lunedì 31 marzo 2014

Mazzini e Marx ed il pensiero ottocentesco rivisitato



La visione di Mazzini era quella di togliere alla classe dirigente nobile di allora, legata al Re e al Papa, per sostituirla con una più "virtuosa" tra virgolette.  Egli, quale allievo di Albert Pike, ben sapeva che quella che si sarebbe insediata era corrompibile da chi aveva i denari (dicasi banchieri) inoltre non avendo terre di proprietà da difendere, badavano prima di tutto a se stessi anziché difendere i cittadini. 

Per cui questi sostituti pro tempore arrivati dopo il '45  sono stati collocati dentro a questo sistema vulnerabile di nome repubblica, che come si vedrà è passato poco alla volta da cattocomunista, a liberale e poi ancora a ultra liberale. Per cui ora nel nome di un Moloch chiamato Europa, che nel frattempo è stato creato apposta (sorpresina?) ora è possibile svendere ciò che prima era diventato pubblico. Precisamente i beni che rendono saranno svenduti ai privati, o a dei prestanome che, guarda caso, sono gli eredi degli stessi banchieri nonché massoni che hanno finanziato l'idealista del risorgimento. 

Ora capite perché Mazzini non ha mai criticato la Corona Inglese che calorosamente in Inghilterra lo ospitava. E i reali  britannici ci sono tuttora, legati da un patto indissolubile con i cabalisti, e tutti con l'obbiettivo del nuovo ordine mondiale. 

Vatti a fidare dei rivoluzionari.... 
(G.Q.) 

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Parere integrativo: 

IL PENSIERO MAZZINIANO CHE NOI PRENDIAMO COME ESEMPIO DI ANALISI SOCIALE E PROPOSTA POLITICA PRESCINDE OGGI DA SITUAZIONI CONTINGENTI DEGLI ANNI 50-60 DELL'OTTOCENTO. 


NOI SIAMO ANCHE PROPENSI A RIVALUTARE MARX IN FUNZIONE DELLA ESATTEZZA DI TANTE SUE ANALISI. L'EVOLUZIONE SOCIALE DEL LIBERISMO (che non era certamente l'ideologia politica di Mazzini) CHE CI HA TROVATO SEMPRE CONTRARI, ANZI, NEMICI, CI IMPONE DI ESAMINARE E RIVALUTARE TUTTE LE ESPRESSIONI DEL PENSIERO POLITICO OTTOCENTESCO. Infatti, in tale periodo, sono stati elaborati tutti i sistemi che oggi NOI dobbiamo ASSEMBLARE nelle loro parti migliori PER CONTRASTARE LA DERIVA LIBERISTA NELLA SUA ULTIMA E DELETERIA MANIFESTAZIONE. GV

domenica 30 marzo 2014

Siria - La guerra esce dalla porta (per l'intervento della Russia) ed entra dalla finestra (per i sotterfugi di USA/sion/saudi)


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Recentemente la questione siriana è divampata ancora una volta. Accese discussioni nei circoli politici statunitensi e discorsi emotivi dei partecipanti alla conferenza della Lega Araba in Quwayt, il 25-26 marzo, non riguardano piani per la risoluzione pacifica del conflitto siriano, ma come  conquistare Damasco e rovesciare il Presidente al-Assad nel modo più efficace. La situazione in Siria, per l'opposizione militante, le bande jihadiste internazionali e i mandanti stranieri della “razza di vipere” è in un vicolo cieco. Bashar al-Assad e la sua squadra hanno elaborato una tattica efficace per resistere ai ribelli e all'intervento dei jihadisti, che consiste nel scacciare opposizione e jihadisti dalle aree strategicamente importanti e nell'attaccarne i centri logistici. In sostanza, questa è la tattica della fase finale della campagna afgana dell'URSS, quando la cosa importante non era prendere il controllo di ogni centimetro di terreno, ma ridurre le possibilità dell'avversario ad un'“accettabile minaccia terroristica”. 
Damasco vince in ragione delle capacità di combattimento superiori delle forze governative, dei distaccamenti di Hezbollah e delle brigate di volontari sciiti, del supporto delle truppe dell'artiglieria pesante e del dominio dell'aria. Le grandi vittorie dell'esercito siriano quando ha preso Yabrud e ripreso il controllo della gola del Qalamun non significano la fine della guerra o anche una svolta strategica, ma rendono difficile alle forze antigovernative prima di tutto di raggiungere i porti libanesi, e in secondo luogo, di accedere all'enclave sunnita di Arsal nella valle della Beqa in Libano, che i ribelli hanno trasformato nella loro base di appoggio. Gli sciiti libanesi e le forze governative hanno ora la meravigliosa opportunità di cancellare Arsal che, attraverso gli sforzi dei jihadisti, è diventata non solo la loro base logistica ma un centro per la produzione di droga e il contrabbando di armi e persone.

