sabato 14 novembre 2020

Covid. L'Italia dai colori cangianti e l'algoritmo dei pennarelli colorati

 


Parliamo dei guai di casa nostra. Ultimi – in ordine di tempo – quelli di una divisione in zone dell’Italia che risulta semplicemente ridicola, con coloriture regionali che sembrano distribuite a casaccio dai pennarelli di un bambino daltonico.

Come mai? Semplice, perché si sono mescolati ben 21 cosiddetti “criteri”, appartenenti a due campi totalmente diversi e distinti: quello della diffusione del virus e quello dello stato delle strutture sanitarie. Ed é bastato che qualche ufficio sanitario regionale abbia trasmesso dei dati in ritardo (cosa frequente in momenti come questi) o non li abbia trasmesso affatto, per lasciare vuote una o piú delle 21 “caselle”, con il risultato di falsare completamente il risultato complessivo. Senza contare i casi-limite, come quello della Calabria, dove il commissario governativo alla sanitá ha candidamente confessato di non sapere che fra i suoi cómpiti rientrava anche quello di occuparsi del Covid.

Tornando a bomba, come funziona il meccanismo della strampalata graduatoria? Regione per regione, i 21 numeretti (rappresentativi di 21diversi scenari) vengono rapportati tra loro con complessi calcoli matematici, fino a ricavare un algoritmo, cioé una risultante numerica che dovrebbe – uso il condizionale – esprimere una corretta valutazione complessiva [e naturalmente chiedo scusa per il linguaggio tecnicamente inadeguato].

Obiezione: ammesso che le operazioni che producono l’algoritmo siano corrette (e i casi di algoritmi “non stabili”, cioé sballati, sono infiniti), l’algoritmo utilizzato dagli “esperti” di Giuseppi mi sembra “non stabile” nelle sue premesse. É del tutto evidente che una cosa sono le valutazioni d’ordine medico (la diffusione del virus, l’indice di contagiositá, l’indice di mortalitá, eccetera), ed una cosa totalmente diversa sono i dati di carattere amministrativo (presídi ospedalieri, numero di addetti, posti-letto, terapie intensive, eccetera). Mettendo tutto nello stesso calderone non puó che ricavarsi una colossale confusione, quando non anche – come nel caso di cui ci stiamo occupando – risultati finali totalmente sbagliati.

Se la regione X – poniamo il caso – ha pochissimi positivi, la disponibilitá di pochi posti-letto e di pochi posti in terapia intensiva non avrá molta importanza. Viceversa, se la regione Y ha molti posti-letto ma anche un numero altissimo di ricoverati, la sua situazione potrebbe addirittura diventare drammatica.

In altre parole, i due piani sono totalmente diversi. Va da sé che soltanto un’alta diffusione dei contagi puó giustificare la limitazione delle libertá personali dei singoli cittadini o, a maggior ragione, la rottamazione di interi comparti di attivitá economiche.

L’altro piano – quello delle strutture sanitarie – va affrontato in termini diversi: non chiudendo bar e ristoranti, ma aprendo o riaprendo ospedali, moltiplicando i posti-letto, assumendo in pianta stabile medici e infermieri. Si puó fare: Bertolaso a Milano ha creato dal nulla un mega-ospedale Covid in pochi giorni. Ma Bertolaso é riuscito a trovare i soldi, e i nostri governanti dicono di non riuscire a fare altrettanto. Eppure non sarebbe difficilissimo: basterebbe risparmiare sui monopattini, sui banchi a rotelle, sui bonus-vacanza, su mance e mancette varie.

Ancóra qualche altra considerazione, buttata giú cosí, con il comune buonsenso “del buon padre di famiglia”. Che senso ha chiudere intere regioni in “zone rosse”, quando la aree effettivamente a rischio sono solamente quelle di alcune grandi cittá? Perché chiudere – per esempio – tutta la Lombardia, con danni incalcolabili all’intera economia nazionale, quando si potrebbe istituire solo una minore zona rossa per Milano e relativo hinterland, magari intervenendo lá con maggiori mezzi e maggiore incisivitá? E lo stesso discorso si potrebbe fare per Napoli, per Roma, per Torino.

Altra considerazione, sempre “fuori sacco”: che senso ha – come si chiede anche un virologo di chiarissima fama – questa campagna massiccia di tamponi, quasi che si dia la caccia ad asintomatici e paucisintomatici, che sono il 95% dei “positivi” e che – dicono gli esperti – non sono praticamente in grado di contagiare nessuno? Perché, invece, non ci si dedica ai soggetti a rischio, agli anziani soli, che magari non sono in grado di affrontare una coda di 12 ore ai drive-in?

Si ha quasi l’impressione che si voglia terrorizzare la popolazione con numeri altisonanti, quasi a voler giustificare misure economiche che stanno distruggendo la nostra economia. Ma la mia é solamente un’impressione.

Michele Rallo  - ralmiche@gmail.com 



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