sabato 2 luglio 2016

Egitto, le giuste cause, rivoluzioni colorate ed il Comitato No Nato



Ho ricevuto un’email che richiama la mia attenzione sull’attribuzione al Tribunale Militare egiziano di un procedimento relativo ad alcuni episodi di protesta sindacale. (Si veda: 

Mi si chiede cosa ne penso personalmente, temendo che questa domanda potrebbe far sorgere polemiche se rivolta al Comitato No Nato.

Io credo invece che essa farebbe bene al Comitato, perché la sua non semplice risposta induce a mettere in campo ragionamenti che toccano punti che il Comitato stesso non può eludere o far finta di non vedere.

Pertanto dirò pubblicamente come la penso. E’ comunque solo una prima risposta, a braccio, perché sono di partenza.

In ogni paese del mondo ci sono contraddizioni e la lotta all'imperialismo è immersa in esse. In questa lotta non ci sono amici per la vita e per la morte. E' brutto ma è così. Lenin, che non era di certo uno sprovveduto, lo sapeva e lo ricordava quando, ad esempio, parlava del "ruolo antimperialista del reazionario Emiro dell'Afghanistan". Reazionario e al contempo antimperialista. Questa contraddizione ovviamente non è comprensibile da chi pensa che il mondo sia divisibile in alto-basso e destra-sinistra (che poi è una suddivisione religiosa, mitica). E di sicuro non propongo di accettarla solo perché l’ha espressa Lenin. Non è facile da digerire e per digerirla bisogna capirla, non fare atto di fede.

Al Sisi è un militare, che deve tenere conto degli interessi dei militari che lo sostengono e dell'Egitto che è al centro di un convulso scacchiere chiave, a sua volta al centro di una convulsa crisi sistemica che peggiora davanti ai nostri occhi giorno dopo giorno. Il suo operato, dall'Italia, deve essere valutato tenendo conto di ciò. So che è difficile, specialmente per chi ha a cuore un ideale (condivisibile) di solidarietà per i più deboli. Ma spesso avviene che la nostra intromissione rischia di essere grossolana, e serve solo a farci sentire in pace con la nostra coscienza. Ho abbastanza esperienza di battaglie internazionaliste per voler far finta di non conoscere i molteplici trabocchetti che la "solidarietà internazionalista" nasconde. 

Faccio solo l'esempio di alcune lotte dei tribali in India. Erano del tutto sacrosante, ma dietro le quinte erano guidate dagli interessi contrapposti di grandi multinazionali. Come ci si deve comportare in quel caso? Io non ho una risposta sicura. E la risposta si fa ancora meno certa quando in quelle lotte si è coinvolti perché esse, per l’appunto, "sono giuste”, se prese in sé.

Quante "cause giuste" sono state alla base di devastanti "rivoluzioni colorate"? Se qualche centro di potere volesse devastare l'Italia, ognuno capisce che le "cause giuste" a disposizione sarebbero alcune migliaia. A partire, banalmente, dai rifiuti che invadono molte nostre città. Non è un'esagerazione: in Libano stava proprio succedendo una cosa del genere. Ma anche rimanendo a casa nostra, la camorra e i suoi politici di riferimento questa "causa giusta" già la sfruttano a Napoli, come ben si sa. Tra poco succederà anche a Roma se la Raggi non imporrà una, diciamo così, "corte marziale" che necessariamente andrà contro alcuni "diritti sindacali" nel tempo diventati "privilegi corporativi" e ora vera e propria arma politica. I trasporti pubblici e la nettezza urbana hanno praticamente iniziato uno sciopero bianco contro la Raggi che complementa le dimissioni dei responsabili appena la nuova sindaca è stata eletta. Una guerra totale, mai vista prima in una città italiana, quasi di stampo cileno. Già, perché i prodromi del golpe fascistoide di Pinochet, furono, anche in quel caso, “cause giuste” come quella dei lavoratori dei trasporti.

Per quale altro motivo Gramsci metteva in guardia contro l’utilizzo da parte delle classi dominanti delle stesse modalità di lotta e di rappresentazione della lotta che una volta erano appannaggio delle classi dominate?
Li vogliamo leggere Lenin e Gramsci o vogliamo rifare tutti gli errori compiuti da cento anni a questa parte?
Vogliamo parlare di contraddizioni? Queste sono le contraddizioni. Ho rischiato il licenziamento e ho pagato a caro prezzo le mie battaglie sindacali. Devo allora far finta di non vederle, queste contraddizioni? Perché? Per placare la mia coscienza? O per custodire i miei bei tempi andati, quando facevo parte della "meglio gioventù"? Nossignori. Non mi va proprio di guardare ai giovani di ieri. Ci sono già tanti Dorian Gray che impestano la politica e la cultura del nostro paese. Guardo invece i giovani di oggi e mi sentirei un miserabile a pensare di penalizzarli e di fargli correre rischi mortali perché voglio continuare a fare il "giovane innocente", l'eroe puro e senza paura. Nossignori. Io ho paura. E penso che se si gioca a fare i puri in un mondo marcio, si è immondi. Né più, né meno.

