« La questione linguistica europea, trattata con superficialità anche in seno alle istituzioni comunitarie, resta una tematica misconosciuta con grave danno per i cittadini, per la democrazia e per lo stato di diritto in Europa. Sul piano pratico, a mio parere, non basta conoscere l’inglese, studiarlo a scuola, parlarlo e scriverlo, il problema è assumerne la forma di pensiero, accettarla, la qual cosa per noi Latini non solo non è evidente ma non è neanche auspicabile, da qui nasce tutta la problematica… Non parlo, ovviamente, dell’inglese utilizzato a scopo commerciale o dai turisti per girare il mondo ma dell’inglese come lingua utilizzata dalla pubblica amministrazione europea per legiferare e dell’uso sfrenato, in assenza di criteri fondati, obiettivi ed espliciti, che se ne fa in seno alle istituzioni europee in quanto lingua di lavoro e di redazione per una gran parte dei documenti legislativi destinati a regolamentare interi settori di competenza comunitaria.
Va sottolineato con forza che, ammesso e non concesso, che non si possano utilizzare quotidianamente le venti e più lingue ufficiali dell’Unione è necessario e urgente che le istituzioni europee enuncino con chiarezza i criteri di discriminazione perché l’italiano non è il maltese e non è ammissibile lasciare le due lingue sotto lo stesso regime di restrizioni con servizi linguistici ridotti al minimo e milioni di cittadini tagliati fuori, trattati come estranei al processo di integrazione in corso, nella corrispondenza, nei contatti, nella documentazione, nell’organizzazione dei concorsi, nella partecipazione ai progetti, eccetera…Il regime linguistico applicabile all’italiano non può essere che quello applicato ai suoi « pari » : francese, inglese e tedesco. Le istituzioni europee non sono una qualsiasi organizzazione internazionale che emette solo pareri non vincolanti, le istituzioni europee legiferano e regolano e interferiscono nella vita quotidiana dei cittadini europei, per questa ragione, i cittadini europei hanno il diritto di essere coinvolti, a pieno tittolo, nel processo legislativo in tutte le sue fasi, dal concepimento, alla redazione, alla partecipazione ai gruppi di lavoro, al negoziato, all’adozione, alla pubblicazione fino all’applicazione. In caso contrario, la legislazione comunitaria non ha alcuna legittimità. Se le istituzioni europee non sono in grado di far partecipare tutti gli Stati Membri, senza intralci, al processo di elaborazione delle politiche comunitarie e di dotarsi, a tal fine, di servizi linguistici all’altezza della loro missione, non solo, non riusciranno a coinvolgere il cittadino europeo e l’Europa non si farà ma perdono la loro legittimità.
L’inglese è la lingua che ho studiato più di tutte le altre, seconda solo al latino : cinque anni al liceo e due all’università completati da soggiorni di studio nel Regno Unito e in Irlanda, resta tuttavia una lingua che non amo utilizzare, in particolare nella forma scritta per la redazione di testi normativi perché non mi fa sentire a mio agio, non mi dà sicurezza per quello che deve essere espresso con precisione e nell’ambito di una cultura giuridica e amministrativa di stampo latino. Risento anche un certo disagio nel parlarlo perché avere una buona pronuncia non è facile ed io, al mio stesso orecchio, quando mi esprimo in inglese, mi sento ridicola, la qual cosa non mi capita con nessuna altra lingua, neanche con il tedesco che conosco molto poco.
L’inglese mi è stato imposto a scuola, infatti avendo studiato il francese alle medie avevo scelto di studiare il tedesco al liceo. Purtroppo, al liceo scientifico che ho frequentato a Roma c’era all’epoca un’unica sezione con il tedesco come lingua straniera, la sezione A, riservata ai soli maschi, ragion per cui mi è stato imposto d’autorità l’inglese. Il latino che ho studiato per otto anni, è la sola lingua che ho studiato più a lungo dell’inglese ma quanti vantaggi mi ha dato e quanto l’ho amato e continuo ad amarlo con profonda gratitudine! Il latino, non solo mi ha facilitato la comprensione e l’apprendimento di tutte le lingue latine ma addirittura l’apprendimento del tedesco e dell’inglese, l’approccio allo studio del diritto, mi ha confortato nell’assimilazione di una forma mentis improntata ai valori della nostra civiltà. I Ministri che hanno smantellato e ridotto l’insegnamento del latino nella scuola italiana hanno commesso un vero crimine nei confronti degli Italiani e della nostra Cultura millenaria. Sul piano personale, resta il fatto che mentre ho imparato rapidamente il francese e lo spagnolo e li pratico con grande facilità, anzi spesso con gioia, perché non le percepisco come « straniere », con l’inglese è sempre rimasta una distanza e nel corso di tutta la mia carriera di funzionaria europea non ho mai accettato di redigere un qualsiasi documento di carattere normativo in inglese.
