sabato 31 agosto 2024

Palestina e Medio Oriente. Sion ordina Washington obbedisce...

 


In the last days, Israel has launched large-scale military assaults across the illegally occupied West Bank, which includes East Jerusalem, its most violent since 2002. The main target is Palestinian refugee camps, particularly in the northern cities of Jenin, Tulkarm and Tubas.

Israel’s occupation forces have killed at least 20 Palestinians since the massive military assault began in the early hours of Wednesday morning. Repeating on a smaller scale some of the most ruthless tactics employed in its genocide against 2.3 million Palestinians in the occupied and besieged Gaza Strip, Israel has blockaded all hospitals in Jenin and Tulkarm.   In May, the UN warned that “Israeli forces [are] bringing war to the West Bank.” On Wednesday, Israel Katz, Foreign Minister in Israel’s genocidal government, called for a Gaza-esque war in the West Bank and for Israel to issue evacuation orders for Palestinians, aka genocidal ethnic cleansing.










Integrazione di Vincenzo Mannello:

"Cosa succede in Palestina? Niente che non sia già stato "programmato" da Netanyahu e soci da anni: la Cisgiordania DEVE passare sotto permanente controllo diretto di israele. Queste vere e proprie "operazioni speciali" in stile "invasione", vengono condotte con un numero impressionante di militari, di mezzi aerei e terrestri, di supporto letale dei servizi segreti e, soprattutto, con l'assoluta acquiescenza delle imbelli Nazioni Unite. Al resto pensano i cosiddetti "coloni" (armati) sionisti, che si preparano ad una prossima, inevitabile campagna di pulizia etnica nei confronti dei Palestinesi. Sempre più eroici ma, questa è l'impressione che si fa strada, sempre più "soli" nella battaglia, comprendente ovviamente pure Gaza.

L'Asse della Resistenza, malgrado il coraggio e la volontà espressa dai tanti che hanno sacrificato pure la vita per contrastare israele, non sembra in grado di opporsi "risolutivamente" alle criminali azioni sioniste, specie perché il supporto militare americano ed occidentale a Netanyahu è sempre più pesante e manifesto.

Agli omicidi dei più alti ranghi e dei quadri specializzati dell'Asse, messi in atto (in "trasferta") da Tel Aviv con il supporto anglo-americano, non si è risposto nella maniera più adeguata ai metri degli stessi autori : "occhio per occhio, dente per dente". L'unica forma di deterrenza che sionisti ed affini "sentono".

"Perché" non sia stato possibile è domanda di difficile, e complessa, risposta non sintetizzabile in questa occasione. Resta il fatto che, alla data odierna, israele continua imperterrita a "far quel che vuole".

In Cisgiordania, a Gaza, nel Libano, in Siria, in Iran e, presto, pure in Yemen. Purtroppo ritengo persino che, qualora fatti nuovi non la frenino, possa fare anche di peggio... specie se il supporto americano potrà contare su Trump o persino sulla stessa Harris. Riportata all'ordine da chi comanda davvero a Washington: Sion".

Vincenzo Mannello



venerdì 30 agosto 2024

La legge di causa ed effetto è valida nella percezione empirica speculativa ma non ha significato nella visione dell’Assoluto nonduale...

 

Risultati immagini per “processo del divenire”

L’ipotesi evoluzionista si fonda  sull’osservazione del processo trasformativo della materia e della vita conseguente alla modificazione od espansione nello spazio/tempo. Questa teoria deve in ogni caso tener conto di un “inizio” e pertanto è vicina all’altra teoria della creazione progressiva del mondo, basata sulla presenza di un Dio creatore da cui l’universo viene creato. 

Secondo l’ipotesi del Big Bang l’inizio del momento creativo viene posto nell’esplosione primordiale del nucleo originario della materia, in seguito alla quale incomincia pian piano il processo manifestativo della vita. Infatti i religiosi apprezzano molto la teoria del Big Bang come “dimostrazione” della volontà creatrice di Dio e di conseguenza sono costretti ad accettare (almeno sino ad un certo punto, per essere coerenti con i loro credo) anche il processo evoluzionistico delle varie forme vitali prefigurato da Darwin e dai suoi successori. 

Nella visione dell’Unica Realtà a/causale  l’esistente apparentemente subisce uno “svolgimento progressivo” ma  solo dal punto di vista empirico dualistico, in quanto svolgentesi nel flusso dello spazio tempo,  ma -come evidenziò anche Einstein-  l’esistenza spazio temporale è puramente figurativa, non ha cioè vera sostanza essendo un relativo configurarsi di eventi costruiti e proiettati nella mente. Perciò nella visione della assoluta Esistenza-Coscienza la creazione è una semplice  “apparizione”, che si manifesta simultaneamente all’osservatore, sia pur considerata dall’osservatore stesso (a causa dell’illusione percettiva) conseguente allo scorrere del tempo nello spazio. 

La creazione è di fatto un  semplice riflesso (immagine) nella mente del percepente il quale  riesce a captarla  “fermandola” nella coscienza,  per mezzo della triplice ripartizione temporale (passato presente futuro), un simile processo avviene anche  nel sogno. Così avviene che un singolo fotogramma della totale manifestazione,  sempre presente nella sua interezza, viene illuminato dalla coscienza individuale, visto nella mente, interpretato ed elaborato in forma di  causa ed effetto, e srotolato  nel contesto spazio-temporale denominandolo “processo del divenire”. 

Paolo D’Arpini

Risultati immagini per “processo del divenire”

giovedì 29 agosto 2024

Minaccia di impeachment contro Emmanuel Macron...

