sabato 18 dicembre 2010

“ISTOCHIMICA DEL COMPORTAMENTO DEGLI ENZIMI RESPIRATORI ENCEFALICI IN SOGGETTI CON INTOSSICAZIONE ACUTA E CRONICA DA ALCOOL”

Premessa

La motivazione di proporre questo lavoro, più a carattere storico che tecnico, vuole spiegare l’origine nella decisione del Legislatore di formulare un nuovo “Testo Unico del Codice della Strada”, in ciò accogliendo quanto è dalla Medicina Legale, ormai da tanti anni, asserito in materia d’alcoolismo e guida.


Molti utenti, spinti dai commenti della vox populi, sostengono che sia eccessiva la norma, che è ora in vigore, in tema d’alcolimetria e stato d’ebbrezza durante la guida, dimostreremo che il loro parere è errato.

Costoro, mossi più dalla passione che dall’ingegno, verosimilmente non hanno idea dell’enorme numero di vittime della strada e della ancor maggiore quantità di cosiddetti “incidenti mancati”. Avvenimenti che conducono, inevitabilmente, a proporre misure idonee, per diminuire il numero delle morti da ascrivere a questo fenomeno.

Il traffico stradale, sempre più imponente, crea incessantemente episodi con elevato tasso di mortalità ed invalidità temporanea o definitiva e le statistiche lo indicano ormai al primo posto tra le cause di morte in toto, sia a carico del guidatore sia dei trasportati.

In ogni caso anche “l’uomo della strada”, pur non rendendosi conto delle cifre impressionanti in materia, conosce, se non altro per sentito dire, quanto sia alto il tributo in vite umane per la spericolatezza della guida.

Pochi sanno però valutare l’aspetto economico negativo che ne deriva, cosa che per lo Stato diviene un elevatissimo passivo.

Solo per citare qualche elemento sui costi si tenga presente che un funerale oltre al prezzo sborsato dai familiari del defunto, porta con se un’aggiunta di probabile ricovero ospedaliero, più diverse centinaia d’ore di lavoro perdute e di cifre aggiuntive per le più svariate ragioni.

L’elemento di passività economica è certo di minore impatto emozionale della perdita di un congiunto ma, per l’economia nazionale, ciò ha una notevole importanza che si manifesta nei concetti di “danno emergente e lucro cessante”.

Per questo, nella logica della ricerca, il gravoso costo in vite umane, apparentemente, si riduce ad un’arida statistica di numeri che mostrano un grafico dell’incidentistica stradale per indice d’orari, di giorni, di stagioni, per tipo di lesioni, di veicoli, di strade… fatto che non è però così arido, tant’è che il Legislatore è intervenuto per tentare di sedare il fenomeno.

Nulla, in questo scritto, possiamo dire nei confronti dell’evento luttuoso in sé, perché quest’aspetto è proprio delle famiglie che lo patiscono, ma di esso esamineremo un altro versante, quello medico legale in tema di alcoolismo acuto e cronico.

Proprio in quest’ultimo versante che, analizzeremo nella seconda parte del lavoro, cercheremo gli aspetti biologici derivanti dall’assunzione d’alcol e ciò nel tentativo di fornire un’utile informazione.


Non sembri strano al lettore l’interesse che la Medicina Legale mostra verso il fenomeno dell’alcoolismo, interesse che è giustificato dalle conseguenze giuridiche, penali e civili, che purtroppo spesso ne conseguono nei più diversi più settori societari. Un altro tema importantissimo, non direttamente collegato alla Medicina Legale, che perciò qui non tratteremo direttamente, è legato allo stato di salute, fenomeno, anche questo, che è capace di creare enormi passivi societari e che deve essere valutato nell’interezza dei suoi dati. Questa disciplina tratta, sotto il profilo anche giuridico, il problema dell’alcolismo distinto in due diversi aspetti. Il primo legato alla possibile insorgenza di psicopatologia nell’alcolista[1], il secondo considera il tema delle lesioni derivanti dall’infortunistica stradale. Anche se sono ben note le tappe attraverso cui si evolve il quadro clinico psichico, sussistono ancora, durante il dibattimento, difficoltà e dubbi nei confronti della patogenesi delle lesioni organiche. Il massimo interesse medico legale e magistrale, per la dimostrazione della continuità lesiva dell’azione svolta dalla “psicopatologia” verso il reato che si crea, risiede proprio nell’incertezza dell’evoluzione e d’interpretazione dei dati di laboratorio. Il termine “psicopatologia”, è qui espresso in senso temporale, riguardante sia le forme d’etilismo cronico sia quello acuto e, dovrebbe sempre intendersi come aggravante per la genesi della dinamica del reato. In ambedue i casi, infatti, a mio modo di intendere, le forme in cui possono evidenziarsi queste cause di reato, non devono essere soggette ad attenuanti generiche, bensì devono, al contrario, essere colpite con gran severità per i motivi che più avanti indicheremo.

