Jus
soli e spedizioni antiterrorismo nel terzo mondo. L’uno
è peggio dell’altro. Il primo, a dispetto del fatto che la
cittadinanza è già riconosciuta a condizioni ragionevoli, come in
Germania o Svizzera, pretende fin dalla nascita l’esproprio della
propria identità e l’assimilazione a chi ti controlla. Come il
battesimo. Le seconde, fingendo una guerra farlocca contro ascari da
noi stessi messi in campo, servono a occupare, devastare e rubare,
con il concorso di governi locali sottomessi a forza di potenza
militare e corruzione. Entrambe consolidate tecniche del
colonialismo.
Ma,
voi universali accoglitori, vi rendete conto che contribuite a creare
le condizioni perché la gente debba essere sradicata dalla sua
storia, identità, cultura, perché le sue terre e i suoi ambienti
sono stati resi invivibili dai nostri predatori occidentali, per poi
venire scagliata addosso ad altre società e servire da manovalanza
al ribasso e dumping sociale? Proprio come, all’inverso, succede
con le delocalizzazioni di produzioni in aree di massimo
sfruttamento.
Come vi permettete di parlare di integrazione e
assimilazione che non significano altro che spogliare i soggetti
deportati della loro identità, storia, cultura, coesione sociale,
per essere snaturati e diventare Dalit, casta subordinata ai
colonizzatori?
Alla
resa dei conti, è sempre una questione di lotta di classe. Gruppi
dirigenti che, assistiti dal colonialismo, sono lieti di liberarsi
degli strati di popolazione, soprattutto giovani, che potrebbero
contestarne politiche e poteri; dominanti del mondialismo che,
deportando e neutralizzando soggetti di una potenziale lotta di
classe e per la sovranità popolare/nazionale, mantengono le
condizioni di dipendenza e subordinazione dei dominati, sia nelle
colonie che nella metropoli.
Guardatevi
in giro e vedete quale razza di integrazione lo spostamento di masse
portatrici di altri riferimenti civili e sociali ha portato. Tra
italiani importati e sudtirolesi colonizzati, dopo un secolo, non
esiste comunicazione, nè amalgama, ma solo distanza, diffidenza e
ostracismo a chi osa matrimoni inter-etnici. Tra pakistani, indiani,
caraibici e britannici si tratta, a dispetto del succedersi delle
generazioni, di isole del tutto separate perfino urbanisticamente.
Così tra turchi e tedeschi, dove, nel quartiere berlinese di Moabit,
cantato da Brecht, i palazzi dalle forme e dall’anima guglielmina
guardano su un’ininterrotta teoria di locali dai profumi, costumi e
frequentatori levantini, gli uni perennemente estranei e incongrui
agli altri, con gli importati in eterno subordine, salvo qualche zio
Tom (vedi sindaco di Londra). Idem da 300 anni in Usa tra neri e
bianchi. Idem a Milano tra cinesi e autoctoni. I termini
integrazione, assimilazione, meticciato, multiculturalismo, sono
definizione del padrone/maestro/superiore che ti mette sotto; sono
false, ipocrite e di schifosa natura razzista.
Assimilazione,
integrazione uguale antropofagia.
Ammantare
tutto questo di buonismo e catturare i gonzi per farne i propri
colonizzatori di complemento è stata la grande invenzione di un
mondialismo che ha bisogno di livellare, annullare, amalgamare,
deidentificare, desovranizzare e disunire le comunità consolidate
dalla storia, plebizzare masse che diventino indistinte e prive di
coscienza di sé. Solo così, e tramite l’ausilio tecnologico dei
Frankenstein di Silicon Valley, che spersonalizza esasperando il
narcisismo individualista e, al tempo stesso, lacera il rapporto con
il reale e la coesione sociale , si eliminano gli ostacoli alla
mondializzazione e alla relativa dittatura degli orchi del capitale.
Fulvio Grimaldi - www.fulviogrimaldicontroblog.i nfo
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.