Marinella Correggia
Prima della tempesta arrivata a scuotere la Sirianel marzo 2011, la tivù privata Addounia (“mondo”) si occupava poco di politica e molto di soap opera all’araba come di altre specialità da tivù commerciale. Non era neanche tanto ben vista dal governo perché dava spesso voce al malcontento dei cittadini sulla situazione economica e sulla corruzione.
Poi è arrivato l’attacco (anche) mediatico internazionale alla Siria, sotto forma di una disinformazione che ha raggiunto picchi inusitati, superando perfino in quantità e qualità le mistificazioni che hanno reso possibile la guerra alla Libia nel 2011.
E Addounia ha sentito di dover fare la sua parte, in Siria. La crisi le ha imposto di cambiare. Adesso è in prima linea perché ogni giorno oltre alle news (alle quali viene dato molto più spazio che in passato) cura un programma contro la disinformazione dei grandi media. In particolare al-Jazeera.
Addounia trasmette solo in arabo, e in più è stata oscurata in Europa (a proposito di libertà di informazione). Ma “ci interessa raggiungere appunto i telespettatori arabi e quelli siriani in particolare. Anche loro sono intossicati” dice il direttore dell’informazione Hassem Hassan. Intossicati da al-Jazeera, al-Arabiya e dalle centinaia di tivù pagate dai petromonarchi, soprattutto dall’Arabia Saudita quanto ai canali religiosi. Hassan (originario di Homs) chiede di non essere fotografato perché è già pluriminacciato (e un giorno mentre seguivamo gli osservatori dell’Onu qualcuno si è avvicinato alla troupe per dire ‘ vi bruceremo con la benzina’”. E puntualizza: Non siamo il megafono di nessuno. Cerchiamo la verità a prescindere dalle posizioni politiche. E personalmente voglio che la pace ritorni e questa crisi sia superata. E chi vuole la pace deve riconoscere che a offrire continuamente il dialogo è appunto il governo in carica e il presidente”. Il direttore è indignato perché i media del mondo (arabo e non) non danno alcuna visibilità alla maggioranza (almeno secondo lui) dei siriani che non stanno con l’opposizione armata.
Come funziona la controinformazione di Addounia?
Spiega il direttore: “Usiamo vari strumenti. Intanto rapporti giornalieri dal terreno. I nostri reporter vanno dove accadono eventi riferibili alla “repressione” o alla “sollevazione popolare” e intervistano le persone, ad esempio i testimoni o le famiglie dei morti. E si accorgono che i fatti sono andati in modo ben diverso dalla narrazione internazionale dei media sostenuti dall’occidente o dai petromonarchi”. La narrazione mondiale ufficiale che viene da un sedicente osservatorio siriano basato a Coventry dice che Assad ha ucciso novemila o undicimila persone, “ma noi abbiamo migliaia di storie che dicono altro. Certo tutto non si può provare ma molto abbiamo confutato investigando sul posto. Del resto non di rado sono i cittadini che chiamano la tivù piangendo; sono le vittime della paura o degli attacchi e chiedono più esercito! Molti uccisi lo sono solo perché lavorano nell’amministrazione pubblica. O perché appartengono a un gruppo religioso odiato. E’ questa la libertà e democrazia di cui parlano?”. Poi ci sono gli attentati. “Una delle tante esplosioni per uccidere soldati e forse dell’ordine è avvenuta vicino a una scuola e solo per via dell’orario non c’è stata una carneficina di bambini”.
Addounia oltre ad andare sul posto fa un lavoro certosino di studio dei filmati che sedicenti “attivisti” mandano alle tivù mondiali. E se ne vedono delle belle: “ci accorgiamo spesso che sono manipolazioni, scene costruite, con l’attivista che si mette d’accordo prima con la tivù su che cosa dire”. In altri casi gli “attivisti” si vestono da medici, mentre in altri spezzoni appaiono armati…eccetera.
Un altro strumento di contrasto alla disinformazione è la valorizzazione di notizie oscurate dagli altri media. Per esempio i morti per mano di terroristi, o il fatto che centinaia di armati si consegnano alla polizia in cambio dell’amnistia, o che si svolgano manifestazioni a sostegno del governo.
L’archivio di Addounia è ormai nutrito.
“A volte sono stato io testimone degli eventi”, continua il direttore; “Faccio il caso di Homs, un week end di aprile del 2011, dopo le proteste a Deraa dove tutto è iniziato. Su facebook appare un richiamo per protestare appunto a Homs. Io sono in macchina vicino alla Piazza dell’orologio. Mentre ancora la preghiera nelle moschee è in corso, all’improvviso circa cinquanta persone si raggruppano per gridare slogan settari coperti da slogan politici. Le forze di sicurezza sono lì intorno; uno solo di loro avanza e senza armi e dice “non rovinate il paese”. Loro rispondono “è pacifica, è pacifica”. Ma migliaia di persone quando escono dalle moschee si dirigono verso la piazza. Nel farlo (da una distanza di 500 e 1.000 metri) distruggono auto e vetrine. Le forze di sicurezza guardano. Poi dalla manifestazione che si diceva “pacifica” esce un gruppo di dici persone. Va al ‘ristorante degli ufficiali’, che comunque è un normale ristorante, che non ha allora clienti ma solo le guardie e un cameriere; distrugge il locale e soprattutto uccide una delle guardie. La polizia arresta delle persone ma, credo, non gli assassini. Ecco la prima manifestazione a Homs. Programmata e con violenza”.
Marinella Correggia
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