domenica 30 settembre 2012

La verità sulla fine di Gheddafi (ma la sapevamo già...)



L'avevamo detto, scritto, comunicato ai media italiani e non .


Forse eravamo (io ed i tanti altri che avevano dato questa notizia) dotati di capacità paranormali ? Od in possesso di chissà quali informazioni "segrete" ?

Ma quando mai ! Almeno , per quanto mi riguarda . Soltanto , come RISAPUTO DA TUTTI , Gheddafi era stato intercettato dai droni della Nato mentre si spostava con alcuni dei suoi soldati . Bombardato per fermare il convoglio , circondato da forze speciali occidentali che , dopo averlo braccato , lo avevano
consegnato ai "ribelli" per un bel linciaggio .

E , quando venne deciso in pochi momenti di condurlo a Bengasi , assassinato con un colpo a bruciapelo da uno dei tanti assassini autorizzati (tutti militari ed agenti segreti) forniti dagli occidentali per "risolvere" la questione .

Le immagini , lo svolgimento stesso dei fatti , le testimonianze più o meno interessate avevano reso evidente l'omicidio .

Più chiaro di cosi......!!

Ma , salvo le solite eccezioni "alternative" che si trovano su internet e che non sono strumentalizzabili , in Occidente e negli stati arabi servi degli Usa si ribadì che quella era stata la "giustizia del popolo libico oppresso".

Ora inizia a venir fuori la verità . Perchè ?

PER INGUAIARE ASSAD E LA SIRIA .

Avrebbe consegnato lui il numero del satellitare di Gheddafi per consegnarlo ai "ribelli" .

Gli stessi che oggi hanno invaso parte della Siria per farlo fuori fisicamente . Con il solito appoggio degli Usa , della Gran Bretagna , della Francia e pure dell'Italia pronti ad eliminare un altro scomodo protagonista di una politica araba lbera dal sionismo e dall'imperialismo occidentale .

Si pensa ora che ci si beva questa "variante" ?


Grazie per l'attenzione.

Vincenzo Mannello

http://www.vincenzomannello.it/

sabato 29 settembre 2012

Le allucinazioni del profeta Ezechiele e la sua dieta a base di pane e merda...

Ezechiele incoronato


La fine del povero Ezechiele....

"Chiunque ama le profezie di Ezechiele merita di far colazione con lui." - Il grande Voltaire su Puzzoezechiele (i giorni dell'orrida dieta, però, sono 200 in meno rispetto a quelli attribuiti dal filosofo). Joe Fallisi

(Di alcuni passi singolari di questo profeta, e alcune antiche usanze)
Quasi tutti abbiamo capito, ormai, che non bisogna giudicare le usanze antiche sul modello di quelle moderne: chi volesse riformare la corte di Alcinoo nell'Odissea sul modello di quella del gran Turco o di Luigi XIV, non sarebbe approvato dai dotti; e chi biasimasse Virgilio per aver rappresentato il re Evandro coperto di una pelle d'orso e accompagnato da due cani, mentre riceve degli ambasciatori, sarebbe un cattivo critico.
I costumi degli antichi ebrei sono ancor più diversi dai nostri di quelli del re Alcinoo, di sua figlia Nausicaa e del buon Evandro.
Ezechiele, schiavo presso i caldei, ebbe una visione accanto al fiumicello Chebar, che si perde nell'Eufrate. Non c'è da meravigliarsi che egli abbia visto animali con quattro teste e quattro ali, con piedi di vitello, né delle ruote che andavano da sole e avevano in sé lo spirito di vita; anzi, questi simboli piacciono all'immaginazione. Ma molti critici si sono ribellati contro l'ordine che il Signore gli dette di mangiare, per trecentonovanta giorni, pane d'orzo, di frumento e di miglio, spalmato di merda.
Il profeta esclamò: "Puah, puah, puah! la mia anima non si è ancora mai contaminata." E il Signore gli rispose: "Ebbene io ti concedo sterco di bove invece d'escrementi d'uomo: impasterai di sterco il tuo pane."
Poiché non si usa affatto mangiare simile marmellata col pane, la maggior parte degli uomini trovano tali ordini indegni della maestà divina. Tuttavia bisogna riconoscere che la merda di vacca e tutti i diamanti del Gran Mogol sono perfettamente uguali, non solo agli occhi di un essere divino, ma a quelli di un vero filosofo; e in quanto alle ragioni che Dio poteva avere per ordinare al profeta una colazione simile, non sta a noi indagarle.
Ci basta ricordare che questi comandamenti, che a noi sembrano bizzarri, non apparvero tali agli ebrei. È vero che, ai tempi di san Girolamo, la Sinagoga non permetteva la lettura di Ezechiele prima dell'età di trent'anni; ma solo perché, ne capitolo XVIII, egli dice che i figli non porteranno più l'iniquità dei padri, e non si dirà più: "I padri mangiarono uva acerba, e i denti dei figli si sono allegati."
In questo, Ezechiele si trovava in aperta contraddizione con Mosè che, nel capitolo XXVIII dei Numeri, assicura che i figli si portano addosso l'iniquità dei padri fino alla terza e quarta generazione.
Ezechiele, nel capitolo XX, fa anche dire al Signore che Egli dette agli ebrei "precetti non buoni". Ecco perché la Sinagoga proibiva ai giovani una lettura che poteva far dubitare dell'irrefragabilità delle leggi di Mosè.
I censori dei nostri giorni sono ancor più disorientati dal capitolo XVI di Ezechiele: ecco come questo profeta si esprime per far conoscere i delitti di Gerusalemme. Egli finge che il Signore parli a una giovinetta così: "Quando tu nascesti, non ti fu reciso il cordone ombelicale, non fosti detersa con sale, eri ignuda, e io ebbi pietà di te. Sei diventata grande, il tuo seno s'è formato, t'è spuntato il pelo; io sono passato, t'ho vista, ho capito che era giunto il tempo degli amori; ho coperto la tua vergogna; mi sono steso su di te col mio mantello; sei stata mia: io t'ho lavata, profumata, ben vestita, ben calzata; t'ho donato una sciarpa di cotone, dei braccialetti, una collana; ti ho messo al naso una pietra preziosa, degli orecchini alle orecchie, una corona sulla testa ecc. Allora, confidando nella tua bellezza, hai fornicato per conto tuo con tutti i passanti... Hai costruito un bordello... Ti sei prostituita perfino sulle pubbliche piazze, aprendo le gambe davanti a tutti i passanti... Sei andata a letto con gli egiziani... e infine hai anche pagato i tuoi amanti, hai fatto loro dei doni perché fornicassero con te...; e, pagando, invece d'essere pagata, hai fatto il contrario delle altre donne... Il proverbio dice: "Tale la madre, tale la figlia", ed è quanto si dice di te..."
Ancor più insorge il censore contro il capitolo XXIII. Una madre aveva due figlie, che avevan perduto di buon'ora la loro verginità: la maggiore si chiamava Oolla, la minore Ooliba: "Oolla andò pazza per dei giovani signori, magistrati e cavalieri; fornicò con gli egiziani fin dalla sua prima giovinezza... Ooliba, sua sorella, fornicò ben più con ufficiali, magistrati e bei cavalieri; mise a nudo la sua turpitudine, moltiplicò le sue fornicazioni, ricercò con ardore gli amplessi di coloro che hanno il membro grosso come quello di un asino, e che spandono la loro semenza come cavalli..."
Queste descrizioni, che scandalizzano tanti cervelli deboli, stanno solo a significare le iniquità di Gerusalemme e di Samaria: le espressioni, che ci sembrano troppo libere, non lo erano allora. La stessa ingenuità si palesa senza timore in più di un passo della Scrittura. Vi si parla spesso di aprire la vulva; i termini che servono a indicare l'accoppiamento di Bòoz con Ruth, di Giuda con la nuora, non sono affatto disdicevoli in ebraico, mentre lo sarebbero nella nostra lingua.
Non ci si copre con un velo quando non ci si vergogna della propria nudità; perché a quei tempi si sarebbe dovuto arrossire nel nominare i genitali, se quando qualcuno faceva una promessa a qualcun'altro gli toccava, appunto, i genitali? Era un segno di rispetto, un simbolo di fedeltà, come in altri tempi, da noi, i signori dei castelli mettevano le loro mani tra quelle del loro sovrano.
Noi abbiamo tradotto i genitali con "coscia". Eleazaro mette la mano sotto la coscia di Abramo, Giuseppe mette la mano sotto quella di Giacobbe. Questo costume era antichissimo in Egitto. Gli egiziani erano così lontani dal ritenere indecente quel che noi non osiamo né scoprire né nominare, che portavano in processione un'enorme immagine del membro virile, chiamato phallum, per ringraziare gli dei della bontà che essi hanno di far servire questo membro alla propagazione del genere umano.
Tutto ciò dimostra che le nostre convenienze non sono quelle degli altri popoli. In quale tempo, fra i romani, ci fu maggior civiltà che nel secolo di Augusto? Eppure Orazio non teme di scrivere:
Nec metuo ne, dum futuo, vir rure recurrat.
Augusto si serve della stessa espressione in un epigramma contro Fulvia.
Un uomo che, fra noi, pronunciasse la parola che corrisponde a futuo sarebbe considerato come un facchino ubriaco. Questa parola e tante altre di cui si servono Orazio e altri autori, ci sembra ancora più indecente delle espressioni di Ezechiele. Liberiamoci da tutti i nostri pregiudizi quando leggiamo gli antichi scrittori, o quando viaggiamo in paesi lontani. La natura è la medesima dappertutto, e le usanze dappertutto diverse.

N.B. Un giorno incontrai ad Amsterdam un rabbino cui era molto piaciuto questo capitolo: "Ah, amico mio," mi disse, "quanto ve ne siamo grati. Avete fatto conoscere tutta la sublimità della legge mosaica, il pasto d'Ezechiele, le sue belle attitudini quando giaceva sul fianco sinistro. Oolla e Ooliba sono ammirevoli; sono tipi, fratello mio, tipi che simboleggiano che un giorno il popolo ebreo sarà padrone di tutta la terra; ma perché avete omesso tante altre cose che sono quasi della stessa forza? Perché non avete rappresentato il Signore quando dice al saggio Osea, nel secondo versetto del primo capitolo: "Osea, prendi una puttana, e fa' con lei dei figli di puttana." Sono le sue precise parole. Osea si prese la ragazza, ne ebbe un figlio, poi una bambina, poi ancora un maschio: ed era un simbolo, un simbolo che durò tre anni. "Non basta," disse il Signore, nel terzo capitolo, "devi prendere una donna che non sia solo dissoluta, ma adultera." Osea ubbidì, però la cosa gli costò quindici scudi e uno staio e mezzo di orzo; perché voi sapete che nella terra promessa c'era pochissimo grano: Quale sarà il significato di tutto ciò?" "Non lo so," risposi. "E io nemmeno," disse il rabbino.
Si avvicinò un gran dotto, e ci disse che erano ingegnose finzioni, molto affascinanti. "Ah, signore," gli rispose un giovane istruito, "se volete delle finzioni, datemi retta, preferite quelle di Omero, di Virgilio e di Ovidio. Chiunque ama le profezie di Ezechiele merita di far colazione con lui."

(Fonte:  http://www.trani-ius.it/radici/voltaire_D-E.htm)

venerdì 28 settembre 2012

La spending review del governo non è riqualificazione della spesa né lotta agli sprechi ma tagli lineari con effetto depressivo sull’economia




LA CRISI ECONOMICA NON È CRISI DEL DEBITO PUBBLICO ORIGINATA DA UNA SPESA PUBBLICA ECCESSIVA.