I successi militari di Damasco hanno infatti messo in un vicolo cieco i suoi avversari; il principe ereditario dell'Arabia Saudita, shaiq Salman bin Abdulaziz ne ha parlato emotivamente al vertice in Quwayt, con passione ha accusato il mondo intero di "tradire l'opposizione” e trasformarla in “facile preda del dittatore sanguinario”. Washington e Riyadh vedono che il cambio dell'equilibrio militare a favore dei ribelli è in un vicolo cieco. L'essenza del discorso del principe ereditario era un appello ad inviargli armi pesanti, al fine di eliminare il dominio aereo delle forze governative e la superiorità delle potenza di fuoco dell'esercito. La mappa politica del Medio Oriente cambia rapidamente e la questione dell'egemonia saudita nella regione non è più solo soddisfare le ambizioni della dinastia, ma una questione di sopravvivenza. Dopo aver convinto i suoi partner, e non tutti, a “punire” il Qatar e, quindi, dopo aver stabilito la sua leadership nel Consiglio di cooperazione degli Stati arabi del Golfo (CCG), Riyadh ha bisogno di un successo rapido e serio in politica estera. La cattura di Damasco è il premio più prezioso per Riyadh, rafforzerebbe la posizione dei sauditi nel mondo arabo permettendogli d'iniziare gli altri loro progetti: creare una federazione giordano-palestinese e formare una lega antisciita dalla Penisola araba al Pakistan. Questa è la ragione della rigidità dei sauditi nel loro dialogo con Obama. Le offerte di Washington a Riyadh, sistemi di difesa missilistica contro l'Iran, un programma di riarmo, supervisione degli affari in Palestina e Paesi del Magreb, nonostante la loro attrattiva finanziaria e i dividendi politici, non sono particolarmente compatibili per la dinastia reale, in quanto sono di natura difensiva e non rispondono alla questione principale dei sauditi: “Come possiamo fermare l'avanzata dell'influenza iraniana e del 'Risveglio' sciita?”
L'aggressività dei sauditi, che per la sopravvivenza della dinastia hanno bisogno di una “piccola, guerra vittoriosa”, mette Obama in una posizione molto interessante. Da un lato, quasi il 46 per cento dell'arsenale chimico della Siria è stato distrutto, il che rende lo “scenario Iraq” impossibile  riguardo Damasco. L'opinione pubblica negli Stati Uniti è fortemente contraria a un intervento diretto in Siria, ciò è importante proprio prima delle elezioni congressuali di novembre, e la corsa presidenziale non è lontana. D'altra parte, gli Stati Uniti hanno investito circa 2 miliardi di dollari nel rovesciamento di al-Assad. I neocon statunitensi, che hanno criticato duramente Obama per la sua indecisione sulla questione siriana, hanno perso ogni ritegno dopo la Crimea. Il ricatto e la minaccia di sanzioni contro la Russia non hanno funzionato. Ora gli statunitensi vedono la Siria come “vendetta per la Crimea” e la caduta di Damasco un'opportunità per privare Mosca di ogni posizione in Medio Oriente. La lobby saudita, dietro cui spiccano gli interessi del settore industriale militare e le multinazionali, ricatta la Casa Bianca con la minaccia di un raffreddamento serio dei rapporti tra Washington e il regno saudita. E mentre Obama in qualche modo resiste a tale ricatto, per John Kerry e le sue ambizioni presidenziali tali minacce creano numerosi problemi in futuro.
Gli Stati Uniti sono stati trascinati in Siria molto più di quanto la Casa Bianca volesse. Oltre a due miliardi spesi per esportare la democrazia in Siria, ci sono altri quattro fronti della guerra non dichiarata contro Damasco, che Washington conduce sotto la copertura della retorica pacifica.

Il primo è la fornitura di armi alle forze antigovernative, con la consapevolezza del Congresso degli Stati Uniti. Il secondo è il finanziamento (il volume totale dei pagamenti da gennaio è stato di circa 3 milioni di dollari) e l'addestramento intensivo dei ribelli. Dalla fine del 2012, agenti della CIA e istruttori delle forze speciali statunitensi guidano i campi di addestramento dei ribelli nei territori di  Giordania e Turchia. L'addestramento prevede la gestione di armi pesanti, in particolare di sistemi anticarro e MANPAD. Questi campi di addestramento promuovono diverse centinaia di ribelli al mese, alcuni dei quali poi diventano istruttori dei combattenti sul territorio della Siria. Il terzo è l'invio di “aiuti non letali”, il cui volume è in crescita (attualmente quasi 80 milioni di dollari al mese) e cambia qualitativamente. Mentre all'inizio del 2013 gli “aiuti non letali” comprendevano per lo più farmaci e razioni alimentari, oggi si compone principalmente di apparecchiature per le comunicazioni, dispositivi per la visione notturna, attrezzature e veicoli. Il quarto è lo strumento preferito di Washington per esportare la democrazia: le sanzioni. A partire da ora gli Stati Uniti e i loro partner della coalizione anti-siriana hanno congelato tutti i beni esteri di Damasco, ed eventuali investimenti, forniture di qualsiasi materiale e qualsiasi transazione dei prodotti petroliferi siriani sono vietati. Si deve aggiungere che tali sanzioni non si applicano ai territori sequestrati dai ribelli.

Washington è a un passo dalla decisione principale, fornire ai ribelli armi pesanti e MANPAD, così come la creazione di una no-fly zone lungo il confine turco o giordano, che diverrebbe il punto di partenza per un nuovo attacco a Damasco. La riunione dei rappresentanti dell'opposizione siriana che ha avuto luogo il 6 marzo presso l'Istanbul Wyndham Hotel è finita in una reciproca recriminazione dopo 30 minuti, durante cui Ahmad Jarba, che era stato incensato in modo eloquente al vertice della Lega Araba in Quwayt, è stato trascinato nella “discussione”; ciò tuttavia è il costo del processo di unificazione, per così dire. Secondo fonti d'intelligence occidentali, oggi circa il 70% dei gruppi dell'opposizione militante s'è “unito per contrastare congiuntamente sia il regime di al-Assad che gli islamisti”.
Igor Pankratenko

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Traduzione di Alessandro Lattanzio - SitoAurora

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Scoop. Siria – Scrive Olivier Turquet: “http://www.pressenza.com/it/2014/03/motivo-per-dichiarare-guerra-si-trova/ - L'articolo contiene la trascrizione integrale tradotta in italiano dell'intercettazione del ministro degli esteri con alti funzionari del governo per scatenare una guerra con la Siria”

sabato 29 marzo 2014

Le Regioni che pesano... sono il vero problema, non le Province....




Macché Province Il vero carrozzone sono le Regioni


Il nostro Paese tiene in piedi 20 apparati colossali e iperburocratizzati, trasformatisi negli anni in associazioni per delinquere, fonti di corruzione, mangiatoie incontrollate

La storia delle Province da eliminare è lunga. Dura dagli anni Sessanta, quando l'ipotesi di istituire le Regioni prese corpo come previsto dalla Costituzione (la più bella del mondo? Ridicolo).

Quasi tutti i partiti dell'epoca erano convinti: dentro le Regioni, fuori le Province, che avrebbero dovuto gradualmente cedere ogni attribuzione ai nuovi enti. Più che un convincimento generale, era un assioma.

La riorganizzazione cominciò con un trasferimento in massa (inizio anni Settanta) di personale dalle periferie provinciali ai centri regionali, che erano privi di dipendenti e non avrebbero potuto fare nulla (non fanno nulla neanche ora).

La Democrazia cristiana, che in materia di gestione del potere era imbattibile, propose: mentre attendiamo che le Regioni vadano a regime, concludano cioè la fase di rodaggio, allo scopo di non arrecare disagi ai cittadini evitiamo di chiudere le Amministrazioni provinciali. Lo faremo tra alcuni mesi. Le forze politiche all'unisono annuirono.

Cosicché enti vecchi ed enti nuovi convissero e seguitano a convivere, perché quel rodaggio, provvisorio per definizione, non è mai terminato. In Italia, d'altronde, l'unica cosa stabile è la precarietà. Ciò detto, va da sé che se le Regioni fossero state capaci di assorbire le competenze degli enti territoriali destinati a morire, oggi, anzi ieri, sarebbe stata automatica la soppressione delle Province.