Un aspetto, infatti, modernamente preminente in tema d’infortunistica stradale, è quello medico sociale della traumatologia del traffico, ciò per l’enorme incremento del flusso veicolare che la nostra società ricerca e patisce. Infatti, la facilità d’ottenimento del permesso di guida e le migliorate condizioni economiche, ben compendiate nello slogan “una macchina per tutti, fanno sì che si crei uno smodato aumento del numero dei soggetti deceduti o lesi per infortunistica stradale. E’ anche da rilevare che il numero di disgrazie derivanti dalla motorizzazione, dichiarato dalla Medicina Legale, è molto sotto il livello della realtà, perché in questa disciplina sono considerati solo gli incidenti che esitano in morte immediata di uno o più attori e non di quelli che sono destinati a subire i danni patiti in tempi più lunghi.

Per ottenere la completezza dei dati si sono svolte molte ricerche sul verificarsi delle sinistrosità stradali. Per esempio si è tentato di classificare questi accadimenti per categorie di vetture coinvolte, per tipo di strade, per giorno della settimana, per stagione, per aree geografiche.

Per quanto riguarda il dato geografico, si è appurato che il centro nord d’Italia ha l’indice più alto d’incidentistica stradale, certo anche rapportata alla maggiore densità abitativa ed alla migliore economia presente.

Com’era facile prevedere, il mese con maggiore incidenza di sinistri è quello di Luglio, ciò è chiaramente in relazione con l’elevato movimento turistico che si realizza. Al contrario il mese con minore incidenza di questo dato è Febbraio, sia per il ridottissimo flusso turistico, sia per l’inclemenza del clima. Per quanto riguarda il sesso, nonostante ormai i dati che si succedono si mostrino in contro tendenza, è il maschio a patire il maggior numero d’incidenti.

Un aspetto particolare delle cause d’incidenti stradali, sono i malori che insorgono durante la guida, per esempio crisi cardiache in cardiopatici, improvvise e istantanee perdite di coscienza per l’alternarsi rapido di luci ed ombre in epilettici latenti “effetto stroboscopico”, ipoglicemie improvvise in iperglicemici. Una discreta incidenza manifesta anche l’incidente dovuto a “colpo di sonno” e, distanziati, sono quelli creati da persone che si pongono alla guida in stato di malattia grave.

Questi dati hanno la stessa incidenza in tutte le regioni.

Ma, certamente l’incidente che più crea scalpore sul pubblico è quello che avviene in stato d’ebbrezza alcolica o da stupefacenti.

Per una migliore politica sanitaria e sociale, sarebbe opportuno, a mio giudizio, che lo Stato rilasciasse i permessi di guida, oggi oltremodo permissivi, solo dopo che il richiedente abbia dimostrato il suo reale stato di salute.

Il richiedente deve per esempio sottoporsi a visita specialistica per appurare la necessità di presidi acustici e visivi durante la conduzione di veicoli a motore, dimostrare, attraverso una valutazione neurologica, l’assenza di micro sonni, sottomettersi a test capaci di mostrare la prontezza dei riflessi, attitudine alla guida e tipo di personalità, essere esente da forme conclamate di diabete o gravi cardiopatie e non essere etilista o tossico dipendente.

Ricordiamo, per inciso, che tutti questi tipi di test sono adottati, dal nostro Stato, per il conseguimento di determinate qualifiche professionali; si tratterebbe perciò solamente di estenderne l’obbligatorietà dell’uso.

Altre cause d’incidenti derivano da soggetti con personalità psicopatiche latenti che attuano smodate reazioni nei confronti di stimoli “normali”, e nel traffico ce ne sono un numero infinito. Ma anche microstimoli possono scatenare l’enormità della reazione per un meccanismo di sommatoria e reclutamento degli “spikes” da loro indotti, che superano così l’effetto soglia e realizzano gravi stati d’aggressività per risposta abnorme della corteccia piriforme amigdalica non controllata dai centri inibitori corticali.