La spending review del governo non è riqualificazione della spesa né lotta agli sprechi ma tagli lineari con effetto depressivo sull’economia.


L’attuale crisi economica viene presentata come crisi del debito pubblico originata da spese eccessive di governi scialacquatori, ma, secondo i dati riportati da moltissimi autorevoli economisti come vedremo, i problemi europei sono conseguenza degli squilibri strutturali nei rapporti commerciali tra i diversi Paesi della zona euro dovuti al mercantilismo egemonista tedesco; derivano dal mancato ruolo della BCE di prestatore di ultima istanza e di sostenitore della crescita, dell’occupazione e della stabilità finanziaria (prof. J. Stglitz premio Nobel economia); sono causati dallo scoppio delle bolle immobiliari alimentate dai flussi di capitali dai Paesi più forti verso alcuni periferici (Spagna, Irlanda); e provengono dalle politiche di austerità che hanno peggiorato infine la situazione. L’interpretazione falsa della crisi come crisi dovuta fondamentalmente alla spesa pubblica, è stata utilizzata (v. prof. P. Krugman ex Premio Nobel per l’economia e stretto collaboratore di Obama) dalle classi dominanti dei Paesi periferici per colpire i diritti sociali formali e sostanziali e smantellare ciò che ancora rimane delle riforme realizzate negli anni ’70 a tutela dei lavoratori e, più in generale, della sicurezza sociale.

1) Come hanno argomentato giustamente Joseph Stiglitz, De Grauwe, Martin Wolf, i proff. E. Brancaccio, S. Cesaratto, Dornbush, Feldstein, De Nardis, Richard Layard, Manasse e Roubini, Daniel Gros ed altri insigni economisti, ma pure il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Commissione europea, l’ILO e molte altre istituzioni internazionali, la crisi dei bilanci pubblici è un mero riflesso, una conseguenza degli squilibri nella bilancia dei pagamenti, e non c’entrano le spese sociali. La Germania, infatti, praticando una sleale deflazione competitiva finanziata con spesa pubblica, ha accumulato sistematici eccessi di esportazioni rispetto alle importazioni, e il risultato è stato un accumulo di crediti verso l’estero da parte della Germania e una crescita dei debiti (sia pubblici che privati) verso l’estero da parte dei Paesi periferici tra cui l’Italia.



La Germania ha portato avanti riforme economiche senza coordinarsi con gli altri Paesi ignorando le regole europee, e in particolare il Patto di stabilità. Questo è avvenuto perché l’Unione europea, i suoi Trattati, non furono basati sulla solidarietà, su una politica economica comune, sulla cooperazione, ma ebbero paradossalmente come fondamento la competizione e la concorrenza fra capitali, fra le stesse Nazioni. Si è creata una moneta senza uno Stato, perchè un’Europa politica, genuina e sostenibile doveva per forza comprendere dei principi di riequilibrio economico fra Paesi. La teoria economica delle aree valutarie ottimali (AVO) insegna che, per evitare problemi, l’abbandono della flessibilità del cambio deve essere compensato (prof. A. Bagnai). Opportune politiche industriali dei singoli Stati - favorite anche da trasferimenti centrali - potevano evitare (prof. S. Levriero) gradi di specializzazione troppo elevati delle singole regioni europee, favorendo sia il mantenimento e sviluppo del tessuto industriale anche nelle aree più deboli ed anche in campi tecnologicamente avanzati, sia un processo di omogeneizzazione della legislazione sul lavoro e fiscale, oltre che la riduzione della dipendenza dall’estero dei Paesi “periferici”, permettendo tassi di crescita più elevati per il complesso dell’area dell’euro. All’interno di tutti i Paesi del mondo, compresi gli Stati Uniti, la Gran Bretagna ecc, esistono aree “ricche” e aree “povere”, e se la contraddizione non esplode è perché c’è il bilancio pubblico che funge da riequilibratore, bilancio che per l’UE ammonta appena all’1% del Pil dell’Unione, cioè nulla in termini pratici, considerando che ad esempio il bilancio federale negli USA arriva ad un quarto del Pil. Nella zona euro infatti, il compito di attenuare gli squilibri è stato affidato ai fondi strutturali per le regioni a basso reddito, ma questo fondo è sempre stato di dimensioni inadeguate, e l’accesso ai fondi è stato subordinato a meccanismi complessi non sempre alla portata delle amministrazioni locali delle aree in deficit.



È dunque indispensabile esercitare le pressioni necessarie sulla Germania e sui Paesi in surplus perché risolvano questa situazione:



a) bisogna far capire a Germania e Paesi in surplus commerciale che un riequilibrio dal solo lato dei Paesi debitori verso l’estero genera “mezzogiornificazione” (prof. P. Krugman) dei Paesi periferici e depressione economica, accrescendo le probabilità di distruzione della zona euro.



b) “la Germania ha giocato sporco in questi anni” (v. proff. J. Bibow e A. Bagnai) non avendo voluto collaborare col prossimo, ma fregarlo facendo dumping fiscale e sociale per aggredire le economie circostanti, violando le regole europee attraverso la sua riforma di precarizzazione (col micro-impiego, ossia la proliferazione di contratti temporanei per un massimo di 80 ore al mese con stipendi limitati a 400 euro) e di abbattimento del costo del lavoro per unità di prodotto (nel periodo 1999-2008 è aumentato in media dello 0,4% all'anno in Germania, contro oltre il 2,5% all'anno in Italia e Spagna) mediante accordi governo tedesco-sindacati miranti a non tradurre in aumenti delle retribuzioni gli aumenti di produttività. È il cosiddetto “mercantilismo monetario” (prof. C.L. Holtfrerich) una sorta di violazione dei patti impliciti Europei che prescrivevano un obiettivo comune di inflazione del 2%, mentre la Germania ha perseguito un’ inflazione al di sotto di tale soglia (prof. P. Krugman). Le importazioni tedesche sono così diminuite mentre è aumentata la propria quota del mercato mondiale. Se l’inflazione crescesse in Germania un po’ più degli altri Paesi ciò non farebbe che riequilibrare anni di situazione sbilanciata.



c) Sono poi le banche tedesche quelle che hanno lucrato di più sull’indebitamento pubblico e privato dei Paesi oggi stremati dal debito; e quei debiti hanno poi finanziato quasi metà dell’export della Germania, mentre l’altra metà di quell’export è stata facilitata da una moneta (l’Euro) svalutata grazie alla debolezza di altri Paesi dell’eurozona.



d) I tassi sui Bund a 10 anni (i titoli di Stato tedeschi, sulla base dei quali si misura lo spread) nonostante offrano rendimenti ai minimi, all'1,4% - il che, considerata un'inflazione tedesca che viaggia vicino al 3%, significa un rendimento negativo - attirano flussi di fondi dall’estero perché considerati rifugio sicuro: ma se questi titoli Bund fossero espressi in una moneta solo tedesca (il marco) l’afflusso di fondi dall'estero farebbe subito salire il cambio, come avviene per es. nei Paesi emergenti ad alta crescita (il Brasile) o nei Paesi anch’essi considerati sicuri (la Svizzera), e quindi col marco rivalutato, le esportazioni tedesche non andrebbero così bene! Non stiamo parlando di spiccioli: secondo Frank Mattern, capo di McKinsey, negli ultimi dieci anni un terzo della crescita dell’economia tedesca è dovuto all’euro (165 miliardi di euro nel solo 2010!). In un contesto di solidarietà europea bisognerebbe anche tener conto che in pratica l’Eurozona finanzia a tasso zero il surplus commerciale e il debito tedesco, mentre la Spagna paga il 6% di interessi, l’Italia il 5%. Dunque la Germania, che ottiene denaro in prestito a basso prezzo. potrebbe accettare per es. (v. prof. D. Strauss-Kahn) di pagare un sovrappremio, un prezzo supplementare, in modo da diminuire i tassi più elevati chiesti a Grecia, Spagna o Italia.



e) Inoltre, secondo Patrick Artus di Natixis, la fuga verso i titoli di Stato tedeschi ne ha abbassato gli interessi di oltre il 2%, con un risparmio per lo Stato tedesco di quasi un punto di Pil (0, 9%). È chiaro che chi si finanzia a tassi negativi riducendo così il proprio debito pubblico non può che aver interesse a tenere gli altri Paesi sotto il ricatto della speculazione. La BCE potrebbe dunque intervenire (v. prof N. Roubini) usando la sterilizzazione (il drenaggio di liquidità per l'esatto importo della liquidità immessa attraverso l'acquisto dei titoli di Stato) del nuovo programma di intervento salva-spread per vendere titoli degli Stati core come la Germania, oppure usando i reverse repos (le operazioni di pronti contro termine all'incontrario) dei bond degli Stati core che hanno registrato rendimenti negativi. Anche perché chi ha basso costo della raccolta per le casse dello Stato rischia bolle immobiliari o bolle sugli asset.



f) La Germania è in surplus per ciò che concerne il suo import/export e vanta un avanzo commerciale del 5,9%: se ci fosse il marco, si rivaluterebbe in corrispondenza, perché la legge economica vuole che se esporti tanto la tua moneta si rivaluta di un eguale ammontare e il conto delle bilance commerciali tende a tornare in equilibrio. Poiché invece c’è l’euro, che è svalutato grazie alla debolezza di altri Paesi dell’eurozona, la Germania e le sue esportazioni volano.



g) Dietro la costruzione dell’Euro c’era un interesse sicuro, quello della Germania e dei suoi Stati satelliti, che volevano porsi al riparo dalle svalutazioni competitive dei paesi del Sud Europa, meno virtuosi, ma ugualmente pericolosi. L’euro in pratica ha funzionato in favore della Germania, consentendole di assorbire l’unificazione con i lander dell’Est e tranquille ristrutturazioni e innovazioni. Una unificazione, quella tedesca, di cui tra l’altro si fecero carico tutti gli Stati europei, compresi gli italiani, che sopportarono i costi indotti e impliciti di un cambio fra la moneta tedesca occidentale e quella orientale di 1 a 1.



h) la Germania ha proposto ai Paesi periferici europei la liberalizzazione dei movimenti di capitale e l’adozione di un tasso di cambio fisso, e poichè nei Paesi periferici i tassi di interesse erano più alti, ha ottenuto il vantaggio di poter prestare propri capitali, lucrando la differenza senza patire rischio di cambio perché il cambio è fisso. Questa liquidità prestata a buon mercato, ha poi alimentato in numerosi Paesi europei (Spagna, Irlanda) bolle immobiliari pagate ora a caro prezzo, ma soprattutto ha assicurato un profittevole mercato di sbocco alla Germania per i propri beni, perché la liquidità prestata non si è tradotta per i Paesi periferici in investimenti dal momento che la Germania, con la sua politica mercantilista volta ad esportare moltissimo ed importare il meno possibile, mantenendo tassi d'inflazione minimi, ha reso più conveniente far importare i propri beni di consumo, col risultato paradossale che ora i Paesi più poveri si trovano a dover restituire ai paesi ricchi soldi che, in sostanza, sono andati ad acquistare merce esportata dagli stessi.



i) La fragilità dell’euro deriva soprattutto dal suo stesso vizio d’origine, imposto dalla Germania, che ha assegnato alla Banca Centrale Europea il solo compito della lotta all’inflazione, con la totale assenza di un impegno a sostenere la crescita economica (e quindi di salari e occupazione), che è invece il principale compito per es. della Fed, la Banca Centrale statunitense. Questo ruolo della Banca Centrale Europea (BCE) è stato voluto dalla Germania per avere una valuta forte, in modo da ridurre il costo delle materie prime (trattate in dollari), poter acquistare più facilmente imprese e fare investimenti produttivi all’estero. Se la Banca Centrale Europea avesse le funzioni proprie di tutte le altre Banche Centrali del mondo, cioè per es. di sostegno ai Paesi attaccati dalla speculazione e di finanziatore di ultima istanza dei deficit dei Paesi aderenti, la crisi (prof. S. Cesaratto) avrebbe anche seguito altri percorsi, come la crisi americana: il governo avrebbe imposto il riequilibrio delle finanze locali, la ristrutturazione, nazionalizzazione o chiusura delle banche insolventi, ma anche ridotto i danni con trasferimenti dalle regioni più affluenti a quelle più povere.