Le quali invece non hanno mai smesso di lavorare, e di rendersi utili, mentre le sorelle maggiori non hanno neppure principiato a farlo. Il bilancio di queste ultime parla chiaro: l'80 per cento delle uscite serve per pagare le spese della sanità, che potrebbero essere saldate comodamente da un ente unico, dato che il denaro proviene dalle casse dello Stato.

In sostanza, il nostro Paese tiene in piedi 20 apparati colossali e iperburocratizzati, trasformatisi negli anni (come si evince dalle numerose inchieste giudiziarie in corso) in associazioni per delinquere, macchine specializzate nello sperpero dei nostri quattrini, fonti di corruzione, mangiatoie incontrollate, soltanto per garantire al cittadino una gestione più o meno buona (spesso pessima) della salute pubblica.

Viceversa le Province, il cui smantellamento è stato rimandato per quasi mezzo secolo, si sono consolidate dimostrando di essere insostituibili per il semplice fatto che le Regioni non sono attrezzate a sostituirle nel disbrigo delle pratiche ordinarie.

Ormai però è passato il concetto (sbagliato) che gli storici enti siano superflui e vadano pertanto urgentemente cancellati, ma non completamente. In altri termini, stando alla legge appena approvata, essi muteranno faccia e status, i consigli non saranno più eletti, ma non cesseranno di svolgere le tradizionali funzioni non delegabili per i motivi già spiegati. Risultato, tanto clamore per niente. I costi non diminuiranno. Non valeva la pena di riformare le Province (poiché ciò non porta alcun vantaggio né alcun risparmio): semmai bisognava rassegnarsi ad «abbattere» le Regioni  al fine di stroncare il malaffare endogeno, di cui chiunque ha contezza.

Non c'è un solo ente di questo tipo che non sia oggetto d'indagini della magistratura e che non abbia contribuito, in misura spaventosa, all'aumento (insostenibile) del debito pubblico.

Siamo consapevoli di predicare nel deserto. Fra l'altro noi stessi fummo promotori della soppressione delle Province, in base alle considerazioni espresse all'inizio del presente articolo. Tuttavia, constatato che le Regioni non sono all'altezza di supplire alle competenze dei più piccoli enti territoriali (tanto che questi rimangono in vita sia pure sotto mentite spoglie), decidiamoci a mandarle in pensione. Smetteranno almeno di fare danni. E i conti dello Stato ne trarranno enormi benefici. 


Vittorio Feltri 
(Il Giornale)

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Articolo collegato: 
http://www.circolovegetarianocalcata.it/2014/03/27/litalia-e-rottamata-grazie-a-renzie-in-arte-matteo-renzi-il-rottamatore/


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Commento di Franca Oberti: “Notizie amare dalle decisioni del governo che riguardano le province, avremo le città Metropolitane e un nuovo Podestà da pagare fior di quattrini, tutti quelli sottratti agli eletti in provincia, ci vogliamo scommettere? Inoltre il carrozzone provincia mica è eliminato, figuriamoci! diventa una specie di azienda, no, anzi, un ente di quelli che non si capisce cosa ci stiano a fare… ci saranno tanti pollai senza il gallo!”

venerdì 28 marzo 2014

Alla Fiera dell'Ovest. 28 marzo 2014 - Roma e dintorni con Obbbama, il vu cumprà


Alla Fiera dell'Ovest

Sono alquanto schifatiello, non avrei voluto fare questo Comunicato ma a Treia stasera  la schiuma nel cappuccino era troppa! 

Obama viene a Roma in veste di pataccaro, non si limita a confondere il Colosseo per un campo da baseball, vuole piazzare i suoi “gioielli”, gli F35 malfunzionanti, e il bamboccino renzie ci casca come un tordo: “yes we can”. 14 miliardi investiti in armi d'attacco (a favore delle guerre USA) per noi sono un niente, tanto risparmiamo sugli effettivi della polizia, carabinieri e finanzieri e sulle spese della benzina delle volanti, poiché ormai le forze dell'ordine nazionale non servono più, a difendere gli interessi dei cittadini abbienti (ed a sedare i dissidenti) ci pensa la polizia della Nato/UE, la Eurogendfor. 

Uniche voci fuori dal coro i soliti quattro mici pacifisti che hanno protestato in Via Veneto, la via della “Dolce Vita” (ora amara). 

Negli appartamenti vaticani abbiamo visto il minuetto tra franceschiello e il moretto (da scompisciarsi dalle risate d'isterico pianto): “Grazie, prego, grazie prego scusi tornerò” (riascoltatelo qui: https://www.youtube.com/watch?v=WAXiP_Rbbd4). 

L'unico grande pari dell'impero, gongolante e sorridente a tutta ganascia, il vero badrone d'Italia, John Philip Jacob (!) Elkann (nato a New York, 1º aprile 1976) ha festeggiato in anticipo il compleanno cenando assieme al suo conterraneo Obbbama: “Business is business” … 

Mentre il bovero reietto marino, rosicante perché nessuno l'ha invitato a qualcosa (nemmeno a fare il cicerone al Colosseo), ha ottenuto infine la sua foto ricordo con il Number 1 sgambando all'aeroporto mentre il piazzista di aeroplanini saliva sull'Air Force 1.

Paolo D'Arpini
Portavoce European Consumers Tuscia
Via del Fontanile SNC - Calcata

Il debito pubblico, gli interessi, le bugie, Matteo Renzi... e la soluzione!