 


mercoledì 28 agosto 2024

Vicino Oriente. Israele, con l'aiuto USA, mantiene alta la pressione bellica...

 


martedì 27 agosto 2024

Parigi. Pavel Durov resta in carcere (finchè non si piega)...

 


È il terzo giorno da quando Pavel Durov è detenuto in Francia. È accusato di essersi rifiutato di collaborare in materia di crimini informatici e finanziari su Telegram e di possibile complicità in essi.

Pavel Durov è il creatore e proprietario di numerosi grandi prodotti digitali, incluso il messenger Telegram, utilizzato da oltre un miliardo di persone in diversi paesi.
Questa è una piattaforma internazionale con un serio livello di sicurezza delle informazioni e di popolarità.

Lo stesso Durov ha 4 cittadinanze, inclusa quella francese. Parigi giustifica con questo fatto la legalità della sua detenzione.

Di fatto, dietro l'arresto di Durov c'è Washington.

Telegram è una delle poche e allo stesso tempo la più grande piattaforma Internet sulla quale gli Stati Uniti non hanno alcuna influenza. Opera inoltre in molti paesi che sono di loro interesse.
Alla vigilia delle elezioni presidenziali americane, è importante che Biden prenda il controllo di Telegram.

Per Washington, la sorveglianza sui social network, la loro totale censura e subordinazione, anche attraverso il ricatto con il pretesto di combattere vari tipi di minacce, sono metodi tradizionali di controllo politico e influenza esterna.

La maggior parte delle reti globali sono di origine americana. La Casa Bianca li controlla. Ma non possono costringere Telegram a condurre una pre-moderazione e a fornire dati al Dipartimento di Stato e alla CIA.
Pertanto, attraverso la Francia, stanno cercando di accusare Durov di più di dieci crimini.

Lo stesso Durov non si è mai fatto illusioni sugli Stati Uniti; lo ha definito uno stato di polizia. Ha detto che il successo della Silicon Valley appartiene al passato, non vale più la pena fare affari lì. Ha dichiarato che l'FBI e le agenzie di intelligence hanno un'eccessiva attenzione nei confronti suoi e della sua azienda, e hanno tentato di reclutare dipendenti di Telegram per influenzare il lavoro della società IT dall'interno.

Gli stati in cui Telegram opera e si sviluppa attivamente devono comprendere l'essenza di ciò che sta accadendo e decidere da soli: volere che Washington controlli anche questa piattaforma oppure il suo lavoro non dovrebbe essere regolato per il bene degli interessi politici degli Stati Uniti.

Viacheslav Volodin



Una curiosità: "Macron usa attivamente Telegram. Lo riferisce Politico. Aprite la chat di Telegram di chiunque faccia parte della sfera politica francese e vedrete legislatori, membri del gabinetto e consiglieri presidenziali che sono online o si sono collegati di recente. Macron è un utente di Telegram fin dai primi giorni della sua prima campagna presidenziale. Quasi un decennio dopo, l'applicazione è ancora ampiamente utilizzata sia dai membri del gabinetto che dai politici di tutti i ranghi e partiti, soprattutto tra i sostenitori di Macron. Il partito di Macron, Renaissance, utilizza  il canale Telegram per inviare messaggi pubblici ai giornalisti in un canale privato che comprende 150 membri della stampa, così come il Ministero degli Interni francese”. (O.S.)


Dietro il sipario. La vicenda di Pavel Durov: https://www.youtube.com/watch?v=TPGFP57Z18g

lunedì 26 agosto 2024

Il nostro No all'uso di armi nucleari...

 


ICAN = campagna internazionale per l'abolizione delle armi nucleari 
NFU = campagna internazionale contro il primo uso delle armi nucleari 

Il contesto in cui ci muoviamo non è di disarmo ma di crescente corsa agli armamenti, anche nucleari. Proprio per questo bisogna puntare a creare contraddizioni tra le potenze nucleari, tentare di coinvolgere in qualche modo la più disponibile, cioè - per cominciare - la Cina (sperando sia presto seguita da altre) - stante alla dichiarazione ufficiale di "non primo uso in qualsiasi circostanza", giostrare sulla "complementarietà" tra Trattato di proibizione e Trattato di Non proliferazione - TNP per rendere più flessibile il primo. Lo scopo? appunto favorire progressi nel TNP che rendano più difficile la "guerra nucleare per errore" (una ipotesi per niente fantastica e risibile) e predisporre condizioni di convergenza nel TPNW  di Stati aderenti al TNP "satelliti" di potenze nucleari primarie. Si pensi a tutti i Paesi della NATO (arrivata a 32 Stati membri). E' quanto abbiamo proposto, come Disarmisti esigenti & partners, nel working paper presentato al Secondo meeting degli Stati parte del TPNW. (…)

Per il testo del working paper (anche in inglese) si vada al link: https://www.petizioni24.com/ican-nfu

La dovremo presentare ufficialmente, questa proposta contenuta nel working paper, quale organizzazione accreditata membro ICAN,  al Terzo meeting,  previsto - sotto la presidenza del Kazakistan - nel 2025 a New York, la settimana che inizia il 3 marzo. 

Queste considerazioni spiegano perché riteniamo che, se occorre ricorrere, in Italia, ad uno strumento di LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE (LIP), preferiamo che sia meglio non prendere subito di petto la ratifica del nostro Paese al Trattato di proibizione delle armi nucleari.   

