mismo día.
Por la madrugada de hoy, el Ejército israelí bombardeó una zona cercana a Beirut en respuesta al lanzamiento de cuatro proyectiles contra su territorio ocurrido ayer y reivindicado por una agrupación vinculada a Al Qaeda.
El vocero de un pequeño grupo armado y nacionalista palestino, diferente del que reivindicó el ataque con cohetes a Israel, dijo que el bombardeo israelí golpeó una posición de su grupo y que no provocó víctimas ni daños.
El ataque con coches bomba de hoy es el más mortífero ocurrido en Trípoli desde que finalizó la guerra civil que tuvo lugar en Líbano entre los años 1975 y 1990, y se producen en medio de una ola de violencia que comenzó en junio pasado.
El pasado 15 de agosto hubo otro episodio de violencia cuando un coche con ex..., en Beirut, y dejó 27 muertos y 336 heridos.
Cruz Roja: 43 muertos y más de 500 heridos en explosiones en Líbano
La primera explosión se registró en el barrio de Al Zaherya cuando los fieles salían de la mezquita de Taqwa.
Fuente: DPA
viernes, 23 de agosto del 2013
Vista de un vehículo calcinado en el lugar donde se produjo una explosión, en la ciudad de Trípoli, Líbano. Al menos 43 personas murieron y más de 500 resultaron hoy heridas en dos explosiones ocurridas en dos mezquitas de mayoría sunita en la ciudad portuaria de Trípoli, en el norte de Líbano, informó la Cruz Roja.
Beirut, Líbano.- Al menos 43 personas murieron y más de 500 resultaron hoy heridas en dos explosiones ocurridas en dos mezquitas de mayoría sunita en la ciudad portuaria de Trípoli, en el norte de Líbano, informó la Cruz Roja. Se trata del segundo gran ataque terrorista en el país en dos semanas.
El líder de la Cruz Roja libanesa, George Kettaneh, espera que la cifra de víctimas aumente debido al estado de gravedad de muchos de los heridos.
La primera explosión se registró en el barrio de Al Zaherya cuando los fieles salían de la mezquita de Taqwa, mientras la segunda, sólo unos minutos después, se produjo contra la mezquita Salam, en el área de Al Mina.
La televisión libanesa mostró imágenes de víctimas ensangrentadas y edificios gravemente dañados. También se vio a hombres corriendo por las calles y gritando "yihad" contra los "enemigos del Islam".
Nadie ha asumido la responsabilidad del ataque. Hace una semana 22 personas murieron en la explosión de un coche bomba en un barrio en el sur de la capital, Beirut, feudo de la milicia chiita Hizbollah. Entonces Hizbollah prometió venganza, pero al parecer el grupo no está implicado en los atentados de hoy. "Hay un plan criminal con el objetivo de sembar la discordia en Líbano", manifestó la milicia chiita, al tiempo que condenó la violencia en Trípoli.
Por su parte, organizaciones radicales sunitas prometieron proteger la zona a partir de ahora con sus "propios medios".
Las tensiones sectarias aumentaron en Trípoli en los últimos meses, azuzadas por el conflicto en la vecina Siria. Precisamente el imán de la mezquita de Taqwa, Salem al rifai, es conocido por atacar en sus discursos al presidnete sirio, Bashar al Assad.
"No descarto que el régimen sirio esté implicado en este crimen con la intención de desviar la atención de la masacre en Siria", dijo el diputado libanés Jalid al Daher.
El presidente Michel Suleiman dijo que los ataques sólo sirven a quienes quieren azuzar las tensiones y llamó a los libanes a permanecer juntos contra "conspiraciones de los enemigos de la paz y la estabilidad".
El primer ministro sunita de transición, Nagib Mikati, cuya casa está situada cerca del lugar de una de las explosiones, condenó también los ataques. "Se trata de otra prueba de que la situación en Líbnao ha alcanzado un nivel peligroso".
