martedì 25 ottobre 2011

Assaggio da "Profumo d'Italia..." ....vivendo in un mondo di rifiuti - di Fulvio Di Dio




VIVERE IN UN MONDO DI RIFIUTI

"Il progresso celebra vittorie di Pirro sulla natura"
(F. Kraus)

"Niente può farsi dal niente". Già Lucrezio, affrontando il nodo fondamentale della fisica epicurea, affermava, con grande arte descrittiva, l'eternità della materia primordiale che è il seme di tutte le cose (semina rerum). Il suo occhio sapeva cogliere le ricchezze di un mondo in cui predomina la vita, la gioia dello splendore della luce, la potenza creatrice della materia.
Lucrezio seppe così prefigurare intuizioni che solo molti secoli appresso sarebbero state sistematizzate in legge: "nulla si crea, nulla si distrugge".
L'equilibrio che regola i cicli degli elementi fondamentali della biosfera ha sempre rispettato tale regola, riciclando continuamente i residui dei processi naturali, fino a trarne materia vivente. La natura non conosce, quindi, la nozione di rifiuti, ma solo quella di materia che si trasforma.

Breve storia del rapporto uomo-rifiuti

I primi insediamenti umani non sconvolsero questa logica; è esemplare il caso della civiltà delle terramare, nelle quali i residui delle comunità servivano per risanare gli ambienti paludosi su cui erano costruite le palafitte.1
La concentrazione di grandi collettività in ambiti limitati fu il fenomeno da cui storicamente scaturirono i primi problemi di inquinamento da accumulo di rifiuti.
Fu così che si costruirono, nel 400-500 avanti Cristo, gli acquedotti per l'approvvigionamento idrico di Roma, dato che l'acqua del Tevere non era più potabile.2

Nel Medioevo il problema divenne rilevante, al punto da richiedere che il re di Francia Carlo VII emanasse una apposita disposizione con cui proibiva ai bottinai, addetti allo svuotamento dei pozzi neri, di versare direttamente nella Senna i prodotti della loro raccolta.
Il livello di guardia ambientale venne comunque superato solo a partire dalla rivoluzione industriale, che pose le basi per uno sfruttamento intensivo delle risorse naturali, regolato esclusivamente dalla legge del massimo profitto.3
La tradizionale salvaguardia degli equilibri ecologici, intrinseca al modo di vita della civiltà agricola, viene sostituita da logiche di rapina nei contronti dell'uomo e della natura.
Ed è nelle grandi concentrazioni urbane e industriali che il problema dello smaltimento dei sottoprodotti si fa assillante: ecco nascere il termine rifiuti.

I rifiuti, in quanto prodotti di scarto che derivano dall'attività dell'uomo (produzione, trasporto, distribuzione e consumo di merci), sono una funzione diretta della sua cultura e del suo stile di vita.
Si potrebbe dire che l'uomo applichi, ai propri rifiuti, le nozioni di rimozione e occultamento, quasi insenso psicoanalitico.
Se le società umane hanno sempre prodotto rifiuti, e storicamente gli stessi sono diventati un problema solo a seguito dello sviluppo della società industriale e consumista, diversi sono stati nelle varie epoche il volume complessivo e le caratteristiche chimico fisiche dei rifiuti prodotti, come diversa è stata la cultura e la tecnologia con cui si è affrontato il problema.

