L’Italia è generalmente percepita come un paese pacifico o quantomeno non impegnato in prima linea nei conflitti mondiali. In realtà negli ultimi decenni le forze armate italiane hanno visto sempre di più ampliare i propri compiti: operazioni di peacekeeping (letteralmente: mantenimento della pace) in diverse aree del mondo, formazione del personale di polizia e militare di altri paesi, lotta al terrorismo e contrasto all’immigrazione irregolare.
Partendo da questa premessa, anche per il 2019 il Parlamento italiano ha votato il rifinanziamento delle missioni all’estero delle forze militari ed ha pressoché riconfermato tutte quelle già in corso nel 2018, ma in alcuni casi con un “riposizionamento” del personale. In sintesi, alcuni teatri operativi sono stati ritenuti meno urgenti rispetti ad altri e questo ha favorito una redistribuzione di forze.
Per quanto riguarda l’impiego delle risorse umane, si tratta di 6.290 soldati permanenti nelle varie missioni (nel 2018 erano 6.309), più un altro migliaio per un tempo limitato per una consistenza massima di circa 7.400 unità per il 2019.
Il maggior numero di militari è in Asia (46% del totale) e, a seguire, Europa (34%) e Africa (20%) mentre il continente con più missioni operative è quello africano, 18 sulle 43 complessive. Il grafico riporta invece i paesi con il maggior numero di unità presenti.
Missioni militari italiane in Asia
Nel continente asiatico l’Italia concentra quasi la metà delle forze armate impegnate in missioni militari nel mondo, e la partecipazione più significativa riguarda tre paesi: Libano, Iraq e Afghanistan.
In Libano il nostro paese ha il comando generale dell’intera missione ONU, con 1.076 unità più altre 140 per l’addestramento delle forze armate libanesi, per un totale di oltre 1.200 soldati presenti.
In Iraq l’Italia agisce a supporto della NATO nella formazione dell’esercito iracheno e delle istituzioni impegnate nella stabilizzazione del territorio dopo la sconfitta dell’Isis, con 1.100 unità (250 in meno rispetto al 2018, diminuzione probabilmente decisa proprio dopo la sconfitta apparentemente definitiva dello Stato Islamico).
In Afghanistan l’Italia è presente fin dal 2001, con 800 unità, in diminuzione rispetto al 2018 quando erano 900.
In sintesi, il 40% dei soldati italiani coinvolti in missioni internazionali opera solamente in queste tre nazioni, a cui si aggiunge l’impiego di 815 mezzi terrestri (veicoli, camion, carri armati ecc.) e 31 aerei, per una spesa complessiva – tra Libano, Iraq e Afghanistan – di 544 milioni di euro per il 2019.
Da segnalare anche una discreta presenza di forze italiane (32 unità) in Palestina di supporto alle forze di sicurezza palestinesi.
Missioni militari italiane in Europa
Contingente italiano in Kosovo a protezione di un monastero ortodosso serbo. Fonte: difesa.it
In Europa l’Italia partecipa a 14 missioni, divise in missioni di terra e di mare: tra le prime spicca la notevole presenza in Kosovo (missione avviata nel 1998 con compiti di peacekeeping a cui si sono aggiunte nel corso degli anni altre 3 missioni di supporto alla principale), per un totale di 566 unità, e in altri paesi dell’area balcanica con 68 unità, di cui 44 in Albania, per l’assistenza e formazione della polizia locale.
Nel Mar Mediterraneo invece l’Italia è presente con tre missioni: Mare Sicuro, su richiesta del presidente libico Al Serraj in supporto alla guardia costiera libica (754 unità ripartite tra sei navi e cinque aerei), Sophia su mandato dell’Unione Europea per contrastare i trafficanti di esseri umani (520 unità, una nave e tre aerei) e Sea Guardian (54 unità e una nave) per prevenire o combattere attacchi terroristici.
In sintesi, oltre 1.300 unità delle forze armate italiane sono impiegate per raggiungere due precisi obiettivi: contrasto all’immigrazione irregolare proveniente dal Mediterraneo al fine di diminuire le partenze verso le coste italiane e supporto alla stabilizzazione della Libia.
Missioni militari italiane in Africa
Fonte: Camera dei Deputati
Come detto, la maggioranza delle missioni per il 2019 sono in Africa, ben 18, suddivise tra i seguenti paesi: Egitto, Tunisia, Libia, Niger, Repubblica Centrafricana, Somalia, Mali, Gibuti.
