E' nota come "opzione Sansone", dal nome dell'eroe biblico che con un drammatico gesto di forza causò il crollo del tempio seppellendo sotto le macerie se stesso e i suoi nemici, i filistei. Durante la guerra dello Yom Kippur del 1973, l'allora ministro della Difesa, Moshe Dayan, ordinò di preparare le testate nucleari nel caso le linee di difesa fossero crollate. La rivelazione è contenuta in un articolo di Avner Cohen sul giornale israeliano Yedioth Ahronoth.
L'indiscrezione, la prima del genere che esce dai corridoi israeliani, è basata sulla testimonianza di Arnon "Sini" Azaryahu, allora consigliere del ministro Yisrael Galili. Rivelazioni traumatiche che non hanno ricevuto smentita. Già Seymour Hersh, il famoso giornalista del New Yorker non sempre attendibile, aveva rivelato che Israele in tre circostanze è stato sul punto di usare armi atomiche.
Israele ha messo in stato di massima allerta i missili, l'artiglieria e i bombardieri. Nel mirino del deterrente israeliano ci sarebbero state le maggiori basi e città sovietiche e arabe. Nel 1973 la guerra piombò dai confini siriani su un popolo a digiuno e immerso nella grande preghiera. Il pericolo fu mortale per un paese impreparato. Abba Eban parlò di "una nuova Pearl Harbor".
Non è un caso che l'indiscrezione sul Kippur fatale venga fatta uscire adesso, nelle settimane della détente atomica fra Washington e Teheran. Il messaggio dello stato ebraico è chiaro e drammatico: la scelta di Israele è di far sapere che stavolta Sansone non sarebbe morto se non con tutti i filistei. Ieri Israel Hayom, il più diffuso giornale israeliano, ha proposto un sondaggio che ribalta i precedenti: una solida maggioranza di cittadini dello stato ebraico sostiene adesso lo strike militare unilaterale contro l'Iran. Addirittura il 65 per cento, dopo che è emerso che Washington non ha alcuna intenzione di usare la forza per fermare i piani atomici degli ayatollah. La sindrome del 1973 è lunga quarant'an- ni e oltre. In gioco, come disse allora il generale con la benda Dayan, c'è il "Terzo Tempio", ovvero l'esistenza stessa dello stato ebraico.
La grande domanda ora è se abbiamo ancora la capacità di agire da soli o se abbiamo perso il momento", ha scritto Shalom Yerushalmi sul quotidiano Maariv. L'ex capo del Mossad, Dani Yatom, ha detto che il discorso di Benjamin Netanyahu all'Onu ha significato due cose importanti: che l'opzione militare resta valida, ma che Israele si muoverà soltanto se l'Iran sarà a poche settimane dall'assemblaggio di un ordigno atomico.
Secondo l'editorialista di Israel Hayom Dan Margalit, con il suo discorso Netanyahu "ha rinnovato a voce alta l'opzione militare", riservandola però a quando l'Iran arrivi effettivamente a dotarsi di un'arma nucleare, e non a quando raggiunga il "punto di soglia" o se continuasse semplicemente ad arricchire l'uranio. In questo senso, come nel 1973, il coltello dei nemici d'Israele si avvicina un po' di più alla sua gola. "Israele sta preparando lo strike da almeno due anni", ci dice Efraim Inbar, analista di fama, a capo del Besa Center e fra i consiglieri più ascoltati da Netanyahu.
"E' però una decisione politica e penso che ‘Bibi' sia pronto. Vuole essere il nuovo Churchill. Israele non si fida di nessuno, neppure del presidente americano. Una parola non significa niente. Neppure un pezzo di carta firmato". Siamo alle soglie di un nuovo Kippur? "No. Lo stato ebraico è ampiamente riconosciuto come una realtà radicata, anche dai suoi rivali arabi e musulmani. Ha costruito una macchina potente che può parare tutte le minacce e l'esercito israeliano rimane il più efficace. Israele è riuscito a contenere le attività terroristiche e ha costruito uno scudo efficace contro i missili. Solo un Iran nucleare sarebbe un punto di svolta in questa equazione strategica, e Gerusalemme è seria nel prevenire questo scenario".
Giulio Meotti per "Il Foglio"
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