j) nel Governing council della Bce i Paesi dell’area del marco (Austria, Belgio, Finlandia, Germania, Lussemburgo, Olanda) hanno fatalmente avuto il sopravvento: più Europa ha quindi significato ancora più Germania



k) Costringere, come fa la Germania, i Paesi periferici della zona euro ad attuare politiche di austerity significa aggravare la loro crisi e peggiorare la loro posizione debitoria: “l’austerità non è la soluzione” (prof. Joseph Stiglitz). Infatti le politiche di austerity imposte ai Paesi periferici, basate sulla diminuzione dell’indebitamento pubblico, l’abbattimento della spesa pubblica, l’aumento dei carichi fiscali, la riduzione dei diritti dei lavoratori, hanno ridotto ulteriormente i redditi e le entrate fiscali, rendendo più difficile rimborsare i debiti, aggravando con la recessione i problemi di finanza pubblica e rendendo evidente che senza un rilancio della domanda aggregata non ci sarà mai ripresa dalla crisi economica. Perciò tali Paesi si vedono costretti a far fronte ai debiti per es. vendendo a prezzi di sconto gran parte del patrimonio nazionale, pubblico e privato: immobili, partecipazioni azionarie in aziende strategiche, banche, persino isole e altri beni artistici e demaniali. Basterebbe guardare all’esperienza italiana degli anni ’90 per capire che le privatizzazioni non portano sempre benefici (Ilva, Alcoa, Telecom, Autostrade, Ferrovie dello Stato ecc.) ma anzi possono fare molti danni al tessuto produttivo di un paese, distruggendo conoscenze e capacità industriali esistenti. Ma per chi dispone di molta liquidità come la Germania si creano invece grandi occasioni per fare shopping a buon mercato nei Paesi periferici.



l) Se l’asse Merkel-Sarkozy avesse attuato un programma di rifinanziamento a basso costo del debito greco nel 2009, consentendo al Paese di uscire dalla recessione prima di risanare i conti, la crisi attuale non avrebbe avuto luogo. Invece il blocco degli aiuti europei alla Grecia, voluto dalla Merkel ha fatto degenerare la situazione, scatenando l’assalto speculativo della finanza internazionale, che si è poi esteso agli altri Paesi europei, compreso il nostro.



m) Bisognerebbe segnalare ai tedeschi che se salta la moneta unica può rischiare di saltare anche il mercato unico (prof. E. Brancaccio). I Paesi periferici dell’Unione monetaria potrebbero cioè non soltanto abbandonare la zona euro, ma potrebbero anche vedersi costretti a mettere in discussione la libera circolazione dei capitali e delle merci su cui la Germania ha fondato per anni il proprio regime di sviluppo. Per tutelare gli interessi dei lavoratori e per difendere la propria struttura produttiva, i Paesi periferici potrebbero essere tentati di governare l’uscita dall’euro introducendo anche: 1) immediati blocchi alle fughe di capitali, 2) misure di regolazione dei flussi di merci e degli investimenti a lungo termine, 3) indicizzazioni salariali, 4) controlli amministrativi su alcuni prezzi “base” 5) vincoli alle acquisizioni estere in campo sia industriale che bancario (prof. E. Brancaccio).



n) l’abbattimento dei salari non riesce ad accrescere la competitività dei Paesi periferici, dal momento che anche la Germania insiste con una politica di contenimento dei salari in rapporto alla produttività, rapporto che è mediamente diminuito in Europa di circa mezzo punto percentuale, mentre in Germania è crollato di quasi tre punti. Dal 1999 al 2007 la Germania (prof. A. Bagnai) è stato il secondo paese a crescita più lenta dell’Eurozona dopo l’Italia (la crescita reale è stata dell’1.7% in Germania e dell’1.5% in Italia, contro una media del 2.7% nell’Eurozona), cioè la domanda interna per consumi e investimenti veniva sistematicamente repressa per evitare di far crescere le importazioni. Sarebbe quindi necessario che la Germania riducesse la competizione salariale al ribasso altrimenti sarebbe difficile non pensare che voglia una “annessione”, anziché una “Unione”.




La Germania ha avuto dunque innumerevoli vantaggi e deve dare un contributo al riequilibrio della situazione. Per costruire fondamenta politiche più solide in Europa bisognava tener conto di un principio fondamentale, e cioè che per un Paese non è sostenibile né legittimo perseguire politiche nazionali che possano provocare danni economici ad altri Paesi. Radice di tutti i mali è l'avidità del denaro diceva San Paolo (I Timoteo VI, 10). La Germania non può imitare il Quarto Reich conducendo una guerra non guerreggiata e non dichiarata ma sotto forma di un conflitto economico-finanziario per egemonizzare l’intero continente, riducendo tutte le altre economie a diventare soggetto della sua subfornitura industriale e “mercato esterno” dove smaltire l’enorme sovrappiù tedesco. La costruzione europea doveva essere terreno di convergenza tra gli interessi dei ceti popolari dei diversi Paesi, servire a migliorare la qualità della vita dei popoli europei, ad assicurare più occupazione, meno precarietà, redditi reali più elevati, un’uniformazione verso l’alto dei sistemi di protezione sociale, mentre l’Europa che ci viene presentata oggi è quella dove prevale la legge del più potente, assume il volto del rigore, della contrazione dei redditi e dei diritti sociali, di continue politiche fiscali recessive e di progressivo impoverimento. L'euro sta pagando il suo peccato originale: aver costruito una moneta comune senza fondarla su una politica economica comune, su standard minimi nel campo della fiscalità, dei salari e dei diritti del lavoro, su politiche di bilancio e distributive volte al sostegno della domanda aggregata - in particolare nei Paesi centrali - che, unitamente alla politica espansiva della BCE (a cui la Germania si è sempre opposta) avrebbero favorito una crescita più equilibrata, appropriate e coordinate politiche monetarie e fiscali a livello centrale. Dunque il “mercantilismo monetario” praticato dalla Germania, tutto teso a rafforzare le esportazioni, è incompatibili con l’unione monetaria, e l’unica vera terapia (P. Krugman, S. Cesaratto, E. Brancaccio, A. Bagnai, A. Stirati et al) è che la Germania rilanci la propria domanda interna, consumi di più facendo crescere i salari reali in modo da recuperare il terreno perduto rispetto alla produttività, creando al proprio interno un boom simile a quello verificatosi nel Sud Europa tra il 1999 e il 2007, esportando di meno e importando nei confronti dei Paesi deboli, lasciando andare l’inflazione; insomma dovrebbe guidare una politica orientata alla crescita, all'unione politica e alla condivisione dei rischi e accettare i costi della leadership (prof G. Soros). La Germania ha le risorse per farlo, e facendolo contribuirebbe a sanare gli squilibri europei, a rilanciare crescita e occupazione, a stabilizzare il rapporto debito pubblico/Pil nei Paesi ove questo è più elevato.



Ma il governo Monti, anziché far pressione in questo senso, si muove in direzione diversa e contraddittoria, prendendo provvedimenti che hanno come obiettivo la riduzione della domanda aggregata (consumi interni ed esteri, investimenti privati e pubblici, ma anche spesa pubblica corrente per acquisti di beni e servizi per la Pubblica amministrazione), come ad esempio la spending review. Una delle vie d’uscita dalla crisi che oggi il governo propone è infatti un riequilibrio della bilancia commerciale basata sul rilancio delle esportazioni. Ma se tutti i Paesi euro puntassero a imitare la tendenza della Germania ad aumentare le esportazioni nette e ad accumulare crediti verso l’estero, non vi sarebbe più una fonte di domanda interna alla zona Euro. E poi, secondo l’ultimo Bollettino economico della Banca d’Italia (luglio 2012), nei primi quattro mesi dell’anno in corso, c’è stato un disavanzo corrente della bilancia dei pagamenti italiana rispetto allo stesso periodo del 2011, ma la riduzione delle importazioni, dovuta al crollo della domanda causata dalle politiche di austerità, non ha fatto diminuire il differenziale (spread) fra il tasso d’interesse sui titoli di stato italiani e l’analogo tasso tedesco, mentre la conseguenza è stata che il Pil, la produzione industriale e l’occupazione sono diminuiti, il rapporto fra il debito estero e il Prodotto interno lordo non è migliorato, c’è una consistente fuga di capitali italiani verso l’estero, e si è approfondita la depressione economica. Una bella “luce in fondo al tunnel” che ci viene addosso, Mr. Monti!




2) Come ha osservato il prof. Paul Krugman, Irlanda e la Spagna alla vigilia della crisi avevano conti pubblici in ordine, mentre l’Italia era un Paese più “virtuoso” della Germania stessa, poiché aveva un avanzo primario (cioè la differenza tra entrate e uscite al netto degli interessi) costantemente positivo dal 1992. Infatti, prendendo in esame (prof. G. Zezza) il debito lordo di alcuni Paesi dell’area euro - Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna - risulta evidente che per la maggior parte di essi il livello del debito pubblico rispetto al PIL era simile nel 1995 (cioè prima dell’euro), nel 2000, e nel 2006 prima della crisi, dove era anzi diminuito ad esempio per la Spagna. In tutti i Paesi il debito è invece aumentato come conseguenza della crisi, nel 2011, perché il deficit pubblico aumenta automaticamente in una situazione di recessione, e nella zona euro l’aumento è stato aggravato dalla maggior spesa per interessi dovuta alla mancata capacità di gestione della crisi.



Del resto è lo stesso Ufficio economico dell’ONU a sottolineare che “i deficit dei Paesi avanzati sono stati causati dalla crisi e non viceversa”.



