Le Donne in Nero
incominciarono a gironzolare in aree di conflitto alla fine degli
anni’80. Furono fondate, in piena prima Intifada, da un gruppetto
di bene intenzionate donne israeliane che ritennero di superare lo
scontro tra palestinesi in lotta di liberazione e invasori ebrei in
fregola di colonizzazione, promuovendo iniziative congiunte di pace e
riconciliazione. L’operazione aveva un vizio che ne minava ogni
possibilità di risultato positivo: l’utopia che tra dominanti e
dominati si potesse arrivare alla pacifica convivenza, rimandando a
un qualche roseo futuro la soluzione del problema. Che, invece, in
questo modo, veniva sottratta a chi aveva i titoli per richiederla
“con tutti i mezzi”, come prescrive la Carta dell’ONU, a sua
disposizione. Tuttavia, diversamente da altre epifanie di donne in
nero, mirate con ogni evidenza ad annacquare le giuste lotte in un
paralizzante volemose bene a prescindere e a sabotarle condividendo i
pretesti del carnefice (“democrazia”, “diritti umani”, “donne
imprigionate nel velo”, “dittatori”), quella in Palestina ha
avuto l’indubbio merito di diffondere conoscenze sulle nequizie dei
genocidi sionisti.
Cosa che molto meno si
verificò in relazione ai crimini dell’occupazione britannica,
sempre nel nome della pace e sempre con “donne per la pace”, a
metà degli anni ’70 in Irlanda del Nord. Anche qui, basta con la
lotta di popolo contro coloni ed esercito di occupazione, specie se
armata, e, solo di riflesso, basta anche con la repressione delle
truppe britanniche e dei loro surrogati massonico-fascisti
dell’unionismo protestante. Visto che, come tra i repubblicani,
anche tra gli unionisti c’erano operai, che si unissero e
lasciassero perdere l’anacronistico mito “nazionalista” della
riunificazione.
Alla fine del giorno, la
lotta di liberazione era scomparsa e Londra era tornata a regnare. E’
successo così sempre e ovunque, tanto da far pensare male, ma da
prenderci: che questo pacifismo, tanto più prestigioso perché di
donne, non l’abbiano inventato quelli che con la repressione non ne
venivano a capo? Un’arma di distrazione di massa? Le due
iniziatrici del movimento, Betty Williams e Mairead Corrigan, vennero
insignite del Nobel per la pace. Quelli di Oslo sanno bene chi
premiare. Chiunque risparmi danni allo stato di cose esistenti e ne
rafforzi la presa sui subalterni. Vedi, Rabin, Kissinger, Obama,
Gorbaciov. Il trucco sta nel mettere sullo stesso piano le parti in
conflitto, di solito un carnefice che gli dà giù e una vittima che
non ci sta. Privata delle sue armi la vittima, il rapporto di forze
così sancito stabilisce l’esito del confronto. In Irlanda come in
Palestina come in Serbia, come dappertutto.
Donne nere come Clinton
a Belgrado
Personalmente ho visto la
maschera delle Donne in nero schiantarsi clamorosamente tra le
macerie di Belgrado durante l’aggressione Nato del 1999. Lì la
lenzuolata nera è andata a coprire nientemeno che la quinta colonna
degli squartatori della Jugoslavia. Sommessamente meno bombe, ok, ma
prima ancora e a piena voce meno “dittatore Milosevic”, meno
“ultranazionalisti fascisti serbi”, meno repressione di bravi
pacifisti come i sorosiani di Radio B-92 (gemellata, ricordiamocelo,
con le tutine bianche di Casarini e Radio Sherwood) e di Otpor,
formazione di nonviolenti finanziata da Washington e Berlino e
addestrata da un generale dei Marines a Budapest. Rischiarono il
Nobel della pace anche queste nere belgradesi quando, a Jugoslavia
distrutta e Serbia presa alle spalle, insistettero a servire i boia
del loro paese e a esonerarli dei loro crimini, propalando l’inganno
della pulizia etnica serba a Sarajevo e del ”genocidio” serbo a
Srebrenica.
