venerdì 3 aprile 2020

Sir Draghi, il corsaro nero del Britannia, all'arrembaggio del brigantino Giuseppe Conte

L'uomo mascherato contro il corsaro nero un film di Vertunnio De ...
Conte ha stufato tutti. Anche Mattarella, forse il suo maggiore protettore. Non solo ha affrontato da dilettante della politica una crisi epocale come quella del Coronavirus, non solo è apparso sdraiato sull’ultraeuropeismo più smaccato, non solo ha galleggiato (e galleggia) su una maggioranza che sopravvive soltanto per la paura di andare alle urne… Ma, addirittura, ha bypassato il parlamento con i suoi DPCM; peraltro consentendosi il lusso di snobbare le opposizioni che, malgrado gli scivoloni del premier, si dichiaravano disposte a dare una mano in un momento drammatico come questo.
L’ex “avvocato del popolo” è apparso preda del suo stesso narcisismo, della sua convinzione di rappresentare la quintessenza dell’astuzia politica, dell’abilità mediatoria, della capacità di trovare sempre un compromesso che possa consentire di salvare capra e cavoli, di far convivere una parvenza di interesse nazionale con lo zerbinismo più avvilente nei confronti dei vertici dell’Unione Europea.
Alla fine – stando a quanto si sussurra nei palazzi romani – il Presidente della Repubblica avrebbe consigliato energicamente a Giuseppi di riferire formalmente alle Camere, di convocare i capi delle opposizioni e di ascoltarne le proposte. Così si sarebbe arrivati all’incontro con Salvini, Meloni & C° ed al successivo passaggio parlamentare, dopo le tante solitarie conferenze-stampa con regìa di Rocco Casalino.
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Se nonché, in perfetta coincidenza con gli ultimi sussulti della politica italiana, dalle colonne del “Financial Times” Mario Draghi ha lanciato il suo sasso in piccionaia: per il dopo-Coronavirus gli Stati dovranno intervenire energicamente nell’economia, e si dovrà far fronte alla crisi non con lo strangolamento fiscale ma con un aumento massiccio del debito pubblico. Posizioni – si badi bene – più vicine alle istanze del fronte sovranista che non a quelle dell’UE e dei tedeschi.
L’impressione generale – stando sempre alle voci di corridoio – è che Giuseppi verrà tenuto in servizio fino alla conclusione dell’emergenza sanitaria (impensabile una crisi di governo in questo momento); ma che per il “dopo”, quando si dovrà cominciare a pensare ad un’altra emergenza, quella economica, sarà Draghi a guidare un nuovo governo, meglio se un governo di “unità nazionale” che sia in grado di affrontare una crisi economica drammatica, oltre che un durissimo braccio di ferro con l’UE a trazione germanica.
Ipotesi, questa, che non sarebbe sgradita anche a Salvini e, più ancora, alla sua eminenza grigia: quel tal Giancarlo Giorgetti che è responsabile della svolta possibilista e filoamericana della Lega. Critica, invece, la Meloni, la cui caratura politica è ben diversa da quella del Capitano.
Certo, una premiership Draghi sarebbe più qualificata di quella Conte-Casalino,  produrrebbe meno passerelle e meno figuracce, sarebbe in grado di interloquire credibilmente con l’UE e con la BCE. Ma – attenzione – gli aspetti positivi si fermano qui. 
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Mario Draghi è espressione diretta ed autorevole (e perciò più pericolosa) di quel medesimo mondo della finanza globalista che ci ha ridotti in miseria. La stessa linea “espansiva” di quando era governatore della BCE ha dato un piccolo dispiacere alla Merkel, creando dal nulla una gran massa di danaro; ma questa massa di danaro non è stata data agli Stati (che avrebbero potuto utilizzarli per la spesa pubblica o per ridurre le tasse), ma alle banche (che li hanno impiegati per comprare i titoli di debito emessi dagli Stati). E non è la stessa cosa, non è assolutamente la stessa cosa [vedi «Gli ‘aiutini’ di Draghi serviranno alle banche, non ai cittadini» su “Social” del 13 febbraio 2015].
E, anche a prescindere dalla vicenda del Quantitsative Easing, il profilo di Sir Drake (come lo chiama Veneziani) appare inquietante. E’ stato un protagonista assoluto dell’incontro tra manager dell’industria pubblica italiana e finanzieri internazionali, avvenuto nel 1992 a bordo del pànfilo della regina Elisabetta, il “Britannia”. Da quell’incontro – ricordo agli immemori – ha preso il via la svendita della nostra industria pubblica al capitale straniero.