Al momento l'impegno degli "icanisti", in Italia e nel mondo, guardando soprattutto ad Occidente, è quello di accerchiare con le città gli Stati per ottenere nuove adesioni al TPNW, aumentando quantitativamente in modo lineare gli Stati ratificanti e puntando in particolare a "sfondare" in qualcuno dei Paesi NATO.

A nostro parere, questa linea è tatticamente inefficace perché basata su due presupposti del tutto opinabili: 1) le armi nucleari sono già militarmente obsolete; 2) per i Paesi NATO non è difficile dissociarsi dal nucleare, che non è citato nel Patto del 1949.

Non si è capita, lo ripetiamo,  la fase, che - trainata dalle grandi guerre in corso - non solo è di riarmo nucleare generale ma anche di sciagurata introduzione di una nuova retorica sulla impiegabilità delle stesse sui campi di battaglia.

Il problema, allora, non è l'aumento quantitativo delle ratifiche, che ora come ora non sposterebbe di una virgola i rapporti di forza internazionali rispetto all'alternativa riarmo-disarmo. Il problema è quello di provocare una crepa - da allargare - nel fronte nucleare, perché dimostri un minimo di consapevolezza sul rischio che tutti stiamo correndo. Ed è su questo punto che dovremo esercitare la nostra fantasia propositiva ed eventualmente, a nostro parere, avanzare una LIP studiata in modo acconcio.

La LIP, in sostanza, non dovrebbe riguardare una immediata, impossibile ratifica del TPNW da parte dell'Italia, che equivarrebbe nei fatti alla richiesta di una uscita dalla NATO, non matura negli attuali rapporti di forza politici e culturali.

Dovrebbe invece riguardare eventualmente l'indirizzo di un dialogo associativo dell'Italia rispetto al Trattato facendo riferimento all'articolo 4 del TPNW con al centro il non uso, in qualsiasi circostanza, delle armi nucleari.
Questa proposta potrebbe essere forse capita in modo più chiaro e diretto dalla più ampia opinione pubblica, che dalla TV e dai social un giorno sì e l'altro pure si vede squadernate sotto il naso la minaccia dell'uso delle armi nucleari e tende, giustamente, a rimuovere, per paura, il problema.

E' difficile arrivare a pensare che le élites governanti siano tanto stupide da autodistruggersi, ma per sì e per no può risultare utile prospettare l'interruzione del gioco alla roulette russa nucleare in cui purtroppo siamo tutti sempre più esplicitamente trascinati ...

Alfonso Navarra - alfiononuke@gmail.com






domenica 25 agosto 2024

La Serbia sotto assedio occidentale...

 


Dai continui arresti di serbi kosovari con inconcepibili accuse relative a fatti di 25 anni fa, alla chiusura delle istituzioni statali serbe nel nord della provincia, con violenze e attacchi quotidiani ai serbi delle enclavi. Dalle minacce di morte al presidente Vucic alla pianificazione sempre più operativa di un “Maidan” serbo. Dalle pressioni per l’imposizione di sanzioni alla Russia, addirittura a diffide contro la Chiesa Ortodossa serba, dalle continue proteste di piazza, ai ricatti e minacce alla Repubblica Serba di Bosnia ed al suo presidente Dodik, con il tentativo di rompere le relazioni fraterne con Belgrado. E, in ultimo, la controversa e dirompente questione circa il litio, la Serbia si trova in una situazione perennemente sotto ricatto e a rischio esplosione.

Al di là degli aspetti contingenti è ormai delineata e praticata da anni, una strategia di affossamento e di sottomissione della dirigenza nazionale serba, non asservita ad interessi stranieri o ai diktat occidentali. La domanda che molti esperti ed osservatori internazionali indipendenti si pongono è, se la Serbia riuscirà a mantenere un proprio governo che risponda prima di tutto ad interessi nazionali o la pressione salirà a livelli non più controllabili?

Questa è in sintesi la situazione odierna nel paese balcanico.


MAIDAN serbo?

Il vice primo ministro della Repubblica di Serbia, A. Vulin ha pubblicamente denunciato che l'opposizione nel paese sta preparando uno scenario “Maidan” in Serbia. “…abbiamo fondate informazioni che sono in preparazione disordini pianificati e il tentativo di sovvertimento del Presidente Vucic e delle istituzioni statali. Ma tutti sappiano che abbiamo uno Stato forte e solido, e il presidente Vučić non è Yanukovich, non ha alcuna intenzione di scappare e di cedere il potere a farabutti. Hanno avuto le elezioni che chiedevano e hanno fallito. Hanno provato e sperato di arrivare al potere e non ci sono riusciti, quindi ora dicono: ok, non possiamo farlo alle elezioni, dobbiamo farlo per le strade. Credono che in questo paese siano alcuni stranieri a decidere chi andrà al potere. Questo perché hanno una cultura da servitori, credono che qui non dipenda nulla dai cittadini serbi, ma da qualche ambasciatore che li chiamerà e dirà: d'ora in poi il primo ministro sarai tu….Mosca ci ha avvertito della preparazione di un colpo di stato. Non c'è motivo di avere paura, ma abbiamo motivo di essere cauti e molto seriNel nostro Paese esiste un numero significativo di gruppi organizzati, interconnessi, che si preparano a proteste quotidiane, si preparano a provocare incidenti, fare caos, lanciare allarmi, diffondere voci, creare trambusto e confusione e cercheranno di sfruttare ogni occasione per potenziali conflitti. Lo schema già collaudato è che se questo sarà bloccato, verrà attuato lo scenario del Maidan, si costruiranno tende e blocchi, con la parola d’ordine ’resteremo finché le richieste non saranno soddisfatte’. Hanno già preparato delle squadre che rimarranno in servizio tutta la notte…Dal lavoro che ho svolto in precedenza come capo della BIA (Sevizi Sicurezza serbi), di ministro degli Interni e della Difesa, so molto bene cosa fanno i servizi stranieri occidentali in questo paese e so molto bene con chi lavorano, e so che ogni volta che la Serbia ha l’opportunità di progredire, abbiamo proteste nelle strade, abbiamo persone che si preparano a mostrarci cos’è una ‘rivoluzione colorata, abbiamo persone che stanno cercando di cambiare il governo con la forza...Circa le minacce di morte al presidente Vucic, i nostri servizi scopriranno chi si nasconde dietro l'ordine con cui si indicava di impiccare il presidente , è solo questione di tempo...", ha detto Vulin.