Il concetto di rifiuto nella sua interezza

I rifiuti costituiscono l'ultimo atto della vita di un bene di consumo. Ma tale ultimo atto maschera, in termini quantitativi e qualitativi, la reale produzione di rifiuti che un singolo bene di consumo genera dalla culla alla tomba.
Ad esempio, si valuta che il 75% dei materiali, impiegati nei processi industriali per la produzione del bene di consumo, non risulti nei prodotti finali.4
Ossia, dietro ogni prodotto immesso nel mercato, ci sono enormi quantità di rifiuti generati dai processi industriali necessari per arrivare a tale prodotto, a partire dalle attività estrattive per passare alla produzione nergetica, al processo di lavorazione e trasporto.
Si è calcolato, ad esempio, che il peso reale di uno spazzolino da denti quando, al termine del suo ciclo di vita, viene gettato via e diventa rifiuto, ammonta a 1,5 Kg; quello di un telefono cellulare a 75 Kg; quello di un personal computer a 1.500 Kg.
La logica vorrebbe che, se una strategia di prevenzione nella produzione dei rifiuti debba esserci, tale strategia andrebbe applicata al 75% dei materiali impiegati nel processo di produzione, piuttosto che a quel che resta al termine del ciclo di vita del bene di consumo.

Acqua e rifiuti

Adesso vogliamo concentrare l'attenzione su una coppia di termini e di concetti di elevata carica semantica, l'acqua e i rifiuti.
L'acqua come elemento indispensabile alla vita, i rifiuti come tutto ciò che è privo di valore in quanto ha esaurito la sua utilità.
La vita e l'inerte, l'indispensabile e l'inutile, pieno e vuoto … con tutte le implicazioni psicologiche, culturali, sociali, economiche, ecologiche, politiche e istituzionali che, nel corso dei secoli, hanno suggerito agli esseri umani le soluzioni per venire a capo del problema dell'accesso all'acqua e di quello, parallelo, dell'eliminazione dei rifiuti prodotti dall'attività umana.
In Italia, come vedremo, la gestione dei rifiuti (e dell'acqua) è stata per tradizione materia tipica dell'Ente locale, che - direttamente o mediante le aziende municipalizzate – ha garantito ai cittadini questi servizi.
Controllare l'ambiente fisico cittadino, sempre più equivalente all'ambiente sociale tout court, regolare le sue risorse e tutelare la loro qualità: sono problemi che attengono primariamente alla sfera politica, ancor prima che a quella tecnica, economica o amministrativa.
Se pensiamo alla città medievale, lo scontro-competizione tra potere pubblico e poteri privati, tra coniuratio comunale e nobiltà feudale, è tra i più accesi in tema di rifornimento idrico. La fontana pubblica si contrappone simbolicamente (ma non solo) al pozzo privato.
Dalla città medievale siamo arrivati a questo paradosso: la degradazione di una risorsa indispensabile come l'acqua comporta la sua trasformazione da bene libero a bene economico.5
Dopo questa svolta epocale, la qualifica di bene libero si restringe alla sola aria. È valido ancora oggi questo discorso?
Inceneritori, miasmi di discariche, industrie che scaricano i loro fumi, di fatto, non sono anche questi le cause di una sorta di "privatizzazione" dei beni comuni?
Cosa comporta la gestione del ciclo dei rifiuti in mano a privati e multinazionali?

Il problema dell'ecomafia in Italia: dalla politica dei rifiuti al rifiuto della politica

L'Italia non ha perso la sua eccentricità rispetto agli altri principali paesi europei. Qui da noi, infatti, lo Stato è tutt'altro che una realtà consolidata in maniera consistente, omogenea e definitiva.
Di conseguenza, anche l'effettivo godimento dei diritti soffre di una diffusione tutt'altro che uniforme sul territorio.
Se ci pensiamo bene, la relativa brevità dell'esperienza unitaria non solo è all'origine del ventennio autoritario del fascismo (6).
Essa si fa sentire in una pluralità di forme: dal divario economico alla qualità diseguale delle istituzioni locali, dalla scarsa legittimità delle istituzioni al fossato di diffidenza che separa il “palazzo” dalla “piazza” (7).
Di tale quadro di complessiva fragilità dello Stato costituisce una precisa spia la diffusione, virulenza e persistenza della mafia e delle organizzazioni affini, che con consuetudine pericolosamente riduttiva vengono designate con la categoria della “criminalità organizzata”.
In realtà si tratta di fenomeni ben più profondi (8).