3) In Italia all’origine del debito pubblico non c’ è la spesa pubblica:



a) per ragioni politico-clientelari non si sono fatte pagare (v. F. Cavazzuti 1978) e non si fanno pagare le tasse a chi le dovrebbe pagare (v. L. Paggi 2011). Le legislazioni che si sono succedute dal 1973 hanno tenuto divise in due le categorie di contribuenti: da una parte lavoratori dipendenti e pensionati con ritenuta fiscale alla fonte sulla busta paga o certificato di pensione; dall’altra gli imprenditori, i liberi professionisti e gli autonomi che pagano l’IRPEF su redditi basati su studi di settore. Perciò (v. Ministero dell’Economia e delle Finanze marzo 2011) il 93% dell’intero gettito IRPEF è pagato dai lavoratori dipendenti e pensionati pur possedendo mediamente solo il 27% della ricchezza nazionale; l’altro 7% dell’intero gettito IRPEF è pagato dagli imprenditori, dai liberi professionisti e dagli autonomi che possiedono mediamente il 73% della ricchezza nazionale. Questo sistema fiscale squilibrato ha prodotto, legalmente, una colossale evasione fiscale quantificabile in 120 miliardi di mancato gettito erariale annuo, fra IVA e IRPEF ed altri tipi di evasione contributiva. La somma di questi importi è stata coperta nel tempo con emissione di debito pubblico. Moltiplicando per 10 anni una somma di almeno 100 miliardi annui, si produce un valore di 1000 miliardi, che rappresenta circa la metà del nostro debito pubblico.



b) nel 1981 in Italia venne abolito l’obbligo per la nostra Banca centrale di acquistare i titoli del debito pubblico che fossero rimasti invenduti in asta, e da quel momento il debito italiano crebbe molto più che nel resto d’Europa (nel 1981 era pari al 58% del Pil, nel 1992 al 124% !) a causa della abnorme crescita degli interessi, e non della spesa della Pubblica Amministrazione, rimasta al di sotto o intorno ai livelli medi Ue.



c) Gli squilibri commerciali dopo il 1999 hanno avuto come riflesso un aumento del debito pubblico, come si è visto sopra, a causa della volontà di predominio tedesca.



d) il calo delle entrate in Italia è stato causato in parte anche dai salvataggi delle banche: come ha dichiarato il presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso, 4 trilioni di euro (!) sono stati spesi o impegnati nella Ue al fine di salvare gli enti finanziari. Mario Draghi si è dato molto da fare, e in un anno ha stampato e regalato alle banche 1200 miliardi di euro - un valore quasi pari al Pil di tutta l'Unione europea. In Italia una gestione assai discutibile del patrimonio, che chiamerebbe in causa il ministero dell'Economia che vigila sulle Fondazioni, ora impegnerà quasi 4 miliardi di soldi pubblici per il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena. E ai contribuenti italiani il salvataggio delle banche spagnole è costato ben 19,8 miliardi di euro dei 100 miliardi stanziati. Soldi presi dalle tasche degli italiani attraverso i tagli operati dal governo Monti.



e) il calo delle entrate è dovuto anche alla riduzione dell'onere fiscale, alle rottamazioni d’auto, ai crediti agevolati concessi in questi anni alle imprese, molte delle quali delocalizzavano pure le aziende pagando le imposte all’estero anziché nel paese d’origine. Due voci fondamentali indicano i fondi usciti dalle casse pubbliche e finiti in quelle delle aziende: “contributi in conto corrente” e “contributi in conto capitale”. Solo nel bilancio 2010 per es. la somma delle due voci fa 40 miliardi di euro. (v. Marco Cobianchi “Mani bucate” ed. Chiarelettere, 2011)



f) è un debito pubblico dovuto anche a un crollo della domanda interna (e quindi una diminuzione di introiti fiscali per lo Stato) causata dalla riduzione della produzione, dell’occupazione e del reddito, dovuta alle insensate politiche di austerità dei governi Monti e Berlusconi. Se si mettono in atto politiche di austerità quando la crisi è di domanda allora non si vince la crisi, ma si approfondisce.



g) il record di debito pubblico accumulato da un governo sono stati i 330 milioni al giorno accumulati dal governo Berlusconi (v. prof. O. Giannino)



h) la nostra spesa sociale è sempre stata storicamente inferiore alla media dell’Europa Occidentale e l’Italia è all’ultimo posto tra i paesi dell’Ocse per quota di finanziamento del welfare: la spesa sanitaria è sotto la media OCSE (9,3 % sul PIL, contro una media di 9,5, mentre Francia e Germania spendono l’11,6%); spendiamo meno degli altri in istruzione ; non abbiamo il reddito minimo garantito, le politiche per l’abitazione sono insignificanti e quelle per l’infanzia spesso inesistenti. Il nostro è un Paese che per la ricerca spende meno della media europea e si trova agli ultimi posti per la spesa pro-capite nei campi dell'assistenza e dell'ambiente.



i) è un aumento del debito pubblico dovuto ad una stagnazione della crescita che può trovare soluzione:



1) riallineando la competitività di Berlino con quella dei Paesi della sponda Sud, perché (prof.ssa A. Stirati et al.) se tutti i competitori abbassano i salari, non vince nessuno, e l’unico risultato è una riduzione della domanda e della crescita.



2) Eliminando l'austerità autodistruttiva (prof. Joseph Stiglitz), nemica della crescita per la compressione del potere d'acquisto di massa, conseguenza della pressione su occupazione e salari; per l’Ufficio economico dell’ONU il debito pubblico accumulato non si sta riducendo attraverso le politiche di rigore, ma al contrario continua a crescere perché l’austerità – spiegano gli economisti dell’ONU – indebolisce la crescita e quindi peggiora il rapporto debito/PIL, il che rende più difficile ripagare i titoli di stato alla scadenza



3) la deregolamentazione del mercato del lavoro (precarizzazione) e la spinta in basso dei salari hanno determinato anche la riduzione della produttività, perchè le imprese, potendo comprimere il costo del lavoro, erano meno incentivate a introdurre innovazioni tecnologiche (v. prof. Hanan Morsy e Silvia Sgherri; prof. Ian Dew-Becker di Harvard e Rober J. Gordon della Northwestern University), ma soprattutto innovazioni di prodotto.



4) L’equità va nella stessa direzione della crescita perchè la redistribuzione verso i redditi più bassi e da lavoro genera maggiori consumi, fa aumentare la domanda aggregata, sostiene il mercato interno.



5) bisognerebbe promuovere una politica energetica ed industriale che orienti le scelte pubbliche e private su che cosa e come produrre; si dovrebbe combattere la corruzione su ogni passaggio dei processi autorizzativi alle imprese, contrastare la macchinosità e la lentezza della nostra burocrazia, l’arretratezza di infrastrutture, incentivare conoscenza, formazione, tecnologia, ricerca, innovazione di prodotto; portare avanti una seria lotta alla criminalità organizzata diffusa in certe aree del nostro Paese, migliorare il nostro sistema giudiziario lento.



6) È insensato e contraddittorio chiedere aumenti di produttività ai lavoratori per aumentare la crescita, come fa il governo Monti: 1)perché l’abbattimento dei salari non riesce ad accrescere la competitività dei Paesi periferici, dal momento che anche la Germania insiste con una politica di contenimento dei salari in rapporto alla produttività. Immaginare la possibilità di una cooperazione solidale europea e standard retributivi forse potrebbe aiutare a risolvere il problema. 2) perché dall'inizio degli anni '80 la produttività ha continuato a crescere mentre il salario reale è rimasto fermo (v. grafico prof. A. Bagnai), e lavoriamo in Italia circa 200 ore all’anno in più rispetto alla media europea (v. dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro OIL), con retribuzioni del 20 % inferiori, dunque non è il costo del lavoro la causa dell’abbassamento del costo del lavoro per unità di prodotto, semmai la causa è il prodotto, il cui valore è del 35% inferiore a quello che con lo stesso costo del lavoro riesce realizzare la Germania. 3)chiedere aumenti di produttività ai lavoratori si risolverebbe in maggiori licenziamenti e disoccupazione, dato che manca il consumo, la domanda di beni e servizi. Sarebbe più sensato invece ridurre l’orario di lavoro a parità di salario per aumentare gli occupati e redistribuire il reddito complessivo; detassare stipendi e pensioni per incentivare i consumi e quindi la crescita, o aumentare la domanda tramite un maggior ruolo della spesa pubblica. 4) le imprese anziché investire per rinnovare i macchinari e migliorare la tecnologia - dunque per aumentare la produttività – e innovare il prodotto, migliorare la ricerca e il processo produttivo, hanno preferito utilizzare la deregolamentazione del mercato del lavoro (precarietà) per comprimere il costo del lavoro, oppure dirottare i loro soldi verso la finanza e il mercato immobiliare, che garantiscono profitti più alti, È la Banca d’Italia a scrivere (aprile 2012) che la crescita della produttività del lavoro modesta è dipesa essenzialmente da un livello molto basso in investimenti in innovazione tecnologica per scelta poco perspicace delle aziende 6)conta il nanismo delle imprese nell’abbassamento della produttività, perché il valore aggiunto per addetto delle microimprese (che in Italia sono il 95% delle imprese), è pari a circa 25 mila euro l’anno, cioè metà di quello delle medie imprese e due volte e mezzo più basso di quelle grandi (60 mila euro).



7) Per la crescita è importante l’investimento diretto dello Stato nei nuovi settori emergenti e per le infrastrutture (finanziabile con tasse sui grandi patrimoni, sulle transazioni speculative, vera lotta all’evasione, riforma del sistema bancario ecc); conta il ruolo della Bce che potrebbe fare molto di più per la crescita e l’occupazione; pesano le privatizzazioni di alcuni rami dei servizi pubblici che hanno favorito lo spostamento degli investimenti dalla manifattura a quei rami dove possono essere chiesti prezzi da monopolio; conta un sistema universitario baronale che favorisce la fuga di cervelli; e infine i fondi per la ricerca, assolutamente inadeguati (la spesa in ricerca è ferma all'1,3% del pil, contro una media europea vicina al 2%) la cui stretta insensatamente persiste anche con questa spending review.



j) Il prof. Paul Krugman ricorda che gli Stati Uniti uscirono dalla Seconda guerra mondiale con un ingentissimo debito pubblico, che tuttavia non fu mai restituito: infatti il dopoguerra statunitense fu caratterizzato da uno sviluppo economico talmente esteso e accelerato da arrivare a rendere del tutto irrisorio (o, se si vuole, del tutto compatibile) il rapporto tra debito e PlL. La stessa Italia - come ha annotato un autorevole ex ministro di passati governi quale Paolo Savona - ha fatto registrare per anni ragguardevoli livelli del debito, senza che ciò abbia comportato il tracollo dei suoi conti. Dunque politiche governative dirette a stimolare la crescita e l’occupazione possono rendere sopportabili aumenti del debito assai superiori a quelli che oggi vengono ritenuti accettabili.



4) Il decreto della spending review avrà un effetto depressivo sull’economia: “La Stampa” ha pubblicato sabato 25 agosto uno studio effettuato nell’ambito del Fondo monetario internazionale. Secondo questo working paper del Fondo Monetario Internazionale scritto da Nicoletta Batini, Giovanni Callegari e Giovanni Melina, un taglio della spessa pubblica equivalente all’1% del PIL provoca una caduta del PIL dall’1,4% all’1,8%, mentre molto più modesti sarebbero gli effetti contrattivi durante un’espansione.



Anche Lawrence Summers, già ministro del Tesoro e consigliere economico della Casa Bianca, sul Financial Times del 30 aprile 2012 ricorda che il taglio della spesa pubblica ha un effetto distruttivo sul Pil pari a una volta e mezzo, cioè a ogni euro in meno di spesa pubblica corrisponde un euro e mezzo di contrazione del Pil, perchè la spesa pubblica rappresenta domanda per il sistema (ad esempio l’assunzione di nuovi docenti o personale medico genera un incremento nel reddito nazionale e quindi favorirà i consumi), e perciò ogni sua riduzione si ripercuote negativamente sull’intera economia (prof. G. Zezza). È stato quindi calcolato che a seguito della spending review avremo un’ ulteriore riduzione del PIL di circa altri 40 miliardi, rendendo ancora più squilibrato il nostro già pesante rapporto tra un Debito che continua a salire e un PIL che invece continua a contrarsi. La spesa pubblica finora è già strutturalmente diminuita di 103 miliardi di euro in tre anni (a cui si aggiungono oltre 50 miliardi da qui al 2014 se si considera l’effetto cumulato anche della Legge di Stabilità 2012 e del Salva-Italia. Siccome le uniche componenti a sostegno della domanda interna e della crescita potenziale sono rappresentate proprio dalla spesa pubblica corrente e dagli investimenti, peraltro già ridotti pesantemente nell'ultimo quinquennio, se viene tagliata ulteriormente la spesa pubblica, addio crescita!



L’idea che ogni forma di spesa pubblica sia un costo da contenere il più possibile è un’idea da liberismo selvaggio, che dimentica la ovvia verità che gli stipendi pagati dallo Stato, nonché gli acquisti di beni e servizi che effettua, sono tutti soldi che entrano nel circuito dell’economia al pari di ogni altra spesa, trasformandosi in domanda, crescita e occupazione. Così i nostri “tecnici” al governo, pur riempiendosi la bocca di crescita dalla mattina alla sera, lavorano alacremente contro di essa!