Belgrado. Donne in nero
contro il “genocidio di Srebrenica”
L’obiettivo solennemente
dichiarato è sempre la fine delle violenze. E, guarda caso, senza
eccezione questo nobile intento delle sante donne si manifesta nel
momento in cui un tipo di violenza, quello dell’aggressore o del
potere costituito, attraversa una fase di maggiore difficoltà,
mentre l’altro, quello di chi si difende o lotta per liberarsi da
una condizione di sottomissione, vede balenare all’orizzonte una
prospettiva di vittoria. Ultimamente i fautori di una soluzione non
violenta della crisi siriana si sono materializzati nel preciso
momento in cui al mercenariato jihadista delle potenze attaccanti le
forze patriottiche imponevano la ritirata. Di solito, quando donne in
nero e affini riescono a far passare il discorso della pacificazione
attraverso la nonviolenza, grazie a Premi Nobel, manipolazione
dell’opinione pubblica e supporto mediatico, la parte che lo prende
in quel posto sono i giusti, mentre il prevaricatore (ri)stabilisce
il proprio ordine. La vera funzione delle Donne in nero è quella di
tagliare le gambe alle forme di lotta che al padrone fanno male, a
dispetto delle parecchie attiviste, prede di dabbenaggine e pie
illusioni, che ne costituiscono l’inconsapevole, ma poco
autocritica e molto autocompiaciuta, truppa. Tutto questo con vista,
tra le pieghe delle palandrane nere, sulle macerie fumanti e le
distese di cadaveri in Iraq, Libia, Siria, tutte attribuibili a chi
su guerre, conquiste, genocidi fonda profitto e potere, ma tutte
attribuite alla “violenza” in quanto tale, categoria dello
spirito inventata con l’unico scopo di spargere nebbia su torti e
ragioni e offuscare soprattutto le seconde.
Dalla nonviolenza ad Al
Qaida
Da sotto quei panneggi che
pretendono di spargere il lutto su ogni violenza, riuscì addirittura
a sbucare Al Qaida. Fu quando l’Assopace, associazione di Luisa
Morgantini, se ne usci con un’incredibile analisi in cui, sulla
falsariga di quanto Obama andava cianciando sui ribelli “moderati”
in Siria, di Al Qaida si elogiava la capacità di amministrare
comunità, il sostegno delle popolazioni e, tutto sommato, una
possibile scelta per il futuro della regione alternativa ai cattivi
dell’Isis.. Meglio Al Qaida, protagonista, al soldo delle potenze
occidentali e di Israele, di efferatezze senza uguali tra Medioriente
e resto del mondo, che il “sanguinario dittatore Assad”. E a
dimostrazione che l’ordine di servizio per questa rivalutazione
promanava dalla solita centrale, ecco che anche in Siria
germogliavano donne in nero e caschi bianchi a perorare il
superamento della violenza attraverso il dialogo. Dialogo tra Davide
e Golia. Con Golia che restava quello che è, ma con Davide senza la
fionda.
Pornografia in nero
C’è un filo rosso, anzi
nero, nerissimo (in senso cromatico e morale), che unisce le donne in
nero, quelle apparse per calmierare insurrezioni, rivoluzioni e
resistenze, alle ciabattone hollywoodiane della recente kermesse in
nero anti-molestie. Eroine della più manipolata e manipolante
industria subculturale del mondo, merce avariata di un postribolo
dove tutto – salvo le eccezioni necessarie alle apparenze - è
prostituzione agli interessi di una criminalità storica
organizzatasi in élite politica, finanziaria, militare, mondialista.
Il filo nero è quello del tessuto che, anche in occasione dei Golden
Globe, ha occultato, sotto il nero di una nobile solidarietà, i fini
abietti dell’establishment. Il tutto in una perfetta continuità
degli strumenti ideologici con cui l’establishment persegue quei
fini: puritanesimo e ipocrisia.
Puritanesimo delle
originali Donne in nero, integraliste della nonviolenza e tanto
accecate dalla purezza dei propri intenti, dalla propria superiorità
morale rispetto alle parti in causa, da non avvedersi come
sistematicamente la loro equidistanza si risolveva in una fregatura
per le vittime e in un vantaggio per i carnefici. Come storicamente
dimostrato dalla Palestina all’Irlanda, dalla Serbia alla non
ancora del tutto normalizzata Siria, dato che lì la resistenza delle
forze armate e del popolo non si è fatta convincere che a stendere
la mano ai tagliatori di teste, interposte teste di legno dei
necrofori USraeliani, sauditi, turchi, qatarioti, ci si sarebbe
trovati a consumare tutti quanti uniti tarallucci e vino su una
tavolata fatta di salme.
Lotta di classe o lotta
di genere?
L’ipocrisia è quella
che accompagna il consolidamento e l’espansione di profitto e
potere ovunque una minoranza infima si fa élite oligarchica e,
pretendendosi portatrice di valori superiori alle plebi razzolanti
nell’ignoranza e nell’egoismo. Nel caso di Usa e Israele (che non
si sa se dei primi sia padrino o figlioccio), ci si è autoassegnati
il “manifesto destino” di un’eccezionalità conferita da dio e
che legittima ogni prevaricazione, esonera da ogni crimine, rovescia
il male in bene (di solito calcolabile con il proprio patrimonio in
banca e il numero di creature inferiori soggiogate o tolte di mezzo).