La capacità delle mafie di contrapporsi allo Stato, ponendosi direttamente in competizione con esso su una pluralità di piani (9), è dimostrata dal fatto che sottrae il controllo del territorio alle istituzioni pubbliche, non solo mediante la capacità di imporre il monopolio della violenza, ma anche attraverso il controllo sia della distribuzione dell'acqua sia di rimozione e smaltimento dei rifiuti.
Ossia, nella particolarità del caso italiano trova piena conferma il nesso stretto tra processi di sviluppo politico e controllo dell'acqua e dei rifiuti.
Ad esempio, e per quel che qui interessa, vedremo come le cosiddette “ecomafie” controllino il traffico dei rifiuti tossici industriali.
In un contesto segnato da produzione di molti rifiuti pericolosi da parte delle industrie, le mafie riescono infatti a offrire a imprese senza scrupoli un servizio prezioso, a prezzi relativamente contenuti, proprio perché godono di un totale controllo del territorio, ossia dispongono di terreni in cui accumulare rifiuti estremamente pericolosi, contando sul silenzio e l'acquiescenza di una popolazione intimidita.

...

NOTE

L'attitudine dell'uomo a gettare i residui delle proprie attività di vita fuori dallo spazio domestico, al massimo ricoprendoli, animalescamente, con un pò di terra, è atavica e al limite dell'istintuale: l'archeologia ne ha trovato traccia già dalle culture cavernicole a quelle palafitticole e terramare.

2 W. Ganapini, La risorsa rifiuti. Tutela ambientale e nuova cultura dello sviluppo, Bompiani, Sonzogno, 1983.

3 L'ordinamento sociale ed economico conseguente alla rivoluzione industriale rende tali comportamenti non più metabolizzabili, nel loro impatto ambientale, dalle funzioni saprofite, tanto è l'ammontare dei rifiuti, tanta la loro complessità compositiva: tutto ciò raggiunge l'acme con la fase nota come consumismo, al punto che Giorgio Nebbia instaurò la relazione di identità tra società dei consumi e società dei rifiuti.

4 V. R. Cartocci, V. Vanelli, Acqua, rifiuti e capitale sociale in Italia. Una geografia della qualità dei servizi pubblici locali e del senso civico, Istituto Carlo Cattaneo, Bologna, 2008.

5 Abbiamo già discusso (F. Di Dio, Acqua Sporca. Il gorgo nero delle privatizzazioni, Editori Riuniti, Roma, 2011), appurandone gli effetti e le conseguenze, se sia l'operatore pubblico o l'impresa privata il soggetto più adatto a fornire un bene di così universale consumo.

6 S. Rokkan, Stato, nazione e democrazia in Europa, Il Mulino, Bologna, 2002.

7 Vengono in mente gli editoriali di Pasolini sul Corriere della sera dei primi anni settanta, poi raccolti nel volume Scritti corsari, Garzanti, Milano, 1975.

8 L'estrema difficoltà delle istituzioni dello Stato nel contrastarli è dovuta al fatto che tale sfida non sembra essere in alcun modo limitata all'infrazione delle norme di diritto penale.

9 Uno degli aspetti caratteristici di questa contrapposizione su più livelli è la difficoltà di tracciare un confine tra gli ambiti dello Stato e quelli della mafia. Tale confine infatti è assai tenue, e non tanto per le ricorrenti collusioni tra apparati dello Stato e cosche. Una prova dell'elusività di tale confine è costituito dalla discussa introduzione nel codice penale del realto di “concorso esterno in associazione mafiosa”, previsto per perseguire le forme più ambigue e sfuggenti di vicinanza alla mafia, al di fuori di una conclamata appartenenza a una “famiglia”.


* Brani tratti da Fulvio Di Dio, “Profumo d’Italia. Il Paese della continua emergenza rifiuti”, Editori Internazionali Riuniti, Roma, ottobre 2011.

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