5) Nella cosiddetta “spending review” c’è ben poco in termini di contrasto alle spese superflue, lotta alla corruzione e agli sprechi che si annidano nel sistema di appalti, nelle esternalizzazioni improprie fatte solo per favorire gli amici, negli accreditamenti ai privati, negli stipendi d’oro dei dirigenti, nelle convenzioni e tariffe rimborsate (i DRG) ai privati, negli abusi di interventi chirurgici spesso non necessari, nelle consulenze d’oro (1,5 mld di euro!) magari pure in presenza di esuberi, nei privilegi della Casta politica e parlamentare, nelle spese militari e nelle assunzioni clientelari.



Quella del governo Monti non è una qualificazione bensì un taglio della spesa e tutto si riduce, come ha ammesso pure il Ministro dei rapporti con il Parlamento, “Dumbo” Giarda, ai “tagli lineari” di Tremontiana memoria:



1) Viene abbassato il tetto di spesa, che è sempre un taglio assolutamente lineare.



2) C’è un taglio lineare del 3,5% per la spesa “farmaceutica”, già sottoposta in questi anni a pesanti interventi, per cui si è passati dal 14% del 2008 all’11,35% del 2013 e, se continua così, ben presto saremo costretti a pagare i farmaci. Nessun intervento, invece, è stato previsto per ridurre la spesa reale all’origine, cioè esattamente dove si doveva lavorare ed in particolare sulle prescrizioni improprie, gli sprechi e le illegalità.



3) La riduzione dello standard di posti letto ospedalieri è un taglio lineare. La rete ospedaliera non può essere ulteriormente tagliata, semmai riconvertita e riqualificata nell’offerta, con garanzia dei servizi di emergenza-urgenza e l’apertura di servizi alternativi nel territorio.



4) è un taglio lineare la riduzione di spesa per il personale insegnante, collaboratori scolastici, precari, dipendenti pubblici, dipendenti di aziende di gestione e manutenzione di impianti e informatica in appalto pubblico, lavoratori delle società e multiservizi di tantissimi Enti locali.



5) È un taglio lineare la riduzione del 5% per acquisti di beni e servizi del sistema sanitario e la ricontrattazione degli appalti per prezzi di beni e servizi superiori del 20% a quanto disposto dall'Osservatorio per i contratti pubblici. È un provvedimento che colpisce a fondo il sistema pubblico fino a renderlo incapace di agire. Gli stessi tagli al capitolo “fornitura di beni e servizi” rischiano di produrre effetti negativi sia nella produzione dei beni, distruggendo valore industriale e ricerca, sia, come nel caso dei servizi sull'occupazione in un settore che impiega non meno di 500.000 lavoratori, con rischi per un 15% degli addetti o su quello delle condizioni retributive e contrattuali oltre che delle condizioni di lavoro delle tante persone addette



6) su altri beni e servizi, è previsto un taglio assolutamente lineare, non solo di difficile realizzazione ma che rischia di scaricarsi sui fornitori contrattualmente più deboli (per es. associazioni no profit, cooperative sociali ecc.) e di bloccare forniture necessarie



Dai “tecnici” ci si sarebbe aspettato uno sforzo di innovazione, tagli più mirati e oculati, non la solita ignobile e inutile macelleria sociale. A che è servito ingaggiare un consulente del Governo, pagato a peso d’oro?



La spending review rischia di distruggere un modello sociale che ha fondato i suoi architravi sull’universalità delle prestazioni, sull’inclusione e sulla tutela sociale; rischia di mettere in ginocchio il Paese sotto il profilo economico-sociale, dell’offerta formativa e di ricerca e della capacità dell’intervento pubblico di rispondere ai bisogni fondamentali della cittadinanza, perché avrà effetti disastrosi sui servizi ai cittadini, sul lavoro pubblico e sul lavoro precario, nonché sul restringimento dei perimetri e degli spazi pubblici, come pre-condizione per la completa liberalizzazione/privatizzazione delle attività pubbliche. È la fine del welfare, in ossequio alle direttive del Presidente della BCE Draghi, che il 24.02.2012 dichiarava al ‘Wall Street Journal’ che: “Il modello sociale europeo deve scomparire”. E infatti con questa spending review il governo Monti spalanca ancor di più le porte alla voracità e all’ingordigia dei capitali privati delle Banche d’affari (delle quali diversi membri del governo erano esponenti fino a qualche mese fa), a danno di settori delicatissimi come la sanità, la scuola (più di 10 milioni destinati ad Università non statali), i trasporti, sancendo il passaggio dal diritto universale al Bancomat.



Dopo la crisi del 1929 il governo tedesco guidato da Heinrich Brüning tagliò la spesa pubblica e produsse 5 milioni di disoccupati. Sappiamo come finì: dopo 4 anni, nel 1933 Hitler vinse le elezioni facendo leva sul sentimento contro le banche e dicendo che avrebbe avviato lavori pubblici per occupare tutti…



IN CONCLUSIONE


I problemi europei non derivano dalla dissipatezza fiscale dei Paesi periferici, da eccessive spese sociali, ma sono conseguenza del mercantilismo egemonista tedesco e dello scoppio delle bolle immobiliari alimentate dai flussi di capitali dai Paesi più forti verso Paesi periferici (Spagna, Irlanda). La crisi si è poi scaricata da lì sulle finanze pubbliche, e qui la BCE ha avuto una responsabilità precisa per il mancato intervento immediato a sostenerle facendo scendere lo spread, perché il debito pubblico non costituisce un problema con bassi tassi di interesse, che sono venuti a mancare per la sciagurata inazione della Bce. Come disse il prestigioso economista Federico Caffè, se una politica sbagliata viene condotta per lungo tempo è perché fa comodo a qualcuno. La BCE ha agito così per ubbidire al diktat dell’elite europea di eliminare, attraverso una crisi fiscale, welfare state e sindacati. Si è volutamente lasciata libera la speculazione per costringere i Paesi più in difficoltà, come Italia e Spagna, ad approvare tagli e misure antisociali senza precedenti. In questo senso vanno anche le decisioni del Presidente della BCE Draghi di sostenere in maniera illimitata i titoli di stato a breve (l’impegno italiano nell’Esm sarà di 120 miliardi di euro!), ma sottoponendo i Paesi che usufruiscono degli interventi anti-spread ad un Memorandum il quale si tradurrà in rigide politiche di austerità che si ripercuoteranno sull’economia reale, con tagli alla spesa sociale, attacco ai diritti dei lavoratori e privatizzazioni, una vera “cura che uccide il paziente!” (prof J. Stiglitz). E il Financial Times sembra non avere dubbi che l’Italia chiederà gli “aiuti” europei entro l’anno, delegando le politiche economiche al pesante commissariamento della troika BCE-UE-FMI, il che toglierebbe all’Italia ogni sovranità economica, rendendo impossibile cambiare politiche da parte di un nuovo governo di centrosinistra e quindi praticamente inutile votare alle elezioni. Lo stesso discorso vale per l’acquisto di emissioni da parte della BCE, che sarà a 1 o 2 anni appositamente per alleviare un po’ la situazione debitoria del Paese che beneficia di questo intervento ma lasciando alta la pressione sui governi affinché realizzino drastiche politiche antisociali. L’interpretazione falsa della crisi come crisi dovuta fondamentalmente alla spesa pubblica, è stata utilizzata (v. prof. P. Krugman) dalle classi dominanti dei Paesi periferici per colpire i diritti sociali formali e sostanziali e smantellare ciò che ancora rimane delle riforme realizzate negli anni ’70 a tutela dei lavoratori e, più in generale, della sicurezza sociale. Come ha scritto anche l’economista conservatore, il “Nobel” Mundell, “l'unione monetaria è lotta di classe con altri mezzi”. “currency union is class war by other means”.



Tutto ciò accade (v. prof. P. De Grauwe) tramite cessione di sovranità nazionale ad un sistema di Trattati e di Istituzioni non soltanto avulse, sostanzialmente, dall’ambito della rappresentanza democratica, ma addirittura dominanti su di essa, come la Banca Centrale Europea, la Commissione europea, il Consiglio Europeo, una vera e propria oligarchia che detta legge senza alcuna legittimazione democratica e prevarica la volontà dei popoli non essendo mai stata eletta da nessuno. E così in alcuni Paesi come l’Italia si fa strada l’idea del superamento della democrazia parlamentare per affermare invece il progetto di una nuova oligarchia fondata sulla cosiddetta “democrazia di competenza” in cui i soggetti politici avrebbero solo il compito di raccogliere il consenso popolare a favore dell’élite dominante, con un Parlamento utilizzato in funzione di mera ratifica.



Ci vorrebbe invece una politica in grado di prendere decisioni finalizzate ad un efficace cambiamento della situazione in senso democratico, progressista, trasparente, solidale ed egualitario; una politica che in particolare sappia organizzare una revisione della spesa in modo da farne un piano economico volto a riorganizzare il bilancio dello Stato per spostare risorse da certi settori ad altri, in grado così di sostenere la domanda effettiva.



Ci vorrebbero economisti in grado di comprendere il fallimento del neoliberismo e delle politiche di austerity; economisti che in particolare non considerino tutto ciò che è pubblico uno spreco di per sé, ed analizzassero invece la spesa pubblica come strumento indispensabile in tempo di crisi per la ripresa economica, la produzione di beni e servizi necessari per accrescere benessere, coesione sociale, occupazione e uno sviluppo equo e sostenibile.



Franco Pinerolo



giovedì 27 settembre 2012

Alba Mediterranea - 7 proposte per recuperare le 7 sovranità fondamentali popolari



Castello d'Irlanda - Dipinto di Franco Farina


Visioni?... Elucubrazioni?... Utopia?… Arcadia? Oppure un mondo possibile?



1 - Occorre precisare il concetto di “sviluppo sostenibile” e ridefinirne le caratteristiche che non solamente economiche, afferenti purtroppo alla teoria economica attualmente dominante poiché sono gli errori in essa contenuti che hanno determinato un approccio cannibalistico nei confronti dell’ambiente ed instaurando un consumismo “quantitativo” trapassando gradualmente nei decenni da beni relazionali quali convivialità, buonvicinato, reciprocità, amicizia, che non contribuiscono al Pil, ma cementano la società, ai beni emozionali, cioè gli acquisti “d’impulso” con cui crediamo di comprare la libertà, il rispetto, il consenso, la considerazione, l’autorevolezza, l’amore.
2 - Occorre abbandonare questa strada perversa in fondo alla quale c’è il baratro della dissoluzione, della barbarie….. del tracollo economico e sociale…..e cambiare radicalmente direzione, percorso, priorità, principi fra cui anche un diverso concetto di gestione economica .
3 - Occorre una più corretta distribuzione dei redditi, minor impatto demografico, minor inquinamento, minor pressione sul territorio e l’ambiente e sul versante opposto da una parte prolungare la vita dei beni, manufatti, apparati, rifiutando la logica dell’ “ultimo modello”, salvo che davvero con ciò non si compia un salto di qualità tecnologica di tipo copernicano, e contemporaneamente condurre uno stile di vita basato sul riutilizzo, riciclaggio, riconversione, recupero, ristrutturazione, riorganizzazione, bonifica, per arrivare alla fine (ma quanto prima) ad una migliore qualità della vita, dei servizi, dei prodotti.
4 - Occorre eliminare quanto più i percorsi ripetitivi, il pendolarismo, il viaggio sulle lunghe tratte di merci e di beni, accorciare le distanze tra produzione e consumo, sia in termini fisici che umani, vivere l’economia nel territorio, sviluppare e scambiare beni autoprodotti attraverso relazioni non mercantili all’interno dei gruppi, quartieri, paesi, riportando il mercato alla logica di produrre solo merci che saranno vendute …. nella consapevolezza che il mercato non può essere eliminato, ma, allo stesso tempo, non è il monopolistico ed univoco luogo dove soddisfare le proprie necessità, tutto ciò ottenuto utilizzando tecnologie che riducano il consumo di risorse naturali, preferendo l’innovazione volta al risparmio invece che quella rivolta all’esaltazione delle prestazioni.
5 - Occorre ridisegnare le città a misura d’uomo, riconvertendo la massima attenzione alla priorità del “vicinato”, della “Piazza”, dello “Struscio”, insomma di vivere la città come fosse (e deve essere) casa propria tra i singoli individui e tra gli individui e il “loro proprio” habitat, in modo che non abbiano più a verificarsi fenomeni di solitudine, di abbandono, e di isolamento affettivo e relazionale e viceversa si ricompongano quei sentimenti di appartenenza ad un gruppo, di partecipazione, di presa di coscienza ed assunzione di responsabilità verso la cosa pubblica.

