È davvero la campagna elettorale più brutta a cui abbia mai assistito: ricordo già da ragazzino quella fibrillazione che avvertivo quando si avvicinava il momento del voto. Per carità, il livello di consapevolezza era quello che era, tuttavia la sensazione di partecipazione (per quanto allora non votassi ancora) era tanta e c’era entusiasmo, la percezione di un possibile cambiamento alle porte. Era tutto certamente finto, ma la narrazione conservava forse un minimo di dignità, più che di verità potremmo dire di verosimiglianza.
Quello che vediamo ora è sinceramente disarmante, verrebbe da dire a destra come a sinistra, ma già nello scriverlo ci si rende conto di quanto anche questo sia francamente ridicolo. Non che certi valori non abbiano più senso, ma la contrapposizione tra chi dovrebbe incarnarli semplicemente non esiste.
Le parti in causa sono speculari le une alle altre: tutto un pastone, una melma informe e puzzolente, di figure patetiche in cerca di una collocazione che consenta loro di restare a galla. Davvero non saprei da dove cominciare.
Quelli che dicono di essere di sinistra, ad esempio, che dopo aver falcidiato le fasce più deboli della popolazione e in particolar modo i lavoratori, oggi puntano ad un’alleanza che contempli la presenza di Calenda e Fratoianni. Due impostazioni che dovrebbero (sottolineo il condizionale) risultare inconciliabili: uno che fa il ciecoliberista a fasi alterne e l’altro che va in giro con i capelli spettinati per convincere la gente di essere comunista, uno che parla di “agenda Greta”. Ma si può essere più patetici di così? Attenzione poi alla Boldrini, che qualche giorno fa parlava di oscurantismo: «La destra al Senato boccia l’introduzione del femminile per i ruoli istituzionali delle donne, altra forma di discriminazione. Le donne non devono cambiare genere quando rivestono ruoli apicali. Il neutro, dice la Crusca, non esiste». Capito come? La sinistra oggi muove le sue battaglie contro i nuovi padroni, i nuovi dominatori: all’assalto, armati di linguistica e filologia. Alle donne bastonate dalle riforme della Fornero (un’altra donna) e della Bellanova (una delle ispiratrici del Jobs Act) ovviamente nessun riferimento: prova a farlo e diventi fascista.
Calenda questi di sinistra proprio non li vuole, nonostante il pressing di quella che la sanità pubblica e l’articolo 18 li voleva far fuori con un referendum nel 1999: la Bonino che col suo simbolo gli ha risparmiato la raccolta di circa 50 mila firme sotto il sole. Sennò col cavolo che se la teneva dentro il partito (anzi, il comitato elettorale): diciamocelo!
Su una cosa però Calenda ha davvero ragione e vale più di tutte: vuole veder sparire Di Maio. Penso che Di Maio sia davvero il politicante più triste che il paese abbia mai visto scodinzolare. Si, insomma, abbiamo avuto gente di tutti i tipi, ma lui è davvero oltre. E le persone lo sanno: andate a vedere la sua pagina Facebook e vi renderete conto che la reazione della risata è quella più numerosa ad ogni suo post. Eppure, le probabilità di rivederlo in Parlamento non sono poche: si farà blindare dal PD, da Letta occhi di tigre e dai suoi sindaci, magari proprio in un collegio a due passi da Bibbiano. Il senso dell’umorismo della storia è pazzesco. Di Maio, l’antipolitica che si fa aiutare dal claudicante Tabacci (un altro vecchietto che evita ad un simbolo nuovo la raccolta delle firme sotto il sole di agosto), che si impone nonostante tutto e tutti: la politica al servizio di Di Maio. Che schifo.
Poi c’è la destra, quella che vuole farci credere di essere tale. Berlusconi e Salvini devono stare al gioco della Meloni, quantomeno prima del voto: dopo le faranno le scarpe. E la Giorgia cerca di convincere gli alleati e i sovrani eurounionisti e americani (anzi, prima i secondi) di essere cambiata, di essere diventata buona e perfettamente allineata ai dettami dei colonizzatori. Una patriota che chiede il permesso di vincere le elezioni: una patriota che bussa alla porta di palazzo Chigi supplicando di entrare: i patrioti non strisciano!