Dopo quanto asserito, ci rendiamo conto che le tabelle statistiche non sono sufficienti per descrivere la gravità del fenomeno che esaminiamo e che dobbiamo adottare nuovi e più validi criteri di screening.

Ogni anno sono perse, solo a causa degli incidenti stradali, oltre sei milioni d’ore lavorative in seguito a ricoveri ospedalieri e riposi forzati, con grave danno per la collettività.

Esaminiamo ora, per sommi capi, il comportamento del soggetto alla guida dei mezzi circolanti.

L’incidente stradale è ancora considerato reato di tipo colposo, in altre parole, accaduto per imprudenza o imperizia, per negligenza o inosservanza delle disposizioni, discipline e ordini.

Le personalità dei soggetti coinvolti nell’incidente sono fondamentalmente di due tipi, quelle con tendenza esibizionistica, ossia con un Io ipertrofico, e quelle che s’auto compiacciono del sé, facendo del loro mezzo di trasporto un simbolo di status e “arrampicata sociale”.

Gli appartenenti alla prima categoria sono sempre spericolati e perciò pericolosi, quelli della seconda categoria sono spesso inetti alla guida ma, proprio per l’abitudine ad imitare chi li circonda, si lasciano andare a manovre pericolosissime che sortiscono esiti severi.

Insieme a queste due più comuni categorie di soggetti che si trovano alla guida, deve essere considerata un diverso tipo di personalità, quella di chi compie un reato contro il T.U. C. d. S. in corso d’altra colpa grave che è in divenire, sono questi i criminali per tendenza o per passione.

Sarebbe perciò interessante poter avere dati statistici che dimostrassero se il soggetto, coinvolto nell’incidente del traffico, ha una storia di delinquenza abituale e se è implicato abitualmente in sinistri della motorizzazione. Se così dovesse essere, il conducente, sovente invischiato in queste occasioni, deve essere controllato specie se si è reso protagonista di gravi incidenti.

Anche questo tipo di controllo già è attuato dal nostro ordinamento legale sui conducenti di mezzi pubblici.

Per giungere a questo scopo è sufficiente istituire un “Casellario Centrale” dei sinistri stradali e schedare ogni singolo guidatore.

Come si può apprezzare, il campo medico – sociale preventivo è vastissimo, ma ciò deve a maggior ragione spronare il Legislatore a disporre l’adempimento di maggiori controlli per il conseguimento del brevetto di guida.


Meccanismo d’azione dell’alcol etilico

La possibile lesività di un qualsiasi agente chimico, introdotto in un organismo ospite, ed anche dell’alcol alimentare o etilico CH3-CH2OH, è quella di svolgere un’azione metabolica dinamica. L’effetto suscitato nell’organismo vivente dipende dalla risposta di tre variabili: 1) il modo in cui il prodotto svolge la sua azione; 2) la sensibilità dei tessuti che possono essere interessati; 3) il modo in cui la sostanza è assorbita ed escreta.

L’azione svolta dall’alcol etilico avviene per via sistemica e, non è necessario dilungarci più oltre per indicare che le manifestazioni consecutive sono proporzionali alla concentrazione del prodotto nell’organismo. Possiamo solo aggiungere che le manifestazioni, della sua azione, si evidenziano dopo che è stato superato il livello soglia della tolleranza.

La sensibilità di risposta dei tessuti interessati dall’azione farmacodinamica, di una qualsiasi sostanza, è simile nella specie, ma differente, entro un certo range, tra i soggetti di quella specie.

Ecco allora emergere da parte del Legislatore, la necessità di promulgare una legge che tuteli la salute pubblica, tenendo conto della media dei risultati acclarati dal laboratorio e ponendo l’indice di pericolosità della sostanza, in questo caso l’alcol etilico, al maggiore livello di sicurezza.

Molti suscitano opposizioni sulla classificazione dell’alcol alimentare tra le sostanze venefiche, ma, come già abbiamo implicitamente riferito, ogni sostanza possiede limiti d’azione che possiamo definire compresi tra l’esaltazione adiuvante di una funzione e la dose minima letale. Per questo concetto l’alcol diviene un agente compreso tra le sostanze definite “veleni”.