6 - Occorre ridefinire i concetti di “urbanizzazione”, “vita sociale”, “partecipazione”, “solidarietà”, “produttività” “consumismo” “soddisfazione”, “benessere” “felicità”….. e per fare ciò insegnare che, come si è fatto finora, delegando i propri diritti ed il proprio potere si crea accumulazione in poche mani del potere di tutti e rifiutando la partecipazione alla vita “politica” si rinuncia al primo bene dell’individuo che è “l’autodeterminazione” alla propria individualità e a tutti i concetti succitati che da questa derivano, e quindi la strada da seguire è antitetica all’attuale regime.
7 - Occorre progettare una società che sia sostenibile energeticamente, in un’economica non globalizzata che non divori il capitale sociale e ambientale locale, questo contemporaneamente ad una rivisitazione politico – economica e la riappropriazione dei saperi e specificità della comunità locali, sfruttando le diversità locali, il nuovo secolo dovrà approdare alla pianificazione della città sostenibile, rivitalizzare il tessuto economico locale nella solidarieità sociale, passando alla partecipazione attiva alle decisioni da parte dei cittadini … e quindi - agricoltura multifunzionale a circuiti, ed ecologica, comunità rurali - bilanci partecipativi - distretti etici e reti di consumo critico.


Così facendo si riacquisteranno le sovranità fondamentali:
1) monetaria, finanziaria, economica;
2) culturale, formativa, informativa;
3) alimentare, energetica, industriale;
4) etnica, politica, territoriale;
5) giudiziaria;

6) terapeutica, sanitaria, chimico/farmaceutica).

7) religiosa ed etica

Orazio Fergnani - Alba Mediterranea
Via Baccanello, 16 - 00060 Formello (Roma)
E-Mail : oraziofergnani@tiscali.it

mercoledì 26 settembre 2012

Antroposofia di Rudolf Steiner e quel colpo di testa che servirebbe....






Sia detto per celia, ma per come vanno le cose in politica, e con la prospettiva poco allettante delle prossime elezioni, opteremmo per il colpo di Stato. Stiamo "scherzando", ovviamente, facciamo tanto per dire. State tranquilli, non vogliamo i colonnelli. Però, tanto per dire, non ci dispiacerebbe una soluzione golpista come quella che tentò un tale Guglielmo Longo ai tempi del regime fascista. Almeno per come la racconta Massimo Scaligero nel suo saggio autobiografico "Dallo yoga alla Rosacroce" (appena ripubblicato dalle Edizioni Mediterranee, a quarant’anni dalla prima edizione).

Scaligero lasciò le sue spoglie mortali nel 1980, ultrasettantenne; figura volutamente lontana dalla "cultura" ufficiale e dalle passerelle dei nomi noti, fu pensatore, esoterista, saggista (dagli oltre venti titoli) e giornalista. Seguace e continuatore dell’antroposofo Rudolf Steiner, elaborò un sistema di meditazione adatto all’uomo occidentale contemporaneo. Non è però di meditazione che vogliamo parlare, non renderemmo buon servizio a Scaligero spiegando in poche righe il suo pensiero; chi è interessato può andare a leggersi le suo opere. Invece l’aneddoto storico, l’avventura del signor Guglielmo Longo raccontata da Scaligero, merita attenzione in questa sede. Quantomeno come spunto.

Longo aveva combattuto la prima guerra mondiale fra gli Arditi. Un "simpatico scavezzacollo", un poeta e un compagnone dalla "sonora risata". Ebbene, un giorno Longo annunciò a Scaligero (dal quale aveva assorbito un po’ rozzamente alcuni insegnamenti spirituali) che aveva architettato un colpo di Stato: scioglimento del Partito Fascista, prepensionamento di Mussolini, instaurazione di un regime basato sulla "triarticolazione dell’organismo sociale", ovvero sulle proposte di Steiner. Quest’ultimo è poco considerato da sociologi, filosofi ed economisti dentro e fuori le accademie, per il comprensibile scoglio di una visione del mondo fortemente spirituale. È però confortante che un nome del calibro di Geminello Alvi, non semplice economista ma pensatore eclettico e spregiudicato, citi e lodi spesso la "triarticolazione" steineriana nelle sue opere. Ricordarci inoltre che in fondo si tratta della distinzione fra le tre sfere dell’agire umano tipiche della tradizione indoeuropea (ben studiate da Georges Dumézil), ripensate per la civiltà moderna.

In sintesi, gli indoeuropei (indù, persiani, antichi greci, romani e vichinghi) e Steiner suggeriscono di restituire piena autonomia alla produzione e distribuzione di beni, alla politica intesa come scienza del Diritto e alla dimensione intellettuale e culturale. Ognuno di questi ambiti dovrebbe essere padrone in casa sua. Insomma, occorre immaginare una civiltà in cui l’economia non è controllata dallo Stato, ma nemmeno le sorti della politica dipendono dagli andamenti dei mercati. E scuole, ospedali, chiese, case editrici, università, laboratori scientifici e artistici, pensatoi vari sono liberi da condizionamenti statali o di portafoglio.

Certo, le tre sfere non devono diventare monadi isolate e indifferenti alle sorti delle altre; solo la circolazione di stimoli fra di loro permette la vita e la salute della società. Solo il libero scambio, appunto libero. Come libero dovrebbe essere per ogni cittadino il passaggio da una sfera all’altra, che non sono caste chiuse e rigide. Ci pare pleonastico aggiungere che non è prevista la schiavitù (non si può dire lo stesso del capitalismo globalizzato o del neo-comunismo cinese), semmai delle corporazioni, nel senso nobile e solidale della parola.

Sembra roba seria, la teoria sociale di Steiner, di buon senso, per nulla ideologica, anzi libertaria e al contempo organica. Né di destra né di sinistra. Nemmeno c’è bisogno di essere antroposofi per prenderla in considerazione. Ambienti dell’Impero Austro-Ungarico, ad esempio, ci fecero più di un pensierino, ma la catastrofe del 1918 buttò tutto all’aria.

E il tentativo di Longo? Scaligero non si interessava di politica, si considerava "il contrario di quel che è un uomo politico". Non diede troppo spago all’ex ardito, più che altro si assicurò che l’esclusione della violenza fosse un punto fermo dell’impresa. Poiché Longo sosteneva di aver coinvolto "personaggi chiave della cultura e delle forza armate", Scaligero gli chiese comunque di tenerlo aggiornato. Alla fine il golpe steineriano rimase "inceppato nella più volgare delle difficoltà: quella dei mezzi finanziari". Abbandonato da tutti, Longo scelse di percorrere una via solitaria al regime-change. Gli andò male e finì in galera. Noi non vogliamo seguire il suo destino, non abbiamo in mente colpi di Stato stiamo scherzando, tanto per dire.

Però chiudiamo con altro aneddoto storico, non raccontato da Scaligero ma altrove dallo scrittore Fabio Tombari. Anch’esso antroposofo, però amico personale di Mussolini, gli consigliò la lettura de "I punti fondamentali della questione sociale", l’opera in cui Steiner spiega la "triarticolazione" Erano i giorni drammatici di Salò, il Duce pare gli rispose: "L’Italia brucia, abbiamo le ore contate e con tutto quello che c’è da fare mi dai da leggere un libro!". Invece il libro lo lesse, se dobbiamo fidarci di Tombari; qualche giorno dopo l’uomo di Predappio ammise che in quelle pagine aveva trovato "la risposta che tanto ho cercato per tutta la vita". Per lui e per il fascismo era troppo tardi. Noi, invece, quanto tempo abbiamo?   Luca Negri
(Fonte: L'Occidentale)


martedì 25 settembre 2012

Guernica o lamento per Joselito? Mito e verità sul famoso dipinto di Pablo Picasso




Guernica, il celebre dipinto di Pablo Picasso, è un quadro riciclato. Fu infatti realizzato dall’artista molti anni prima del bombardamento tedesco della cittadina basca durante la guerra civile spagnola (1936-39).


Come tutti gli spagnoli, Picasso amava le corride e, rimasto colpito dalla morte del famoso torero Joselito, suo beniamino, decise di dedicargli un dipinto. Così alcuni anni dopo realizzò una grande tela gremita di figure tragicamente atteggiate, tra cui un toro decapitato e un cavallo sventrato (quello del matador), che titolò per l'appunto "Lamento en muerte del torero Joselito".


Nel 1937, in piena guerra civile, il governo repubblicano-comunista, di cui Picasso era un fervente sostenitore, gli commissionò un quadro per ricordare, o meglio enfatizzare, le conseguenze del bombardamento tedesco avvenuto nei pressi della cittadina Basca di Guernica da esibire all'Esposizione Universale di Parigi prevista per l'anno dopo. Così il nostro artista riesumò il dipinto dedicato al torero e, apportati alcuni aggiustamenti, lo ribattezzò "Guernica" e lo cedette al governo alla modica cifra di 300.000 pesetas dell'epoca. Qualcosa come un milione degli attuali euro.


In quegli anni di guerra civile, di morte e distruzione, le popolazioni pativano la fame e il nostro uomo, icona della sinistra proletaria, non ebbe scrupoli a intascare quella enorme somma che contribuì a fare di lui uno degli artisti più ricchi della storia.


Da allora il celebre dipinto è diventato il simbolo per eccellenza della protesta dell'umanità contro la barbarie, tale da meritarsi una sala tutta per sé al Metropolitan Museum di New York dove migliaia di "pellegrini" per anni sono sfilati in religioso silenzio, ignari o consapevoli di trovarsi di fronte ad un evidente falso storico che ha fatto ricco il suo autore.


Altro falso storico è la vicenda che ha ispirato il quadro, ossia il bombardamento di Guernica. Secondo certa storiografia faziosa la cittadina Basca, il 26 aprile del 1937, fu rasa al suolo da un violento attacco dell’aviazione tedesca che voleva sperimentare nuovi aerei e nuove tecniche di bombardamento. Per puro sadismo i nazisti, che sostenevano il fronte monarchico del generale Franco contro quello repubblicano appoggiato da Stalin, decisero di effettuare l’azione di lunedì, giorno di mercato. La conseguenza di questo vile attacco su una pacifica e indifesa cittadina fu di 1654 morti e 889 feriti, in massima parte civili.


Questa tesi, ancora oggi propagandata e riportata addirittura nei libri di testo, è stato smentita nel 2003 da un imponente volume di 600 pagine dal titolo “Los mitos de la Guerra Civil”, in cui lo storico Pio Moa, già militante nel Partito comunista spagnolo, ricostruisce con assoluto rigore la controversa vicenda.