Diciamo subito le cose come stanno. Il problema del debito pubblico italiano non deriva da un eccesso di spesa, sprechi e ruberie assortite, bensì unicamente dagli interessi che lo Stato italiano paga per finanziarsi. Va da sé che spese, sprechi e ruberie assortite concorrono a peggiorare la situazione, ma non sono il problema di fondo. Perché allora si parla di tutto fuorché del problema di fondo? Perché del problema di fondo non si vuol parlare, onde lasciare le cose come stanno.
Come riporto in “E io non pago”, l’Italia, nel trentennio che va dal 1980 al 2011 ha avuto un avanzo primario pari a 484 miliardi di euro. Nello stesso periodo ha pagato 2141 miliardi di euro di interessi. La differenza (pari a 1897 miliardi) rappresentava il debito pubblico italiano nel 2012, debito che oggi ha superato i 2100 miliardi. Questo debito genera interessi annuali per circa 70-80 miliardi di euro. Gli interessi che l’Italia paga, tecnicamente, sarebbero (sono) definibili come interessi da anatocismo, cioè noi paghiamo gli interessi sugli interessi. E’ un circolo senza fine dal quale il paese non può uscire (del resto i debiti sono concepiti all’uopo) e se mai fosse si ritroverebbe comunque spolpato all’osso e dunque senza alcuna possibilità di ripresa. Dico spolpato perché non avremo più nessuna base, cioè nessuna risorsa reale, su cui ripartire. Non credo comunque che questo succederà dal momento che i debiti sono sempre concepiti per non essere estinguibili onde tenere un paese alla mercé delle oligarchie finanziarie che tirano i fili del gioco del denaro.
L’immagine venduta dicevamo, è però che l’Italia si trova nella situazione in cui si trova perché “spende troppo” e quindi ha un deficit di bilancio. Questa immagine non è solo errata ma volutamente fuorviante. Nonostante la nostra situazione sia drammatica, paradossalmente l’Italia è il paese al mondo con il surplus di bilancio più alto. Questo, chiariamolo subito, non è che sia un bene in sé, perché il nostro surplus è dovuto principalmente ad una tassazione altissima che concorso all’affossamento del paese. Resta il fatto che l’Italia in virtù di questa tassazione altissima ed al conseguente surplus di bilancio che conosce da oltre vent’anni, dovrebbe perlomeno non avere il problema del debito. Che invece c’è, eccome! In breve, gli interessi si rincorrono e le politiche di austerità non servono a nulla se non, appunto, a spolpare il paese. I debiti, del resto, servono a questo: drenare ricchezza reale dalle popolazioni e quindi impoverirle e controllarle.
Il Pil dell’Italia è quasi quintuplicato in dieci anni passando da 35 a 156 miliardi e la ragione di questo è il famoso “divorzio” tra la Banca d’Italia e il Tesoro. Il fatto fondamentale del “divorzio” fu il sollevamento per la Banca d’Italia dell’obbligo di comprare il debito pubblico (cioè i titoli di Stato). Da allora l’Italia si è finanziata sul mercato, cioè abbiamo preso denaro a prestito a tassi di interesse dettati dal mercato finanziario, mercato finanziario che ovviamente fa i suoi interessi. Il mercato finanziario, oltretutto, è principalmente estero (in “E io non pago” riporto la lista dei 20 “specialisti”, di cui 18 esteri appunto, autorizzati dal Tesoro italiano a compare i nostri titoli di Stato). Prima l’Italia si finanziava a costo zero attraverso la Banca d’Italia. Spiego il tutto nei dettagli nel nuovo libro “Euroballe”.
Questo antefatto, che è la vera causa della situazione in cui ci troviamo, non è mai stato menzionato da nessun media di regime, e men che meno dalla Troika e dai governi (Monti, Letta e anche Renzi) che si sono succeduti dall’esplosione della crisi del debito. Affermare dunque che i media, la Troika e i governi sono tutti corresponsabili e parte del piano di spolpamento, non è fare affermazioni generiche e complottiste, cosa di cui qualche lettore mi accusa, bensì semplicemente affermare la realtà dei fatti. Oppure queste cose non le sanno?
La Bce, a differenza della Fed, della Banca centrale del Giappone e altre, non può acquistare i titoli di Stato (l’Unione europea glielo vieta, e già questo ci dice molto chiaramente a cosa serve, tra le altre cose, la UE). Però la Bce questi soldi li può prestare alle banche. La Bce, dall’inizio della crisi ha infatti prestato alle banche circa 3000 miliardi di euro a tassi di interesse vicini allo zero, banche che però non hanno riversato questi soldini nell’economia reale (e anche comprensibilmente dal loro punto di vista). Cosa ci hanno fatto allora le banche con questi soldi? Ci hanno acquistato, indovinate cosa, titoli di Stato che rendevano il 4% e anche oltre. Che beneficio ne hanno tratto i paesi da queste emissioni di denaro della Ue? Nessuna, è ovvio. I beneficiari sono stati unicamente le banche. Lo schema è chiarissimo.
Tutto ciò premesso, è evidente che se non si esce quanto prima dall’Europa e dall’euro, e contestualmente non si eliminano i circa 80 miliardi di interessi annui che stiamo pagando oggi, l’Italia, oltre a non avere un presente, non avrà neppure un futuro. L’uscita dall’euro, in aggiunta alle positive conseguenze concrete e immediate (se non altro in termini di eliminazione-riduzione degli interessi che paghiamo), avrebbe anche un plus, un bonus aggiuntivo per così dire, che sarebbe quello del recupero della fiducia del mercato finanziario nel sistema Italia (il mercato finanziario recupererebbe fiducia per il semplice motivo che lo Stato italiano avrebbe di nuovo accesso diretto alla liquidità).
Proprio per evitare tutto ciò, io credo, è stato fatto fuori Letta (che si sapeva non poteva durare visto che era stato imposto così come il suo predecessore Monti, e quindi si sarebbe arrivati presto alle elezioni) ed è stato messo al suo posto, l’alter-ego povero di Obama, Matteo Renzi, tristemente venduto come il nuovo che avanza. Quindi lo spolpamento dell’Italia continua.

Andrea Bizzocchi - www.andreabizocchi.it


La soluzione è scritta nell’articolo 123 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Il governo può creare una banca di proprietà statale che lo finanzi.
Lo abbiamo chiesto all’Unione Europea e il 14 gennaio 2014 abbiamo ricevuto la risposta. Si può fare.
Ecco i dettagli tecnici e la corrispondenza con la BCE.
 
 



 
 
 
La soluzione
Lo Stato italiano può però invertire questo meccanismo e da subito. In apparenza non sembra possibile farlo senza uscire dall’Euro e rompere i trattati europei perché l’Unione Europea ha vietato alla Banca Centrale Europea di finanziare l’acquisto diretto di titoli di stato[1] e l’unica azione che la BCE può fare è quella di creare denaro per prestarlo alle Banche.
 
 
In realtà il comma 2 dello stesso articolo 123 offre una scappatoia agli Stati dell’Eurozona[2], perché prevede che gli enti creditizi di proprietà pubblica possano anche loro ricevere finanziamenti dalla BCE. E poi niente impedisce che girino questi soldi allo stato.
 
Uno stato della UE che controlli enti creditizi potrebbe farsi finanziare da loro i deficit, pagando un interesse vicino a quello che la BCE offre, cioè vicino allo zero e comunque non superiore all’inflazione.  L’ideale sarebbe non continuare ad emettere BTP; ma utilizzare prestiti diretti, ad esempio a tre anni, che rispetto all’acquisto di BTP offrono il vantaggio che il loro valore a bilancio non oscilla di anno in anno a causa di andamenti di mercato e quindi elimina il problema degli attacchi speculativi sul BTP.
 