Certo è che tutti siamo d’accordo nel definire l’alcol come una sostanza capace di deprimere il Sistema Nervoso Centrale, e di creare, per l’alterata ideazione con intorpidimento dei riflessi, anche incidenti automobilistici. Inoltre, se assunto in eccesso, può anche essere letale.

L’abuso di questa sostanza, e l’incidenza di mortalità che crea, è più manifesto nelle società tecnologicamente avanzate, dove è ubiquitariamente diffuso tra i diversi strati sociali, in questo periodo con prevalenza tra il pubblico maschile. L’effetto dell’assunzione, che si rende evidente con tre sindromi cliniche, mostra ubriachezza, etilismo acuto e cronico.

Tralasciamo l’alcolismo cronico che esula dalla nostra trattazione, perché pone in discussione molti complessi problemi che spaziano dalla malnutrizione alla deficienza del sistema immunitario.

Gli effetti dell’intossicazione acuta negli stati d’ubriachezza e nella sindrome acuta sono relativi alla concentrazione dell’alcolimetria ematica, per questo è importante conoscerne la dinamica metabolica.

All’ingestione di una certa quantità d’alcol, fa seguito, entro un’ora, l’assorbimento del 90% della quantità assunta da parte della mucosa gastrica e dell’intestino tenue. Circa il 95% dell’assunto è metabolizzato dal fegato e trasformato in acetato, mentre il 5% circa è eliminato con la perspiratio insensibilis. L’acetato, per il suo catabolismo, entra a far parte del ciclo degli acidi tricarbossilici ed è trasformato in grasso e carboidrati, mentre la maggior quantità è degradata in H2O e CO2.[2]

Le trasformazioni sistemiche prodotte dall’alcol sono connesse con le percentuali ematiche raggiunte che, a loro volta, derivano dalla dose di sostanza ingerita e dalla celerità della sua metabolizzazione. Questa celerità di trasformazione è assoggettata a distinti fenomeni; per esempio dall’esistenza d’alimenti nel lume gastrointestinale, o dalla volumetria del corpo e probabilmente anche da una certa maggiore tolleranza acquisita nei consumatori abituali. In genere possiamo affermare che alcolimetrie ematiche di mg 100/100ml di sangue sono intossicanti mentre dosi di mg 500/100ml sono letali per un gran numero d’individui.

E’ necessario riflettere sul fatto che già gr 113,5 d’alcol, assunto a stomaco vuoto ed in breve tempo, realizzano un’alcolemia di mg 100/100 ml, mentre la velocità media di metabolizzazione è di mg 15/100ml/ora.

Sulla considerazione della sospetta maggiore resistenza all’azione dell’alcol, da parte dei consumatori abituali, si è però messo in risalto che pur essa esistendo è minima e sempre nei confronti d’assunzione di piccole dosi.

Nell’azione depressiva del S. N. C. gli effetti si manifestano, inizialmente sulla corteccia cerebrale e, in seguito, anche i centri nervosi inferiori sono progressivamente interessati. L’azione principale di depressione centrale avviene con un effetto deprimente dei centri inibitori, sì che molti descrivono l’influenza dell’alcol come favorente l’attività ideativa.

In conclusione possiamo affermare che le condizioni dell’intossicazione acuta, come poi meglio diremo, creano un edema cerebrale con congestione dei vasi meningei e corticali superficiali, ma secondo Wright questi fenomeni sono sporadici ed aspecifici.

Una maggiore assunzione d’alcol etilico è capace di deprimere gravemente i centri apneustico e pneumotassico siti nel midollo allungato, facendone conseguire l’arresto respiratorio con morte per asfissia.

A valle del problema anatomopatologico esiste tutta quella sequela d’avvenimenti, di pertinenza psichiatrica, psicologica e medico legale, che possono avvenire creando il reato per le deviate caratteristiche psicologiche e psicopatologiche, ancora, purtroppo definito solo colposo. Torniamo però a ripetere che tali circostanze, quando per concause ed occasioni, realizzano l’omicidio colposo, anche del traffico, devono essere perseguite con rigore perché mostrano il lato asociale dell’individuo che pur albergando in ognuno di noi, ha necessità, per esplodere, di stimoli opportuni. Per esempio, l’alcol possiede la capacità di reprimere i freni inibitori.