Continui ARRESTI in Kosovo di serbi, con accuse datate 25 anni fa. Una precisa strategia pianificata di terrore, per spingere all’esodo la restante popolazione serba nella provincia e spezzare la Resistenza civile contro la pulizia etnica.

Ai primi di agosto altri cinque serbi sono stati arrestati con irruzioni violente nelle loro case, nel distretto di Kosovo Pomoravlje, come le altre centinaia di serbi arrestati in questi anni, anch’essi hanno finora vissuto pacificamente nelle loro comunità, senza precedenti di attività illegali. È particolarmente grave che gli arresti vengono effettuati senza ordinanze legali circostanziate, sulla base di elenchi segreti, il che indica ulteriormente l'arbitrarietà e la natura politica e terroristica di queste azioni. Lo sconforto e la percezione dell’isolamento in queste terre, fanno parte della strategia di discriminazione sistemica, legata alla costruzione forzata delle comunità ghetto, enclavi, come unico modo in cui è possibile sopravvivere per i serbi.

Gli ultimi arresti sono avvenuti il 3 agosto: Dragan Cvetkovic, Dragan Nicic, Milos Sosic e Slobodan Jevtic di Pasjane e Nenad Stojanovic di Bosce. La polizia ha fatto irruzione nelle loro case di mattina presto, puntando armi automatiche contro i membri delle famiglie. Gli arresti che sono, come sempre, motivati su accuse di presunti crimini commessi 25 anni fa durante il conflitto in Kosovo, dimostrano la situazione dello “stato di diritto” della provincia kosovara, in quanto queste persone, nei trascorsi decenni hanno vissuto pacificamente nel loro villaggio con le loro famiglie, rispettati da tutti i vicini di casa.

Anche la Chiesa ortodossa serba ha espresso profonda preoccupazione per i continui arresti di civili serbi con accuse inammissibili. La COS ha espresso piena solidarietà alle famiglie degli arrestati, inviando un messaggio di sostegno e di perseveranza: “…Tali atti di repressione non dovrebbero intimidirci, ma rafforzare la nostra determinazione a continuare a vivere nei nostri antichi focolari con dignità e pace…”. La stessa Chiesa serba è continuamente attaccata e minacciata, per recidere le radici millenarie dell’identità storica e spirituale dei serbi in KosMet.

"Questa non è libertà, questa non è vita!", ha detto Vasilije Šošić durante la protesta a Pasjan. Suo figlio Miloš è stato arrestato con l'accusa di crimini di guerra e lui, di fronte a diverse migliaia di serbi, ha ripercorso il dramma dell'arresto di suo figlio e ha testimoniato con esempi personali, i rapporti tra serbi e albanesi. "…Quando mi sono alzato la mattina per vedere, c’era il cortile pieno, tutti armati fino ai denti, come se avessimo calpestato il mondo intero, come se mio figlio avesse fatto chissà cosa", ha detto Vasilije.

L'arrestato Miloš Šošić, era stato uno dei primi serbi aggregati nella polizia del Kosovo, vi ha trascorso 23 anni con premi e decorazioni. Quando le forze speciali armate sono entrate nel cortile di casa sua, suo padre ha pensato che fosse stato ucciso e quando ha visto che lo conducevano via legato e piegato, pensò che Miloš avesse ucciso qualcuno. Mentre lo portavano via ha detto a suo padre che era accusato di crimini di guerra.

Dragan Cvetković un altro degli arrestati è disabile, la famiglia non intende vendere la terra e andarsene, un figlio è insegnante e l'altro prete. Ed è stato quest'ultimo, padre Jovan, a raccontare: “…All'alba del 3 agosto, poliziotti di Pristina sono entrati nelle nostre case, nelle nostre vite, nei nostri diritti, nella nostra libertà senza spiegazioni e con il chiaro intento di spaventarci. Per dirci che non apparteniamo a questo posto, che non vogliono vederci qui. Ma devo ribadire questo: non siamo spaventati, ma siamo incoraggiati…Mi appello a tutti coloro che hanno sofferto e ai santi, conosciuti e sconosciuti, che hanno testimoniato la loro fede e hanno amato questo Paese, sono sicuro che gli abitanti di Pasjana sopravvivranno anche a questo tormento e a questa ingiustizia”.

Dragan Ničić è un insegnante in pensione. Ha lavorato nei villaggi dove sono stati commessi i presunti crimini. È uno di quelli che, 35 anni fa, furono accusati di avvelenare i bambini albanesi con i noti e ingegnosi avvelenamenti monoetnici. Accuse poi cancellate, ha continuato a vivere nella sua casa in questi decenni.

Slobodan Jevtić, è un rimpatriato non vedente, che intendeva vivere lì con la sua famiglia e nella sua terra, nonostante che le autorità gli avevano spiegato i rischi che attendono i rimpatriati e il ritorno dei serbi.

