sabato 6 gennaio 2018

Plebizzare le masse con Jus Soli e spedizioni antiterrorismo nel terzo mondo...


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Jus soli e spedizioni antiterrorismo nel terzo mondo. L’uno è peggio dell’altro. Il primo, a dispetto del fatto che la cittadinanza è già riconosciuta a condizioni ragionevoli, come in Germania o Svizzera, pretende fin dalla nascita l’esproprio della propria identità e l’assimilazione a chi ti controlla. Come il battesimo. Le seconde, fingendo una guerra farlocca contro ascari da noi stessi messi in campo, servono a occupare, devastare e rubare, con il concorso di governi locali sottomessi a forza di potenza militare e corruzione. Entrambe consolidate tecniche del colonialismo.

Ma, voi universali accoglitori, vi rendete conto che contribuite a creare le condizioni perché la gente debba essere sradicata dalla sua storia, identità, cultura, perché le sue terre e i suoi ambienti sono stati resi invivibili dai nostri predatori occidentali, per poi venire scagliata addosso ad altre società e servire da manovalanza al ribasso e dumping sociale? Proprio come, all’inverso, succede con le delocalizzazioni di produzioni in aree di massimo sfruttamento. 

Come vi permettete di parlare di  integrazione e assimilazione che non significano altro che spogliare i soggetti deportati della loro identità, storia, cultura, coesione sociale, per essere snaturati e diventare Dalit, casta subordinata ai colonizzatori? 

Alla resa dei conti, è sempre una questione di lotta di classe. Gruppi dirigenti che, assistiti dal colonialismo, sono lieti di liberarsi degli strati di popolazione, soprattutto giovani, che potrebbero contestarne politiche e poteri; dominanti del mondialismo che, deportando e neutralizzando soggetti di una potenziale lotta di classe e per la sovranità popolare/nazionale, mantengono le condizioni di dipendenza e subordinazione dei dominati, sia nelle colonie che nella metropoli.

Guardatevi in giro e vedete quale razza di integrazione lo spostamento di masse portatrici di altri riferimenti civili e sociali ha portato. Tra italiani importati e sudtirolesi colonizzati, dopo un secolo, non esiste comunicazione, nè amalgama, ma solo distanza, diffidenza e ostracismo a chi osa matrimoni inter-etnici. Tra pakistani, indiani, caraibici e britannici si tratta, a dispetto del succedersi delle generazioni, di isole del tutto separate perfino urbanisticamente. Così tra turchi e tedeschi, dove, nel quartiere berlinese di Moabit, cantato da Brecht, i palazzi dalle forme e dall’anima guglielmina guardano su un’ininterrotta teoria di locali dai profumi, costumi e frequentatori levantini, gli uni perennemente estranei e incongrui agli altri, con gli importati in eterno subordine, salvo qualche zio Tom (vedi sindaco di Londra). Idem da 300 anni in Usa tra neri e bianchi. Idem a Milano tra cinesi e autoctoni. I termini integrazione, assimilazione, meticciato, multiculturalismo, sono definizione del padrone/maestro/superiore che ti mette sotto; sono false, ipocrite e di schifosa natura razzista.

Assimilazione, integrazione uguale antropofagia.

Ammantare tutto questo di buonismo e catturare i gonzi per farne i propri colonizzatori di complemento è stata la grande invenzione di un mondialismo che ha bisogno di livellare, annullare, amalgamare, deidentificare, desovranizzare e disunire le comunità consolidate dalla storia, plebizzare masse che diventino indistinte e prive di coscienza di sé. Solo così, e tramite l’ausilio tecnologico dei Frankenstein di Silicon Valley, che spersonalizza esasperando il narcisismo individualista e, al tempo stesso, lacera il rapporto con il reale e la coesione sociale , si eliminano gli ostacoli alla mondializzazione e alla relativa dittatura degli orchi del capitale. 


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