La stessa identica logica deve essere applicata nei confronti di colui che si trova in stato d’ebbrezza stuporosa da stupefacenti o da psicofarmaci, assunti, questi ultimi, con particolari modalità, al solo scopo di creare un proprio piacere.


Aspetti medico-legali

Le alterazioni anatomopatologiche evidenziabili nel cadavere connaturate con lo stato d’alcoolismo, purtroppo incostanti, variano, come già detto, da un semplice edema cellulare sino ad imponenti fenomeni degenerativi, delle stesse cellule, che sono propri dei gravi casi cronici.

Secondo il pensiero d’alcuni Autori, si deve valutare con attenzione l’ipotesi che l’eventuale regressione dei fenomeni clinici reversibili delle cellule nervose centrali, nei gravi stati d’alcolismo cronicizzato, sia da porre in relazione con turbe funzionali dopo avere praticata un’adeguata terapia disintossicante.

Tantissime, sono le tesi proposte che si sono succedute, per l’interpretazione dell’esatto meccanismo che sottende all’intossicazione alcolica.

Gli studi sempre più imponenti dell’istochimica, anche in questo settore di ricerca, portati a termine per la chiarificazione d’alcuni aspetti fisiopatologici, sono divenuti d’impiego comune anche per fini medico-legali.

Quest’asserzione è la motivazione tecnica inducente lo studio intrapreso, al fine di poter comprendere il comportamento degli enzimi ossiriduttivi encefalici in corso d’intossicazione acuta e cronica da alcool etilico.

Sono state eseguite ricerche su quindici conigli del peso medio di gr 2500; di questi, sei furono sottoposti a trattamento intensivo per realizzare un’intossicazione acuta da alcool alimentare. Una successiva serie di sei animali fu invece sottoposta a somministrazione capace originare etilismo cronico, mentre i restanti tre furono utilizzati come controlli.

La somministrazione d’alcool etilico a 60°, nella serie d’animali in cui doveva essere realizzato lo stadio d’ebbrezza acuta, avveniva attraverso un sondino naso gastrico utilizzato come via per l’assunzione, da parte dell’animale, di ml 15 in tre dosi assunte nel tempo di trenta minuti.

Gli animali che dovevano sviluppare la forma d’etilismo cronico, assunsero invece ml 7 per due volte al dì per gg 60 continuati.

Il tasso alcolemico dei conigli in fase acuta, rilevato attraverso il test di Widmark, presentò, dopo quarantacinque minuti dall’assunzione, valori compresi fra gr 2,5 e 3 per mille.

Durante l’ebbrezza alcolica acuta, l’animale manifestava evidenti turbe dell’equilibrio con atassia e dismetria poste in evidenza dalla disarmonica incoordinazione degli arti. Apparvero, dopo breve tempo, anche astasia e sfinteri incontinenti.

Dopo sessanta minuti dall’insorgenza della sintomatologia si sacrificarono gli animali mediante l’uso d’arma bianca, colpendone il cuore, questo per evitare di che si creassero, nei centri nervosi, lesioni addebitabili ad altri tipi di morte.

Negli animali con intossicazione cronica, regolarmente si manifestavano, durante il periodo di riposo, comportamenti d’ipereccitabilità seguiti da inappetenza, tremori diffusi e caduta del pelo. Anche questi animali furono sacrificati con la tecnica descritta, tre in corso di trattamento ed i rimanenti nei periodi d’intervallo.

I tre conigli utilizzati per controllo furono in seguito sacrificati in maniera analoga.

Tutti gli animali, dopo la morte, furono lasciati a temperatura ambiente per circa otto ore e poi posti in frigorifero per dodici ore.

Alla fine del trattamento, scalottato l’animale, si prelevava l’encefalo in toto e su di esso si applicavano tecniche istochimiche per rilevarne la citocromossidasi e la succinodeidrogenasi.

E’ noto che la citocromossidasi è una porfirina contenente ferro, che forma con i citocromi un unico complesso funzionale, essa ha il potere di andare incontro ad autossidazione utilizzando l’O2 cellulare.

Al contrario i citocromi accettori di H, sono privi di questa proprietà e sono bloccati in tale funzione, che può però continuare a svolgersi per opera delle citocromossidasi che permettono perciò il regolare susseguirsi dei fenomeni respiratori. Herlich fu il primo ricercatore, ad interessarsi di studi istochimici in proposito delle citocromossidasi, utilizzando il Naftolo e la N-N-dimetil-p-fenilendiamina così ottenendo la sintesi d’indofenolo blu a causa delle citocromossidasi.

