Non vi parlerò di cucina. E nemmeno di un’opera di Giuseppe Gioacchino Belli. E allora direte voi, di cosa si tratta? Diciamo una chiacchierata, neppure tra amici, perché se attacchi con loro un bottone lungo, ad un certo punto mi direbbero di finirla, e che sarebbe ora che lasciassi il dialogo pure agli altri.
Diciamo quindi una “ chiacchierata “ tra conoscenti di passaggio. Se andando in trattoria la gente non fosse troppo occupata a trovare un tavolo libero e, una volta trovatolo a mangiare, questa conversazione doveva svolgersi all’osteria. All’epoca del Belli il vecchio caffè a Roma in Via delle Convertite, non ancora divenuto Alemagna, e qui si potevano incontrare il pittore Amerigo Bartoli, il poeta Vincenzo Cardarelli, l’umorista Anton Germano Rossi inventore delle “contronovelle “ che venivano pubblicate sul Marc’Aurelio e molti altri che oggi si confondono nei fumi dei ricordi, forse la chiacchierata l’avrei fatta svolgere là, dove la maggior parte dei clienti se ne stava seduta senza far niente, per la maggior parte della giornata, oppure parlando e chiacchierando di mille argomenti che poi sarebbero diventati col tempo romanzi, commedie, saggi letterari giornali ed addirittura opere liriche.
Allora parlando del compositore Arturo Toscanini si scrisse: “Toscanini sale sul podio “, sembra lo spetto di un ufficiale di cavalleria. Oggi questa chiacchierata di cui parlo si potrebbe svolgere con un gruppo di sconosciuti sulla treno freccia rossa che va da Roma a Milano. Viaggiando senza mai rivolgersi la parola, occupati a leggere giornali e riviste diverse che riportano tutti le stesse notizie, quando è iniziato il servizio ristorante. Uno per esempio chiede Mi passa il formaggio per favore? L’altro distrattamente risponde: mica male questa pasta. Gioacchino Belli direbbe: Chi è un cuoco napoletano? Abbocca dicendo ma no, è il più famoso dei poeti roaneschi… che dico romaneschi, italiani! Bisognerebbe paragonarlo a Dante. Si parla così di Gioacchino Belli e di quello che declama nei suoi sonetti a certi piatti romani.
Poiché alcuni compagni di tavola non sono romani, cerco di pronunciare il forte e difficile romanesco del Belli in maniera comprensibile. Spiego per esempio che il romanesco, più che essere un dialetto vero e proprio come il veneto o il milanese, è un italiano “stroppiato”; che sfragne vuol dire che li sfrange, che misticati, sta per mescolati etc. Paragonando il suo “Commedione” alla Divina Commedia di Dante Alighieri. Cercando di portare avanti la tesi che dei due si potrebbero scrivere le vite parallele. Dante viene paragonato ad un tipo molto orgoglioso, sicuro della sua forza.. e credo proprio che lo fosse.. ed anche Belli doveva esserlo se ai suoi tempi si permetteva di attaccare il papa che era il suo sovrano. Ma lasciamo da parte l' argomento tra il parallelo di Dante e Giuseppe Gioacchino Belli cosa dicevamo?
Parlavamo di antipasti. E si va avanti a chiacchierare sino a che il treno non arriva in stazione a Milano senza accorgersene. Ma qualcuno ci ha ascoltato e magari tornando a casa dai famigliari a raccontato loro dicendo che sul treno c’ era un tizio che parlava di un certo Belli che s’interessava di cucina e che se si presentava al Savini non l’ avrebbero voluto neppure come lavapiatti. Diceva che gli antipasti non sono che sfogliature, ma credete quello un carrello degli antipasti non lo deve aver mai visto... parola del Belli!
Rita De Angelis.
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