El Ministerio de Información sirio "condenó fuertemente" los ataques, dirigidos a crear "un estado de caos y destrucción".
El viernes fueron disparados desde Líbano cuatro cohetes contra Israel e Israel bomberdeó hoy un campamento del Frente para la Liberación de Palestina/Comando General, vinculado a Al Assad, al sur de Beirut.
“Servicios de Inteligencia Extranjeros Están Detrás de los Atentados de Beirut” El bloque parlamentario de la Fidelidad a la Resistencia ha acusado a ciertos “servicios de inteligencia viles de la región” de haber perpetrado el atentado con coche bomba en Rueis, en el Suburbio del Sur de Beirut, utilizando para su comisión a los grupos takfiris y aprovechando la cobertura política provocadora de ciertas fuerzas del 14 de Marzo.
En un comunicado leído tras una reunión del bloque en su sede de Haret Hreik, el bloque parlamentario de la Resistencia ha indicado que “las fuerzas del 14 de Marzo buscan imponer opciones estratégicas y autoritarias al Líbano con el fin de servir a los intereses del eje norteamericano-sionista en la región”.
Él añadió que “Hezbolá asume su deber patriótico, humanitario y religioso frente a los terroristas y sus patrocinadores para la protección del Líbano, su unidad, su resistencia, su diversidad y su convivencia. Es una decisión realista e indispensable, sean cuales sean los sacrificios”.
En lo que se refiere a la cuestión gubernamental, él señaló que “el gobierno de unión nacional es la solución política capaz de eliminar la cobertura a los terroristas y de aquellos que buscan crear una crisis de seguridad en el Líbano. Sin embargo, los intentos de establecer un gobierno de hechos consumados son provocadores y no pueden sino agravar la crisis política en el país y generar una escalada de tensiones”.
En relación al disparo de cohetes desde el Sur del Líbano hacia la Palestina ocupada, el diputado Hassan Fadlalá dijo en una entrevista con la cadena de televisión libanesa LBC, que “Hezbolá no estaba al corriente del lanzamiento de tales cohetes. No podemos ni apoyar ni condenar estos disparos y esperamos los resultados de la investigación de la UNIFIL para saber quién los lanzó”.
En lo que respecta a la situación en Siria, Fadlalá estimó que “nadie en el Líbano se verá libre de las consecuencias si el proyecto del extremismo triunfa en Siria. Nosotros hacemos un llamamiento al diálogo y a arreglar la crisis políticamente”.
Según él, “la caída del presidente sirio, Bashar al Assad no es más que un sueño y una ilusión de algunos”.
Source: Prensa Árabe____________________________________________________________ _____ 23-08-2013
Hezbolá Protege sus Regiones Tras el atentado en el barrio de Rueis, el Suburbio del Sur del Líbano no se parece a cómo estaba antes. Los temores a un nuevo atentado con coche bomba han llevado a la adopción de una serie de medidas de seguridad urgentes.
Durante la última sesión del Consejo Superior de la Defensa, celebrada al día siguiente del atentado de Rueis, los responsables de seguridad han compartido todos los datos disponibles referentes al origen del terrorismo que golpea las regiones habitadas por los partidarios de Hezbolá.
Sin embargo, la protección de las zonas amenazadas por los atentados terroristas necesita de un “milagro” por parte de las fuerzas de seguridad, que no disponen de los efectivos necesarios para asegurar la seguridad en el Suburbio del Sur de Beirut, pero también en las localidades del Sur del país y en Monte Líbano. Frente a esta insuficiencia de recursos militares, Hezbolá se ha hallado en la obligación de tomar bajo su responsabilidad la seguridad de las zonas donde viven sus partidarios.
Existe una tendencia que apunta a la necesidad de coordinación entre los distintos servicios de seguridad y de hacer hincapié en la política de seguridad preventiva, dado que estos servicios persiguen a un cierto número de grupos terroristas sospechosos de haber lanzado cohetes o preparado coches bomba.
