Se avere combattuto
direttamente e denunciato, in mezzo mondo e più, il colonialismo e
l’imperialismo, ontologicamente espressioni di razzismo, di
superiorità del dominante dotato di diritto e valori sul dominato e
dominando, per definizione privi di tali diritti e valori (islamico,
nero, ignorante, nazionalista, zotico, retrogrado, privo di
democrazia); se essere corso in guerra contro chi le guerre le
faceva, armate o economiche, per spedirne immagini e storie di
dolore, distruzione, infami soprusi, eroismi inenarrabili, che, nel
mio piccolissimo, gettassero granelli di sabbia negli ingranaggi del
bulldozer della menzogna; se stare con i palestinesi, irlandesi,
cubani, venezuelani e latinoamericani tutti, arabi tutti, iracheni,
libici, siriani, algerini nello specifico, e poi vietnamiti,
iraniani, africani, somali, eritrei, etiopi in particolare, quelli
che allora come oggi costringono a migrare; se aver mandato al
diavolo i grandi amplificatori dell’informazione, o esserne stato
bandito per incompatibilità di schieramento; se avere riempito di
tutto questo migliaia tra articoli, libri documentari filmati,
conferenze, se avere fatto dell’amore per tutti costoro e, più
ancora, della passione per la verità dell’oppresso, l’unica che
debba avere corso legale, morale, deontologico, e dell’odio per i
necrofagi che pasteggiano con le loro vite e degli sguatteri che gli
apparecchiano la tavola; se questo mi merita l’ingiuria di
razzista, che sia!
E se, davanti alla
miserabile mitopoiesi che gli eredi Ong della Compagnia delle Indie,
del “fardello dell’uomo bianco”, civilizzatore di selvaggi a
forza di genocidi, oggi tramutato in “valori europei” della
solidarietà e dell’accoglienza, fanno del migrante in quanto tale,
sempre e comunque “profugo” o “rifugiato”, sempre vittima,
sempre buono e giusto e meritevole, esternando riserve e distinguo,
si è razzisti, che sia!
Fulvio Grimaldi
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