Più in generale, è tutta la sua lunga e brillante carriera a rendermi diffidente. Anche qui ricorro ad un’autocitazione:
«… quel Mario Draghi che, benché allora [1992] poco noto al grande pubblico, poteva a buon diritto essere considerato un’autentica eminenza grigia dell’economia italiana nell’ultimo scorcio della “prima repubblica”. Manager dalle indubbie capacità, Draghi era cresciuto professionalmente in àmbito anglosassone, ricoprendo per un lungo periodo – dal 1984 al 1990 – la carica di Direttore esecutivo della World Bank, la Banca Mondiale.
(…) Nonostante gli inizi più che promettenti di una luminosa carriera in quel di Wall Street – nel 1990 lasciava l’America e rientrava in Italia, dove però – provvidenzialmente – l’anno seguente era chiamato a ricoprire la carica di Direttore Generale del Ministero del Tesoro.
(…) Guido Carli [al tempo Ministro del Tesoro] darà anche il via libera a Draghi per partecipare al medesimo incontro [quello del “Britannia”], stando almeno a quanto lo stesso Draghi dichiarerà in una successiva audizione alla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati.
(…) Il nostro manteneva la poltrona di Direttore Generale del Tesoro fino al 2001, attraversando indenne 10 anni di intemperie politiche e 10 diversi governi, di destra e di sinistra. Dall’anno successivo alla crociera del “Britannia” – e anche qui fino al 2001 – andava ad occupare un’altra ambìta ed assai strategica poltrona, quella di Presidente del Comitato Privatizzazioni.
(…) Nel 2001 lasciava la Direzione del Tesoro e il Comitato Privatizzazioni, e nel 2002 approdava leggiadramente in Goldman & Sachs. Non da semplice manager, ma addirittura da Vicepresidente con competenza sull’area europea, oltre che da membro del suo Management Committee Worldwide. Scelta forse poco elegante, considerato che la G&S era stata fra i protagonisti delle dismissioni del patrimonio pubblico italiano: non soltanto era stata advisor (cioè consulente e valutatore) per la privatizzazione di Credito Italiano, Fintecna e probabilmente anche di altre aziende, ma aveva acquistato in prima persona consistenti pezzi del nostro patrimonio nazionale: in particolare, l’intera proprietà immobiliare dell’ENI, che si era aggiunta ad altre importanti acquisizioni immobiliari (provenienti da Fondazione Cariplo, RAS, Toro, eccetera). Draghi, comunque, restava in Goldman Sachs fino all’ultimo giorno del 2005. Nel 2006, con un altro dei suoi folgoranti rientri in patria, era nominato Governatore della Banca d’Italia. A designarlo era il Presidente del Consiglio del tempo, Silvio Berlusconi, sembra su pressioni di Francesco Cossiga; il quale poi – per motivi che ignoro – si sarebbe pentito amaramente di quel passo.
(…) Draghi rimaneva alla Banca d’Italia fino al 2011, quando spiccava il grande balzo: Governatore della Banca Centrale Europea.» [dal mio opuscolo “La crociera del Britannia”]
Orbene, questo è il curriculum –  per molti versi inquietante – di Mario Draghi. Molti, in questi giorni, credono che possa essere lui il nuovo “uomo della provvidenza” capace di guidare il Paese in un momento drammatico come questo.
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Io sono di parere diverso. Di sicuro Draghi potrebbe fare meglio di Giuseppi  ma non potrà certamente essere lui a guidare l’Italia nel momento di scelte politiche decisive, scelte che potrebbero configgere con le sue posizioni consolidate in materia di regole europee («l’euro è irreversibile») e di ritorno alla sovranità monetaria (il ricorso ad una moneta nazionale parallela a quella europea sarebbe «illegale»).
A mio parere, una eventuale premiership di Draghi (o una sua Presidenza della Repubblica) servirebbe soltanto a ritardare le scelte che inevitabilmente dovranno essere fatte per affrontare la crisi politico-economica del dopo-Coronavirus: uscire dall’Unione Europea (almeno da questa Unione Europea a guida tedesca), abbandonare l’uro (almeno questo uro da Quarto Reich) e riappropriarci della nostra sovranità monetaria: stampando il denaro che ci servirà per la ripresa, e non facendocelo prestare dalle banche americane.
Non vorrei essere malizioso, ma non escluderei che il tam-tam mediatico su Draghi salvatore della patria sia stato montato ad arte, proprio per evitare che la nostra Patria possa essere salvata.
Michele Rallo - ralmiche@gmail.com
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