 
Le cifre che indichiamo sono esemplificative e l’analisi può essere fatta in modo più dettagliato, ma la sostanza è che se il debito pubblico venisse man mano rifinanziato tramite prestiti diretti di banche pubbliche (che hanno accesso al finanziamento della BCE), il suo costo non verrebbe più determinato dal mercato finanziario. Si tornerebbe cioè alla situazione pre-1981, quando il costo del debito pubblico non era un problema perché era costantemente pari o inferiore all’inflazione.
 
Va sottolineato che non ci sarebbe alcun rischio per le banche pubbliche, perché lo Stato italiano, al netto degli interessi, è un ottimo “pagatore”, come si evince dai dati della tabella precedente. Infatti lo Stato italiano sarebbe in attivo negli ultimi 20 anni di 500 miliardi di euro (sempre al netto degli interessi). E’ chiaro che è un ottimo cliente per qualsiasi banca e un banca pubblica può prestare senza fini di lucro, ad un costo che copra le sue spese amministrative. Senza contare che prestare allo Stato non è considerato nei regolamenti bancari europei un rischio che richiede di accantonare capitale e di conseguenza è possibile per le banche prestare 500 o 1.000 miliardi senza dover aumentare di un euro il loro capitale (cosa dimostrata dal programma di Draghi chiamato “LTRO” lanciato a fine 2012, in cui appunto le banche hanno comprato centinaia di miliardi di BTP senza accantonare alcun capitale addizionale).
 
Uno scambio di email con la Banca Centrale Europea
Esiste quindi la strada per lo Stato italiano per arrivare a risparmiare anche 70  miliardi di euro di interessi all’anno. Abbiamo voluto verificare questa possibilità, (applicata in Germania e Francia tramite due enti pubblici, rispettivamente KfW e Bpi), contattando gli uffici dell’Unione europea circa la fattibilità dell’utilizzo di banche pubbliche per finanziare lo stato.
 
La risposta ricevuta per email (a nome della BCE) è stata affermativa: “il divieto di scoperto bancario e di altre forme di facilitazione creditizia in favore dei governi non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati”. Inoltre, in riferimento a banche pubbliche: “gli istituti di credito possono liberamente prestare i soldi ai governi o comprare i loro titoli di stato, nonché prestare soldi a qualsiasi cliente”
 
E’ quindi possibile per lo Stato italiano nazionalizzare una Banca, la quale acceda alla liquidità della BCE e finanzi il suo debito ad un tasso di interesse appena superiore a quello applicato dalla BCE stessa e in ogni caso sempre molto inferiore a quello di mercato, che va ricordato è attualmente superiore del 3% all’inflazione.
 
Stiamo parlando qui di come “trovare” non due o tre miliardi con l’IMU o qualche privatizzazione o risparmiando sulla sanità, le scuole, le infrastrutture, ma risparmiando sugli interessi, sulla rendita che da decenni lo Stato italiano paga a investitori esteri, banche e anche a investitori italiani.
 
Si tratta alla fine di scegliere tra rendita finanziaria favorendo il lavoro e le imprese. La rendita finanziaria ha incassato in trenta anni dallo Stato, lo ricordiamo ancora, più di 3mila miliardi di euro di interessi, mentre le imprese e i lavoratori italiani venivano schiacciati da una tassazione soffocante, giustificata con il peso del debito pubblico di 2mila miliardi, creato dall’accumularsi di questi interessi.
 
Gli italiani devono rendersi conto che non è vero che “non si può fare niente” contro il peso del debito pubblico e delle tasse a causa dei trattati firmati e delle posizioni degli altri governi all’interno delle istituzioni europee. In realtà, un governo italiano competente e che abbia a cuore gli interessi degli italiani invece che del “mercato finanziario” può muoversi anche all’interno dei trattati europei.
 
Il nostro, oltre che un articolo, è anche un appello ai cittadini italiani che trovino convincenti i fatti che abbiamo esposto e diffondano, ovunque possano, questa soluzione pratica al problema del debito, allo scopo di mettere la parola fine alle politiche di austerità che stanno soffocando l’economia italiana.
Giovanni Zibordi e Claudio Bertoni
 
Giovanni Zibordi, si occupa di mercati finanziari e gestisce uno dei siti finanziari più noti in Italia, www.cobraf.com economia a Modena, ha anche tre anni di dottorato in economia a Roma, un MBA a UCLA e ha lavorato precedentemente in consulenza manageriale e ha vissuto a Los Angeles e New York per sette anni.
 
Claudio Bertoni si occupa di impresa ed è stato per più di vent’anni imprenditore nell’ambito del commercio equo e solidale. Dottore in Scienze Agrarie sa che i beni reali valgono di più del denaro e ricerca come cittadino le soluzioni possibili ai problemi monetari di macroeconomia.
 
 
Post fazione
Alcune obiezioni
Per quanto riguarda l’obiezione sul mancato rendimento che questi ultimi avrebbero sui loro investimenti in titoli di stato, va notato che gli investitori italiani hanno oggi solo un terzo dei titoli di stato e si concentrano in prevalenza sui BOT e CCT che rendono meno dell’1% mentre gli investitori esteri e le banche si concentrano sui BTP che pagano intorno al 4%. Si può stimare quindi che su circa 80 miliardi di interessi annui ne ricevano non più di 20-25 miliardi. In secondo luogo i detentori di titoli di stato in larga maggioranza appartengono alla fascia più benestante della popolazione, che è quella che ha in realtà beneficiato della crisi, perché ha goduto di rendimenti (al netto dell’inflazione) maggiori degli anni precedenti e anche di guadagni in conto capitale. In terzo luogo, quando, a causa del finanziamento diretto di banche pubbliche allo stato suggerito, i rendimenti dei BTP scendessero intorno o sotto l’1% le famiglie italiane possono comunque investire in fondi e titoli di reddito fisso in tante altre parti del mondo. Infine, se i titoli di stato diventeranno meno attraenti, possono essere spinte a investire allora di più in obbligazioni italiane aziendali, aiutando così il finanziamento delle imprese italiane.
 
Il carteggio originale con L’Unione Europea e la Banca Centrale Europea
Date: Tuesday, 10/12/2013 17:23:50From: “Claudio Bertoni”
Subject: [Case_ID: 830870 / 1548784] art. 123- Delucidazioni
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E’ chiaro che la BCE non può acquistare direttamente Titoli di Stato e quindi quello che è mia intenzione approfondire ora, e in ultimo, sono le seguenti domande:
 1) comma 2 art. 123  TFUE: è possibile per un Ente creditizio di proprietà pubblica accedere all’offerta di liquidità, oggi al tasso dello 0,25%, della BCE?
 