La mia esperienza mi induce a chiedermi se quella di imporre l’inglese ai bambini a partire dall’asilo è una scelta oculata e giusta o se non è una inutile e magari anche pericolosa perdita di tempo perché comunque questi bambini da adulti, anche avendo studiato l’inglese per più di dieci anni, non potranno mai avere una conoscenza dell’inglese paragonabile a quella dei nativi ma resteranno per sempre in uno stato, linguistico, di inferiorità. Questa inconfutabile realtà mette anche in evidenza il fatto che non è vantaggioso concentrarsi sull’insegnamento di una sola lingua straniera ma sarebbe più proficuo insegnare ai giovani più lingue straniere, in particolare quelle dei grandi Stati Membri dell’Unione, che sono peraltro grandi lingue di cultura mondiali, la qual cosa favorirebbe la comunicazione e l’incontro con gli altri cittadini europei, l’avvio dell’approfondimento e dell’acquisizione di una cultura comune e condivisa. Peraltro, c’è anche da dire che, l’insegnamento di una lingua straniera in troppo giovane étà, all’asilo, non è evidente perché potrebbe interferire e scompigliare la forma mentis della civiltà di appartenenza, che la lingua madre conferisce ad ogni nativo sin dall’infanzia, e creare generazioni di spostati con problemi di identità. La questione andrebbe studiata con serietà (Dr. Alfred Tomatis).
Per tornare alle istituzioni europee, va detto che permettere, a volte imporre, ai funzionari, non nativi, di redigere i testi originali di documenti destinati a regolamentare le complesse materie di competenza comunitaria in inglese, è, a mio parere, un fatto gravissimo, di una imperdonabile leggerezza, non tanto e non solo perché i testi redatti dai nativi possono essere più precisi ma, soprattutto, per una questione di « forma mentis » di valori e di punti di riferimento culturali e di diritto che non sono gli stessi. E’ vero che esiste, in seno alla Commissione, una attrezzatissima e importante Sezione Inglese dei Servizi di Traduzione preposta alla correzione dei documenti redatti dai non nativi, ma, contrariamente a quanto si potrebbe pensare a prima vista, si tratta di un rimedio peggiore del male perché i traduttori-nativi possono far dire ai redattori-non-nativi praticamente tutto quello che vogliono, soprattutto in assenza di un confronto con lo stesso documento redatto nelle altre lingue che possono chiarire, reciprocamente, le eventuali ambiguità delle une e delle altre. E’ per questo che il « metodo comunitario », che ha funzionato perfettamente per molti anni, prevedeva che i testi normativi delle politiche comunitarie dovessero essere, sin dall’inizio, « redatti » in tutte le lingue ufficiali e crescere insieme al ritmo delle riunioni dei Comitati e dei Gruppi di lavoro.
Tutto ciò è molto tecnico e, forse, di non immediata evidenza ma le istituzioni europee non sono il pizzicagnolo della porta accanto e se non riescono ad assumersi nel loro ruolo e nella loro identità di istituzioni « europee » garanti della democrazia e dello stato di diritto, la decadenza e lo sfascio sono alle porte. I Servizi Linguistici della Commissione che sono stati per decenni i più perfezionati al mondo, smantellati e, in parte, privatizzati da Neil Kinnock sotto la presidenza di Romano Prodi, devono essere ripristinati di tutta urgenza nel loro massimo splendore e il « metodo comunitario » deve tornare ad essere la regola imprescindibile del funzionamento delle istituzioni europee. »
Anna Maria Campogrande
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