Según las investigaciones disponibles citadas por el periódico libanés As Safir, la mayor parte de las informaciones de que dispone el Departamento de Información del Ejército libanés le han sido entregadas por Hezbolá, que adoptó un estado de alerta incluso antes de la explosión de Bir el Abed del pasado 9 de Julio.
El Suburbio del Sur solo tiene necesidad de unos 2.000 militares y miembros de las Fuerzas de Seguridad Interna. Dado que estas últimas sufren ya de un déficit de personal debido a sus múltiples funciones, que incluyen la protección de las personalidades políticas, tal número de efectivos no está disponible en este momento.
Por su parte, el ejército libanés, cuyos miembros están repartidos entre el Sur, el Norte, Beirut y la Bekaa, es también incapaz de desplegar el número de soldados necesarios para hacer frente a las amenazas terroristas. El Ejército está concentrado, sobre todo, en el Norte del país para controlar las regiones donde existe una alta tensión.
Frente a esta situación, Hezbolá ha desplegado efectivos armados en puntos de control y registra vehículos y a transeúntes utilizando aparatos sofisticados que permiten descubrir coches bomba, mientras mantiene una coordinación con los servicios de seguridad.
Medios de seguridad confirman que todas las medidas adoptadas en el Suburbio del Sur y en otras regiones son temporales y han sido impuestas a causa de una nueva situación, la del “terrorismo de los coches bomba”.
____________________________________________________________ ______________ LÍBANO
Aviación Israelí Ataca una Posición Palestina al Sur de Beirut La aviación israelí ha llevado a cabo un ataque aéreo contra la posición de un grupo palestino al sur de Beirut.
El ataque israelí no ha causado víctimas e iba dirigido contra un centro que pertenece al Frente Popular para la Liberación de Palestina-Comando General en Naamé, señaló una fuente del FPLP-CG.
El portavoz del FPLP-CG dijo que la aviación israelí había lanzado bombas contra su centro de Naamé “sin causar víctimas ni daños”. Él también desmintió cualquier relación entre su grupo y el disparo de cohetes contra la Palestina ocupada la víspera.
“El FPLP-CG no tiene nada que ver con el lanzamiento de cohetes. Por el contrario, creemos que este lanzamiento es bastante sospechosos por el tiempo en que tuvo lugar,” dijo el portavoz en una conversación telefónica con AFP. “Los israelíes intentan todo el tiempo sembrar la disensión entre los palestinos y los libaneses,” añadió.
Por su parte, el Ejército de ocupación israelí anunció haber atacado un “objetivo terrorista” situado entre Beirut y Sidón en respuesta a “los cuatro cohetes lanzados contra el norte de Israel ayer”.
El ataque fue reivindicado en Twitter por un responsable de las Brigadas Abdullah Azzam, un grupo vinculado a Al Qaida.
“Las Brigadas Abdullah Azzam no se encuentran en Naamé”, precisó el portavoz del FPLP-CG
El Ejército israelí “considera al Líbano y a sus fuerzas armadas responsables de este ataque,” indicó un comunicado anterior israelí.
Source: Agencias23-08-2013 ______________________________________________ LIBANOLanzan cuatro misiles desde Líbano contra norte de Israel22 de agosto 2013
Cuatro cohetes fueron lanzados hoy desde el sur de Líbano contra Israel, confirmó el portavoz militar israelí Peter Lerner una información de la agencia de noticias libanesa.
El sistema de defensa antimisiles "Cúpula de Acero" interceptó un disparo entre la ciudad costera de Akko y Naharia y ninguno cayó en territorio israelí, según el portavoz. Otras fuentes libanesas habían señalado que dos cayeron en territorio libanés y otros dos al otro lado de la frontera.
Poco después del ataque, aviones israelíes sobrevolaron a baja altura el sur de Líbano. Lerner desmintió ataques de represalia por parte de Israel en esa zona.