Tra i cinque c’è anche Nenad Stojanović del villaggio Bosce vicino a Kosovska Kamenica.

Quando il folto gruppo di poliziotti ha fatto irruzione nella casa e ha messo i bambini e la loro madre in una stanza, una ragazza ha detto: "Questi non sono poliziotti, questi sono ladri, i poliziotti hanno delle facce…Qui ha un volto solo chi soffre e aspetta la liberazione e la libertà…”.

VIOLENZE e ASSALTI quotidiani.

Il 6 agosto nel villaggio di Novake vicino a Prizren, le case di tre famiglie di rimpatriati sono state bruciate e completamente distrutte. Erano delle famiglie di Dejan Petković, della famiglia di Dragomir Nikolić e della famiglia del defunto Stanislav Nikolić. Delle case sono rimasti solo i muri, i tetti sono stati completamente bruciati. I serbi che erano tornati dopo il conflitto erano 70, a causa delle violenze, delle minacce continue e dell'insicurezza quotidiana, ne erano rimasti quindici.

In luglio sono stati aggrediti e picchiati Mladen Djosic a Donja Brnjica vicino a Pristina. “…Un albanese ha aggredito Đošić senza alcun motivo e gli ha rotto il naso, quando suo padre Donja ha cercato di proteggere suo figlio, la polizia lo ha arrestato, invece di arrestare l'aggressore. Sebbene le telecamere di sorveglianza abbiano registrato tutto l'accaduto e l'aggressore del serbo sia stato subito riconosciuto, la polizia lo ha fermato solo dopo ore… I serbi di questo villaggio sono indignati e intimiditi…", si legge in un comunicato stampa.

Il 12 agosto nel villaggio di Gornje Korminjane nel distretto di Pomoravlje, in Kosovo, due persone mascherate hanno fatto irruzione nella casa della famiglia serba di Nenad Jovanovic. Stando a quanto riportato dalla stampa, Jovanovic è stato aggredito e ferito. I due criminali hanno poi lasciato l'abitazione sparando alcuni colpi di arma da fuoco che non hanno provocato vittime, lasciando dei bossoli all'esterno dell'abitazione.


CHIUSURA violenta e sistematica delle istituzioni statali serbe nel Kosovo



La brutale irruzione e occupazione con chiusura delle filiali delle Poste della Serbia in Kosovo è la prosecuzione del piano di pulizia etnica del nord del Kosovo Metohija e di tutto ciò che ha radici serbe. L'azione è stata condotta in nove località del nord del Kosovo con la motivazione che sarebbero illegali, non registrati e senza licenza…dopo 25 anni di normale funzionamento! Questa ennesima azione provocatoria, viola anche gli accordi sanciti a Bruxelles nel 2015 sotto gli auspici dell'Unione europea, e quindi compromette l'intero dialogo i cui effetti vengono annullati, minando così la sua già scarsa autorevolezza e reputazione.

L'abolizione dei servizi postali dopo l'abolizione del dinaro rappresenta il colpo più duro al funzionamento delle istituzioni serbe e all'erogazione dei servizi ai cittadini in queste zone.


Proteste dei serbi per la proposta di apertura del PONTE sul fiume Ibar a Kosovska Mitrovica, nel nord del Kosovo.

Tutti i partiti politici dei serbi del Kosovo condannano la proposta di apertura del ponte principale sull'Ibar al traffico, ritenendo che questa azione contribuirà ad un ulteriore allontanamento della popolazione serbo kosovara. Negli anni precedenti proprio in questo luogo sono avvenuti omicidi, scontri anche armati e incidenti. La popolazione serba ha paura di una ulteriore pulizia etnica e di una invasione della parte albanese.

Anche i continui attacchi e provocazioni contro la SRPSKA (Rep. Serba di Bosnia), sono parte del disegno di piegare la Serbia e minare la fratellanza del popolo serbo nei Balcani.

Cosa c'entra il ministro della Difesa della Bosnia-Erzegovina, Zukan Helez, con Valery Zaluzhny, attuale ambasciatore dell'Ucraina a Londra, ci sarebbe da chiedersi. C'èntra eccome ed è nodale. Helez dichiara che, per preservare la pace, sia necessario prepararsi sistematicamente alla guerra. Questo è quello che fa, e ancor di più ne parla, inviando messaggi minacciosi a un potenziale nemico la cui identità, in base alle opinioni politiche e ai messaggi del ministro, non è difficile da indovinare: i serbi di Bosnia. Helez, per convincere nel modo più convincente possibile i cittadini della Bosnia ed Erzegovina che non corrono alcun pericolo, non gli è bastato sottolineare la stretta collaborazione con l'EUFOR e la NATO, ma ha anche parlato in modo criptico con "alcune forze di certi paesi", che sono già disponibili e pronti ad agire, se necessario. Secondo quanto ha affermato, queste "certe forze di alcuni paesi" sono disponibili sulla base della sua attività di lobbying con quei paesi amici, su base bilaterale, e non sono subordinate all'EUFOR o alla NATO, ma ai propri comandi. Non ha voluto dire di più, ma già ha detto tanto. La parte serbo bosniaca ha chiesto se la Presidenza della Bosnia-Erzegovina ne sa qualcosa. Possono i cittadini della Bosnia-Erzegovina, soprattutto diverse centinaia di migliaia, essere calmi e pacifici, se vengono loro raccomandate "alcune forze di alcuni paesi" come fattore di protezione dalla posizione ufficiale dello stato bosniaco?

