giovedì 11 gennaio 2018

Giudei - Fra ebraismo ed etnia non c'è distinzione


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In alcuni numeri  della rivista "Non Credo", alla quale collaboro, erano stati pubblicati alcuni miei articoli sul problema ebraico, esaminato con un approccio laico. Dico "laico" in senso totale, poiché spesso ho notato che molti critici del cristianesimo o dell'islamismo si definiscono "laici", mentre alla fine si scopre -per loro stessa ammissione- che  appartengono alla comunità ebraica. Quindi la loro critica delle altre religioni è un po' pelosa. D'altro canto  ho conosciuto diversi ebrei, con i quali ho stretto amicizia, che dimostrano una grande apertura mentale e spesso non esitano a definirsi "atei" o perlomeno "agnostici", quindi dal punto di vista intellettuale si potrebbero definire "laici". Il fatto è che la religione degli ebrei, cioè l'ebraismo, non è una religione filosofico-elettiva, nel senso del pensiero,  e quindi aperta a tutti. L'ebraismo è sostanzialmente una religione etnica, che viene tramandata fra gli appartenenti del popolo  ebraico, cioè i nati da famiglia o da donna ebrea.  Il popolo ebreo e l'ebraismo sono perciò un tutt'uno inscindibile. 

Come avviene ad esempio nel bramanesimo induista, in cui i bramini dal punto di vista dottrinale possono appartenere a varie sette del Sanatana Dharma, possono essere  vishnuiti, shivaiti, shakta e persino nichilisti atei  ma continuano in realtà a mantenere la tradizione genetica braminica (sposandosi e  riproducendosi solo tra bramini).   

Ed allora quando smette  un ebreo di appartenere all'ebraismo od un bramino  alla sua casta, oltre alla rinuncia intellettuale elettiva? 

La risposta è semplice: il momento in cui abbandona anche la tradizione genetica del matrimonio e della riproduzione all'interno della sua "etnia" o casta.  Non essendoci  più ascendenza-discendenza  le caratteristiche genetiche vengono rimescolate e pian piano le tracce disperse assieme a quelle culturali. 

Certo alcune caratteristiche  dominanti restano. Ma scompare il senso di appartenenza  al gruppo etnico. In un certo senso questa rinuncia alla "gens" è quanto fecero i romani antichi, che essendo originariamente etruschi, sabini, falisci e latini, etc. rinunciarono alla loro "famiglia genetica" per riconoscersi nella nuova cittadinanza romana. 

Però l'esempio dei romani non è da considerarsi "universale"  e definitivo poiché essi rifiutarono  le precedenti  origini tribali ma non si fusero con "l'umanità" in senso lato. Cambiarono soltanto il senso di appartenenza. Quindi va de a sé che una vera "laicità" deve avvenire nel ricongiungersi totalmente nell' "Umano" lasciando da parte ogni altra identificazione con religioni, etnie, razze o dir si voglia. 

Questo è esattamente il mio caso. Infatti i miei nonni paterni erano entrambi  di origine ebraica, quella  "pura", non quella ashkenazi, che è composta da  turcomanni convertiti nell'anno 1000  e che a rigor di logica non è di origine semita, essi però durante il fascismo rinunciarono alla loro identità, forse per salvare la pelle o per simili ragioni. I loro figli, compreso mio padre, sposarono donne gentili, rompendo  la continuità genetica, ed io a mia volta ho continuato in questa strada di allontanamento.  Dal che si può affermare che la mia ascendenza-discendenza ebraica è  nulla. Resta -come detto sopra- solo qualche caratteristica genetica: il naso grosso ed un po' appuntito, l'intelligenza speculativa ed altre cosucce che non sto a menzionare.

Beh, perché vi sto raccontando tutto questo?  Qui ritorno alla rivista Non Credo N. 35 in cui erano presenti addirittura tre lettere di lettori evidentemente di famiglia ebraica, in particolare mi riferisco alla lettrice Sarah Ancona, che scrive al direttore Paolo Bancale: "Negli ultimi due fascicoli di NonCredo ed anche in fascicoli precedenti, si parla di ebrei, ma non di ebraismo in quanto religione, il che sarebbe nella normale tematica della rivista, ma piuttosto come popolo. Per inquadrare questi interventi nella loro categoria vorrei chiederle quale è la sua opinione sulla spinosa vicenda di quel popolo?" 

Il direttore risponde esaurientemente e vi consiglio di leggere la sua risposta consultando appunto il numero sopra riferito della rivista.  Ma "indirettamente" ho voluto anch'io rispondere alla signora Sarah Ancona. Una riposta che vuole anche essere un invito allo scioglimento nell'Umanità a cui tutti noi indistintamente apparteniamo. Aldilà di ogni componente etnica. Riconoscendoci quindi nella comune matrice della specie  e cancellando ogni vestigia di "razza", che tra l'altro anche dal punto di vista scientifico antropologico  non ha alcuna consistenza. Infatti la scienza oggi ha stabilito che esiste una sola specie umana e le cosiddette "razze" non esistono,   non essendo altro che il risultato di  un adattamento  di popolazioni umane  che si sono evolute in determinati ambienti e clima.

Paolo D'Arpini


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