Non conosco molte cose, ma credo di sapere cos’è una crisi sistemica. Quando scoppiò la crisi dei subprime i grandi economisti gettonati dal mainstream predissero una crisi a V di sei mesi o, nel caso peggiore, una crisi a doppia V di un anno o poco più (altri nemmeno la videro e oggi sono ai vertici di importantissimi istituti). Io, che non sono un economista, ma proprio perché non lo sono, scrissi invece che la crisi sarebbe durata dai 10 ai 20 anni. Sono un genio? Ho la sfera di cristallo? Boh! Se uno “predice” che una donna al nono mese di gravidanza partorirà, cos’è? Un genio? Un astrologo?

Altre cose sono prevedibili, perché già accadute.

In queste crisi si sviluppano guerre di carattere internazionale e infine mondiali. Finora è andata così. 

Per ora siamo alle guerre di carattere internazionale. Il Comitato si è organizzato proprio per evitare che le cose seguano il solito tragico corso.

E' solo in queste crisi che possono scoppiare le rivoluzioni "dal basso" (quelle dall'alto sono all'ordine del giorno, spesso osannate dalla sinistra). Le cose funzionano così per un motivo banalissimo: perché in esse i nemici s’indeboliscono a vicenda. In quel momento è di vitale importanza capire quali sono le contraddizioni principali e quelle secondarie. Se non lo si fa si marcerà dietro al nemico (come già ricordava Brecht) e si andrà incontro al disastro.

Non è, come spesso si semplifica con sarcasmo, una questione di “amici degli amici” o di “nemici dei nemici”. E' molto più complessa e delicata. Le classi dominanti sono, per definizione, le più forti. O riusciamo a sfruttare le loro contraddizioni e ampliarle o ci faranno a pezzi. Questo è il succo del discorso che molti nel Comitato No Nato fanno quando parlano, ad esempio, di Egitto.

Io non considero Al Sisi un santo. E nessuno nel Comitato lo fa. Come evidentemente, si magna licet, Lenin non considerava un santo l'Emiro dell'Afghanistan, tanto è vero che lo definiva "un reazionario" (che per Lenin non era un complimento).

Se poi devo entrare nello specifico, dirò solo un paio di cose.
Credo che anche in molti altri paesi un evento del genere sarebbe all'attenzione di un tribunale militare. Questo non vuol dire che io lo ritenga giusto (semplicemente, secondo me non dovrebbero esserci i tribunali militari).
In secondo luogo, il termine "società civile" mi è particolarmente ostico. Vuol dire tutto e niente e dietro di esso si sono spesso nascoste cose infami.

Ad ogni modo, nel Comitato No Nato nessuno si rifiuterebbe di discutere di un fatto come questo. Ciò che invece viene da molti contestata è la martellante campagna anti egiziana che si è scatenata in Italia a partire dall'omicidio Regeni. Un omicidio e una campagna che hanno come obiettivo evidente anche a un cieco l'avvelenamento dei rapporti tra Egitto e Italia. Obiettivo che non è certo negli interessi di Al Sisi, per quanto lo si possa detestare. La discussione, quindi, potrebbe riguardare se e in quale misura appelli come questo portato ieri alla mia attenzione potrebbero inserirsi in quella campagna.

Se vogliamo parlare di casi particolari, francamente nel Medio Oriente e nel Maghreb ci sono già singoli eventi che monopolizzano il mio potenziale di indignazione. Non è cinismo. Tutt’altro se si pensa a che cosa mi indigna. E’ che io non ho una indignazione onnipotente. Certo, un’indignazione superficiale non costa nulla. Ma un'indignazione conseguente, che va dal particolare al generale e ritorna al particolare, costa.

Posso quindi dispensare una generica solidarietà per quei lavoratori egiziani. A me non costa nulla e a loro nulla interessa.

Era questo che si voleva, o altro?

Piotr

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Commento di Olivier: “Come sempre un ragionamento onesto e autocritico e che arricchisce. Permettimi di aggiungere altri dubbi: se riteniamo il militarismo un nemico dell'umanità dobbiamo combatterlo sempre? Se pensiamo che tutti i diritti umani vadano difesi dobbiamo difenderli sempre? Io credo di sì e, nel limite del possibile, suggerire di farlo cercando di appoggiare le lotte di chi è sul posto e difende i propri diritti in prima persona.
Il cui prodest lo lasciamo ad altri.
Ovviamente con senso critico e senza paraocchi, cercando di stare attenti alle numerose trappole che chi desidera altro per l'umanità tende a renderci, sempre con maggiore astuzia.
Però con un timone chiaro: prima i principi in cui crediamo.
Sarebbe interessante verificare nel comitato quali sono i principi condivisi irrinunciabili che ci permettano di andare avanti.
Io, per esempio, propongo il rifiuto della violenza, in tutte le sue forme...”


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Commento di M.P.: "Una coincidenza ? Regeni e la laburista uccisa Cox avevano frequentato Cambridge e gli ambienti tipo Ong.(da verificare, ma questo unito a poco altro che so ma non scrivo, potrebbe essere una pista da approfondire con decisione, da studiare). Ricordiamo che l'Università inglese non ha risposto ai magistrati italiani..."

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