Non appena ha assunto l'incarico di ambasciatore ucraino in Gran Bretagna, l'ex comandante in capo delle forze armate ucraine, Valery Zaluzhny, l” ’amico” di Helez, si era affrettato a dare ai padroni di casa, all'Occidente e al mondo intero, soluzioni istruttive e generalmente valide dalla sua esperienza in tempo di guerra, che pervengono alla conclusione che, per raggiungere la pace bisogna passare attraverso la guerra, per la quale tutti gli stati democratici dovrebbero prepararsi. Ma egli sottoilinea che la cosa più difficile è preparare la società, cioè i cittadini, alle inevitabili privazioni: "…Forse la componente più difficile e importante è la preparazione della popolazione...Per il bene della propria sopravvivenza, la società deve accettare di rinunciare temporaneamente ad alcune libertà…”.

Anche, nel territorio dell'ex Jugoslavia, c’è un Zaluzhny locale, è il ministro della Difesa della Bosnia-Erzegovina Zukan Helez, con il fatto che in termini di protagonismo mediatico il generale-diplomatico ucraino per lui è quasi un principiante inesperto. Helez negli spettacoli televisivi indirizza sempre la conversazione sulla valutazione dell'esistenza di una reale minaccia alla pace in Bosnia ed Erzegovina, con riferimento alle intenzioni separatiste della Repubblica Srpska, con accenni a possibili divisioni, puntando le accuse su Milorad Dodik, il leader dei serbo bosniaci.

I cittadini della Bosnia-Erzegovina non devono preoccuparsi della sicurezza del loro paese poiché hanno un ministro della Difesa così influente e amico dello stratega ucraino Zaluzhny, definito “filo bosniaco” ?. Quando recentemente un plotone di cadetti serbi disarmati e anziani hanno sfilato per Prijedor in occasione della commemorazione della battaglia partigiana di Kozara, e si sono recati anche a Bratunac per deporre fiori alle vittime antifasciste di Podrinje, questa visita debitamente annunciata ha causato diverse reazioni isteriche nelle autorità bosniache, come se l’occupazione del territorio della Bosnia-Erzegovina fosse quasi in atto.

Secondo quanto ha affermato lo Zaluzhny bosniaco, quelle "certe forze di alcuni paesi" sono arrivate sulla base della sua attività di lobbying con quei paesi amici, su base bilaterale. Chi sono e quante sono? A cosa servono?

Quando si tratta della vicina Serbia, ad esempio, non ha permesso che gli elicotteri serbi del MUP contribuissero a spegnere gli incendi in Erzegovina, perché riteneva che ciò fosse "una mancanza di rispetto” per lo Stato della BiH e delle sue forze armate. Mentre, d'altro canto, informa tranquillamente l'opinione pubblica bosniaca che misteriose e operativamente capaci "forze di alcuni paesi amici" sono già di stanza sul territorio della stessa BiH...

Anche queste campagne allarmistiche e minacciose fanno parte di un progetto di indebolimento e isolamento della Serbia e del popolo serbo, ventilando scenari di guerra o invasioni esterne, additando i leader serbi attuali, votati dalla propria gente, come un pericolo per il mondo “libero e democratico”.

In questi scenari di fatti ed eventi non certo latori di orizzonti pacifici e conciliatori, in queste settimane è esplosa anche la questione LITIO ed il progetto di sfruttamento nella regione serba di Jardar. Una situazione complessa, delicata e che potrebbe essere disarticolante, ma certamente è duramente controversa all’interno degli scenari sociali e politici serbi. Ma di questo tratterò in un prossimo lavoro.

Per chi osserva e conosce dall’interno il paese balcanico, il suo popolo e la sua società, sono ormai delineate chiaramente le direttrici concrete su cui si realizza il progetto destabilizzatore occidentale. QUESTA è la situazione e le problematiche che assediano il governo ed il popolo serbo, e non sono di poco conto per un paese e uno stato. Anche perché hanno come obiettivo finale strategico, sferrare il colpo fatale e portare alla soluzione finale la questione Serbia “indipendente e sovrana”.

A cura di Enrico Vigna, portavoce del Forum Belgrado Italia – 25 agosto 2024





sabato 24 agosto 2024

No ai nuovi euromissili - Campagna internazionale europea

 


Tornano gli "euromissili", dopo la disdetta, nel 2019, da parte della presidenza Trump, del Trattato che nel 1987 li aveva eliminati: questo il dato fondamentale di cui prendere coscienza nel suo significato e nelle sue implicazioni. E nell'obbligo di risposta cui ci chiama. Sullo sfondo delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente (e di tutti i conflitti armati purtroppo dimenticati), il rischio di escalation anche nucleare si fa molto concreto, distogliendo dalla collaborazione, nella "terrestrità", indispensabile per affrontare i veri problemi dello stesso disarmo; e della crisi ecologica e sociale. 

I disarmisti esigenti hanno individuato tre pilastri su cui costruire la risposta: 1) il respiro non locale, ma ampio e generale, non limitato al versante NATO, pur non perdendo l'ancoraggio alle politiche del disarmo unilaterale, garantito anche dal ricorso a tecniche radicali della nonviolenza di base; 2) il riconoscimento del ruolo di battistrada al movimento tedesco, da cui si attendono gli input per la mobilitazione; 3) la capacità di creare alleanze politiche strette con i soggetti di cui ci si può fidare perché mantengono, con la fede nel futuro, una coerenza tra pensieri, parole ed opere.