Recentemente il giornalista Rai Stefano Mensurati nel suo documentatissimo libro “Il bombardamento di Guernica", sfata definitivamente il mito di una cittadina immersa in un'atmosfera bucolica, colta di sorpresa e attaccata senza motivo e in maniera selvaggia.


Guernica era in realtà un obiettivo militare. Distante una ventina di chilometri dal fronte, era sede di due fabbriche di armamenti, di un nodo ferroviario cruciale per i rifornimenti e di un ponte indispensabile ai repubblicani per ripiegare in difesa di Bilbao. Era presidiata da un contingente di 2.000 uomini e protetta da un sistema di batterie contraeree. Numerosi rifugi erano stati predisposti in previsione di possibili attacchi dall’alto.


Ad effettuare l’incursione furono, quel 26 aprile del ’37, alcuni bombardieri tedeschi affiancati da una quindicina di velivoli italiani. L’obiettivo era il ponte di Renterìa, sul fiume Oca, che doveva essere distrutto per ostacolare il transito delle truppe repubblicane. Inevitabilmente (non c’erano ancora le bombe intelligenti) alcuni ordigni caddero nel centro abitato, infatti su 39 crateri individuati dalla ricognizione aerea, solo 7 risultano nell’abitato. I morti realmente accertati furono 126 e i feriti una trentina, numeri ben distanti da quelli propagandati. Le due fabbriche di armi, poco distanti dall’abitato, non furono neanche sfiorate dagli ordigni (se fossero state colpite il numero di vittime sarebbe stato molto maggiore) segno che l’obbiettivo non era il paese e né tantomeno i suoi abitanti.


Altra interpretazione truffaldina riguarda le famose fotografie che ci mostrano una città semidistrutta. Fu invece appurato che furono proprio i miliziani anarchici, durante la loro ritirata, a far saltare con la dinamite, di cui disponevano in abbondanza (siamo nelle Asturie, terra di miniere) gran parte degli edifici per ostacolare l’avanzata delle truppe franchiste, il fuoco delle abitazioni in legno fece il resto. La stessa tecnica fu poi adottata dai sovietici durante l’invasione tedesca della Russia.

 

Un aspetto sconcertante riguarda la presunta crudeltà dei tedeschi che per infierire sulla popolazione civile, dicono gli storici partigiani, decisero di effettuare l’incursione di lunedì, giorno di mercato. Tesi completamente falsa perché il mercato (che fra l’altro quel giorno era stato soppresso) terminava a mezzogiorno, mentre l’azione italo-tedesca si svolse a partire dalle 16 e 15.


Come si è giunti a uno stravolgimento dei fatti così clamoroso lo possiamo comprendere leggendo la cronaca di quei giorni attraverso l’unico corrispondente di guerra presente che, come a volte avviene ancora oggi, seguiva gli avvenimenti bellici da una comoda stanza d’albergo a debita distanza dal fronte. Si tratta dell’inglese George L. Steer il quale lavorando di fantasia, venuto a sapere che il lunedì era giorno di mercato, scrisse da Bilbao la cronaca degli avvenimenti descrivendo le inermi massaie e i vecchi contadini morti sotto le bombe tedesche e il mitragliamento a volo radente. Peccato che quel giorno il mercato non si tenne.


Tuttavia, nonostante si capi fin da subito che la corrispondenza non era il resoconto oculare, ma il parto di una mente fantasiosa, la cosa venne accetta come vera. Il motivo è semplice: faceva comodo sia alla propaganda comunista per coprire le malefatte dei rossi ai danni dei cattolici perseguitati e massacrati a migliaia, sia a quella del governo britannico impegnato a convincere l’opinione pubblica della necessità di sostenere le ingenti spese per il riamo al fine di fronteggiare il potenziale bellico che i tedeschi hanno dimostrato di possedere a Guernica, anche se a essere impiegati erano dei normalissimi apparecchi come il trimotore Junkers-Ju-52 e non certo i modernissimi Stukas.


Scorrendo su internet è sorprendente notare come questo duplice falso storico (il quadro milionario riciclato di Picasso e la ricostruzione artefatta del bombardamento di Guernica) sia invece comunemente accettato come verità assoluta. Evidentemente certi miti che hanno fatto la fortuna (è il caso di dirlo) di qualcuno e di una parte politica a corto di idee, non si toccano. La verità può attendere.


Chissà se a qualche artista contemporaneo un giorno verrà in mente di dipingere un quadro per ricordare i bombardamenti terroristici alleati sulle città italiane e tedesche sul finire della guerra, le bombe atomiche sul Giappone prossimo alla resa, il napalm sui villaggi vietnamiti e gli ordigni al fosforo che fecero strage di civili a Falluja in Iraq? E chissà se esiste un governo disposto a sborsare un milione di euro per acquistarlo, come avvenne per il fortunato quadro di Picasso? Mah.


Gianfredo Ruggiero

lunedì 24 settembre 2012

Notizie dal fronte bioregionale: "7 ottobre 2012, Bergamo Alta per la Civiltà Contadina"


“Caro Paolo D'Arpini,


si, non ti invio la solita paginetta, ho dovuto correggere, per A rivista anarchica, le bozze del pezzo, lungo, "i semi della discordia", ho un pc piuttosto vecchio e ci ho messo parecchio , ne valeva la pena, il pezzo uscirà in novembre.

Saremo nel pieno della campagna contro la Ue e scherani associati, saremo nel pieno del lancio del manifesto per una nuova agricoltura contadina che avverrà durante il Festival del cibo a Milano, "Kuminda" puoi già ricercare in rete. Io sarò là e sarò, ovviamente a Genuino clandestino e il giorno dopo, puoi annunciarlo, te ne prego,

dunque ecco il comunicato stampa:

"Domenica 7 ottobre 2012 a Bergamo, città alta, presso la Sala Viscontea adiacente alla Torre di Adalberto, organizzata da Civiltà Contadina, gruppo cittadino, si terrà una giornata di riflessioni ed incontri. Tra gli altri, nel pomeriggio alle ore 14.30 interverrà l'esponente della Rete Bioregionale Teodoro Margarita sul tema "Il seme scrigno prezioso ed intangibile di vita".

Ecco, quà, le chiamano "marchette" ma servono pure queste, chissà che qualche bioregionalista bergamasco o Lombardo non voglia venire a conoscermi.

Un abbraccio e buona serata.

Serà dura, sarà dura, lotta dura contro chi manipola frutta e verdura!

Teodoro Margarita

domenica 23 settembre 2012

Cisnal, UGL, Polverini, Berlusconi.... La scaletta del degrado sociale e politico

Attenti a quei due, ci hanno la rogna!


Di solito non mi va di occuparmi di scandaletti politico-amministrativi di livello locale, soprattutto se trattasi di battibecchi utili  all'aggiustamento delle poltrone. Ma sentire Renata Polverini, attuale presidente della Regione Lazio, giustificarsi per le "spese pazze" e gli ammanchi di cui in questi giorni è stata accusata con le parole "allora andate a guardare quel che ha fatto Marrazzo..." (che era il suo predecessore), volendo significare  "inutile criticare.. perchè qui il più pulito ci ha la rogna", mi ha convinto ad intervenire....  

Renata ha liquidato con la scusa della "rogna" le richieste di sue dimissioni avanzate dalle opposizioni, supportata in ciò dal diretto intervento del suo patron -il cavaliere di Arcore- il quale l'ha giustificata e sorretta, preparandosi egli a ricandidarsi premier o almeno presidente della repubblica. Così da  sancire che questa nostra repubblica  è  una cosa in cui tra pubblico e privato non vi è alcuna differenza.  Ed infatti è vero, inutile cercare di  ricondurre l'amministrazione pubblica verso una decenza... Tutti coloro che si dedicano al "pubblico" sono  dei gran magnaccia e come dice Polverini: il più pulito ci ha la rogna...!

Ma ricordo allorchè venne eletta la Polverini, ed io ero ancora abitante nel Lazio, che essa si presentava come una sorta di salvatrice, una specia di Lech Walesa in gonnella che combatteva contro le orde rosse per riportare il Lazio verso la "giustizia sociale".. e ciò proprio in seguito al fatto che la nostra "eroina" era una rappresentante sindacale "di destra"....

Oggi giorno le rappresentanze sindacali hanno ormai perso ogni significato.. abbiamo visto chiaramente come persino la CGIL si è allineata a favore del padronato e delle banche (per salvare il mercato), non c'è quindi da meravigliarsi se la Polverini sia persino andata un po' più in là, facendosi essa stessa "padronato e banca"....

Degli eventi miserandi alla Regione Lazio se ne stanno occupando un po' tutti i media, e non solo quelli al servizio del padrone, ma anche quelli fuori dal coro, come il Fatto Quotidiano e sopattutto Rinascita, che scavano nell’operato di Polverini e Cetica partendo dai tempi dell’Ugl. Nella sostanza, però, non c’è molto di nuovo (se non ulteriori particolari) rispetto a quanto già pubblicato oltre due anni fa da Rinascita a firma Giannino Stoppani. E’ chiaro che anche il giornalista del Fatto (come a suo tempo quello di Rinascita) ha davanti a se il documento famoso del 2000, le cui copie, evidentemente, non sono poi andate tutte distrutte.


E quelle "informazioni" sono cosa nota, per chi è del mestiere.... Solo degli ingenui o degli “approfittatori” potevano credere nella UGL. Questo pseudo sindacato è il diretto erede della CISNAL di missina memoria.Ecco  cosa  racconta al proposito Maurizio Barozzi:  "Ricordo perfettamente la CISNAL di Roberti, negli anni ’60, un minuscolo sindacato che non poteva neppure definirsi un sindacato giallo, tanto che era una vera e propria associazione, più che altro sulla carta, al servizio del padronato.  Qui a Roma in genere era al servizio di qualche palazzinaro, che definitosi sui generis “camerata”, si avvaleva di questi farabutti per contenere i sindacati rossi. Al di là che la CGIL soprattutto, era un sindacato cinghia di trasmissione del PCI e quindi a questo funzionale, resta il fatto che, in quegli anni, i lavoratori dell’Edilizia avevano giuste e necessarie esigenze, dalle misure di sicurezza sul lavoro, alle mense, agli orari, agli indumenti di lavoro, ecc., tutte cose che negli anni ’60 il padronato non forniva di certo e gli squali dell’edilizia pensavano solo ad arricchirsi. Ho lavorato 15 anni nell’Edilizia e queste cose le conosco bene.
Ed invece la CISNAL, che poi come associazione di lavoratori era inesistente e i suoi iscritti, almeno a Roma, erano in genere picchiatori, fannulloni e sottoproletari delle sezioni missine, arrivavano, chiamati dai padroni,  nei cantieri  con la scusa dell’anticomunismo a creare disordini"

Infine il MSI   è deceduto ma i suoi epigoni, storiche ruote di scorta della Democrazia Cristiana, gettando la maschera  hanno avuto la possibilità di mettere le loro manacce in qualche sfera di potere, vedasi la Renata Polverini,  dietro la destra berlusconiana, e la CISNAL si è trasformata in UGL.

E la campagna romana è tornata opimo pascolo per armenti...

Paolo D'Arpini

sabato 22 settembre 2012

Film blasfemo contro il profeta - Un gioco di sponda fra alcune frange dei Servizi Segreti americani e l’Intelligence israeliana?