E poi c’è Giuseppe Conte. Gli va riconosciuto di aver messo uno sgambetto al governo dell’affarista, va detto senza infingimenti, ma ciò che colpisce è il fatto che non ne vada per nulla orgoglioso: l’atto più nobile della sua carriera di politico viene rinnegato e regalato ogni giorno alle finte destre, davvero curioso. E anche lo strappo col PD non viene rivendicato: prima di tutto perché è stato Letta a rompere, in secondo luogo perché fino a ieri sera Mariolina Castellone (in TV, su La7), capogruppo al Senato per i 5 stelle, ha chiaramente sostenuto che – se il PD cambia rotta – loro sono pronti a riprendere i rapporti. Insomma, la sensazione che si ha è quella di assistere ad un partito depresso e sconsolato per non essere stato invitato alla festa e così non va per nulla bene perché poi la gente non riesce proprio a dimenticarselo che è stato Conte a inventare il greenpass, ad osannare la gestione Speranza delle crisi sanitaria e a sostenere il governo Draghi fino a ieri. Tocca che vi sforziate di più, altrimenti manco Di Battista vi potrà aiutare.
È una politica arroccata, che non esprime una visione di paese perché non è necessario nutrirla: chiunque vinca non dovrà far altro che azionare il pilota automatico e tutto andrà a posto, tutto andrà bene. Arriveranno le veline di Biden e della von der Leyen sulla scrivania del premier e bisognerà seguire scrupolosamente le semplici istruzioni scritte sopra. Sono due facce della stessa medaglia: identiche.
Un altro mondo però emerge, demonizzato a reti unificate, schiacciato e insultato con tutta la fantasia che in queste circostanze certa politica è in grado di dimostrare, con la complicità di un sistema mediatico totalmente venduto: arrivano i no-vax, i sovranisti, i neo fascisti, i barbari di Capitol Hill, i violenti. Che poi nei mesi bui alle nostre spalle sono stati gli unici a dimostrare di riuscire a raccogliere il consenso delle persone, a riempire le piazze come uova (ignorati completamente dalla stampa impegnata a raccontare dei quattro gatti, principalmente politici tipo Maria Elena Boschi scesa in strada con un ragazzino, che provavano a puntellare in giro il pericolante governo del liquidatore seriale). E quei violenti, quei picchiatori, le botte non le davano: le prendevano. Manganellate in faccia, idranti a tutta forza, perché reclamavano il rispetto di basilari diritti costituzionali come quello al lavoro, alla dignità, alla libertà o perché, più semplicemente, non volevano essere strappati via dai banchi di scuola per poi essere macellati in luoghi insicuri, con la storia dei tirocini, della formazione professionale o altre menate come l’alternanza scuola lavoro (inventata da Renzi che da solo non correrà mai).
A questo mondo emergente nessuno sconto dai politicanti dei palazzi: hanno paura e provano a tenerli lontano, fuori. Progetti politici come Italexit o Italia Sovrana e Popolare non devono apparire sulla scheda elettorale, non devono essere sottoposti al vaglio del popolo: decine e decine di migliaia di firme sotto il sole, a ferragosto, se vogliono partecipare alla competizione democratica. E nessuno che alzi la mano, che sottolinei come tutto ciò sia palesemente incostituzionale e squalificante per un paese maturo, nessuno. È irresponsabile e rischioso: impedire al malessere di esprimersi entro i gangli della partecipazione democratica costituzionale non vuol dire espungere quel dolore, vuol dire alimentarlo con la rabbia, costringerlo a scatenarsi diversamente.
Questa è la realtà che hanno costruito attorno a noi, che non viene raccontata (ci sono ovviamente eccezioni: Byoblu, radioradio), che ci viene imposta con la violenza di un regime supportato, pare, anche dal Capo dello Stato.
È davvero una fase terribile, che peraltro prelude a qualcosa di molto molto peggio e che si schianterà sulla parte più debole dell’Italia prestissimo, in autunno: un autunno di fame, razionamenti, forse reclusioni e, certamente, guerra. Chiunque desideri un paese diverso, un paese che si riveda nella Costituzione repubblicana, faccia qualcosa subito.
Commento di Fulvio Grimaldi: “Un articolo che in maniera davvero istruttiva traccia un quadro esaustivo del golpe elettorale confezionato dal regime e delle forze in campo...”
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