2) Se sì come penso, questo Ente creditizio di proprietà pubblica può prestare denaro al Governo affinchè lo stesso possa pagare i suoi debiti ai mercati finanziari? Ovviamente attraverso la cessione a garanzia dei Titolo di Stato acquistati dall’Ente creditizio pubblico stesso?
 
3) E l’Ente creditizio pubblico può decidere liberamente il tasso di interesse?
Grazie ancora per la vostra cortese risposta
 
 
———- Messaggio inoltrato ———-
Da: Europe Direct <
citizen_reply@edcc.ec.europa.eu>
Date: 13 gennaio 2014 10:50
Oggetto: [Case_ID: 0830870 / 1548784] art. 123- Delucidazioni
A: 
claudio.bertoni1910@gmail.com
 
Gentile Signor Bertoni,
La ringraziamo per il suo messaggio. Desideriamo scusarci per il ritardo.
Le inoltriamo le risposte alle sue domande, fornite dalla Banca centrale europea:
 
1) comma 2 art. 123  TFUE: è possibile per un Ente creditizio di proprietà pubblica accedere all’offerta di liquidità, oggi al tasso dello 0,25%, della BCE?
 

1. Gli enti pubblici creditizi dell’area dell’euro sono un elemento importante del sistema bancario e pertanto hanno un ruolo essenziale nel fornire prestiti all’economia reale. Pertanto è importante per l’Eurosistema che essi siano trattati alla pari degli istituti creditizi privati nel contesto delle operazioni di rifinanziamento per assicurare un efficiente trasmissione delle decisioni riguardanti la politica monetaria all’economia. Pertanto 

giovedì 27 marzo 2014

Un parere su Matteo Renzi, il rottamatore delle Province

L’Italia è morta, viva l'Italia. 
Il rottamatore riesce nell’impresa. Finalmente renzie si può fregiare a pieno titolo del nomignolo che sin dall’inizio della sua carriera nefanda gli è stato affibbiato, quello di “rottamatore”. Sì, ora se lo merita senza ombra di dubbio, è riuscito a compiere l’opera per la quale è stato inviato. Facendo ricorso alla fiducia, il senato ha approvato un testo che di fatto trasforma le province in «enti territoriali di area vasta» affidandone le funzioni alle «città metropolitane».
L’Italia è sfranta… rottamata! Basta bene comune, basta identità locale, basta senso della comunità, basta tradizioni culturali…. diventiamo tutti cosmopolitani. Insomma la dismissione delle province ha dato il colpo finale all’italianità. Abbattere le province non giova e non serve a nulla dal punto di vista del risparmio economico e dell’efficienza amministrativa. Le province sono un legante necessario fra i comuni che si identificano in un determinato luogo, con un proprio capoluogo riconosciuto.
Avrebbe dovuto eliminare i carrozzoni del sottogoverno e fonte di spese abnormi, zavorra istituzionale in contrapposizione allo Stato, trattandosi di staterelli nello Stato: le regioni. Le regioni sono il vero male dell’Italia, la fonte di ogni corruzione e dell’esaustione di ogni socialità comunitaria. Le regioni costituite a tavolino che non rappresentano l’identità bioregionale dei luoghi. Le regioni che prese una per una costano ciascuna come un governo centrale. Le regioni che soddisfano i bisogni della mafia e dell’individualismo pecoreccio della politica, quello dei posti al vertice gestionale sul territorio.
Piango su me stesso e sulla povera Italia. Purtroppo. Piango su me stesso perché ho votato alle primarie del PD per renzie segretario, nella tenue speranza che potesse sanare gli errori della obsoleta e stantia classe dirigente dalemiana. Piango per le piccole comunità che si definivano “in provincia di..”. Che ora non avranno più nome né forma. Saranno come il “genitore 1 e genitore 2” che non significano nulla, che possono essere maschio femmina gay transgender alieno animale zombie golem. Fine dell’umanità e fine dell’italianità…..
Infine renzie può rappresentare la vera faccia ghignante di cui si è fatto portatore: rottamatore.

Paolo D’Arpini - Referente Rete Bioregionale Italiana
Portavoce European Consumers Tuscia
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Per approfondimento leggere: 

mercoledì 26 marzo 2014

Vladimir Putin, il non virtuale che sfugge agli spioni e piace ai semplici



Vladimir Putin sarebbe l'incubo degli 007 americani. Non ha un cellulare, non usa internet. E' anche per questo motivo che lo spionaggio Usa nulla sapeva dell'invasione russa in Crimea.

Già nel 2005 il leader del Cremlino aveva confessato di non fare uso di telefoni portatili e nel 2010 aveva rimarcato: "Se ne avessi uno, non smetterebbe mai di suonare". In realtà, nella sua abitazione privata esiste un telefono fisso, "ma quando squilla non sempre rispondo". E ha dimostrato anche di sapere poco di internet; durante un incontro con alcuni industriali russi, un paio di settimane fa, a uno che citava un documento che circolava sul web ha risposto sarcasticamente: "Ci vado raramente, in questo luogo dove tu apparentemente vivi, questo internet".

Come si tiene informato, quindi, uno degli uomini più potenti della Terra? Con i dossier che le agenzie di intelligence gli forniscono periodicamente e, secondo il Time, con una serie di telefoni "dedicati". L'America, intanto, sta cercando con ogni mezzo di intercettare comunicazioni radio e telefoniche per provare a scoprire le prossime mosse di Putin.

Nel giudizio che diamo della Russia continuiamo a riferirci al comunismo, che onestamente ha inventato ben poco rispetto ai precedenti 600 anni di zarismo. Il comunismo e’ stato semplicemente uno zarismo non ereditario , con qualche velleità illuminista. 


La storia russa e’ dominata dal conflitto perenne e ricorrente tra il centro politico e la periferia economicamente forte. 

Quando le periferie economicamente forti minano il potere del centro, esso reagisce sterminando i boiardi della situazione e riportando l’ordine con le maniere forti. Questo è un meccanismo che si ripete con la precisione di un orologio da 600 anni, e non dipende né da Putin né da chiunque altro. 

