Caro Paolo D'Arpini, scusa la mia terminologia non adeguata. Sul tuo Giornaletto di Saul leggo che i seguaci delle tue ipotesi esistenziali distinguono lo spirito o anima dal corpo, come se il primo fosse una entità distinta e separata dal secondo. Come sai io, più che un materialista, sono un realista che si guarda intorno. Orbene, in questa mia analisi, io mi sono accorto che il nostro essere, che possiamo chiamare spirituale, e' estremamente condizionato dal nostro corpo. Se il nostro corpo si ammala, anche lo spirito cambia. Se poi dovessimo esaminare il caso dell'alzheimar, vedremmo una totale trasformazione del nostro io. Ancora di piu' in presenza di traumi cerebrali. Il tutto avviene anche in presenza di traumi psicofisici. Di conseguenza chi siamo? Il nostro corpo che è in continua evoluzione o lo spirito che dovrebbe essere immutabile? Se esistesse lo spirito in se e per se, questo dovrebbe espletarsi indipendentemente dall'ambiente che lo circonda. Invece, la storia ha dimostrato che l'uomo e' estremamente condizionato, in genere, dall'ambiente e dalla educazione che ha ricevuto. Gli "spiriti" degli Italiani sono storicamente portati all'individualismo e alla corruzione. Pensa alle parole di Dante, di Guicciardini, di Leopardi, di Prezzolini, di Flaiano, della Fallaci, ecc. Basta passare le nostre frontiere, e troviamo "spiriti" completamente diversi. Cosa dobbiamo pensare ? Che tutti gli " spiriti" individualisti e corrotti nella loro scelta di incarnazione hanno individuato nell'Italia la loro destinazione più adatta ? Tutto ciò premesso, se questo dovesse essere vero, perché ribellarci ad una situazione che vede la sua origine in un mondo antecedente al corpo ? A questo si aggiunga che se siamo condizionati dal nostro corpo, e lo siamo con le sue innate inclinazioni, perché lo "spirito" dovrebbe subire i danni conseguenziali a dette innate corporali inclinazioni ? Certo il tema e' estremamente complesso. Io ho voluto soltanto riferire mie considerazioni al riguardo in un processo dialettico di continuo divenire.
Saluti e buon lavoro.
Massimo Sega
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Mia rispostina:
Non ho mai affermato che la mente ed il corpo
(ovvero l’anima ed il suo involucro fisico) siano separati, anzi ho sempre
sostenuto che sono la stessa identica cosa in forme diverse. Il nostro essere
esistenziale è come una cipolla suddivisa in vari involucri e nel suo cuore c’è
solo il “vuoto”, in senso buddista, ovvero la pura consapevolezza non
identificata e non consapevole di sé. Ti consiglio di leggere il mio articolo
sulle guaine individuali (kosha) che
segue, ed inoltre ti consiglio per un ulteriore approfondimento di
leggere il mio nuovo libro “Riciclaggio della Memoria” (Edizioni Tracce)…
Il Vedanta, letteralmente “dopo i Veda” è una scuola di pensiero laico sull’Assoluto non duale, detto “Brahman” nelle Upanishad, i testi filosofici vedantici (posteriori ai Veda).
Sulla datazione dei Veda e del Vedanta le opinioni degli studiosi, storici e religiosi, divergono alquanto. La differenza di vedute è soprattutto fra ricercatori occidentali e quelli indiani. Secondo gli europei, proni al credo filo occidentale di una culla di civiltà medio-orientale e mediterranea, i Veda sono posti attorno al primo millennio a.C. e le Upanishad al periodo appena antecedente la nascita del Buddha storico (VI secolo a.C.). Ovviamente per alcuni storici indiani le date sono diverse e si allontanano moltissimo da quanto affermato dagli storici europei. Ma analizziamo i concetti espressi e lasciamo da parte le datazioni (irrilevanti ai fini della sostanza).
La peculiarità della filosofia Advaita Vedanta è che non si rifà ad alcuna divinità. L'Assoluto non duale è tra l'essere ed il non essere. Esso è il Sé (Atman), ovvero la Consapevolezza priva di attributi, che è contenitore e contenuto di tutto ciò che si manifesta, autoesistente, e contemporaneamente aldilà di ogni manifestazione e pensiero.
Il Sé gode della sua stessa illusione di esistere come oggetto separato e distinto da se stesso e -secondo il Vedanta- questa commedia si rende possibile attraverso cinque maschere o “guaine” (in sanscrito “kosha”) che nascondono il Sé al sé (l’Io assoluto all’io relativo).
Esse sono: “annamaya”, “pranamaya”, “manomaya”, “vijnanamaya” e “anadamaya”.