Dalle suffragette alle
Star di Hollywood
L’esibizione
pornografica (dal greco πόρνη, porne,
meretrice) delle varie Mery Streep e Nicole Kidman ai Golden Globe
era il coronamento di un’operazione di cui è difficile stabilire
il punto di partenza. Sicuramente successivo al movimento delle
suffragette di inizio secolo che rivendicavano la sacrosanta parità
di diritti con gli uomini, a partire dal’elettorato attivo e
passivo. Un seme se ne può forse individuare nei movimenti
femministi del post ’68 che tra queste rivendicazioni storiche
iniziarono a far balenare uno scontro femmine-maschi che
oggettivamente non sempre si poneva a fianco della lotta di classe,
ma finiva con il distrarre da essa, innescando in sua vece una guerra
dei generi, paradigma fondamentale per un progetto di autocrazia
mondiale che necessita della frantumazione di ogni coesione sociale,
o nazionale (maschi-femmine, giovani-anziani, cristiani-musulmani,
sciti-sunniti, curdi-arabi, migranti-autoctoni, ecc.).
A questo punto il sistema
non se lo fece dire due volte e, operando sulla componente più
negativamente mascolinizzata del movimento, un po’ per volta lo
trasformò in lotta del matriarcato contro il patriarcato, con per
posta la gestione dello stesso assetto capitalista, oligarchico,
guerrafondaio.. Non gli parve vero di aver sottratto alla lotta degli
oppressi e sfruttati questa sua componente cruciale. Epitome della
corruzione della lotta delle donne per contribuire a liberare
l’umanità dal gioco patriarcal-borghese-capitalista è stato lo
scatenamento della rivolta femminista alla vigilia dell’insediamento
di Donald Trump. Due milioni di donne presero a pretesto alcuni
borborigmi sessisti e razzisti di Trump e, indifferenti a quelli che,
prima della sua presa in ostaggio da parte di Cia, Pentagono e Wall
Street, erano i suoi propositi di riscatto operaio e di
riconciliazione con Mosca, si rivoltarono sotto la guida e nel nome
della sconfitta Hillary, corrotta beneficata da miliardi sauditi,
sanguinaria assassina in Iraq e Libia, golpista in Honduras,
dell’Obama delle sette guerre d’aggressione e del primato di
vittime di sua mano rispetto a tutti i predecessori, e di George
Soros, agente mondialista di genocidi e destabilizzazioni economiche
e politiche.
Imperialismo contro
sovranità nazionale = donne contro uomini
La guerra totale per la
frantumazione della società occidentale (e non solo, vedi la
versione desnuda della donne nere: Pussy Riot) tra donne e uomini,
stavolta centrata, con ipocrisia ancora più esasperata, su una
sessuofobia mascherata da “molestie”. La campagna molestie,
peraltro unidirezionali degli uomini alle donne, sostitutrice delle
ben più fondata denuncia dei femminicidi, venne affidata a un mondo
da sempre contiguo e succube al potere e portatore del suo Zeitgeist,
spirito del tempo: quello dell’infotainment:
cinema, televisione, media. Molestie che,
classificati tali anche i tentativi di approccio, il corteggiamento,
la seduzione, un polpastrello sul ginocchio (“Quando
una donna dice no è no”. Ma quando mai!),
creava i presupposti per una separazione assoluta fondata, anziché
sui naturali connotati di curiosità e attrazione, sul sospetto e
ostilità a prescindere. Con ulteriore disistima per
l’eterosessualità e la facilitazione delle sue divergenze. Thomas
Robert Malthus, il teorico della riduzione della popolazione, non
avrebbe potuto inventarsi di meglio, dopo e oltre le cospirazioni dei
mondialisti affidate a USraele.
Oprah e Weinstein
ImmaginatevI le levatrici
e conduttrici delle più scurrili e culturalmente hard core
trasmissioni della nostra tv, Maria de Filippi e Barbara d’Urso
(l’avete presente, scosciata e salivante, che finge di intervistare
Renzi o Berlusconi?), assurgere a simbolo della rivolta delle donne
contro molestie e abusi del potere maschile? Noi non ci siamo
arrivati, ancora. Il gineceo di Hollywood sì. L’equivalente delle
due signore del basso impero televisivo nostrano è Oprah Winfrey,
una miliardaria che a forza di salamelecchi all’eccezionalità
americana, da conduttrice è diventata la tycoon di un impero
mediatico. Intima, sodale, amica dai tempi più sospetti, del
sessuomane farabutto, più orco di tutti, Harvey Weinstein, al quale
una teoria sconfinata di scaturite imputa oscenità trent’anni
dopo, urlando alla cafoneria in nero trasparente che trascinerà
l’America all’orizzonte di una nuova alba, è assurta a portavoce
dell’armata sconfinata che ha subito molestie. Anzi, la
candideranno a presidente degli Stati Uniti. Eterogenesi dei fini?
