In questo periodo pre-festività all’insegna di un’Italia divisa in zone rosse arancioni gialle a seconda della curva epidemiologica, vari media hanno fatto ricorso anche all’espressione «tregua di Natale»: per indicare l’ipotesi, al vaglio del governo, di una riapertura dei negozi anche nelle zone rosse, per 10 giorni, così da permettere lo shopping natalizio e… «ridare fiato ai consumi».
Il consumismo natalizio è insopportabile e malinconico come l'indigestione e l’abete. Non è questo a poter offrire un progetto post-Covid.
E chiamare questa pausa al lockdown «tregua di Natale» è davvero irrispettoso della storia.
La vera Tregua di Natale, quella del 1914, fu una luce di speranza. La cosiddetta Grande guerra (meglio definita «inutile strage» dal papa dell’epoca, Benedetto XV) era iniziata da pochi mesi e aveva già fatto un milione di morti. La tregua nasce nell’orrore delle trincee, dove gli uomini stipati come topi nel fango escono solo per farsi massacrare da mortai e mitragliatrici. Ma quella notte, e il giorno dopo, sul fronte occidentale, nelle Fiandre, i soldati tedeschi e inglesi prendono coraggio ed escono in pace: «Non sparate, non spariamo» e trasformano la terra di nessuno in luogo di fraternità. La voce si sparge e la tregua si diffonde.
L’umanità partita dal basso avrebbe potuto far finire la guerra. Ma i governi disposero diversamente e gli alti comandi militari l’anno successivo proibirono gli atti di fraternizzazione con il nemico.
Marinella Correggia
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