Annamaya è la guaina composta dal cibo, il corpo fisico. I suoi costituenti sono i cinque elementi nello stato grossolano, in vari gradienti di mistura. Dello stesso materiale sono fatte le cose del mondo oggettivo sperimentato.
Pranamaya è la guaina dell’energia vitale (nella Bibbia “soffio vitale”) è quella che denota la qualità vitale, la sua espressione è il respiro, in sanscrito “prana” e le sue cinque funzioni o “modi”: “vyana” quello che va in tutte le direzioni, “udana” quello che sale verso l’alto, “samana” quello che equipara ciò che è mangiato e bevuto, “apana” quello che scende verso il basso, “prana” quello che va in avanti (collettivamente vengono definiti con il termine “prana”). Alla guaina del “prana” appartengono anche i cinque organi di azione, ovvero: la parola, la presa, il procedere, l’escrezione e la riproduzione.
Manomaya è la guaina della coscienza, o mente individuale, le sue funzioni sono chiedere e dubitare. I suoi canali sono i cinque organi di conoscenza: udito, vista, tatto, gusto ed olfatto.
Vijnanamaya è la guaina dell’auto-coscienza, o intelletto, cioè l’agente ed il fruitore del risultato delle azioni. Questa maschera, od involucro, è considerata l’anima empirica che migra da un corpo fisico ad un altro (nella teoria della metempsicosi).
Anadamaya è la guaina della gioia, non la beatitudine originaria che è del Brahman, essa è la pseudo beatitudine (sperimentata nel sonno profondo) del cosiddetto “corpo causale”, la causa prima della
trasmigrazione, Un altro suo nome è “avidya” ovvero nescienza od ignoranza del Sé.
trasmigrazione, Un altro suo nome è “avidya” ovvero nescienza od ignoranza del Sé.
Secondo lo studioso indiano T.M.P. Mahadevam è possibile riordinare queste cinque maschere in tre “corpi”:
1 - “annamaya”, il corpo fisico grossolano;
2 - “suksma-sarira” il corpo sottile, l’insieme delle tre guaine di prana mente ed intelletto (”pranamaya, “manomaya” e vijnanamaya”);
3 - “karana-sarira”, il corpo causale della guaina “anandamaya”.
E’ per mezzo di questi tre corpi che noi sperimentiamo il mondo cosiddetto “esterno” nei tre stati di veglia, sonno e sonno profondo. L’esperienza empirica si manifesta attraverso le cinque guaine, proiettate o riflesse nel concetto di “spazio” e “tempo”, senza di esse la coscienza relativa di un “mondo” non potrebbe sussistere.
Come diceva il filosofo M. Heidegger : "Com’è che l’esistenza umana si è procurata un orologio prima che esistessero orologi da tasca o solari?… Sono io stesso l’”ora” e il mio esserci il tempo? Oppure, in fondo, è il tempo stesso che si procura in noi l’orologio? Agostino ha spinto il problema fino a domandarsi se l’animo stesso sia il tempo. E, qui, ha smesso di domandare...”
Paolo D'Arpini
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Replica di Massimo Sega:
Ti ringrazio della tua risposta che come al solito e' estremamente interessante, almeno a fini conoscitivi. E' uno dimensione che e' estranea alla mia forma mentis, ma che amo conoscere in quanto, come diceva Aristotele, la ricerca della conoscenza e' la prima caratteristica dell'umana natura. Questo dice Aristotele, ma credo che il medesimo abbia avuto una visione eccessivamente ottimistica. Non credo proprio che questa sia una esigenza di tutta l'umanità, ma solo di una piccolissima parte. Mi riferisco non solo ad una conoscenza intellettiva, ma anche a quella puramente sensoriale. Non tutti, infatti, mi sembra che percepiscano cosa c'e' dietro ai sensi. Cercherò di rileggere le tue ipotesi sul corpo e l'anima, che pur essendo un'unica realtà si articolano su posizioni diverse. Per me, come già detto, e' difficile entrare nella relativa essenza, nella relativa analisi che non so se collegare ad una concezione intellettuale o solamente cerebrale.