Il più perfetto governo democratico che si affermasse in Russia vedrebbe crescere enormi aggregazioni di ricchezza in periferia, e i nuovi ricchi inizierebbero ad inficiare il potere del governo centrale. A quel punto, la medesima democrazia non farebbe altro che reagire (su richiesta dei russi) sterminando i nuovi ricchi, perseguitandoli o distruggendoli in qualche modo. Il problema è che le periferie confinano con gli stati vicini, e il risultato di questo fatto è che i nuovi ricchi spesso sono collusi con stati stranieri. Quando il governo centrale li stermina, il risultato è che gli stati stranieri si vedono ammazzare gli amichetti e accusano il governo russo di autoritarismo. Ma questo è un meccanismo storico che si ripete ciclicamente in Russia, e non ha mai inficiato né modificato la natura civica di alcun governo..

Giancarlo Murgia


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Integrazione di Alfonso Piscitelli:

...chi scrive è un “putiniano”: considera Vladimir Putin il più importante statista europeo e fatte le dovute differenze di contesto guarda a Putin come un patriota risorgimentale siciliano del 1861 guarderebbe a  Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele e come un patriota del Baden-Wurttemberg del 1870 guarderebbe a Bismark e al Re di Prussia. Ovviamente le analogie valgono fino a un ceto punto: qui non si tratta di costituire uno Stato accentrato monolitico, con capitale Mosca, ma di pensare a una vasta e articolata confederazione di popoli europei che non può non includere la Russia (che però non è propriamente uno Stato minore… e neppure una “media potenza regionale”).
Quali sono i motivi del giudizio positivo di Putin? Elenchiamoli, schematicamente e senza pretesa di esaustività:
1. Putin ha restaurato in Russia una “concezione spirituale della vita”, incentrata sul rispetto delle grandi tradizioni religiose russe (cristianesimo, buddhismo, islam scita, sciamanesimo siberiano). Esaurita definitivamente la fase del materialismo di Stato la Russia torna a essere un luogo spiritualmente libero dove vige la compresenza rispettosa delle grandi Tradizioni religiose e se Putin bacia le icone ortodosse, il suo ministro della difesa Shoigu è buddhista.
2. Putin promuove una grande alleanza di civiltà d’Oriente (India, Cina, Iran) per bilanciare l’unipolarismo promosso  da chi all’indomani del crollo del Muro di Berlino aveva la convinzione di annunciare la “fine della storia”.
3. Ultimamente, sia pur con risultati alterni, Putin ha intensificato le relazioni anche con il Giappone cercando di sottrarlo all’area americana.
4. Attraverso la cooperazione energetica (North Stream) e tecnologica (ammodernamento della Transiberiana) sta stringendo i legami strutturali tra Germania e Russia e l’integrazione tra le due grandi potenze europee procede nonostante il governo per molti aspetti occidentalista della Merkel.
5. Il Partito Russia Unita sta sviluppando i legami con quei movimenti identitari e sovranisti che – sia pur con qualche semplificazione intellettuale e qualche incertezza strategica – si propongono di ovviare ai guasti della società multietnica, del commissariamento dall’alto dei Popoli europei e dell’esposizione ai condizionamenti dei grandi speculatori occidentali.
6. Putin sta rinnovando il volto della Russia promuovendo opere come  la “Grande Mosca”, nella cui realizzazione peraltro un ruolo importante assume il  design di architetti italiani.
7. Putin ha vietato gli OGM sul suolo russo.
8. Putin ha indicato l’obiettivo dell’autosufficienza alimentare della Russia.
9. Egli ha indicato stabilito l’obiettivo del ripopolamento delle aree rurali e ha indicato la vita a stretto contatto con la natura come un  modello positivo da proporre ai giovani.
10. Putin combatte in Siria e Egitto il terrorismo salafita e nello stesso tempo impedisce che in Siria e Iran si pongano le premesse per un nuovo disastroso intervento armato.
11. Ha fatto spiccare un mandato di cattura internazionale per Soros, lo speculatore internazionale che invece in alcuni paesi occidentali è addirittura considerato un filantropo e un munifico mecenate di artisti della politica…
13. Putin ha posto un argine all’espansione del fondamentalismo islamico in Russia  e ha condannato l’ideologia del multiculturalismo ribadendo la necessità per gli immigrati di rispettare le leggi, le tradizioni religiose e civili del popolo che li ospita.
14. Guardiamo con interesse allo svilupparsi in Russia di iniziative come i Giochi militari studenteschi e al rinascere dell’Ordine dei Cosacchi. La storia dei prossimi decenni dirà se questo genere di iniziative saranno feconde per la conservazione della civiltà europea o se lo sarà invece un modello incentrato sul Grande Fratello, sul consumismo televisivo, sulla rivendicazione isterica di diritti di piccole lobby.
15. Importante è in Russia la rivalutazione dell’importanza del “pubblico”: scuola pubblica, sanità pubblica, gestione attraverso aziende strettamente legate alla sovranità statale del petrolio e delle altre risorse del sottosuolo, esercito pubblico basato sulla leva di popolo e non sull’impiego di professionisti delle armi.
16. Nella Russia di Putin sono disincentivati divorzio e aborto, vengono aiutate le famiglie prolifiche. È stato posto rimedio al drammatico crollo demografico che era frutto della crisi profonda degli anni Novanta.
18. La droga, ovviamente, è severamente proibita e sono stati previsti check up periodici per tutta la popolazione giovanile.
19. L’omosessualità tollerata in privato non viene innalzata a “modello pubblico”. Allo stesso modo le starlet del mondo dello spettacolo non vengono considerate profetesse di una qualche verità rivelata e se compiono provocazioni premeditate offendendo ciò che vi è di più sacro ne pagano le conseguenze.
Per tutti questi motivi Putin è entrato nel mirino di contestatori arguti ma abbastanza faziosi, come quel Bernard Henry-Levi che dalle colonne francesi e anche italiane tuona contro di lui. Per questi motivi (ma altri ancora più profondi potrebbero essere addotti: motivi di ordine storico, spirituale, culturale) noi stiamo con Putin.
(Fonte: http://www.millennivm.org/millennivm/?p=825)

martedì 25 marzo 2014

Spending review - "Paghi 4 e prendi 1: una presa per il cuneo"




a) IL TAGLIO DELLA SPESA PUBBLICA PUÒ ESSERE MOLTO DANNOSO:
1) AUTOREVOLI RICERCHE (qui qui qui qui qui e altrove) HANNO DIMOSTRATO CHE TAGLIARE LA SPESA PER RIDURRE LE TASSE AGGRAVA LA RECESSIONE.
2) IMPORTANTI STUDI (qui quiqui. e altrove) PROVANO CHE TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA PROVOCANO CADUTA DEL PIL.
3) PRESTIGIOSI SAGGI (qui qui qui e altrove) MOSTRANO CHE TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA PROVOCANO IMPOVERIMENTO E DISOCCUPAZIONE.

