In questo periodo di crisi generale, dove le meccaniche sociali stravolgono le nostre vite più in fretta della nostra capacità di assorbirle, mi sembra doverosa una riflessione. L'altra sera il nostro presidente del consiglio invitava gli italiani a spendere di più, perché per risolvere la crisieconomica bisogna rimettere in moto la produzione industriale. Ovviamente queste considerazioni non fanno una piega, in una logica superficiale e beffarda quale sembra essere ormai la direzione in cui stiamo camminando da tempo. Ma mi chiedo se i nostri politici pensano davvero di aver a che fare solo con una massa di alienati e decerebrati. Non ci vuole molto per fermarsi e riflettere sulle motivazioni che possano aver portato a questa molto prossima recessione. E' evidente che la causa della nostra sempre più scarsa qualità di vita derivi dalla troppa economia. Per la prima volta nella storia della nostra civiltà, si consuma per poter vendere, vendiamo per poter produrre, e produciamo per poter lavorare. Così misuriamo il nostro benessere con unità di misura monetari, senza pensare realmente alla qualità vera della nostra vita.
Ci hanno fatto credere che la donna si senta realizzata solo se lavora fuori casa e si può permettere una tata per i figli; ci hanno fatto credere che sia più salutare una dispendiosa palestra, piuttosto che prendere la bicicletta per andare al lavoro; ci hanno fatto credere che sia meglio avere 20 magliette di scarsa qualità, piuttosto che 5 di buona fattura e pagate ad un prezzo equo e dignitoso; ci hanno fatto credere che sia sano mangiare carne o pesce tutti giorni, piuttosto che una minestra di legumi fatta come una volta, economica e completa dal punto di vista nutrizionale; ci hanno fatto credere che fosse più conveniente cambiare la macchina, tanto c'è l'incentivo, piuttosto che ripararla; ci hanno fatto credere che fosse meglio comprare del cibo omologato e impoverito, piuttosto che produrcelo. E noi abbiamo voluto crederci. Ma è evidente che questo meccanismo non funziona.Continuiamo a costruire incessantemente senza pensare che togliamo terra alle colture. Poi siamo costretti ad importare(ora il Sud America e l'oriente hanno capito di avere il coltello dalla parte del manico e iniziano, a ragion veduta, a dettare loro le regole). Questo noi lo chiamiamo progresso? Non siamo neanche capaci di soddisfare i nostri bisogni primari (che vergogna!), in compenso però abbiamo dei carri armati come macchine e uno o più cellulari a testa.
Qualcuno obietta che non si possa tornare indietro, invece,rispondo io, non è un andare indietro, ma è fare un passo avanti. Vuol dire accettare serenamente i nostri errori, e rivedere i parametri che possono guidare il cambiamento futuro. Vuol dire riprendere il nostro tempo, per fare della nostra esistenza una vera vita. Dobbiamo rivedere l'educazione familiare che diamo ai nostri figli, per dare loro gli strumenti per non ripetere i nostri sbagli. Si può fare da subito. Incalzare il cambiamento. Non vergogniamoci di riciclare i vestiti per noi e per i nostri figli. Gioiamo di un abito che ha già un suo vissuto. Raccogliamo la nostra famiglia di fronte a un pasto economico, rispettoso dell'ambiente (che è nostro, ma soprattutto di tutti!) e semplice. Pensiamoci due volte, prima di comprare qualcosa che non aiuti realmente l'economia e rispetti i diritti sul lavoro. Torniamo a comprare nei piccoli negozi, si acquisterà solo il necessario, con un vantaggio in termini di salute e di minor inquinamento, e si arricchiranno i rapporti umani.
Spolveriamo le nostre bici e ridiamo al nostro corpo la dignità di assolvere il compito per cui la natura lo ha progettato, il movimento. E, infine, ma non meno importante, torniamo a passare del tempo vero con le persone che amiamo, senza intermediari quali televisione, luna parck e videogiochi.E' così piacevole sedersi al tavolino e tornare a fare un gioco di società (sì, come una volta!), che stimoli l'intelligenza e la creatività, piuttosto che ingerire passivamente false informazioni da scatole luminose. E' questa la vera crescita.. una de-crescita felice...
Un caro saluto a tutti, Laura Viviani - Rete Bioregionale Italiana
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