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Mia rispostina:
Caro Massimo, se la conoscenza di Sé fosse solo una concezione intellettuale non varrebbe la pena di dedicarcisi... Mentre se viene intrapresa come "esperienza diretta" la ricerca, la ponderazione e la discriminazione attiva acquistano significato e valore
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Contro replica di Massimo Sega:
Caro Paolo, mi e' venuto in mente di non essermi bene espresso. Io non ho parlato di una concezione , ripeto concezione intellettuale, ma di ricerca intellettuale. Per me, strumento della ricerca e' l'intelletto. Senza l'intelletto o la mente ( anche se detta unificazione potrebbe ritenersi superficiale ) non credo che si possa addivenire ad una conoscenza diretta di Se'. A meno che per conoscenza di se' non si voglia intendere cio' che perviene al nostro io direttamente tramite i nostri sensi senza passare attraverso l'elaborazione del nostro intelletto. Il nostro IO, a mio modo di vedere, e' l'incontro dei dati sensoriali con il nostro computer intellettuale. Dalla relativa elaborazione, attraverso processi di ponderazione e di scelta, i dati acquistano significato e valore, e cio' non soltanto in relazione al mio individuale Se', ma anche con riferimento alla contingente societa' in cui il caso ha voluto che io fossi collocato. Debbo riconoscere, leggendo i tuoi messaggi e le conversazioni dei tuoi amici, che le mie capacita' di analisi sono troppo limitate per comprendere la distinzione tra la conoscenza diretta del Se' e quella cui giungo con il mio intelletto. Fortunatamente la vita e' variata e ognuno ha il suo se'.
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Replica di Massimo Sega:
Ti ringrazio della tua risposta che come al solito e' estremamente interessante, almeno a fini conoscitivi. E' uno dimensione che e' estranea alla mia forma mentis, ma che amo conoscere in quanto, come diceva Aristotele, la ricerca della conoscenza e' la prima caratteristica dell'umana natura. Questo dice Aristotele, ma credo che il medesimo abbia avuto una visione eccessivamente ottimistica. Non credo proprio che questa sia una esigenza di tutta l'umanità, ma solo di una piccolissima parte. Mi riferisco non solo ad una conoscenza intellettiva, ma anche a quella puramente sensoriale. Non tutti, infatti, mi sembra che percepiscano cosa c'e' dietro ai sensi. Cercherò di rileggere le tue ipotesi sul corpo e l'anima, che pur essendo un'unica realtà si articolano su posizioni diverse. Per me, come già detto, e' difficile entrare nella relativa essenza, nella relativa analisi che non so se collegare ad una concezione intellettuale o solamente cerebrale.
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Mia rispostina:
Caro Massimo, se la conoscenza di Sé fosse solo una concezione intellettuale non varrebbe la pena di dedicarcisi... Mentre se viene intrapresa come "esperienza diretta" la ricerca, la ponderazione e la discriminazione attiva acquistano significato e valore
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Contro replica di Massimo Sega:
Caro Paolo, mi e' venuto in mente di non essermi bene espresso. Io non ho parlato di una concezione , ripeto concezione intellettuale, ma di ricerca intellettuale. Per me, strumento della ricerca e' l'intelletto. Senza l'intelletto o la mente ( anche se detta unificazione potrebbe ritenersi superficiale ) non credo che si possa addivenire ad una conoscenza diretta di Se'. A meno che per conoscenza di se' non si voglia intendere cio' che perviene al nostro io direttamente tramite i nostri sensi senza passare attraverso l'elaborazione del nostro intelletto. Il nostro IO, a mio modo di vedere, e' l'incontro dei dati sensoriali con il nostro computer intellettuale. Dalla relativa elaborazione, attraverso processi di ponderazione e di scelta, i dati acquistano significato e valore, e cio' non soltanto in relazione al mio individuale Se', ma anche con riferimento alla contingente societa' in cui il caso ha voluto che io fossi collocato. Debbo riconoscere, leggendo i tuoi messaggi e le conversazioni dei tuoi amici, che le mie capacita' di analisi sono troppo limitate per comprendere la distinzione tra la conoscenza diretta del Se' e quella cui giungo con il mio intelletto. Fortunatamente la vita e' variata e ognuno ha il suo se'.
Se il pensiero fosse unitario in tutti gli uomini, la vita sarebbe estremamente monotona. L'importante e' l'essere disponibile a cercare di capire gli altri senza chiudersi nella nostra roccaforte.
Saluti
Massimo Sega
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Mia rispostina:
"Giusto, caro Massimo, l'intelletto è necessario, per un avvicinamento e per una "comprensione" iniziale.. che aiuti il cercatore ad indirizzarsi verso la "propria" fonte, ma in se stesso l'intelletto è incapace di fornire una risposta... La risposta può sorgere solo dall'intuizione diretta, priva di elucubrazioni. E' un fatto di riconoscimento non di apprendimento. Il Sé esiste di per se stesso e comunque non potrà mai divenine un "oggetto" della conoscenza,in quanto egli stesso è il soggetto conoscente.
Un caro e fraterno abbraccio"
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