Macchè: omogenesi dei fini! Dopo il duo Clinton, i due Bush, Obama,
Trump, Bilderberg non poteva trovarsi marionetta migliore. Avesse mai
detto una parolina di critica su quanto gli israeliani fanno in
Palestina, o Obama e Clinton hanno fatto a mezzo mondo.
E che facciamo noi uomini.
Beliamo in coro appresso a quelle che, inventate le categorie
politiche contrapposte “uomini” e “donne” e fattesi categoria
del bene, ci riducono compatti a categoria del male. Nel tripudio di
maschi e femmine del progressismo liberal.
Ringraziamo con stima e
affetto e grande ammirazione per il coraggio opposto alla torma
urlante delle arpie progressiste di regime, Catherine Deneuve e le
cento donne che con lei hanno rivendicato il diritto e la bellezza
dei tentativi di seduzione, così rivelandoci dove è custodita
l’intelligenza delle donne. E, con essa, la vita della specie. “Il
manifesto”, che ha trovato in Oprah la sua nuova Hillary, ha
coperta la Deneuve di vituperi. Noi, con gli occhi lucidi, la
ringraziamo per aver gradito quel fischio che le facemmo appresso
quando ci strizzò l’occhio dagli schermi.
Volete un’altra donna
vera? Date un’occhiata a questo video: AhedTamimi, 16 anni, donna
palestinese.
https://www.youtube.com/watch?time_continue=26&v=MxhNRs-j6b4
Per inciso. Omaggi e peana
reciproci tra la nere donne di Hollywood e un santone della
propaganda USraeliana, Steven Spielberg, da sempre regista di
abilmente confezionati polpettoni a sostegno delle intossicazioni,
specialmente belliche, dell’establishment imperialista e genio
cinematografico per “il manifesto”. L’occasione è l’ultimo
suo lavoro “The Post” che, nel momento della sua massima
decadenza deontologica da massimo portavoce, insieme al sionistissimo
New York Times, delle fake news rigurgitate dallo Stato Profondo Usa,
esalta il “Washington Post”, verniciandone le attuali oscenità
con la celebrazione delle rivelazioni fatte al tempo del Vietnam.(I
“Pentagon Papers”). E chi è il padrone di questo modello
mediatico di intossicazioni di regime? Jeff Bezos, lo schiavista di
Amazon. Il cerchio si chiude.
Fulvio Grimaldi - www.fulviogrimaldicontroblog.i nfo
Commento di Marina Neri "Mi piacerebbe conoscere a proposito il parere di chi posta. Non può bastarmi una recensione di parte. Io che desidero conoscere e,capire desidero sapere se il post è frutto di condivisione di pensiero, se viene proposto per accendere un dibattito "
RispondiEliminaMia rispostina: "esattamente... è un post di riflessione, per approfondire un discorso. Non necessariamente occorre essere d'accordo con quanto l'autore dell'articolo esprime ma il tema trattato può essere visto anche sotto l'aspetto proposto dall'autore, Fulvio Grimaldi, che comunque non è persona da poco (pur che su alcuni punti mi trovo in disaccordo)."
Replica di Marina Neri: "Questo desideravo comprendere. Mi piacerebbe sapere,e non per invadenza, su quali punti ti trovi in disaccordo. Io non ho la visione storica di tutte le tematiche trattate nell'articolo,ma ho percepito in esso una visione estremamente critica dei vari impegni profusi. Giusti o sbagliati storicamente che fossero, li si può definire tutti oggetto o soggetto del Sistema? Se così fosse anche noi su questa pagina lo saremmo potenzialmente?"
Mia rispostina: "purtroppo sì, potenzialmente ogni ideologia, sia pure apparentemente alternativa al sistema, è soggetta a divenir parte del sistema, per la semplice ragione che ogni ideologia è materia morta, costruita in forma pensiero fissa non adattabile alla variegazione e mutabilità della vita... perciò non è mia abitudine soffermarmi ad esaminarne i punti specifici poiché anche questo processo rientrerebbe in una canone ideologico, che di per se stesso è opinabile. Ogni opinione è solo frutto di una accettazione elucubrativa basata su un set di esperienze riposte nella memoria e lì cristallizzate e successivamente proiettate in forme ritenute "ottimali o migliorative" ma solo sulla base dell'esperienza presa in esame. Quindi... va da sé che ogni ideologia è falsa. Posso sottoporre alla tua attenzione alcune mie considerazioni in proposito: http://paolodarpini.blogspot.it/2017/03/le-religioni-e-le-ideologie-sono-forme.html"