b) INNUMEREVOLI STUDI ACCADEMICI DIMOSTRANO CHE LA SPESA PUBBLICA È UTILE NON IMPRODUTTIVA:
1) NUMEROSI IMPORTANTI TESTI (Qui qui  qui  qui,  qui qui. ecc) DIMOSTRANO CHE LA SPESA PUBBLICA SERVE ALLA CRESCITA
2) UN’INFINITÀ DI RICERCHE DIMOSTRA CHE LA SPESA PUBBLICA, AUMENTANDO LA DOMANDA DI BENI E SERVIZI, SI AUTO-FINANZIA
3) LA SPESA PUBBLICA RALLENTA LA CADUTA DEI REDDITI
4) RICERCHE ED EVIDENZE EMPIRICHE DIMOSTRANO CHE LA SPESA PUBBLICA RIDUCE LA DISOCCUPAZIONE.
5) LA SPESA PUBBLICA AUMENTA GLI INVESTIMENTI
6) LA SPESA PUBBLICA NON È IMPRODUTTIVA

c) ALCUNE FALSE TESI SULLA SPESA PUBBLICA
1) L’ITALIA NON È UN PAESE SPENDACCIONE NEPPURE SE PARAGONATO AGLI ALTRI PAESI UE. I GRAFICI, PROVENIENTI DA FONTI UFFICIALI, PARLANO DA SÈ:
ì) LA SPESA PUBBLICA corrente, primaria, pro-capite dell’Italia tra le più basse dell’Unione europea qui. (Fonte Istat) quiqui e qui (Fonte Real-World Economics Review); (fonte database AMECO) qui; spesa per funzione sul totale della spesa (fonte: Eurostat) qui; spesa inclusiva degli interessi sul debito pubblico (fonte: Eurostat) qui;
ìì) LA SPESA IN WELFARE, complessiva, pro capite e sul PIL è fra le più basse in Europa (fonte: Eurostat): qui
ììì) È VERO CHE IN SANITÀ SIAMO FRA QUELLI CHE SPENDONO MENO IN EUROPA v. QUI e QUI QUI  e QUI  e QUIqui dati Ocsequi quella-corrente dati-Ocseai primi posti quanto a livelli di efficienza. v. qui e qui. I costi standard sono dunque ingiustificati, e servono solo a uniformare in modo lineare la spesa al ribasso contro il diritto alla salute sancito dall’art 32 della Costituzione.
ìììì) IL RISPARMIO PRIVATO ITALIANO di famiglie, imprese ed istituzioni finanziarie, è sempre stato ad ottimi livelli, a testimonianza di una propensione ad essere più formiche che cicale, molto meno indebitate di altri Paesi v. qui qui  e qui il debito aggregato  e qui il debito per adulto
ììììì) PER I DIPENDENTI PUBBLICI NON SI SPENDE MOLTO (fonte: Aran) v. qui equi su fonte OCSE. NON È VERO CHE IN ITALIA GLI IMPIEGATI PUBBLICI SONO TROPPI in rapporto agli altri Paesi v. qui su fonte OCSE
ìììììì) SCUOLA: ultimi in Europa per la spesa pubblica pro capite v. qui e qui su fonte OCSE 
La crescita del debito pubblico è imputabile agli interessi passivi il cui ammontare è determinato da tassi causati dalla mancanza di una vera Banca centrale in Europa, differente rispetto a quella di tutti gli altri Paesi del mondo. Il disavanzo del bilancio pubblico si spiega col divorzio tra la Banca Centrale e il Tesoro nel 1981 (prima era solo al 58% del PIL), unito al problema di un’elevata evasione fiscale, all'insufficienza della domanda aggregata, alla competizione fiscale tra Stati, alla scelta deflazionistica dei governi e alla elargizione di sussidi alle imprese e sgravi ai possessori di ingenti ricchezze per evitare fughe di capitale all’estero. I salvataggi delle istituzioni finanziarie (Banche) hanno numeri tali che avrebbero potuto saldare in toto debiti di interi Paesi, ma i mass media mettono in evidenza solo il debito pubblico, esploso  per salvare le banche.
2) NON È VERO CHE LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE SPENDONO PIÙ DI QUANTO RISCUOTONO, MA È IL CONTRARIO: siamo in  AVANZO PRIMARIO qui v. anche qui e qui e qui l’Istat su avanzi primari. Paesi i cui rappresentati ci invitavano a tagliare la nostra spesa pubblica hanno una spesa delle amministrazioni maggiore della nostra (fonte: Economist) qui e qui con fonte il Fondo Monetario internazionale

d) SERVE LA MANOVRA PRE-ELETTORALE SUL CUNEO FISCALE? 3 caffè al giorno, da cui sono esclusi disoccupati, pensionati e indigenti, e che andranno (secondo Bankitalia e altri studi qui) non in consumi ma in mutui, tasse Equitalia e sulla casa, Rc auto e multe. E gli Enti locali hanno giù deciso l’innalzamento dell’aliquota Irpef.

NON PRAEVALEBUNT


PAGHI 4 E PRENDI UNO
È la nuova offerta propinata dagli ultimi governi del nostro Paese. Prima c’è stata la Legge di stabilità 2013 (l’ex Finanziaria, che con una mano doveva erogare poco più di 8 euro al mese - coi tagli al cuneo fiscale - mentre con l'altra toglieva molto di più attraverso la Trise, tagli alla spesa pubblica, gli aumenti delle tasse e la stangata ai lavoratori pubblici), poi c’è stato il salasso IMU – Bankitalia che in cambio di qualche decina in meno di euro in tasse sulla casa ha rifilato ai contribuenti italiani un salasso di 7,5 miliardi di euro a favore delle Banche azioniste. Ora è la volta del cuneo fiscale finanziato con tagli di spesa pubblica per la stratosferica cifra di 5 miliardi quest'anno, ma che arriveranno addirittura a 36 nel 2016. Qui qui tutte le misure della spending review, in pratica un vero e proprio assalto al welfare, al principio dello stato erogatore di servizi pubblici e alle condizioni di vita di lavoratori pubblici, invalidi, pensionati, pensionande, ammalati, e piccoli risparmiatori, che si tradurrà anche in minori consumi e investimenti pubblici, in linea con le attuali politiche europee votate ad una stupida austerità che distrugge l’economia, peggiora i conti pubblici e l’occupazione. La “barbarie del capitalismo incivile” (teologo Leonardo Boff).

Franco Pinerolo