Recentemente la Società Geografica Italiana1, la più antica istituzione di ricerca territoriale del nostro Paese, ha presentato una proposta2 di ripartizione territoriale dell’Italia che prevede la sostituzione delle attuali Regioni con 36 dipartimenti regionali e la soppressione di tutte le provincie.
Il riordino territoriale proposto non parte da un raggruppamento delle province ma da un’aggregazione intercomunale basata su nuovi assets quali la competitività, la sostenibilità ambientale e l’innovazione socio-culturale.
Un progetto questo che tiene conto anche delle aree aggregabili in ordine a delimitazioni fisico-funzionali del territorio – come ad esempio aree residenziali, produttive, turistiche -, del capitale relazionale e sociale, delle reti di connessione, ovvero l’accessibilità fra dipartimenti dal punto di vista delle infrastrutture.
Secondo quanto affermato dalla Società Geografica Italiana, queste “nuove regioni” saranno il più possibile autosufficienti potendo svolgere al proprio interno un maggior numero di funzioni rispetto a quelle attualmente di competenza regionale.
Dal punto di vista decrescente la proposta della Società Geografica Italiana potrebbe essere considerata un ottimo punto di partenza per la ridefinizione del territorio nazionale su base eco-regionale.
Pone infatti le fondamenta scientifiche della suddivisione territoriale, ma richiede la ricontestualizzazione di alcuni concetti come “l’autosufficienza” e la “sostenibilità ambientale”.
Quando si parla di autosufficienza non si può far riferimento solamente all’aspetto amministrativo e politico, ma si deve necessariamente ricomprendere l’autosufficienza energetica (quindi un territorio locale che diventa produttore di energie rinnovabili, integrate senza distruggerlo perché autogovernato)3 e aspirare all’autosufficienza alimentare.
La “sostenibilità ambientale” non può prescindere dalla sovranità alimentare; dalla chiusura locale dei cicli locali dell’acqua, dei rifiuti, del cibo, del rapporto tra produzione e consumo; dalla peculiarità dei sistemi produttivi fondati sull’identità dei patrimoni locali.4
Va però detto che una riforma di questo tipo non può vedere la luce se non accompagnata da un’altra riforma territoriale di fondamentale importanza: la riorganizzazione dei Comuni.
Una loro revisione territoriale e funzionale è oramai imprescindibile e deve avvenire parallelamente con quella delle Regioni, con le quali si devono definire i rapporti di interazione.
La cosa certa è che siamo di fronte alla necessità di scelte strategiche per un ammodernamento del nostro Paese. La riorganizzazione territoriale è una di queste e va di pari passo con altre scelte squisitamente politiche quali la composizione delle Camere del Parlamento e la legge elettorale. Sapremo raccogliere la sfida?
Note:
1http://www.societageografica. it/
2http://www.societageografica. it/images/stories/ Pubblicazioni/NUOVA_EDIZIONE_ e-book_Il_riordino_ territoriale_dello_Stato.pdf
3Intervista di Karl-Ludwig Schiber a Alberto Magnaghi – Colloqui di Dobbiaco
4Intervista di Karl-Ludwig Schiber a Alberto Magnaghi – Colloqui di Dobbiaco
2http://www.societageografica.
3Intervista di Karl-Ludwig Schiber a Alberto Magnaghi – Colloqui di Dobbiaco
4Intervista di Karl-Ludwig Schiber a Alberto Magnaghi – Colloqui di Dobbiaco
(Fonte: http://www.simonezuin. it/)
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C'è arrivato anche Grillo a capire un poco di storia e sociologia, meglio tardi che mai, ma le macroregioni per favore lasciamole stare, che non sono una soluzione ma semmai un frammentario trasferimento del problema, l’unica soluzione che abbia qualche possibilità di funzionare è quella cantonale elvetica
E se domani...
E se domani, alla fine di questa storia, iniziata nel 1861, funestata dalla partecipazione a due guerre mondiali e a guerre coloniali di ogni tipo, dalla Libia all'Etiopia. Una storia brutale, la cui memoria non ci porta a gonfiare il petto, ma ad abbassare la testa. Percorsa da atti terroristici inauditi per una democrazia assistiti premurosamente dai servizi deviati(?) dello Stato. Quale Stato? La parola "Stato" di fronte alla quale ci si alzava in piedi e si salutava la bandiera è diventata un ignobile raccoglitore di interessi privati gestito dalle maitresse dei partiti. E se domani, quello che ci ostiniamo a chiamare Italia e che neppure più alle partite della Nazionale ci unisce in un sogno, in una speranza, in una qualunque maledetta cosa che ci spinga a condividere questo territorio che si allunga nel Mediterraneo, ci apparisse per quello che è diventata, un'arlecchinata di popoli, di lingue, di tradizioni che non ha più alcuna ragione di stare insieme? La Bosnia è appena al di là del mare Adriatico. Gli echi della sua guerra civile non si sono ancora spenti. E se domani i Veneti, i Friulani, i Triestini, i Siciliani, i Sardi, i Lombardi non sentissero più alcuna necessità di rimanere all'interno di un incubo dove la democrazia è scomparsa, un signore di novant'anni decide le sorti della Nazione e un imbarazzante venditore pentole si atteggia a presidente del Consiglio, massacrata di tasse, di burocrazia che ti spinge a fuggire all'estero o a suicidarti, senza sovranità monetaria, territoriale, fiscale, con le imprese che muoiono come mosche. E se domani, invece di emigrare all'estero come hanno fatto i giovani laureati e diplomati a centinaia di migliaia in questi anni o di "delocalizzare" le imprese a migliaia, qualcuno si stancasse e dicesse "Basta!" con questa Italia, al Sud come al Nord? Ci sarebbe un effetto domino. Il castello di carte costruito su infinite leggi e istituzioni chiamato Italia scomparirebbe. E' ormai chiaro che l'Italia non può essere gestita da Roma da partiti autoreferenziali e inconcludenti. Le regioni attuali sono solo fumo negli occhi, poltronifici, uso e abuso di soldi pubblici che sfuggono al controllo del cittadino. Una pura rappresentazione senza significato. Per far funzionare l'Italia è necessario decentralizzare poteri e funzioni a livello di macroregioni, recuperando l'identità di Stati millenari, come la Repubblica di Venezia o il Regno delle due Sicilie. E se domani fosse troppo tardi? Se ci fosse un referendum per l'annessione della Lombardia alla Svizzera, dell'autonomia della Sardegna o del congiungimento della Valle d'Aosta e dell'Alto Adige alla Francia e all'Austria? Ci sarebbe un plebiscito per andarsene. E se domani...
Fonte: http://www.beppegrillo.it/ 2014/03/e_se_domani.html?s= n2014-03-08
Mittente:
Cav. Dott. Claudio S. Martinotti Doria www.cavalieredimonferrato.it claudio@gc-colibri.com
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