Conversazione con Aldo Giannuli – ricercatore di Storia Contemporanea presso l’Università degli Studi di Milano; consulente delle Procure di Milano (strage di piazza Fontana), Pavia, Brescia (strage di piazza della Loggia), Roma e Palermo, nonché della Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle Stragi (1994-2001); esperto  di Servizi Segreti – sugli ultimi sviluppi in Nordafrica e in Medio Oriente, con particolare attenzione agli aspetti che sembrano suggerire, nella vicenda che riguarda la diffusione web del film blasfemo sulla figura del Profeta Maometto, l’ipotesi di un’operazione di Intelligence.



Domanda:

Nella misteriosa vicenda che riguarda il film blasfemo sul Profeta Maometto, le cose che non tornanosono parecchie. La sensazione che si sia cercato di provocare una reazione a tutti i costi è forte…



Risposta:

Camilleri definirebbe l’autore di questo film ‘mastro d’opra fina’. Come prodotto artistico è una schifezza irripetibile, ma come operazione di guerra psicologica è assolutamente impeccabile, da manuale direi.



Domanda:

Stando alla versione ufficiale, dietro a questo film ci sarebbero unicamente tre copti di origine egiziana – Nakoula Basseley Nakoula, Nasrallah Abdelmasih e Morris Sadek. Le sembra un’ipotesi credibile?



Risposta:

Non diciamo cazzate.  Per com’è stata concepita e per la raffinatissima sensibilità psicologica dimostrata, si tratta quasi certamente di un’operazione da Servizi Segreti. Quei tre cretini dovrebbero innanzitutto spiegare dove hanno trovato i soldi per fare questo film; ma, in ogni caso, se io – insieme a dieci amici – trovassi dei soldi per girare un cortometraggio con l’obiettivo di prendere a pesci in faccia l’Islam, potrei pure metterlo su YouTube ma non è che automaticamente tutti se ne accorgerebbero. Se aspettassi il passaparola, forse in cinque anni… Se una cosa del genere scoppia in modo così repentino, significa che qualcuno, oltre ad averci messo dei soldi, ha organizzato alla perfezione il lancio del film via web proprio allo scopo di ottenere un’eco mediatica come quella che abbiamo visto.


Domanda:

Pare che il film fosse in rete già dallo scorso giugno e che solo con la comparsa – circa due settimane fa – di una versione sottotitolata in arabo si sia giunti allo scoppio, decisamente repentino, di questa crisi. Strano, se si pensa che in Paesi come la Libia e lo Yemen l’alfabetizzazione si attesta intorno al 50%…


Risposta:

Cerchiamo di capire, innanzitutto, chi ci guadagna. Non può non colpire la coincidenza fra questa crisi e l’avvicinarsi della possibile azione militare israeliana contro l’Iran. Diciamo che la ‘minestra’ era preparata da un po’. Se è vero che il film era stato caricato su YouTube già lo scorso giugno, probabilmente questa cosa era ‘in viaggio’ già dalla scorsa primavera, se non addirittura da prima. Qualche tempo tecnico per preparare questa porcheria ci sarà pure voluto…

Domanda:

Tra l’altro pare che questo misterioso produttore, Nakoula, si sia recato in Egitto alla ricerca di fondi. Sarà un caso, ma la presenza dei Servizi Segreti israeliani in Egitto è un fatto assodato…

Risposta:

Si può dire che lì stiano di casa… L’interesse è chiaramente di chi auspica una frattura fra il Mondo islamico e l’Occidente. È per questo che mi viene da pensare più agli israeliani che agli americani. Questi ultimi puntano, semmai, più a una rottura fra l’Iran e il Mondo arabo, giocando – con l’appoggio dell’Arabia Saudita – sul crinale sunniti-sciiti. Qui invece l’operazione ha mirato a spostare la spaccatura sulla contrapposizione Occidente-Islam: l’intento è inequivocabilmente quello di impedire un ponte col mondo islamico. Per quanto possa sembrare paradossale, gli israeliani sono più interessati a un Medio Oriente fondamentalista che non a un Medio Oriente che evolva verso forme di democrazia più o meno simili a quelle occidentali. In un Medio Oriente tendenzialmente filo-occidentale, democratizzato e secolarizzato, infatti, Israele perderebbe gran parte della sua ragione d’essere.

Domanda:

Quando parla di un coinvolgimento israeliano in questa vicenda, a chi si riferisce?

Risposta:

Parlare di Israele in toto sarebbe un errore. Ho in mente alcuni circoli di destra che, per esempio, non vogliono saperne di alcun processo di distensione coi palestinesi e che premono per un’operazione in Iran. Consideriamo poi un altro fatto: la destra israeliana non ama Obama. Non le sembra strano che questa crisi in Nordafrica e in Medio Oriente sia scoppiata a poco più di un mese dalle Presidenziali americane? Di colpo Obama si è trovato tra le mani, oltre a un Ambasciatore ucciso in un modo a dir poco atroce, una situazione delicatissima: se non reagisce trasmette un’immagine di debolezza, ma può forse reagire bombardando a cuor leggero le città di un Paese che lui stesso ha contribuito a liberare da una dittatura?

Domanda:

Eppure, stando ai primi sondaggi, sembra che Romney non abbia guadagnato terreno su Obama in questa fase. Anzi, sembra che ci stia addirittura rimettendo…

Risposta:

Romney ci sta rimettendo perché è un inetto. Però, obiettivamente, lo ‘scherzo’ a Obama non è stato carino…

Domanda:

In questa operazione, secondo lei, quali altri attori potrebbero essere in gioco?


Risposta:

Io non escluderei l’ipotesi di una ‘manina’ americana riconducibile a quei settori legati ai petrolieri. L’idea che abbiano dato una mano o che siano essi stessi i ‘committenti’ non è campata per aria. Non vedo, viceversa, la possibilità di coinvolgimenti di altri Servizi Segreti. Nessun Servizio europeo, in un momento di crisi come questo, si prenderebbe la briga di far scoppiare un simile caos. I cinesi? Che interesse vuole che abbiano… I russi? Quelli hanno già tanti problemi coi ceceni e la creazione del nemico americano è roba da URSS, non da Russia di Putin… Gli iraniani…?

Domanda:

Trova così improbabile l’ipotesi di un coinvolgimento dei Servizi Segreti iraniani? In effetti, questa crisi sembra aver ricompattato l’opinione pubblica musulmana contro il comune nemico americano, indipendentemente dalle divisioni fra sunniti e sciiti…

Risposta:

Sì, è vero. Ma un’operazione simile, a tre settimane da un possibile attacco israeliano in Iran, non avrebbe alcun senso. Il tempismo fa pensare agli israeliani, non agli iraniani.

Domanda:

Ha in mente altre possibili ‘regie’?


Risposta:

Si potrebbe anche pensare a un’operazione dei Fratelli Musulmani egiziani organizzata per mettere in crisi l’Esercito e per mobilitare le masse verso un fondamentalismo religioso lontano da uno sbocco di tipo democratico-occidentale. Ma è un’ipotesi poco probabile…

Domanda:

La ‘pista egiziana’ non la convince?

Risposta:

Non è una pista campata per aria, intendiamoci. Tuttavia, i Servizi Segreti egiziani – i cosiddetti Mukhabarat – sono roba seria e, a quanto ne so io, sono controllati dall’Esercito. Se i Fratelli Musulmani si fossero mossi in questo senso (e dubito che siano così ‘raffinati’), i Mukhabarat l’avrebbero scoperto e, a quel punto, l’obiettivo dell’operazione sarebbe stato chiarissimo. Il piano, le garantisco, non sarebbe andato in porto.
Domanda:

Un gioco di sponda fra alcune frange dei Servizi Segreti americani e l’Intelligence israeliana legata alla destra, dunque?

Risposta:

È sicuramente un’ipotesi molto più convincente.

Domanda:

Quando parla di Servizi Segreti israeliani a chi allude?


Risposta:

È sbagliato pensare necessariamente al Mossad. Esistono altri Servizi, come quello dell’Esercito, decisamente più ‘cattivelli’. A confronto, quelli del Mossad sono i ‘buoni’ (quant’è difficile usare quest’espressione…). È l’Esercito che in questa storia ha un interesse maggiore a mantenere una tensione permanente, in modo da restare un’istituzione intoccabile. Fino a quando permarrà una situazione d’emergenza, infatti, l’Esercito potrà fare ciò che vuole.

Domanda:

Torniamo ai tre copti che avrebbero prodotto il film blasfemo su Maometto. È probabile che siano stati usati e che non abbiano la minima idea di chi siano in realtà le persone per cui stanno lavorando?


Risposta:

Quando dico che il regista di questa operazione è ‘mastro d’opra fina’ penso anche alla scelta della ‘faccia’. Tra tutti i possibili ‘candidati’ chi si è deciso di usare per un’operazione di questo tipo? Tre copti. Così magari ci scappa pure un bel massacro dei cristiani in Egitto. Ulteriore motivo per poter dire: «Guardate i musulmani che carogne che sono»… Probabilmente si tratta di tre imbecilli reclutati per l’occasione. Qualcuno avrà detto loro: «Facciamo una cosa contro Maometto» e quelli ci sono cascati in pieno. Se si fosse voluto creare un caos simile in Turchia, a metterci la faccia sarebbero stati sicuramente tre armeni… Sotto questo punto di vista, ripeto, è stata un’operazione perfetta.


Domanda:

Colpisce anche un altro fatto, tralasciato dai più. Si parla di rivolte in tutto il mondo islamico, eppure nella Penisola Arabica – ad eccezione dello Yemen – sembra che non stia succedendo niente. In Arabia Saudita, in Qatar, negli Emirati Arabi Uniti e in Oman nessuno si muove in difesa del Profeta…?

Risposta:

Questo ha colpito anche me. Tuttavia, l’Arabia Saudita è un Paese poco popoloso, molto più controllato anche per ciò che riguarda Internet e colpito solo in misura ridottissima dalla Primavera Araba, mentre Qatar ed Emirati sono Paesi ad alto reddito. In più, non dimentichiamo che in quella zona ci sono le basi americane… Diciamo che le condizioni e gli interessi per tenere sotto controllo la cosa ci sono. È la dimostrazione di un fatto: se non si crea un ‘ponte’, la notizia non passa. A colpirmi è anche un altro fatto: a muoversi maggiormente sono stati, guarda caso, i Paesi colpiti dalla Primavera. L’impressione è che si tratti proprio di un’operazione mirata…


Video trailer

http://www.youtube.com/watch?v=2Tl9GbNk_gY&feature=player_embedded



Fonte

http://www.iconicon.it/blog/2012/09/la-verita-choc-sul-film-blasfemo-%E2%80%9Cgirato-dai-servizi-segreti-israeliani%E2%80%9D/

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Casimiro Corsi




L'economia attuale e' composta da persone che lavorano a ritmi folli per poter produrre cose per lo piu' inutili e altri che lavorano a ritmi spaventosi per potrer comprare queste cose. Tutto questo da solo soldi alle multinazionali ma non da felicita' alla gente.

T TERZANI


Per indicare l'attuale sistema di potere molti studiosi utilizzano la parola "oligarchia" o la definizione "élite egemone". In realtà la parola esatta sarebbe il neologismo "stegocrazia", parola che deriva dal greco stégos, che significa "tetto, coperchio" (che nasconde) o stèganos (nascosto), e kratos (da kratéo, comandare, governare). Ossia "mi nascondo ma esercito il potere".


Non c'è nessuna ragione perché il denaro, ossia la moneta a corso legale in un dato paese, benché non sia di per se stesso una ricchezza - essendo soltanto un mezzo per facilitare gli scambi interni e un mezzo per misurare i prezzi - non venga messo in circolazione abbondantemente e cioè con elasticità, in una misura del tutto adeguata all'intensità degli scambi dei beni in produzione e in richiesta generale.


J. Barnes in Giustizia sociale