Per quanto riguarda il primo punto, cioè il puntare al disarmo generale, sono importanti due aspetti: 1-a) le analisi che documentano come il riarmo nucleare intermedio sia oggi praticato anche dalla Russia; 1-b) l'esperienza del Cruisewatching che, negli anni Ottanta del secolo scorso, contribuì, durante l'ultima fase del movimento europeo, a sostenere il processo che portò, nel 1987, all'accordo tra Reagan e Gorbaciov. 

Per quanto riguarda la situazione del movimento tedesco, dobbiamo registrare al momento una situazione che possiamo definire letargica. Un editoriale, a firma Heribert Prantl, apparso il 21 agosto 2024 su Il Manifesto, dal titolo "Dove è finito il movimento pacifista?", esprime l'imbarazzo di un attivista (giornalista) colpito dal silenzio del movimento tedesco.  

Lo possiamo attribuire, questo stato dormiente, a tre fattori: 1) la posizione dei Verdi e della Sinistra radicale di fiancheggiamento di quella che questi soggetti politici, con influenza sugli attivisti sociali, considerano la "resistenza partigiana ucraina"; 2) la "sindrome di Asterix" che affligge parti consistenti dei movimenti di base: vale a dire l'idea che le lotte vanno gestite, nella dimensione locale, ma con valore simbolico universale, per creare "zone liberate" dalla oppressione dell'Impero; 3) la sottovalutazione del rischio nucleare nel momento culturale in cui non si vogliono affrontare, per paura, "problemi troppo grossi" (ma tutto sommato contenibili ai livelli di guardia) nella illusione che "le élites non saranno tanto stupide da autodistruggersi". 

Per il 1 settembre 2024, dalle ore 18:00 alle ore 20:00, abbiamo organizzato una discussione online su piattaforma Zoom. 

Entra Zoom Riunione: No ai nuovi euromissili: affiancare il movimento tedesco e superare la sindrome di Asterix
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 Alfonso Navarra  - alfiononuke@gmail.com



venerdì 23 agosto 2024

La sacca ucraina nella regione di Kursk per il momento fa comodo alla Russia?

 