El espacio aéreo del norte de Israel ha sido cerrado por motivos de seguridad hasta nueva orden, dijo Lerner, que habló de un "ataque no provocado contra civiles israelíes", que atribuyó al grupo salafista radical Yihad Global y no a la milicia chiita libanesa Hizbollah.
Ningún grupo se adjudicó la responsabilidad por el ataque, que no dejó víctimas ni daños materiales.
Según las primeras investigaciones, los cohetes se dispararon desde un pueblo cerca de la ciudad libanesa de Tiro. El Ejército libanés dijo haber encontrado cerca de esa ciudad plataformas de lanzamiento.
El presidente libanés, Michel Suleiman, condenó el ataque y dijo que representaba una violación a la resolución 1.701 del Consejo de Seguridad de Naciones Unidas que puso fin a una guerra de 34 días entre Hizbollah e Israel en 2006.
En el norte de Israel y en la ciudad de Naharia se oyeron sirenas y explosiones y se decretaron alertas aéreas. Los habitantes hablaron de fuertes explosiones en la frontera.
La radio israelí informó que se pidió a los habitantes que acudieran a refugios y las fuerzas de rescate fueron puestas en el máximo nivel de alerta.
Hace una semana 22 personas murieron en un atentado con bomba en un barrio de Beirut considerado feudo de la milicia chiita Hizbollah. Suleiman acusó entonces a Israel de estar detrás del ataque, algo que negó su homólogo israelí, Shimon Peres. El líder de Hizbollah, Hassan Nasrallah, consideró que grupos sunitas con contactos con Al Qaeda fueron los responsables del ataque.
Una semana antes, cuatro soldados israelíes resultaron heridos por una explosión en la frontera con Líbano.Militares israelíes de alto rango se reúnen tras ataques con cohetes desde Líbano
El jefe del estado mayor de Israel, el teniente general Benny Gantz, se reunió hoy por la tarde con militares israelíes de alto rango para discutir las medidas que el ejército tomará después de los ataques con cohetes lanzados desde el sur de Líbano hacia el norte de Israel, dijo a Xinhua un vocero de las fuerzas de defensa israelíes (FDI).
- 2013-08-23 /
El jefe del estado mayor de Israel, el teniente general Benny Gantz, se reunió hoy por la tarde con militares israelíes de alto rango para discutir las medidas que el ejército tomará después de los ataques con cohetes lanzados desde el sur de Líbano hacia el norte de Israel, dijo a Xinhua un vocero de las fuerzas de defensa israelíes (FDI).
El vocero, general de brigada Yoav Mordechai, emitió una declaración en la que se indica que el gobierno y el ejército libaneses fueron los responsables de los ataques debido a que fueron llevados a cabo en su jurisdicción y que el ejército cree que fueron lanzados por una pequeña facción local de la yihad global.
Cuatro cohetes impactaron el norteoeste de Israel hoy por la tarde. Uno fue interceptado por la batería antimisiles Domo de Hierro estacionada hace un mes en la cercana ciudad de Haifa debido a las evaluaciones de inteligencia. Los demás cayeron en territorio abierto y no causaron heridos ni daños.
El ejército considera el ataque como un incidente aislado y no como una escalada en la frontera noroeste de Israel con Líbano.
Mordechai dijo que las FDI "eligirán cómo responder al ataque y escogerán el momento y la intensidad con que responderán".El vocero pidió a los ciudadanos del norte de Israel que reanuden sus actividades normales y dijo que no hay cambios en las instrucciones del Comando del Frente Nacional que no ha anunciado ningún estado de excepción.El ejército cerró el espacio aéreo del aeropuerto de Haifa como una medida precautoria por el resto de la tarde.
Mordechai negó los informes de los medios libaneses en el sentido de que las FDI respondieron con fuego a Líbano tras el ataque.
fuente: agencia Xinhua
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