Screening successivi sono quelle di Glick, Gomori e Nachlas, ma i risultati più efficaci furono ottenuti da Burstone che, nel 1959 utilizzò la N-fenil-p-fenilendiamina a basso potere autossidativo e l’acido l-idrosso-2-naftoico, ai quali seguiva una post fissazione e l’esposizione all’azione di un metallo.

In proposito di succinodeidrogenasi, enzima del gruppo delle dismutasi e catalizzatrice dell’ossidazione dell’acido succinico ad acido fumarico, così partecipando al ciclo di Krebs, i primi studi d’istochimica furono condotti da Kuhn e Jerchel. Questi Autori sfruttarono la proprietà dell’enzima di ridurre i sali di tetrazolio in formazani, complessi colorati e non miscibili in H2O. Nachlas, in seguito, per ovviare allo svantaggio della liposolubilità e cristallizzazione dei sali di tetrazolio comunemente impiegati, adoperò il “nitro BT o sale di tetrazolio paranitrofenilsostituito” in modo da conseguire un dinitroformazano mancante delle già dette proprietà pregiudizievoli.

Nella nostra sperimentazione abbiamo adottato la metodica secondo Burstone per le citocromossidasi e quella di Nachlas per la succinodeidrogenasi, proponendo il seguente schema:

METODICA DI STUDIO

Citocromossidasi

1) Realizzazione di fettine di tessuto dello spessore di micron 15 ottenute con microtomo congelatore-

2) Le fettine, adese ai vetrini ed asciugate all’aria, erano incubate a 37° C per due ore in soluzione, agita e filtrata, d’acido l-idrossi-2-naftoico mg 10; N-fenil-p-fenilendiamina in 0,5 d’etanolo mg 10; acqua distillata mg 35; tampone “Tris” 0,2 M a pH 7,2 mg 15 -

3) Immersione in acetato di cobalto al 10% in formalina neutra al 10% per un’ora -

4) Rapido lavaggio in acqua distillata -

5) Montaggio in gelatina glicerinata -

Le zone ad attività citocromossidasica apparivano di colore bruno scuro.

Succinodeidrogenasi-

1) Realizzazione di fettine non fissate di spessore di micron 15 ottenute con microtomo congelatore -

2) Le fettine, adese ai vetrini ed asciugate all’aria, erano incubate a 37° C per un’ora in soluzione, agitata e filtrata di succinato di Na 0,2 M ml5, tampone fosfato 0,2 M a pH 7,6 ml 5, soluzione acquosa di Nitro BT- mg 1/ml- ml 10 –

3) Fissazione in formalina neutra al 10% per m 5’ -

4) Rapido lavaggio in acqua distillata –

5) Montaggio in gelatina glicerinata -

Le zone ad attività enzimatica apparivano di colore blu.


RISULTATI

L’attività enzimatica, negli animali usati come controllo, si presentava diffusa e di modesta entità a carico dei vari strati di corteccia cerebrale e cerebellare, dei nuclei della base e delle formazioni bulbo-mesencefaliche. Le modalità di reazione, inoltre, non presentavano sensibili differenze per i due enzimi considerati e, nessuna reazione fu posta in evidenza a carico della sostanza bianca.

La succinodeidrogenasi, nell’intossicazione acuta, non subisce variazioni degne di nota a livello della corteccia cerebrale, del mesencefalo, dei nuclei della base e del bulbo.

Un accrescimento notevole, dell’attività enzimatica, si presentava permanentemente presente a carico della corteccia cerebellare e, precisamente, a livello delle cellule del Purkinje e dello strato molecolare, meno intensa era invece la reazione dello strato granulare.

La citocromossidasi si mostrava, topograficamente, con le stesse caratteristiche della succinodeidrogenasi e metteva inoltre meglio in evidenza l’arborizzazione condritica delle cellule del Purkinje.

Il quadro dei due enzimi, nell’intossicazione cronica, si presentava con eguali caratteristiche per quanto riguardava la corteccia cerebrale, i nuclei della base e le formazioni bulbo-mesencefaliche, sia negli animali sacrificati durante il trattamento, sia in quelli uccisi nel periodo intermedio del trattamento.