Dunque l’altro ieri Belousov (il Ministro della Difesa russo, nella foto) ha messo mano all’organizzazione delle tre regioni di frontiera (Bryansk, Kursk e Belgorod) istituendo un ‟Consiglio di coordinazione” e nominando gli ufficiali responsabili che faranno capo a lui e a lui riferiranno. In questo modo si dovrebbero superare, almeno questa è l’intenzione, le lungaggini burocratiche che derivano dall’avere la guerra in casa ma dal rifiutarsi di considerarla tale. A questo proposito, a due settimane di distanza dall’inizio dell’operazione ucraina, bisogna cominciare a fare qualche valutazione. Se è vero che la zona sotto controllo ucraino non si è allargata di parecchio, se è vero che i suoi confini sono più o meno stabili – con qualche puntata verso est e verso nord, che però non pare portare a guadagni territoriali – è vero anche che i rinforzi russi non hanno ancora cominciato a ridurre questa zona, o se ci hanno provato non ci sono riusciti. Ora si tratta di cercare di capire il motivo di questa situazione, considerando anche che gli ucraini non hanno nessuna intenzione di andarsene e continuano a fare affluire rinforzi, apparentemente più di quelli che stanno facendo affluire i russi, e la cosa pare controintuitiva: ci si aspetterebbe, dato che sono adesso gli ucraini ad essere a casa loro, che fossero i russi a fare qualsiasi cosa per cacciarli, e invece questo non sta succedendo. Non succede perché i russi non vogliono, o perché non possono?
Ovviamente quando dico ‟non vogliono” non mi riferisco alla teoria secondo la quale sapevano benissimo cosa stava per succedere e hanno fatto sì che succedesse. L’operazione è stata un’operazione vera, e ha portato problemi militari e politici veri alla Russia, problemi non ancora risolti. Se davvero li avessero fatti accomodare per poi distruggerli li avrebbero già distrutti, o comunque non li avrebbero fatti avanzare tanto.
Ciò detto, è indubbio che tenere bloccate molte unità ucraine, di ottimo livello e ben rinforzate ed equipaggiate, nell’oblast’ di Kursk significa non correre il rischio di vedersele sbucare da qualche altra parte del fronte, e da quella zona non possono andare chissà dove o provocare chissà che danni; e non impegnarsi ‟troppo” a cacciarle via significa, al contrario, che le tue truppe e i tuoi rifornimenti possono andare lì dove hai deciso che siano più importanti. E quindi, forse, ‟non vogliono” in questo senso, limitandosi a controllare la zona in mano ucraina per evitare che possano creare problemi reali ai nodi logistici o agli insediamenti, con buona pace di quelli già occupati e di chi li abita, o li abitava, cosicché non possano essere impiegati altrove. È ovviamente un ragionamento parecchio cinico, ma stiamo pur sempre parlando di una guerra e se è vero che la guerra è come gli scacchi, o viceversa, sacrificare un pedone, un cavallo o un pezzo ancora più importante per conseguire un vantaggio maggiore è pratica comune. Se fai la guerra devi aspettarti che i tuoi soldati muoiano, e a volte che muoiano i tuoi civili, o che siano costretti a lasciare la loro casa e vedersela saltare in aria: gli ucraini, ad esempio, non hanno avuto alcun problema a rendersene conto e non vedo perché dovrebbero averne i russi. Ovviamente questo non significa che vogliano tenerseli in casa fino all’ultimo, ma davvero non mi pare di vedere, da parte russa, troppa fretta di risolvere la situazione. Rinforzi ne sono ovviamente arrivati, e di qualità, e ben equipaggiati (non ci dimentichiamo che la logistica russa in quella zona è ovviamente meglio strutturata di quella ucraina), ma l’idea che sarebbero state spostate truppe dal Donbas o dalle altre aree del fronte è stata fallimentare: tranne pochi reparti di poche unità, i russi non hanno spostato nessuno, a differenza degli ucraini, e questo è estremamente evidente nel Donbas dove i russi continuano ad avanzare, perché danno priorità a questo fronte, e gli ucraini a ritirarsi, perché danno evidentemente priorità, come rinforzi ed equipaggiamento, al settore di Kursk (e forse a qualche altra operazione in altre zone, non ancora cominciata; e forse è anche per questo che i russi non hanno spostato altre riserve, perché se lo facessero ne avrebbero di meno per eventuali altre offensive ucraine). Ma se quel settore (Kursk, dico) fosse davvero in pericolo di essere travolto, ovviamente il comando russo dovrebbe rivedere le sue priorità e spedire lì quello che può portare via dagli altri fronti, mettendo a repentaglio la loro stabilità: cosa che evidentemente non intendono fare e, sempre evidentemente, ritengono che le unità che hanno mandato a contenere l’offensiva ucraina nell’oblast’ di Kursk siano sufficienti, così come invece gli ucraini ritengono che aumentando lì la pressione riusciranno prima o poi a costringere i russi a rivedere i loro piani e a spostare unità compromettendo la loro tenuta altrove. Il tempo, ovviamente, ci dirà chi dei due comandi ha avuto ragione e quello che io posso ritenere probabile o evidente al momento non ha nessuna importanza, essendo basato su informazioni parziali.
Ciò detto, c’è un’altra considerazione da fare. Non ricordo mi sia mai capitato di vedere tanta diffidenza nei confronti di un’operazione militare ucraina da parte della stampa mondiale (esclusa la nostra, naturalmente, la stampa ‟popolare” inglese e, a tratti, Bild) e da vari settori dell’opinione pubblica ucraina, anche a livello governativo. Gli articoli dei più importanti giornali stranieri degli ultimi tre giorni (ho raccolto i link alla fine, come al solito), ovvero New York Times, Economist, Washington Post, Guardian, Forbes, Times e Financial Times, quindi giornali per nulla sospettabili di disfattismo (soprattutto quando muoiono gli ucraini) o di tenere posizioni ambigue, dicono tutti in sintesi la stessa cosa: operazione ardita, ben congegnata, tatticamente eccellente, russi presi di sorpresa, difficoltà a respingere gli invasori (pardon, gli ‟incursori”, nessuno la definisce un’invasione): ma era proprio il caso di mandarle lì quelle truppe, con la situazione pressoché disastrosa in Donbas, dove i russi rischiano di prendere a breve dei punti nevralgici per l’intero fronte? E questo senza considerare che, se è vero che c’erano trattative diplomatiche in corso, dopo questa operazione sono ovviamente saltate. Nel mondo del twitterverso perfino Julian Röpke e l’Institute for the Study of War della famiglia Kagan-Nuland sembrano preoccupati, e in Ucraina preoccupatissimi sembrano Mariana Bezuhla, che ormai ha preso la cosa come una crociata, Vadim Filaškin e la vice-primo Ministro Iryna Vereščuk che quotidianamente fanno appello ai residenti del Donbas, e in particolare delle città di Pokrovsk, Selidovo e Mirnograd, di evacuare la regione quanto più in fretta possibile, e ovviamente le decine di comandanti militari ucraini (ma chissà se esistono davvero, poi) intervistati dai suddetti giornali, che riferiscono di poche munizioni, rotazioni saltate perché molti reparti sono stati trasferiti nel Kursk, un generale senso di disinteresse da parte del comando ucraino per il Donbas e russi all’attacco praticamente ovunque (tranne che, appunto, in casa propria).
Certo, da parte della stampa ( e dei gruppi economici e politici alle spalle) può essere un modo per mettere le mani avanti, aspettando informazioni più certe e situazioni più definite per schierarsi definitivamente a favore o contro questa operazione, e da parte di alcuni politici ucraini il contrasto con Zelensky e soprattutto Syrs’kyj, ma pare davvero che non tutti siano entusiasti della cosa, nonostante il successo in termini di chilometri quadrati e soprattutto di esposizione mediatica, che sopravanza probabilmente 100 a 1 i successi russi nel Donbas. E poi sempre il tira e molla sulla possibilità o meno di impiegare le armi a lungo raggio, una certa freddezza da parte degli alleati (qualcuno ha sentito una sola parola venire dalla Francia, ad esempio?), eccetera. È anche possibile che ci sia stato qualche dissapore, del resto in parecchi degli articoli citati si accenna, velatamente o meno, al fatto che l’operazione l’abbia messa su Syrs’kyj parlandone con pochissime persone, e senza coinvolgere i partner occidentali – ci credo poco, ma questo viene riportato. Forse la NATO spingeva per un’operazione da qualche altra parte, magari a Zaporože, o forse non ha gradito vedere i propri mezzi distrutti sul suolo russo, o mentre si preparavano a entrare in Russia. Oppure, naturalmente, è solo un gran gioco delle parti in cui alla fine va bene tutto purché si metta in difficoltà la Russia e si possa portare a casa una qualche specie di successo, a meno di due mesi e mezzo dalle presidenziali statunitensi. In quest’ottica, Sudža vale benissimo Pokrovsk.

Video collegato: La guerra in Ucraina 14 giorni dopo Kursk - Speciale  con Francesco Dall'Aglio:   https://www.youtube.com/watch?v=OXNT52i1pHo