Una presenza composta da circa 1.500 soldati con svariati compiti, sempre da inquadrare all’interno della strategia italiana di contenimento/gestione dei flussi migratori e supporto ai governi di aree ancora instabili e insicure.
In particolare in Niger, considerato un punto nevralgico delle rotte dei migranti verso l’Europa, l’Italia per il 2019 ha inviato 290 soldati, con l’obiettivo di contrastare il fenomeno dei traffici illegali e aumentare la capacità delle autorità nigerine di controllo e sorveglianza delle frontiere, per un costo annuale di 48 milioni di euro.
Nell’ex-colonia italiana della Somalia si trova invece il maggior contingente presente nel continente africano: tre missioni operative e 533 unità coinvolte con compiti di prevenzione e contrasto alla pirateria e rafforzamento delle istituzioni locali, per un costo complessivo di 40 milioni di euro.
A questo impegno si affianca poi quello in Gibuti, piccolo paese che si affaccia davanti allo Yemen, dove 145 soldati si occupano di formazione della polizia locale.
I costi delle missioni militari italiane nel mondo
Nel 2019 le missioni militari italiane nel mondo costano in totale 1 miliardo e 428 milioni di euro, di cui 1 miliardo e 56 milioni di costi per le missioni e 372 milioni di spese generali di supporto. Si tratta di una cifra record in un trend in continua crescita negli ultimi anni (nel 2014 si era ancora sotto il miliardo di euro).
Come accennato, un terzo di questa spesa è concentrata sulle tre missioni più importanti: Libano, Iraq e Afghanistan. Questa la ripartizione delle spese per continente:
Missioni militari italiane nel mondo: conclusioni
L’Italia è impegnata attualmente in oltre 20 paesi e con una presenza che arriverà ad un massimo impegno per il 2019 di quasi 7,4 mila militari. Come visto, si tratta di attività complesse, in aree geografiche spesso a rischio, di azioni volte al mantenimento della pace ma anche di contrasto all’immigrazione irregolare, formando le polizie e le istituzioni dei paesi africani maggiormente coinvolti.
Nel documento approvato dal Parlamento si legge che per le missioni “la principale linea di continuità è dettata dai principi consolidati che caratterizzano la nostra azione, come la fede nel processo di integrazione europea e nel legame transatlantico, la vocazione mediterranea, la difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali”.
Queste missioni e interventi hanno un costo, che per il 2019 abbiamo visto essere di 1 miliardo e 428 milioni di euro. Per avere un termine di paragone, consideriamo che l’Italia destina per la cooperazione allo sviluppo un budget di circa 514 milioni di euro per il 2019.
In pratica l’Italia per l’anno in corso ha stanziato 2 miliardi di euro, di cui il 75% per perseguire una serie di missioni militari e il restante 25% in attività di cooperazione e sviluppo.
In questo scenario, è interessante analizzare la politica estera italiana in Africa, che persegue sostanzialmente tre obiettivi: contrasto all’immigrazione irregolare nel Mediterraneo, supporto militare e di sicurezza ai paesi maggiormente coinvolti da questo fenomeno, attività di cooperazione per favorire lo sviluppo nelle aree socialmente più arretrate.
Nel Rapporto annuale del 2018 dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo non sono riportate le cifre stanziate per singoli paesi tuttavia delle 22 aree considerate prioritarie, 9 si trovano in Africa; è quindi lecito suppore un impegno annuale medio di almeno un terzo delle risorse totali, che corrisponde ad almeno 150 milioni di euro.
In breve, il governo italiano per il 2019 ha stanziato in Africa circa 330 milioni di euro, una cifra di poco superiore allo 0% del Pil nazionale, di cui 178 milioni per missioni di tipo militare e di sicurezza, soprattutto sul tema del contrasto ai flussi migratori irregolari, ed il restante in progetti di cooperazione internazionale.
Leggendo questi dati emerge che ad oggi il comparto militare riceve una quantità di risorse superiore rispetto alle attività di cooperazione, che dovrebbero servire a ridurre le cause socio-economiche dell’emigrazione verso l’Italia e l’Europa.
Un aspetto questo del riequilibro delle risorse a favore di azioni mirate allo sviluppo dei territori che andrebbe tenuto conto dal Parlamento italiano in sede di rifinanziamento delle missioni altrimenti il rischio è che lo sbandierato principio dell’“aiutiamoli a casa loro” rimanga uno slogan, senza trasformarsi in una reale politica da perseguire.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.