Un aumento dei due enzimi, ancora maggiore rispetto a quello osservato negli animali sottoposti ad intossicazione acuta, si notava a carico della corteccia cerebellare.


CONCLUSIONI

Abbiamo già affermato che sono molteplici le teorie che tentano di spiegare il reale meccanismo d’azione svolto dall’alcol a livello encefalico.

Fuhrman e Field, in vitro, riscontrarono che l’alcol, fino a concentrazione del 2%, provocava un aumento del consumo d’O2, mentre in concentrazioni superiori ne determina una diminuzione.

Goldfarb e Battey riscontrarono, separatamente, una diminuzione del consumo d’ossigeno cerebrale in corso d’intossicazione da alcol.

Beer e Quastel hanno studiato l’effetto dell’alcol sulla respirazione mitocondriale di cervelli isolati.

Truitt-Bell e Krantz ne hanno posto in rilievo gli effetti sulla fosforilazione ossidativa.

Sembra però che nessuno di questi AA abbia dimostrato un’azione dell’alcol sulle fondamentali reazioni mitocondriali. In tal modo non si potrebbe spiegare la riduzione del consumo d’O2 in conformità ad un semplice impedimento della respirazione mitocondriale.

Secondo l’ipotesi proposta da Jarnefelt, l’alcol sarebbe capace d’inibire il trasporto di Na attivo verso la membrana delle cellule nervose e, quest’Autore ritiene anche che gli effetti dell’alcol, sulle cellule nervose, siano da attribuire all’inibizione dell’adenosintrifosfatasi sodio stimolante dei microsomi cerebrali.

Dagli studi riportati, emerge dunque che l’orientamento comune è verso il ritenere che esista, indotta dall’alcol, una diminuzione del consumo d’ossigeno a livello cerebrale.

Sotto tale profilo, i risultati delle ricerche qui presentate, sembrerebbero contrastare con le vedute prima riferite. Noi abbiamo rilevato, a livello cerebellare, un’intensa attività dei due enzimi che si accumulavano nel corso dell’intossicazione cronica e che quindi dovrebbe dimostrare un aumentato dinamismo respiratorio cellulare.

Bisogna però ricordare, che l’incremento di un enzima, impegnato in una via metabolica, non ha per conseguenza, necessariamente, un aumento dell’attività stessa. Sono stati riportati, infatti, degli esempi d’aumento di un singolo enzima con contemporanea riduzione dell’attività del relativo ciclo enzimatico come ha reso evidente Ricceri.

Nel nostro caso è quindi da supporre che l’aumento delle attività enzimatiche, dimostrate istochimicamente, non sia attribuibile ad incremento dei processi ossidativi, bensì ad un semplice fenomeno di accumulo. Il blocco di una via metabolica ad un dato livello è stato dimostrato che comporta accumulo di sostanze, che per un effetto feed back, determinano incremento enzimatico a monte del blocco.

Il mancato riscontro, come già detto, di alterazioni dei mitocondri confermerebbe questi dati, perché l’alcol non agendo su di essi permetterebbe la regolare produzione degli enzimi che non verrebbero poi utilizzati.

Oltre a ciò, secondo quanto prospettato da Bailey –1946- in conseguenza di un deficit di tiamina, causato dall’alcol, si riscontrerebbe una diminuzione dell’apporto d’O2 nei tessuti. Tale deficit agirebbe a livello degli idrati di carbonio e sull’ossidazione dell’acido piruvico. L’arresto del metabolismo dell’acido piruvico, allora, ben si accorderebbe con l’ipotesi da noi prospettata d’accumulo enzimatico a monte, nel caso specifico della succinodeidrogenasi.

L’anossia prolungata ed il depositarsi di metaboliti tossici che s’instaurano in corso d’intossicazione cronica, dove noi abbiamo notato un successivo accumulo enzimatico, sarebbero causa di sofferenza cellulare. Essa sarebbe dimostrata anche dalla diminuzione in attività fosfatasica alcalina e acida, messo in evidenza da Kemali e Scarlato nelle cellule della corteccia cerebellare ed in particolare in quelle del Purkinje.

Tali cause porterebbero alla degenerazione delle cellule nervose.

L’avere riscontrato il danno funzionale, essenzialmente a livello cerebellare, giustifica i dati sintomatologici che sono tipici di tale distretto encefalico, nel corso d’intossicazione alcolica.

Kiriosomega - kiriosomega@alice.it

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